sabato 24 agosto 2019

Epicuro contro il consumismo. II parte

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Seconda parte della conferenza del 31 agosto 2019 ore 11 hotel Raffaello Senigallia
 Epicuro, un aiuto contro il consumismo

Il saggio epicureo è un asceta poiché assoggetta i piaceri della carne a una disciplina rigorosa. Inoltre è un cenobita, uno che vive in un koinovbion, una comunità di persone staccate dalla società: lavqe biwvsaς, vivi nascosto.
La cultura politica della polis democratica è tramontata
Gli Epicurei comunque non furono i porci di cui scrive, con autoironia, Orazio: “me pinguem et nitidum bene curata cute vises - cum ridere voles Epicuri de grege porcum” (Epistola ad Albio, I, 4, 15 - 16).

Seneca giudicò gli epicurei con equità
Il filosofo stoico difende Epicuro dalla mala reputazione, Nel De vita beata (13) dice che virtus e voluptas sono inconvenientia, inconciliabili. L’uomo effusus in voluptates, ructabundus semper atque ebrius, dà ai suoi vizi il titolo di virtù, e si autorizza con Epicuro impropriamente e inopportunamente.
Infatti la voluptas di Epicuro era sobria ac sicca e usurpa il nome di epicureo chi vola al richiamo di quel nome cercando una giustificazione e una copertura per le loro libidini quaerentes libidinibus suis patrocinium aliquod ac velamentum. Dunque la voluptatis laudatio è perniciosa, ma questa non si trova in Epicuro il quale prescrive norme rette e anche severe (recta et tristia).e il suo piacere è riportato a una piccola ed esile misura voluptas enim illa ad parvum et exīle revocatur ed egli impone al piacere la medesima legge che noi diamo alla virtù: iubet illam parere naturae , ordina alla voluptas di obbedire alla natura e ciò che basta alla natura è troppo poco per la lussuria.
La setta di Epicuro male audit, infamis est, et immerito, è malfamata a torto.

In effetti l’epicureismo deve il suo successo anche a questa sua multiformità: proclama il piacere come bene supremo e lo estenua con il suo ascetismo, contrappone la malinconia rassegnata al vitalismo, afferma il sensismo integrale ma poi lo sottopone al giudizio della mens, nel meccanicismo introduce la libertà, combatte la superstizione e predica la fede.
Nell’Ep. 33. Seneca scrive che Epicuro ha saputo esprimersi con forza pur predicando mollezza: apud me Epicurus est et fortis, licet manuelatus sit, secondo me Epicuro è anche forte, sebbene indossi vesti con le maniche lunghe (come le donne).
Cfr. le donne dei Germani, invece.

Il piacere epicureo è l’eliminazione di ogni sofferenza. Il piacere reale è l’hJdonh; katasthmatikhv, la voluptas in stabilitate, non quello ejn kinhvsei voluptas in motu che è un piacere inficiato dal divenire.
Le titillationes (gargalismoiv), il solletico accresce il bisogno del piacere, mentre il vero piacere è l’eliminazione di questo bisogno, ed è l’ajponiva, l’assenza di dolore, vacuĭtas dolorisindolentia. L’ajponiva è il piacere del corpo, è l’equilibrio della carne; l’ajtaraxiva è l’assenza di turbamento, il piacere dell’animus pensante.
Ai dissoluti non si potrebbe rimproverare niente se i loro piaceri fossero capaci di appagarli.
La scelta dei piaceri va riferita ejpi; th;n tou' swvmatoς uJgiveian kai; th;n th'ς yuch'ς ajtaraxivan (A Meneceo, 128). Pavnta pravttomen, o{pwς mhvte ajlgw'men mhvte tarbw'men, facciamo tutto per non avere dolore e non avere paura.
 Soffriamo per il bisogno del piacere che è il bene primo e a noi connaturato prw'ton ajgaqo;n tou'to kai; suvmfuton (A Meneceo, 129), ma dobbiamo tralasciarne molti se ad essi segue un incomodo maggiore (plei'on to; duscerevς) e addirittura a volte scegliamo dei dolori quando ce ne consegua un piacere maggiore (ejpeida;n meivzwn hJmi'n hJdonh; parakolouqh/').
Ogni piacere ci è congeniale ma non è sempre da eleggere, i dolori sono un male ma non sono tutti da evitare. Conviene giudicare in base al calcolo (th/' summetrevsei), a una valutazione comparativa, degli utili e dei danni. A volte un male per noi può essere un bene e un bene un male.

 Seneca traduce questo pensiero dandogli una prospettiva cosmica e mistica: “ Nihil indignetur sibi accidere sciatque illa ipsa quibus laedi videtur ad conservationem universi pertinere (…) placeat homini quid quid deo placuit” (Ep. 74, 20)

Abbiamo detto che quanto è fusikovn, richiesto dalla natura, è facilmente procacciabile eujpovriston, mentre to; kenovn, il vano è duspovriston.

L’anima pensante dunque deve fissare dei limiti alla carne sulla base del raziocinio.
 Per guarire dai mali basta il tetravfarmakoς - quadrifarmaco -
: gli dei non sono da temere, la morte nemmeno, facile a procurarsi è il bene, facile a tollerarsi è il male.
Il male se è cronico è sopportabile, se è intenso viene eliminato dalla morte.
Il clinamen - parevgklisi" - è il correlativo oggettivo del libero arbitrio la fatis avulsa voluntas (Lucrezio, De rerum natura, II, 257) per quam progredimur quo ducit quemque voluptas (II, 258). La libertà è effetto della contingenza del clinamen atomico.
Alcuni atomi sono comuni a più cose, come le lettere uguali in parole diverse. Nostris in versibus ipsis - multa elementa vides multis communia verbis” (II, 689).

Le parole, come le cose, constano di elementa (stoicei'a), che sono tanto elementi primordiali quanto lettere dell’alfabeto, che si mettono insieme e si separano, si aggiungono e si tolgono. Ivano Dionigi rileva una coincidenza tra terminologia grammaticale e terminologia atomistica, con precedenza della prima.

Epicuro: “ajlla; mh;n kai; kovsmoi a[peiroi eijsin, oi{ q j o[moioi touvtw/ kai; ajnovmoioi. Ai] ga;r a[tomoi a[peiroi ou\sai, wJς a[rti ajpedeivcqh, fevrontai kai; porrwvtatw Ep. A Erodoto, 45) ma poi i mondi sono infiniti, alcuni simili a questo, altri diversi. Infatti gli atomi che sono infiniti, come è stato or ora dimostrato, si portano anche lontanissimi.
Lucrezio ritiene, come Epicuro che la terra sia ferma al centro del mondo e i corpi celesti in movimento (geocentrismo).

L’eliocentrismo di Copernico (1473 - 1543) era stato già sostenuto da Eraclide Pontico del IV e Aristarco di Samo del III sec. a. C.
Cfr. “maledetto sia Copernico” di Pirandello (Il fu Mattia Pascal)
“Io dico che quando la terra non girava, e l’uomo, vestito da greco o da romano. Vi faceva così bella figura e così altamente sentiva di sé e tanto si compiaceva della propria dignità, credo bene che potesse riuscire accetta una narrazione minuta e piena d’oziosi particolari. Si legge o non si legge in Quintiliano, come voi m’avete insegnato, che la storia doveva essere fatta per raccontare e non per provare?
La terra “Per tanti anche adesso non gira. L’ho detto l’altro giorno a un vecchio contadino, e sapete come m’ha risposto? Ch’era una buona scusa per ubriachi (…) Copernico, Copernico, don Eligio mio, ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente (…) storie di vermucci ormai, le nostre” (Premessa)

L’Epistola a Meneceo la più interessante è un compendio dell’etica.

Gli Stoici paragonarono la filosofia ad un frutteto: la logica al muro, la fisica agli alberi e l’etica ai frutti. La logica deve dunque difendere il giardino dagli assalti esterni. La fisica, come un albero che tende i suoi rami verso il cielo, culminava nella teologia.

Il giovane non deve tardare a filosofare né il vecchio deve stancarsene mhvte gevrwn kopiavtw. Bisogna meditare su quello che procura la felicità - meleta'n ou\n crh; ta; poiou'nta th;n eujdaimonivan (A Meneceo, 122).
Non bisogna trascurare il significato vero di questa parola: un buon rapporto con il proprio demone o carattere.

Marco Aurelio in A se stesso scrive: “Eujdaimoniva ejsti; daivmwn ajgaqov" (VII, 17)
Henrik Ibsen fa dire a Giuliano imperatore. “E che cos’è la felicità se non il vivere in conformità a se stesso? L’aquila chiede forse delle penne d’oro? Il leone ambisce avere artigli d’argento? O forse il melograno desidera che i suoi chicchi siano altrettante pietre preziose?”[1].

Vediamo gli stoicei'a tou' kalw'" zh'n i princìpi fondamentali de vivere bene
La divinità è un essere indistruttibile e beato zw'/on a[fqarton kai; makavrion (123). Gli dèi esistono: infatti la loro conoscenza è evidente - qeoi; me;n ga;r eijsivn: ejnargh;" ga;r aujtw'n ejstin hJ gnw'si", mentre non esistono quali li considerano i più - oi{u" oiJ polloi; nomivzousin, oujk eijsivn -
Empio è chi applica agli dèi le opinioni del volgo - ajsebh;" oJ ta;" tw'n pollw'n dovxa" qeoi'" prosavptwn. Queste non sono prolhvyei", anticipazioni ma ujpolhvyei", pregiudizi.
Abìtuati a pensare mhde;n pro;" hjma'" ei\nai to;n qavnaton siccome ogni bene e male sta nella sensazione ejn aijsqhvsei della quale la morte è stevrhsi" (124), privazione. Il saggio non rifiuta la vita e non teme la morte che non ci riguarda.
Ogni atto di scelta va riferito ejpi; th;n tou' swvmato" uJgiveian kai; th;n th'" yuch'" ajtaraxivan , alla salute del corpo e alla tranquillità dell’anima che costituiscono il termine della vita beata ejpei; tou'to tou' makarivw" zh'n ejsti tevlo".
Facciamo tutto per non avere dolore né turbamento. Quando raggiungiamo questo luvetai pa'" oj th'" yuch'" ceimwvn, ogni tempesta dello scontento dell’anima si placa.
Il piacere è il principio e il termine di una vita felice, ma questo va tralasciato se ne segue per noi un dispiacere maggiore - o{tan plei'on hJmi'n to; duscere;" ejk touvtwn e{phtai (129) - du" - caivrw -
Viceversa preferiamo ai piaceri i dolori se questi portano a un piacere maggiore, ejpeida;n meivzwn hJmi'n hJdonh; parakolouqh'/, quando ne consegue un piacere maggiore.
Ogni piacere dunque è un bene, ma non ogni piacere va scelto - pa'sa ou\n hJdonh; ajgaqovn, ouj pa'sa mevntoi aijrethv come dall’altra parte ajlghdw;n pa'sa kakovn, ouj pa'sa de; ajei; feukth; pefukui'a, ogni dolore è un male ma non è che ognuno vada schivato come naturalmente dannoso.
Conviene kaqhvkei giudicare tutti questi aspetti tau'ta pavnta krivnein th'/ summetrhvsei kai; sumferovntwn kai; ajsumfovrwn con la commisurazione dell’utile e del nocivo.

Anche l’utile va misurato e commisurato alle conseguenze della sua scelta. Cfr. nella Medea di Euripide il presunto sumfevron di Giasone cui seguono dispiaceri terribili. Egli insomma "dra'/ ta; sumforwvtata " (v. 876) fa quello che è più utile[2], come riconosce la moglie abbandonata, quando finge di sottomettersi beffeggiandolo. Giasone non cambia donna perché ne ha trovata una più buona o più bella, in quanto egli non è capace di giudicare eticamente o “esteticamente, cioè disinteressatamente”[3].

Il bene può essere per noi un male e viceversa
Consideriamo un grande bene l’aujtavrkeia, il bastare a sé, l’utosufficienza. Questo aspetto dell’epicureismo viene criticato nel Dyskolos di Menandro (IV sec. a. C.) e invece ripreso dallo stoico Epitteto (I - II sec. d. C).

Non è che dobbiamo avere solo il poco, ma se non possiamo avere il molto dobbiamo farci bastare il poco. Gode più dell’abbomdanza chi ne ha meno bisogno.. Abituarsi a un vitto semplice e frugale dà la salute e accresce il piacere di avvicinarsi qualche volta a una vita sontuosa.
Infatti non sono simposi povtoi kai; kw'moi suneivronte", e baldorie continue a generare una vita piacevole, né i godimenti di fanciulli, donne né di pesci - oijd j ajpolauvsei" paivdwn kai; gunaikw'n oujd j ijcquvwn, ajpolauvw, traggo profitto latino lucrum,) e di quante altre cose porta una lauta mensa fevrei polutelh;" travpeza, ma un sobrio calcolo che indaga le cause di ogni scelta e rifiuto ajlla; nhvfwn logismo;" kai; ta;" aijtiva" ejxereunw'n pavsh" aijrevsew" kai; fugh'", e che scacci le false opinioni kai; ta;" dovxa" ejxelauvnwn dalle quali un enorme turbamento plei'sto" qovrubo" prende le anime (A Meneceo, 132).

giovanni ghiselli

Continua





[1] Cesare e Galileo (1873) parte seconda. Giuliano imperatore, atto terzo, quadro primo
[2] Vedi la scheda “L’interpretazione pragmatica delle azioni umane” successiva al v. 368.
[3] P. P. Pasolini, Il caos, p. 178.

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