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31 agosto 2019 ore 11, hotel Raffaello Senigallia
Programma della mattina
Primo Festival Epicureo, Amicizia, filosofia della
felicità.
Sabato 31 agosto
11:00 – 13:00 Raffaello Hotel
Amicizia, via privilegiata alla felicità
Con la Ricercatrice in filosofia Politica Elena Irrera dell’Università di Bologna.
Scienza e felicità
Cosa dice oggi la scienza sulla felicità. Con Tommaso Panajoli divulgatore scientifico del Museo del Balì di Calcinelli di Saltara (PU).
Amicizia, via privilegiata alla felicità
Con la Ricercatrice in filosofia Politica Elena Irrera dell’Università di Bologna.
Scienza e felicità
Cosa dice oggi la scienza sulla felicità. Con Tommaso Panajoli divulgatore scientifico del Museo del Balì di Calcinelli di Saltara (PU).
Gli studi epicurei a Senigallia
Considerazioni su Rodolfo Mondolfo del professor Vittorio Mengucci.
Considerazioni su Rodolfo Mondolfo del professor Vittorio Mengucci.
Epicuro, un aiuto contro il
consumismo (di Giovanni Ghiselli)
Prima parte della conferenza (pp. 1 - 8)
Seguiranno le altre fino a 25 pagine
Fondatore
di una delle più importanti scuole filosofiche dell'età ellenistica, detta il
"Giardino" (perché aveva sede in un giardino attiguo alla sua casa).
Della sua opera, amplissima (essa comprendeva
quasi 300 titoli), restano
i frammenti di circa 9 libri del Περὶ ϕύσεως
(erano in tutto 37)
L’Epistola
a Erodoto che è un riassunto della fisica.
L’Epistola a Meneceo è un compendio dell’etica.
L’Epistola
a Pitocle tratta dei fenomeni celesti.
Poi 40
Massime capitali Kύριαι δόξαι
Infine uno Gnomologio - florilegio di sentenze
Ogni libro
del De rerum natura di Lucrezio ha un proemio: il I, il III, il V e il VI con un elogio di
Epicuro (il II l’elogio della sapienza, il IV la proclamazione
della novità dell’opera).
Epicuro è
celebrato come un salvatore che ha liberato gli uomini dalla superstizione.
“Humana ante oculos foede cum vita iaceret
in terris oppressa gravi sub religione
quae caput a caeli regionibus ostendebat
horribili super aspectu mortalibus instans,
primum Graius homo mortalis tollere contra
est oculos ausus primusque obsistere contra,
quem neque fama deum nec
fulmina nec minitanti
murmure compressit caelum, sed eo magis acrem
inritat animi virtutem, ecfringere ut arta
naturae primus portarum claustra cupiret.” (I, 62 - 71)
Eppure per Dante epicureo significa prima di tutto negatore
dell’immortalità degno della condanna eterna (Suo cimitero da questa parte
hanno/on Epicuro tutti suoi seguaci,/che l’anima col corpo morta fanno. Inferno X,
13 - 15).
Lo scopo
della filosofia secondo Epicuro consiste nell’aiutare a raggiungere l’ajtaraxiva, mancanza di turbamento e l’ajponiva, assenza di dolore nel corpo. I
piaceri hjdonaiv devono
essere stabili katasthmatikaiv piuttosto che in movimento kata; kivnhsin.
L’'atarassia e l'aponia sono
conseguibili mediante una limitazione dei desideri, cioè delle cause dei
dolori: il saggio, quindi, appagherà i desideri "naturali e
necessari" (per esempio il desiderio del cibo), non invece i desideri
"naturali ma non necessari" (come quelli di un cibo gustoso) e tanto
meno i desideri "non necessari né naturali", che sorgono solo da
vana opinione e da bisogni artificiali. Oggi dalla pubblicità e da una cultura
che mercifica tutto, dal monoteismo del denaro.
Cfr. l’Epistola
a Meneceo d 127 sg. Tw'n ejpiqumiw'n aij me;n eijsi fusikaiv, aiJ de;
kenaiv, kai; tw'n fusikw'n aiJ me;n ajnagkai'ai, aiJ de; fusikai; movnon. Ebbene tutto ciò che è naturale è a
portata di mano:"to; me;n fusiko;n pa'n eujpovristovn ejsti” (130), facile da procurare.
Cfr. parabiles
in Cicerone: “Vides,
credo, ut Epicurus cupididatum genera diviserit, non nimis fortasse subtiliter,
utiliter tamen: partim esse naturales
et necessarias, partim naturales et non necessarias, partim neutrum.
Necessarias satiari posse paene nihilo (divitias
enim naturae esse parabiles)”[1],
conosci, credo, come Epicuro abbia distinto le specie dei desideri, forse non
troppo accuratamente, comunque in maniera utile: in parte sono naturali e
necessari, in parte naturali e non necessari, in parte né l’una né l’altra
cosa. I necessari si possono soddisfare quasi con nulla: infatti le ricchezze
della natura sono facili da procurarsi.
Un esempio
tratto dalla storia per significare che certi personaggi “Magni” hanno ritenuto
elegante e utile alla loro propaganda automitopoietica mostrarsi epicurei in
questo sense.
Alessandro Magno, quando giunse a Tarso, la capitale della Cilicia, alla
fine dell’estate del 333, volle fare un bagno nel fiume Cidno. Si ammalò
gravemente poiché si era gettato, ancora accaldato, nell’acqua fredda. Ma aveva
fretta di spogliarsi e pensava che oltretutto sarebbe stato onorevole mostrare
ai suoi che si accontentava di una cura del corpo semplice e facilmente
procurabile: “ decōrum quoque
futurum ratus, si ostendisset suis levi ac parabili cultu corporis se esse contentum”[2].
Excursus sulla semplicità che può radicalizzarsi in sprezzatura, signorile
noncuranza, e fa parte dello stile alto in gran parte della letteratura europea.
L’opposto della semplicità è l’affettazione, la posa, lìartificio,
l’innaturalezza.
Pericle, per elogiare la cultura ateniese, aveva messo in rilievo la
semplicità dello stile proprio e dei suoi concittadini: nel logos
epitafios ricostruito da Tucidide il grande stratego ateniese disse: “filokalou'mevn
te ga;r met j eujteleiva"[3] kai; filosofou'men a[neu
malakiva"" (Storie,
II, 40, 1) in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza
mollezza.
La
semplicità però non è rozzezza, anzi è una complessità risolta e non si deve
confondere con la faciloneria.
Rozzo è lo
sfoggio di ricchezze.
Plutarco
nella Vita di Solone racconta che il saggio legislatore
ateniese disprezzava la ajpeirokaliva, l'ignoranza del bello e la mikroprevpeia ( 27, 20), la meschinità del
re Creso che si era presentato coperto di gioielli e d'oro
L’ajpeirokaliva è lo stesso difetto che il filosofo
Nigrino di Luciano attribuisce ai ricchi romani i quali si rendono ridicoli
sfoggiando ricchezze e rivelando il loro cattivo gusto:"pw'" ga;r
ouj geloi'oi me;n oiJ ploutou'nte" aujtoi; ta;" porfurivda"
profaivnonte" kai; tou;" daktuvlou" proteivnonte" kai;
pollh;n kathgorou'nte" ajpeirokalivan;”(Nigrino , 21), come fanno a non essere
ridicoli i ricchi con le loro stesse persone dal momento che mentre mettono in
mostra le vesti di porpora e protendono le dita delle mani, denunciano il loro
cattivo gusto?
Nelle Fenicie[4] di
Euripide, Polinice afferma la parentela della semplicità con la giustizia e con
la verità: "aJplou'" oJ mu'qo" th'" ajlhqeiva"[5] e[fu, - kouj poikivlwn[6] dei' ta[ndic' eJrmhneuavtwn" (vv. 469 - 470), il discorso
della verità è semplice, e quanto è conforme a giustizia non ha bisogno di
interpretazioni ricamate. Invece l' a[diko" lovgo" , il discorso ingiusto,
siccome è malato dentro, ha bisogno di artifici scaltri:"nosw'n ejn
auJtw'/ farmavkwn dei'tai sofw'n" (v. 472).
Chirone, dikaiovtato" Kentauvrwn[7], il più giusto dei Centauri,
"nodrì Achille"[8] insegnandogli quella naturalezza e
semplicità di costumi che è la quintessenza dell'educazione nobile. Il figlio
di Peleo nell'Ifigenia in Aulide riconosce tale alta paideia
all'uomo piissimo che l'ha allevato insegnandogli ad avere semplici i
costumi:"ejgw; d j, ejn ajndro;" eujsebestavtou
trafei;" - Ceivrwno", e[maqon tou;" trovpou" aJplou'"
e[cein" (vv. 926 - 927).
Orazio
rifiuta lo sfarzo che, tipicamente è persiano, nell’Ode I, 38[9]:
“ Persicos odi, puer, apparatus (…) simplici
myrto nihil adlabores/sedulus curo” (v. 1 e vv. 5 - 6), odio, ragazzo, lo
sfarzo persiano (…) non voglio che tu ti affatichi con zelo ad aggiungere
alcunché al semplice mirto. E' anche una dichiarazione di poetica siccome
"la semplicità del convito è la semplicità dell'arte, che conta molto
sulla riduzione dei mezzi espressivi, sull'eliminazione del superfluo e mira ad
una classica essenzialità"[10].
Pirra
è simplex munditiis, semplice nell'eleganza (Orazio, Ode[11] I, 5, 5).
"Simplex
munditiis è un ossimoro, perché i due termini hanno associazioni di
significato opposte, la semplicità e la ricercatezza (munditia).
Come ha
detto bene Romano, "il concetto classico di semplicità nell'eleganza è
scolpito in questo ossimoro che potrebbe essere assunto come motto del
programma stilistico di Orazio"[12].
Analogo
ossimoro troviamo in Marziale che
si augura una prudens simplicitas (10, 47, 7), una
semplicità competente.
Tucidide più
avanti rimpiange la semplicità come il nutrimento di quell'anima nobile che
venne negata dalle guerre civili: a causa di queste ("dia; ta;"
stavsei""), fu
sancito ogni genere di malizia nel mondo greco e sparì, derisa, la semplicità
cui di solito la nobiltà partecipa:"kai; to; eu[hqe", ou| to;
gennai'on plei'ston metevcei, katagelasqe;n hjfanivsqh" (III, 83, 1).
In questo
contesto la semplicità è “bontà di carattere, bontà d’animo” (eu\ h\qo~).
La
semplicità viene accentuata dalla sui neglegentia,
"noncuranza di sé", sprezzatura, apparente trascuratezza,
o signorile disinvoltura, è un aspetto principale del canone di uno stile alto,
non solo dello scrivere ma anche del comportamento.
Una regola
riscontrabile nella letteratura europea dai classici greci fino ai nostri
giorni.
Così
Petronio elegantiae arbiter , maestro di buon gusto alla corte
di Nerone, viene descritto da Tacito: “habebaturque
non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu. Ac dicta factaque eius quanto solutiora
et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem
simplicitatis accipiebantur" (Annales , XVI,
18), ed era considerato non un dissoluto o un dissipatore, come i più tra
quelli che sperperano le proprie fortune, ma uomo dalla voluttà raffinata. Le sue
parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa
noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.
Encolpio,
l’io narrante del Satyricon,
"novae simplicitatis opus " (Satyricon, 132, 15),
opera di straordinaria semplicità, a proposito dello stile oratorio
sostiene:" grandis et, ut ita dicam, pudica oratio non est
maculosa nec turgida, sed naturali pulchritudine exsurgit " (2,
6), l'orazione grande e, per così dire, pura, non è chiazzata né enfatica ma si
eleva per bellezza naturale.
Nerone il
quale :"nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei
Petronius adprobavisset"[13],
niente considerava bello e fine in quel fasto se non quanto Petronio gli avesse
approvato, negli ultimi anni della sua breve vita adottò questo stile
volutamente trasandato: “ ut plerumque synthesinam indutus, ligato
circa collum sudario, prodierit in publicum sine cinctu et discalciatus”
(Svetonio, Neronis Vita, 51), al punto che di solito, indossata una
veste da camera, legatosi un fazzoletto intorno al collo, usciva in pubblico
senza cintura e scalzo.
Analoga è la
testimonianza di Cassio Dione il quale racconta che l’imperatore riceveva i
senatori indossando una tunica a motivi floreali e con un drappo di lino
intorno al collo (citwvniovn ti ejndedukw;~ a[nqinon kai; sindovnion
peri; to;n aujcevna e[cwn 63, 13), e che a tal punto oramai trasgrediva i costumi tradizionali (parhvnomei), da indossare anche in pubblico
tuniche senza cintura (w[ste kai; aJzwvstou~ citw'na~ ejn tw'/ dhmosivw/
ejnduvesqai, Storia
romana, 63, 13, 3).
Faccio altri
due esempi[14] di
autori di estrazione aristocratica i quali mettono in forte rilievo la finezza
della sprezzatura: in I promessi sposi il conte zio per dare
un'impressione di potenza al padre provinciale:"gli fece trovare una
corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente
de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col
solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con termini
famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e
rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza"[15].
Una nobile
semplicità si trova in Anna Karenina del conte Tolstoj:" Levin riconobbe le
maniere piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e naturale… Non
soltanto Anna parlava con
naturalezza e intelligenza, ma con un'intelligenza noncurante, senza
attribuire alcun pregio ai propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai
pensieri dell'interlocutore"[16] .
L'elogio della "magnifica negligenza" si trova anche nel grande
romanzo di Musil :"
Una casta dominante rimane sempre un poco barbarica...Erano invitati insieme in
residenze campestri, e Ulrich notò che vi si vedeva sovente mangiare la frutta
con le mani, senza sbucciarla, mentre nelle case dell'alta borghesia il
cerimoniale con coltello e forchetta era rigidamente osservato; la stessa
osservazione si poteva fare a proposito della conversazione che quasi soltanto
nelle case borghesi era signorile e distinta, mentre negli ambienti
aristocratici prevalevano i discorsi disinvolti, senza pretese, alla maniera
dei cocchieri. Le dimore borghesi erano più igieniche e razionali. Nei castelli
patrizi d'inverno si gelava; le scale logore e strette non erano una rarità, e
accanto a sontuose sale di ricevimento si trovavano camere da letto basse e
ammuffite. Non esistevano montavivande né bagni per la servitù. Ma, a guardar bene, c'era proprio in questo
un senso più eroico, il senso della tradizione e di una magnifica negligenza!"[17].
L’affettazione
Lo snobismo è la
quintessenza dell’affettazione, del posare dovuto a mancanza di gusto e a
cattiva educazione: nella Ricerca di Proust il personaggio sine
nobilitate è Bloch: “ciò che si chiama la mala educazione era il suo
difetto capitale, e quindi il difetto di cui non si accorgeva… Bloch era
maleducato, nevrastenico, snob” (All’ombra delle fanciulle in fiore, p. 344).
Viceversa Saint Loup aveva “un modo di concepire le cose per il quale non si fa
più conto di sé, e moltissimo del “popolo”; insomma, tutto l’opposto
dell’orgoglio plebeo… Lui, in ogni circostanza, faceva quel che gli riusciva
più gradevole, più comodo, ma immediatamente gli snob lo imitavano” (p. 351).
Ebbene
questa identificazione della kalokajgaqiva con la semplicità diffusa
nella letteratura alta e nel comportamento signorile ha una ddelle sue radici
nel nostro Epicuro.
CONTINUA
[1] Tusculanae disputationes V, 33,
93. Vennero composte nel 45 e pubblicate nell 44. Sono cinque conversazioni,
dedicate a Bruto, tenute nella villa di Tuscolo sul modo di raggiungere la
felicità.
[3] eujtevleia è’
frugalità, parsimonia, è il basso prezzo facile da pagare (eu\, tevloς) per le cose necessarie, è la
bellezza preferita dai veri signori, quelli antichi, e incompresa dagli
arricchiti che sfoggiano volgarmente oggetti costosi. Augusto dava un esempio di frugalità mangiando secundarium panem et
pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides ( Augusti Vita,
76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a mano, e fichi freschi.
Giorgio Bocca commentò tale abitudine dell’autocrate con queste
parole:“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di Pompei. Un incanaglimento
generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli uomini di buona volontà,
a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a scrivere sulle buone
maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi. L’Augusto più ammirevole è
quello che nel Palatino si ciba di fave e di cicoria, da vero padrone del
mondo” G. Bocca,
Contro il lusso cafone, per motivi morali. Ed estetici, Il venerdì di
Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11
Senza
risalire al 14 d. C., penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, quando,
per apprendere e capire, ascoltavo con avidità, alla radio, o anche andando a
vederli nella piazza del Popolo di Pesaro, i politici di razza di quel tempo
lontano, quali De Gasperi e Togliatti. Imparavo da loro più e meglio che a
scuola. In termini di idee, di parole e di stile. Mi è rimasta impressa la
frase di De Gasperi, rappresentante dell'Italia vinta: " Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne
la vostra personale cortesia, è contro di me".
[5] Seneca cita questo verso
traducendolo così: “ut ait ille tragicus ‘veritatis simplex oratio est’,
ideoque illam implicari non oportet” (Ep. 49, 12), come dice
quel famoso poeta tragico “il linguaggio della verità è semplice”, e perciò non
deve essere complicata.
[9] Composta di due strofe
saffiche. I primi tre libri delle Odi di Orazio furono
pubblicati nel 23 a. C.
[14] Per una trattazione ampia,
anche se non esauriente, di questo tema cfr. il mio Ubique
naufragium est , Canova, 2004, pp. 4 - 6.
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