martedì 13 agosto 2019

Rossini Opera Festival. Semiramide


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Ho visto a Pesaro la Semiramide di Rossini (1823), libretto di Gaetano Rossi, rifacimento della tragedia di Voltaire Sèmiramis del 1748 tradotta nel 1799 da Malchiorre Cesarotti.
Francamente non mi è piaciuta quanto altri melodrammi dello stesso autore pesarese ascoltati e visti qui a Pesaro. La musica è indubbiamente bella sebbene non tra le più vivaci del Maestro. La scenografia è pretenziosa e dal significato non chiaro, il che a parer mio è un grave difetto. I costumi sono ibridi, messi insieme, mi pare, a casaccio. Nemmeno la regia è pregevole.
 Brave il contralto e il soprano: Salome Hcia (Semiramide)  Varduhi Abrahamyan ( Arsace). Gli altri interpreti meno.
Non mancano lungaggini stancanti in questa opera che si estende per più di 4 ore. Da antichista e comparatista ho notato dei nessi con l’Orestea di Eschilo, l’Edipo re di Sofocle e l’Amleto di Shakespeare.
C’è un bambino, il figlio del re Nino e di sua moglie Semiramide sottratto alle cattive intenzioni di Assur il drudo della regina. I due amanti  hanno avvelenato il re, e Ninia, il figlio infante dei sovrani, è stato salvato da Fradate fedele a Nino che l’ha allevato come figlio suo chiamandolo Arsace. Il bambino, come è capitato a diversi infanti del mito  scampati alla morte,  diventa un eroe, nel suo caso coandando l’esercito,  e viene convocato dalla propria madre, la stessa Semiramide che senza conoscerne la vera identità, lo vuole a Babilonia per farne il suo sposo e successore. Ma un oracolo richiesto da Oroe, capo dei Magi, e uno scritto del re morente presentato dallo stesso sommo sacerdote  svela quanto è latente.
Oroe dunque scopre  gli arcana dicendo ad Arsace la verità: che Nino era suo padre : “Fradate ti salvò”.
E come il giovane condottiero esclama
“Semiramide!” il potente Mago dice: Fremi!-Ella è tua madre empia!”
Il principe è risentito ma il sacerdote gli porge la lettera con la quale Nino affidava il figlio al fedel Fradate e accusava la complicità con Assur  della “perfida sposa”.

Arsace dunque arriva al riconoscimento di se stesso quale Ninia e del suo vero padre, il re assassinato che poi appare come spettro e chiede vendetta. A questo punto scoppia il grido di Tutti: “Ah! Sconvolta nell’ordine eterno è natura in sì orribile pianto”

Non può non venire in mente quanto dice Manto, la figlia di Tiresia nell’Oedipus di Seneca
:"Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta " (vv. 366-367), è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.
Arsace dunque dovrebbe uccidere il ganzo di Semiramide e pure la stessa regina che poi è la propria madre e voleva fare di lui il suo successore e il suo sposo.
Il giovane principe babilonese dunque corre il rischio di assumere l’’identità di Edipo ammogliato con la propria madre Giocasta, e anche quella di Oreste, l’assassino della propria madre Clitennestra.
Ma non bisogna dimenticare Amleto. Intanto per via dello spettro del padre.
Ma cè un momento di analogia più particolareggiata.
  Quando “tutto è palese ormai”, Semiramide stessa incoraggio il figlio a ucciderla:
“ebbene a te: ferisci.
Compi il voler d’un Dio,
spegni nel sangue mio
un esecrato amor:
la madre rea punisci:
vendica il genitor.

Ma il figlio non se la sente di ammazzare la mamma e le risponde:
“Tutto su me gli dei
Sfoghino in pria lo sdegno
Mai barbaro a tal segno
Sarà d’un figlio il cor.
In odio al Ciel tu sei…
Ma sei mia madre ognor”

  Qui mi è venuto in mente Amleto che menziona il matricida Nerone come esempio da evitare: “O heart, lose not thy naturelet not ever/the soul of Nero enter this firm bosom;/ let me be cruel, not innatural:/I will speak daggers to her, but use none (III, 2), o cuore, non perdere la tua natura; non lasciare che l’anima di Nerone entri mai in questo petto risoluto; lascia che io sia crudele, ma non snaturato: le mie parole saranno dirette a lei come pugnali, ma ne userò nessuno.

Semiramide che già amava Arsace come uomo ora lo ama quale figlio:
”Piangi?
La tua bell’anima
Ha ancor di me pietà”.

I due si abbracciano e cantano insieme:
Giorno d’orrore…
E di contento!
Nelle tue braccia
In tal momento,
scorda il mio core
tutto il rigore
di sua terribile
fatalità
E’ dolce al misero
Che oppresso geme
Il duol dividere
Piangere insieme
Il cor sensibile trovar pietà”.

Questo abbraccio mi ricorda una delle ultime scene delle Fenicie di Euripide quando  i due fratelli che si sono feriti a morte a vicenda, trovano una consolazione in punto di morte. La madre va a piangere su di loro; Eteocle la ode e, non potendo più parlare, significa affetto con gli occhi (1441). Polinice invece parla e dice che prova pena per la madre e la sorella Antigone e che ha ritrovato l’affetto per il fratello: “fivloς ga;r ejcqro;ς ejgenet j, ajll j o{mwς fivloς ”  (1446). Chiede poi alla sorella di seppellirlo nella sua terra. L’affetto dunque aiuta i disgraziati già quasi disperati.

Nella conclusione della Semiramide il figlio è ancora determinato a non colpire la madre, un delitto che avrà pure una dignità mitologica come asseriva Proust ma è pur sempre un delitto, anzi un crimine dei più orrendi.

“Ah! Il solo Assur! Oh padre…
Sì a pie’ della tua tomba
A te immolerò”
Oroe il (secondo me) sinistro capo dei Magi  da dietro la tomba grida:
“Ninia ferisci!”
Allora il giovane vibra un colpo e nel buio del sepolcro colpisce Semiramde credendola Assur il quale gioisce vedendo l’orribile sgomento del matricida che grida:
“Mia madre! ed io! Che orror! Ed io potei!”
Quindi chiede la spada per uccidersi
“Ah! Dov’è quell’acciaro?
Rendilo al mio furore:
odiosa, funesta
è a me la vita omai…
Cerca di ferirsi ma lo trattiene Oroe fra le cui braccia si abbandona svenuto
Il coro chiude l’opera incoraggiando il nuovo re:
“Vieni Arsace , al trionfo, alla reggia
Del dolore all’accesso resisti,
tu de’ numi al volere servisti;
lieta omai fia l’Assiria con te.
Vieni, il popolo esulta, festeggia,
vegga adori il novello suo re”

Non c’è una parola di biasimo verso il volere di numi che hanno richiesto l’orrore del matricidio. Oreste, soprattutto quello di Euripide,  non manca di criticare il dio Apollo che l’ha spinto ad ammazzare Clitennestra.
Questo della tragedia Oreste (del 408) non ha avuto bisogno che si aprisse un buco nel cielo di carta del teatrino per diventare Amleto.

giovanni ghiselli  

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