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Seconda parte della conferenza del 31 agosto 2019 ore 11 hotel Raffaello Senigallia
Il saggio
epicureo è un asceta poiché assoggetta i piaceri della carne a una disciplina
rigorosa. Inoltre è un cenobita, uno che vive in un koinovbion, una comunità di persone staccate
dalla società: lavqe biwvsaς, vivi nascosto.
La cultura
politica della polis democratica è tramontata
Gli Epicurei
comunque non furono i porci di cui scrive, con autoironia, Orazio: “me
pinguem et nitidum bene curata cute vises - cum ridere voles Epicuri de grege
porcum” (Epistola ad Albio, I, 4, 15 - 16).
Seneca giudicò
gli epicurei con equità
Il filosofo
stoico difende Epicuro dalla mala reputazione, Nel De vita beata (13) dice che virtus e voluptas sono inconvenientia,
inconciliabili. L’uomo effusus in voluptates, ructabundus semper atque
ebrius, dà ai suoi vizi il titolo di virtù, e si autorizza con Epicuro
impropriamente e inopportunamente.
Infatti
la voluptas di Epicuro era sobria ac sicca e
usurpa il nome di epicureo chi vola al richiamo di quel nome cercando una
giustificazione e una copertura per le loro libidini quaerentes
libidinibus suis patrocinium aliquod ac velamentum. Dunque la voluptatis
laudatio è perniciosa, ma questa non si trova in Epicuro
il quale prescrive norme rette e anche severe (recta et tristia).e il
suo piacere è riportato a una piccola ed esile misura voluptas enim
illa ad parvum et exīle revocatur ed egli impone al piacere la
medesima legge che noi diamo alla virtù: iubet illam parere naturae ,
ordina alla voluptas di obbedire alla natura e ciò che basta
alla natura è troppo poco per la lussuria.
La setta di
Epicuro male audit, infamis est, et immerito, è malfamata a torto.
In effetti
l’epicureismo deve il suo successo anche a questa sua multiformità: proclama il
piacere come bene supremo e lo estenua con il suo ascetismo, contrappone la
malinconia rassegnata al vitalismo, afferma il sensismo integrale ma poi lo
sottopone al giudizio della mens, nel meccanicismo introduce la
libertà, combatte la superstizione e predica la fede.
Nell’Ep.
33. Seneca scrive che Epicuro ha saputo esprimersi con forza pur predicando
mollezza: apud me Epicurus est et fortis, licet manuelatus sit,
secondo me Epicuro è anche forte, sebbene indossi vesti con le maniche lunghe
(come le donne).
Cfr. le
donne dei Germani, invece.
Il piacere
epicureo è l’eliminazione di ogni sofferenza. Il piacere reale è l’hJdonh;
katasthmatikhv, la voluptas
in stabilitate, non quello ejn kinhvsei voluptas in motu che è
un piacere inficiato dal divenire.
Le titillationes (gargalismoiv), il solletico accresce il bisogno
del piacere, mentre il vero piacere è l’eliminazione di questo bisogno, ed è l’ajponiva, l’assenza di dolore, vacuĭtas
doloris, indolentia. L’ajponiva è il piacere del corpo, è
l’equilibrio della carne; l’ajtaraxiva è l’assenza di turbamento, il piacere dell’animus pensante.
Ai dissoluti
non si potrebbe rimproverare niente se i loro piaceri fossero capaci di
appagarli.
La scelta
dei piaceri va riferita ejpi; th;n tou' swvmatoς uJgiveian kai; th;n th'ς yuch'ς ajtaraxivan (A Meneceo, 128). Pavnta
pravttomen, o{pwς mhvte
ajlgw'men mhvte tarbw'men, facciamo
tutto per non avere dolore e non avere paura.
Soffriamo
per il bisogno del piacere che è il bene primo e a noi connaturato prw'ton
ajgaqo;n tou'to kai; suvmfuton (A Meneceo, 129), ma dobbiamo tralasciarne molti se ad essi
segue un incomodo maggiore (plei'on to; duscerevς) e addirittura a volte scegliamo dei dolori quando
ce ne consegua un piacere maggiore (ejpeida;n meivzwn hJmi'n hJdonh;
parakolouqh/').
Ogni piacere ci è congeniale ma non è sempre da
eleggere, i dolori sono un male ma non sono tutti da evitare. Conviene
giudicare in base al calcolo (th/' summetrevsei), a una valutazione comparativa, degli utili e dei
danni. A volte un male per noi può essere un bene e un bene un male.
Seneca
traduce questo pensiero dandogli una prospettiva cosmica e mistica: “ Nihil
indignetur sibi accidere sciatque illa ipsa quibus laedi videtur ad conservationem
universi pertinere (…) placeat homini quid quid deo placuit” (Ep. 74,
20)
Abbiamo
detto che quanto è fusikovn, richiesto dalla natura, è facilmente
procacciabile eujpovriston, mentre to; kenovn, il vano è duspovriston.
L’anima
pensante dunque deve fissare dei limiti alla carne sulla base del raziocinio.
Per
guarire dai mali basta il tetravfarmakoς - quadrifarmaco -
: gli dei non sono da temere, la morte nemmeno, facile a procurarsi è il
bene, facile a tollerarsi è il male.
Il male se è
cronico è sopportabile, se è intenso viene eliminato dalla morte.
Il clinamen
- parevgklisi" - è il
correlativo oggettivo del libero arbitrio la fatis avulsa voluntas (Lucrezio, De
rerum natura, II, 257) per quam progredimur quo ducit quemque
voluptas (II, 258). La libertà è effetto della contingenza del clinamen atomico.
Alcuni atomi
sono comuni a più cose, come le lettere uguali in parole diverse. Nostris
in versibus ipsis - multa elementa vides multis communia verbis” (II, 689).
Le parole,
come le cose, constano di elementa (stoicei'a), che sono tanto elementi primordiali
quanto lettere dell’alfabeto, che si mettono insieme e si separano, si
aggiungono e si tolgono. Ivano Dionigi rileva una coincidenza tra terminologia
grammaticale e terminologia atomistica, con precedenza della prima.
Epicuro: “ajlla; mh;n
kai; kovsmoi a[peiroi eijsin, oi{ q j o[moioi touvtw/ kai; ajnovmoioi. Ai] ga;r
a[tomoi a[peiroi ou\sai, wJς a[rti ajpedeivcqh, fevrontai kai; porrwvtatw Ep. A Erodoto, 45) ma
poi i mondi sono infiniti, alcuni simili a questo, altri diversi. Infatti gli
atomi che sono infiniti, come è stato or ora dimostrato, si portano anche
lontanissimi.
Lucrezio ritiene, come Epicuro che la terra sia ferma al centro del mondo e i
corpi celesti in movimento (geocentrismo).
L’eliocentrismo di Copernico
(1473 - 1543) era stato già sostenuto da Eraclide Pontico del IV e Aristarco di Samo del III sec. a. C.
Cfr. “maledetto sia Copernico” di Pirandello (Il fu Mattia Pascal)
“Io dico che
quando la terra non girava, e l’uomo, vestito da greco o da romano. Vi faceva
così bella figura e così altamente sentiva di sé e tanto si compiaceva della
propria dignità, credo bene che potesse riuscire accetta una narrazione minuta
e piena d’oziosi particolari. Si legge o non si legge in Quintiliano, come voi
m’avete insegnato, che la storia doveva essere fatta per raccontare e non per
provare?
La terra
“Per tanti anche adesso non gira. L’ho detto l’altro giorno a un vecchio
contadino, e sapete come m’ha risposto? Ch’era una buona scusa per ubriachi (…)
Copernico, Copernico, don Eligio mio, ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente
(…) storie di vermucci ormai, le nostre” (Premessa)
L’Epistola a Meneceo la più
interessante è un compendio
dell’etica.
Gli Stoici
paragonarono la filosofia ad un frutteto: la logica al muro, la fisica agli
alberi e l’etica ai frutti. La logica deve dunque difendere il giardino dagli
assalti esterni. La fisica, come un albero che tende i suoi rami verso il
cielo, culminava nella teologia.
Il giovane
non deve tardare a filosofare né il vecchio deve stancarsene mhvte gevrwn
kopiavtw. Bisogna
meditare su quello che procura la felicità - meleta'n ou\n
crh; ta; poiou'nta th;n
eujdaimonivan (A
Meneceo, 122).
Non bisogna
trascurare il significato vero di questa parola: un buon rapporto con il
proprio demone o carattere.
Marco
Aurelio in A se stesso scrive: “Eujdaimoniva ejsti; daivmwn
ajgaqov" (VII, 17)
Henrik Ibsen
fa dire a Giuliano imperatore. “E che cos’è la felicità se non il vivere in
conformità a se stesso? L’aquila chiede forse delle penne d’oro? Il leone
ambisce avere artigli d’argento? O forse il melograno desidera che i suoi
chicchi siano altrettante pietre preziose?”[1].
Vediamo
gli stoicei'a tou' kalw'" zh'n i princìpi fondamentali de vivere bene
La divinità
è un essere indistruttibile e beato zw'/on a[fqarton kai;
makavrion (123). Gli
dèi esistono: infatti la loro conoscenza è evidente - qeoi; me;n ga;r
eijsivn: ejnargh;" ga;r aujtw'n ejstin hJ gnw'si", mentre non esistono quali li
considerano i più - oi{u" oiJ polloi; nomivzousin, oujk eijsivn -
Empio è chi
applica agli dèi le opinioni del volgo - ajsebh;" oJ ta;" tw'n
pollw'n dovxa" qeoi'" prosavptwn. Queste non sono prolhvyei", anticipazioni ma ujpolhvyei", pregiudizi.
Abìtuati a
pensare mhde;n pro;" hjma'" ei\nai to;n
qavnaton siccome ogni
bene e male sta nella sensazione ejn aijsqhvsei della quale la morte è stevrhsi" (124), privazione. Il saggio
non rifiuta la vita e non teme la morte che non ci riguarda.
Ogni atto di
scelta va riferito ejpi; th;n tou' swvmato" uJgiveian kai; th;n
th'" yuch'" ajtaraxivan , alla salute del corpo e alla tranquillità dell’anima
che costituiscono il termine della vita beata ejpei; tou'to
tou' makarivw" zh'n ejsti tevlo".
Facciamo
tutto per non avere dolore né turbamento. Quando raggiungiamo questo luvetai
pa'" oj th'" yuch'"
ceimwvn, ogni
tempesta dello scontento dell’anima si placa.
Il piacere è
il principio e il termine di una vita felice, ma questo va tralasciato se ne
segue per noi un dispiacere maggiore - o{tan plei'on hJmi'n to;
duscere;" ejk touvtwn e{phtai (129) - du" - caivrw -
Viceversa
preferiamo ai piaceri i dolori se questi portano a un piacere maggiore, ejpeida;n
meivzwn hJmi'n hJdonh; parakolouqh'/, quando ne consegue un piacere maggiore.
Ogni piacere
dunque è un bene, ma non ogni piacere va scelto - pa'sa ou\n
hJdonh; ajgaqovn, ouj pa'sa mevntoi aijrethv come dall’altra parte ajlghdw;n pa'sa
kakovn, ouj pa'sa de; ajei; feukth; pefukui'a, ogni dolore è un male ma non è che ognuno vada
schivato come naturalmente dannoso.
Conviene kaqhvkei giudicare
tutti questi aspetti tau'ta pavnta krivnein th'/ summetrhvsei kai; sumferovntwn kai; ajsumfovrwn con
la commisurazione dell’utile e del nocivo.
Anche
l’utile va misurato e commisurato alle conseguenze della sua scelta. Cfr.
nella Medea di Euripide il presunto sumfevron di Giasone cui seguono
dispiaceri terribili. Egli insomma "dra'/ ta; sumforwvtata " (v. 876) fa quello che
è più utile[2],
come riconosce la moglie abbandonata, quando finge di sottomettersi
beffeggiandolo. Giasone non cambia donna perché ne ha trovata una più buona o
più bella, in quanto egli non è capace di giudicare eticamente o
“esteticamente, cioè disinteressatamente”[3].
Il bene può
essere per noi un male e viceversa
Consideriamo
un grande bene l’aujtavrkeia, il bastare a sé, l’utosufficienza. Questo aspetto
dell’epicureismo viene criticato nel Dyskolos di Menandro (IV
sec. a. C.) e invece ripreso dallo stoico Epitteto (I - II sec. d. C).
Non è che
dobbiamo avere solo il poco, ma se non possiamo avere il molto dobbiamo farci
bastare il poco. Gode più dell’abbomdanza chi ne ha meno bisogno.. Abituarsi a
un vitto semplice e frugale dà la salute e accresce il piacere di avvicinarsi
qualche volta a una vita sontuosa.
Infatti non
sono simposi povtoi kai; kw'moi suneivronte", e baldorie continue a generare una vita piacevole, né i godimenti di fanciulli, donne né di pesci - oijd j
ajpolauvsei" paivdwn kai; gunaikw'n oujd j ijcquvwn, ajpolauvw, traggo profitto latino lucrum,)
e di quante altre cose porta una lauta mensa fevrei polutelh;"
travpeza, ma un
sobrio calcolo che indaga le cause di ogni scelta e rifiuto ajlla; nhvfwn
logismo;" kai; ta;" aijtiva" ejxereunw'n pavsh"
aijrevsew" kai; fugh'", e che scacci le false opinioni kai; ta;"
dovxa" ejxelauvnwn dalle
quali un enorme turbamento plei'sto" qovrubo" prende le anime (A Meneceo,
132).
giovanni
ghiselli
Continua
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