venerdì 23 agosto 2019

Epicuro contro il consumismo. Parte I

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31 agosto 2019 ore 11, hotel Raffaello Senigallia
Programma della mattina
Primo Festival Epicureo, Amicizia, filosofia della felicità.
Sabato 31 agosto
11:00 – 13:00 Raffaello Hotel
Amicizia, via privilegiata alla felicità
Con la Ricercatrice in filosofia Politica Elena Irrera dell’Università di Bologna.
Scienza e felicità
Cosa dice oggi la scienza sulla felicità. Con Tommaso Panajoli divulgatore scientifico del Museo del Balì di Calcinelli di Saltara (PU).
Gli studi epicurei a Senigallia
Considerazioni su Rodolfo Mondolfo del professor Vittorio Mengucci.

Epicuro, un aiuto contro il consumismo (di Giovanni Ghiselli)
Prima parte della conferenza (pp. 1 - 8)
Seguiranno le altre fino a 25 pagine
Epicuro (gr. ᾿Επκουρος, lat. Epicurus). - (Samo 341 - Atene 270 a. C.).
 Fondatore di una delle più importanti scuole filosofiche dell'età ellenistica, detta il "Giardino" (perché aveva sede in un giardino attiguo alla sua casa). Della sua opera, amplissima (essa comprendeva quasi 300 titoli), restano i frammenti di circa 9 libri del Περ ϕσεως (erano in tutto 37)
 Tre lettere che ne riassumono la dottrina (a Erodoto, a Meneceo, a Pitocle)
L’Epistola a Erodoto che è un riassunto della fisica.
L’Epistola a Meneceo è un compendio dell’etica.
L’Epistola a Pitocle tratta dei fenomeni celesti.
Poi 40 Massime capitali Kριαι δξαι
Infine uno Gnomologio - florilegio di sentenze
Ogni libro del De rerum natura di Lucrezio ha un proemio: il I, il III, il V e il VI con un elogio di Epicuro (il II l’elogio della sapienza, il IV la proclamazione della novità dell’opera).
Epicuro è celebrato come un salvatore che ha liberato gli uomini dalla superstizione.
“Humana ante oculos foede cum vita iaceret
 in terris oppressa gravi sub religione
 quae caput caeli regionibus ostendebat
 horribili super aspectu mortalibus instans,
 primum Graius homo mortalis tollere contra
 est oculos ausus primusque obsistere contra,
 quem neque fama deum nec fulmina nec minitanti
 murmure compressit caelum, sed eo magis acrem
 inritat animi virtutemecfringere ut arta
 naturae primus portarum claustra cupiret.” (I, 62 - 71)

Eppure per Dante epicureo significa prima di tutto negatore dell’immortalità degno della condanna eterna (Suo cimitero da questa parte hanno/on Epicuro tutti suoi seguaci,/che l’anima col corpo morta fanno. Inferno X, 13 - 15).

Lo scopo della filosofia secondo Epicuro consiste nell’aiutare a raggiungere l’ajtaraxiva, mancanza di turbamento e l’ajponiva, assenza di dolore nel corpo. I piaceri hjdonaiv devono essere stabili katasthmatikaiv piuttosto che in movimento kata; kivnhsin.
L’'atarassia e l'aponia sono conseguibili mediante una limitazione dei desideri, cioè delle cause dei dolori: il saggio, quindi, appagherà i desideri "naturali e necessari" (per esempio il desiderio del cibo), non invece i desideri "naturali ma non necessari" (come quelli di un cibo gustoso) e tanto meno i desideri "non necessari né naturali", che sorgono solo da vana opinione e da bisogni artificiali. Oggi dalla pubblicità e da una cultura che mercifica tutto, dal monoteismo del denaro.
Cfr. l’Epistola a Meneceo d 127 sg. Tw'n ejpiqumiw'n aij me;n eijsi fusikaiv, aiJ de; kenaiv, kai; tw'n fusikw'n aiJ me;n ajnagkai'ai, aiJ de; fusikai; movnon. Ebbene tutto ciò che è naturale è a portata di mano:"to; me;n fusiko;n pa'n eujpovristovn ejsti” (130), facile da procurare.
Cfr. parabiles in Cicerone: “Vides, credo, ut Epicurus cupididatum genera diviserit, non nimis fortasse subtiliter, utiliter tamen: partim esse naturales et necessarias, partim naturales et non necessarias, partim neutrum. Necessarias satiari posse paene nihilo (divitias enim naturae esse parabiles)[1], conosci, credo, come Epicuro abbia distinto le specie dei desideri, forse non troppo accuratamente, comunque in maniera utile: in parte sono naturali e necessari, in parte naturali e non necessari, in parte né l’una né l’altra cosa. I necessari si possono soddisfare quasi con nulla: infatti le ricchezze della natura sono facili da procurarsi.

Un esempio tratto dalla storia per significare che certi personaggi “Magni” hanno ritenuto elegante e utile alla loro propaganda automitopoietica mostrarsi epicurei in questo sense.
Alessandro Magno, quando giunse a Tarso, la capitale della Cilicia, alla fine dell’estate del 333, volle fare un bagno nel fiume Cidno. Si ammalò gravemente poiché si era gettato, ancora accaldato, nell’acqua fredda. Ma aveva fretta di spogliarsi e pensava che oltretutto sarebbe stato onorevole mostrare ai suoi che si accontentava di una cura del corpo semplice e facilmente procurabile decōrum quoque futurum ratus, si ostendisset suis levi ac parabili cultu corporis se esse contentum[2].

Excursus sulla semplicità che può radicalizzarsi in sprezzatura, signorile noncuranza, e fa parte dello stile alto in gran parte della letteratura europea. L’opposto della semplicità è l’affettazione, la posa, lìartificio, l’innaturalezza.
Pericle, per elogiare la cultura ateniese, aveva messo in rilievo la semplicità dello stile proprio e dei suoi concittadini: nel logos epitafios ricostruito da Tucidide il grande stratego ateniese disse: “filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva"[3] kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1) in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
La semplicità però non è rozzezza, anzi è una complessità risolta e non si deve confondere con la faciloneria.
Rozzo è lo sfoggio di ricchezze.
Plutarco nella Vita di Solone racconta che il saggio legislatore ateniese disprezzava la ajpeirokaliva, l'ignoranza del bello e la mikroprevpeia ( 27, 20), la meschinità del re Creso che si era presentato coperto di gioielli e d'oro
L’ajpeirokaliva è lo stesso difetto che il filosofo Nigrino di Luciano attribuisce ai ricchi romani i quali si rendono ridicoli sfoggiando ricchezze e rivelando il loro cattivo gusto:"pw'" ga;r ouj geloi'oi me;n oiJ ploutou'nte" aujtoi; ta;" porfurivda" profaivnonte" kai; tou;" daktuvlou" proteivnonte" kai; pollh;n kathgorou'nte" ajpeirokalivan;”(Nigrino , 21), come fanno a non essere ridicoli i ricchi con le loro stesse persone dal momento che mentre mettono in mostra le vesti di porpora e protendono le dita delle mani, denunciano il loro cattivo gusto?

Nelle Fenicie[4] di Euripide, Polinice afferma la parentela della semplicità con la giustizia e con la verità: "aJplou'" oJ mu'qo" th'" ajlhqeiva"[5] e[fu, - kouj poikivlwn[6] dei' ta[ndic' eJrmhneuavtwn" (vv. 469 - 470), il discorso della verità è semplice, e quanto è conforme a giustizia non ha bisogno di interpretazioni ricamate. Invece l' a[diko" lovgo" , il discorso ingiusto, siccome è malato dentro, ha bisogno di artifici scaltri:"nosw'n ejn auJtw'/ farmavkwn dei'tai sofw'n" (v. 472).

Chirone, dikaiovtato" Kentauvrwn[7], il più giusto dei Centauri, "nodrì Achille"[8] insegnandogli quella naturalezza e semplicità di costumi che è la quintessenza dell'educazione nobile. Il figlio di Peleo nell'Ifigenia in Aulide riconosce tale alta paideia all'uomo piissimo che l'ha allevato insegnandogli ad avere semplici i costumi:"ejgw; d j, ejn ajndro;" eujsebestavtou trafei;" - Ceivrwno", e[maqon tou;" trovpou" aJplou'" e[cein" (vv. 926 - 927).

Orazio rifiuta lo sfarzo che, tipicamente è persiano, nell’Ode I, 38[9]: “ Persicos odi, puer, apparatus () simplici myrto nihil adlabores/sedulus curo” (v. 1 e vv. 5 - 6), odio, ragazzo, lo sfarzo persiano (…) non voglio che tu ti affatichi con zelo ad aggiungere alcunché al semplice mirto. E' anche una dichiarazione di poetica siccome "la semplicità del convito è la semplicità dell'arte, che conta molto sulla riduzione dei mezzi espressivi, sull'eliminazione del superfluo e mira ad una classica essenzialità"[10].
Pirra è simplex munditiis, semplice nell'eleganza (Orazio, Ode[11] I, 5, 5).
 "Simplex munditiis è un ossimoro, perché i due termini hanno associazioni di significato opposte, la semplicità e la ricercatezza (munditia).
Come ha detto bene Romano, "il concetto classico di semplicità nell'eleganza è scolpito in questo ossimoro che potrebbe essere assunto come motto del programma stilistico di Orazio"[12].
Analogo ossimoro troviamo in Marziale che si augura una prudens simplicitas (10, 47, 7), una semplicità competente.
Tucidide più avanti rimpiange la semplicità come il nutrimento di quell'anima nobile che venne negata dalle guerre civili: a causa di queste ("dia; ta;" stavsei""), fu sancito ogni genere di malizia nel mondo greco e sparì, derisa, la semplicità cui di solito la nobiltà partecipa:"kai; to; eu[hqe", ou| to; gennai'on plei'ston metevcei, katagelasqe;n hjfanivsqh" (III, 83, 1).
In questo contesto la semplicità è “bontà di carattere, bontà d’animo” (eu\ h\qo~).

La semplicità viene accentuata dalla sui neglegentia, "noncuranza di sé", sprezzatura, apparente trascuratezza, o signorile disinvoltura, è un aspetto principale del canone di uno stile alto, non solo dello scrivere ma anche del comportamento.
Una regola riscontrabile nella letteratura europea dai classici greci fino ai nostri giorni.
Così Petronio elegantiae arbiter , maestro di buon gusto alla corte di Nerone, viene descritto da Tacito: “habebaturque non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu. Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur" (Annales , XVI, 18), ed era considerato non un dissoluto o un dissipatore, come i più tra quelli che sperperano le proprie fortune, ma uomo dalla voluttà raffinata. Le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.
Encolpio, l’io narrante del Satyricon, "novae simplicitatis opus " (Satyricon, 132, 15), opera di straordinaria semplicità, a proposito dello stile oratorio sostiene:" grandis et, ut ita dicam, pudica oratio non est maculosa nec turgida, sed naturali pulchritudine exsurgit " (2, 6), l'orazione grande e, per così dire, pura, non è chiazzata né enfatica ma si eleva per bellezza naturale. 
Nerone il quale :"nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset"[13], niente considerava bello e fine in quel fasto se non quanto Petronio gli avesse approvato, negli ultimi anni della sua breve vita adottò questo stile volutamente trasandato: “ ut plerumque synthesinam indutus, ligato circa collum sudario, prodierit in publicum sine cinctu et discalciatus” (Svetonio, Neronis Vita, 51), al punto che di solito, indossata una veste da camera, legatosi un fazzoletto intorno al collo, usciva in pubblico senza cintura e scalzo. 
Analoga è la testimonianza di Cassio Dione il quale racconta che l’imperatore riceveva i senatori indossando una tunica a motivi floreali e con un drappo di lino intorno al collo (citwvniovn ti ejndedukw;~ a[nqinon kai; sindovnion peri; to;n aujcevna e[cwn 63, 13), e che a tal punto oramai trasgrediva i costumi tradizionali (parhvnomei), da indossare anche in pubblico tuniche senza cintura (w[ste kai; aJzwvstou~ citw'na~ ejn tw'/ dhmosivw/ ejnduvesqaiStoria romana, 63, 13, 3).


Faccio altri due esempi[14] di autori di estrazione aristocratica i quali mettono in forte rilievo la finezza della sprezzatura: in I promessi sposi il conte zio per dare un'impressione di potenza al padre provinciale:"gli fece trovare una corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza"[15].
Una nobile semplicità si trova in Anna Karenina del conte Tolstoj:" Levin riconobbe le maniere piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e naturale… Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza, ma con un'intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai pensieri dell'interlocutore"[16] .
L'elogio della "magnifica negligenza" si trova anche nel grande romanzo di Musil :" Una casta dominante rimane sempre un poco barbarica...Erano invitati insieme in residenze campestri, e Ulrich notò che vi si vedeva sovente mangiare la frutta con le mani, senza sbucciarla, mentre nelle case dell'alta borghesia il cerimoniale con coltello e forchetta era rigidamente osservato; la stessa osservazione si poteva fare a proposito della conversazione che quasi soltanto nelle case borghesi era signorile e distinta, mentre negli ambienti aristocratici prevalevano i discorsi disinvolti, senza pretese, alla maniera dei cocchieri. Le dimore borghesi erano più igieniche e razionali. Nei castelli patrizi d'inverno si gelava; le scale logore e strette non erano una rarità, e accanto a sontuose sale di ricevimento si trovavano camere da letto basse e ammuffite. Non esistevano montavivande né bagni per la servitù. Ma, a guardar bene, c'era proprio in questo un senso più eroico, il senso della tradizione e di una magnifica negligenza!"[17].

L’affettazione
Lo snobismo è la quintessenza dell’affettazione, del posare dovuto a mancanza di gusto e a cattiva educazione: nella Ricerca di Proust il personaggio sine nobilitate è Bloch: “ciò che si chiama la mala educazione era il suo difetto capitale, e quindi il difetto di cui non si accorgeva… Bloch era maleducato, nevrastenico, snob” (All’ombra delle fanciulle in fiore, p. 344). Viceversa Saint Loup aveva “un modo di concepire le cose per il quale non si fa più conto di sé, e moltissimo del “popolo”; insomma, tutto l’opposto dell’orgoglio plebeo… Lui, in ogni circostanza, faceva quel che gli riusciva più gradevole, più comodo, ma immediatamente gli snob lo imitavano” (p. 351).
Ebbene questa identificazione della kalokajgaqiva con la semplicità diffusa nella letteratura alta e nel comportamento signorile ha una ddelle sue radici nel nostro Epicuro.

CONTINUA



[1] Tusculanae disputationes V, 33, 93. Vennero composte nel 45 e pubblicate nell 44. Sono cinque conversazioni, dedicate a Bruto, tenute nella villa di Tuscolo sul modo di raggiungere la felicità.
[2] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, III, 5, 2
[3] eujtevleia è’ frugalità, parsimonia, è il basso prezzo facile da pagare (eu\, tevloς) per le cose necessarie, è la bellezza preferita dai veri signori, quelli antichi, e incompresa dagli arricchiti che sfoggiano volgarmente oggetti costosi. Augusto dava un esempio di frugalità mangiando secundarium panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides ( Augusti Vita, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a mano, e fichi freschi.
 Giorgio Bocca commentò tale abitudine dell’autocrate con queste parole:“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di Pompei. Un incanaglimento generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli uomini di buona volontà, a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a scrivere sulle buone maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi. L’Augusto più ammirevole è quello che nel Palatino si ciba di fave e di cicoria, da vero padrone del mondo” G. Bocca, Contro il lusso cafone, per motivi morali. Ed estetici, Il venerdì di Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11
Senza risalire al 14 d. C., penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, quando, per apprendere e capire, ascoltavo con avidità, alla radio, o anche andando a vederli nella piazza del Popolo di Pesaro, i politici di razza di quel tempo lontano, quali De Gasperi e Togliatti. Imparavo da loro più e meglio che a scuola. In termini di idee, di parole e di stile. Mi è rimasta impressa la frase di De Gasperi, rappresentante dell'Italia vinta: " Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me".
[4] Composte intorno al 410 a. C.
[5] Seneca cita questo verso traducendolo così: “ut ait ille tragicus ‘veritatis simplex oratio est’, ideoque illam implicari non oportet” (Ep. 49, 12), come dice quel famoso poeta tragico “il linguaggio della verità è semplice”, e perciò non deve essere complicata.
[6] Si ricordi quanto si è detto a proposito della poikiliva (21. 3).
[7] Iliade, XI, 832.
[8] Dante, Inferno, XII, 71.
[9] Composta di due strofe saffiche. I primi tre libri delle Odi di Orazio furono pubblicati nel 23 a. C.
[10] A. La Penna (a cura di) Orazio, Le Opere, Antologia, p. 268.
[11] Il metro di questa ode è la strofe asclepiadea quarta.
[12]G. B. Conte, Scriptorium Classicum 3, p. 22.
[13] Annales, XVI, 18.
[14] Per una trattazione ampia, anche se non esauriente, di questo tema cfr. il mio Ubique naufragium est , Canova, 2004, pp. 4 - 6.
[15] I promessi sposi , capitolo XIX.
[16] Anna Karenina (1873 - 1877), trad. it. Milano, 1965, pp 703 e 704.
[17]R. Musil (1880 - 1942), L'uomo senza qualità , p. 269.

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