domenica 25 agosto 2019

Epicuro contro il consumismo. IV parte

Epicuro
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Quarta parte della mia conferenza. Massime capitali

31 agosto 2019 ore 11 hotel Raffaello
Senigallia
Primo Festival Epicureo, Amicizia, filosofia della felicità


Amicizia, via privilegiata alla felicità
Con la Ricercatrice in filosofia Politica Elena Irrera dell’Università di Bologna.
Scienza e felicità
Cosa dice oggi la scienza sulla felicità. Con Tommaso Panajoli divulgatore scientifico del Museo del Balì di Calcinelli di Saltara (PU).
Gli studi epicurei a Senigallia
Considerazioni su Rodolfo Mondolfo del professor Vittorio Mengucci.
Epicuro, un aiuto contro il consumismo
Intervento del Professor Giovanni Ghiselli

Kuvriai dovxai 
Massime capitali

II La morte non è niente per noi: to; ga;r dialuqe;n ajnaisqhtei' poiché ciò che è dissolto è insensibile

III ouj cronivzei to; ajlgou'n sunecw'" ejn th'/ sarkiv, non dura ininterrottamente nel tempo il soffrire nella carne, ma il colmo to; a[kron rimane per un brevissimo tempo to;n ejlavciston crovnon pavresti.

V Non è possibile vivere felicemente se non saggiamente e nella bellezza e nella giustizia - oujk e[stin hJdevw" zh'n a[neu tou' fronivmw" kai; kalw'" kai; dikaivw".

Il culto della bellezza perfino nella morte
Bellezza e giustizia o bontà sono molto spesso associate nei Greci “intendentissimi del bello” (Leopardi, Zibaldone2546).
Vedi la crasi tra bello e buono che troviamo nella kalokajgaqiva così commentata da Leopardi: Quello dei Greci era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri ).
Cfr. Polissena nell’Ecuba di Euripide , Cassandra nelle Troiane, l’Antigone e l’Aiace di Sofocle per la bellezza anche nella morte.
 Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere, afferma Polissena quando antepone una morte dignitosa a una vita sen
za onore:"to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba , v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento".

Cassandra dice che deve evitare la guerra chi ha senno, ma se si giunge a farla, una corona non vergognosa è morire nella bellezza per la città. (povlei kalw`~ ojlevsqaiTroiane, v. 402)

Il culto della bellezza nella vita e nella morte non manca in Sofocle: Antigone dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nobilmente"peivsomai ga;r ouj - tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n ( Antigone, vv. 95 - 97).

 Aiace dice al corifeo (vv.479 - 480):"ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai - - to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire.

 Altrettanto afferma Neottolemo, il figlio schietto dello schietto Achille, in faccia al subdolo Odisseo del Filottete :"
 bouvlomai d j, d' , a[nax, kalw'" - drw'n ejxamartei'n ma'llon h] nika'n kakw'" " (vv. 94 - 95), preferisco, sire, fallire agendo con nobiltà che avere successo nella volgarità.
 Cfr. poi il Gorgia di Platone per la giustizia.

Nel Gorgia di Platone il giovane retore di origine agrigentina, Polo dice a Socrate che fatti anche recenti dimostrano che molti uomini sono felici pur commettendo ingiustizie wJ" polloi; ajdikou'nte" a[nqrwpoi eujdaivmonev" eijsin. Quindi fa l’esempio di Archelao re di Macedonia, quello che aveva ospitato, tra gli altri Euripide e Agatone. Poi gli domanda retoricamente se non gli sembri felice quel monarca.
Socrate risponde che non lo sa poiché non l’ha mai incontrato.
Il dialogo è ambientato nell’ultimo decennio del V secolo
Polo incalza l’anziano filosofo e lo provoca dicendo: è chiaro che ora affermerai che nemmeno del grande re di Persia sai dire se sia felice.
A questo giovane infatuato doveva sembrare un paradosso non riconoscere a occhi chiusi la felicità del sovrano più ricco e potente
Socrate risponde con solida semplicità e chiarezza: “ E di fatto dirò solo quello che è vero, infatti non so come stia a educazione e giustizia “ouj ga;r oi\da paideiva~ o{pw~ e[cei kai; dikaiosuvnh~ , Gorgia 470e). Sono questi i criteri di giudizio della felicità. Poi aggiunge che l’uomo bello e buono, e anche la donna, è felice , mentre quello ingiusto e malvagio è un disgraziato - to;n me;n ga;r kalo;n kai; ajgaqo;n a[ndra kai; gunai'ka eujdaivmona ei\naiv fhmi, to;n de; a[dikon kai; ponhro;n a[qlion 

VIII nessun piacere in sé è un male oujdemiva hjdonh; kaq j eJauth;n kakovn, ma i mezzi che producono certi piaceri - tinw'n hjdonw'n poihtika; comportano molti più turbamenti (ojclhvsei") che piaceri
I piaceri dei dissoluti non sarebbero da biasimare se togliessero le paure che affliggono gli uomini. Solo la scienza della natura fusiologiva toglie le paure della morte e delle cose celesti.

XV La ricchezza secondo natura ha limiti precisi ed è facilmente procurabile - oJ th'" fuvsew" plou'to" kai; w{ristai (oJrivzwkai; eujpovristo" ejstin, mentre quella suggerita delle vane opinioni cade nel vuoto infinito.

XVI la tuvch ha poca importanza per il sapiente poiché il suo logismov", calcolo, ha già previsto e organizzato le cose più grandi e più importanti.
Il calcolo prudente serve a ridurre il potere del caso.

XVII oJ divkaio" ajtaraktovtato", oJ d j a[diko" pleivsth" tarach'" gevmwn.
Ecco di nuovo la giustizia che premunisce contro la tavraxi", agitazione e confusione

XXVII Di tutti i beni che la sapienza procura per la felicità della vita intera - eij" th;n tou' o[lou bivou makariovthta - di gran lunga il più grande è l’acquisto dell’amicizia - polu; mevgiston ejstin hJ th'" filiva" kth'si".
Nell’Oreste[1] di Euripide, il figlio di Agamennone, in lode dell'amicizia di Pilade, consiglia:"acquistate amici, non solo parenti:/poiché chiunque collimi nel carattere, pur essendo un estraneo,/è un amico più caro ad aversi di diecimila consanguinei (murivwn kreivsswn oJmaivmwn ajndri; kekth`sqai fivlo~" vv. 804 - 806).
Tutt’altra è la posizione di Sofocle, specialmente nell’Antigone.

XXIX Tra i desideri tw'n ejpiqumiw'n, sono quelli naturali e necessari - fusikai; kai; ajnagkai'ai - che ci liberano dai dolori del corpo, come la bevanda quando si ha sete (wJ" poto;n ejpi; divyou");;; ; naturali ma non necessari consideriamo quelli che solo rendono variopinto il piacere - poikillouvsa" movnon th;n hJdonhvn, come i cibi costosi - wJ" polutelh' sitiva - ;non naturali né necessari quelli come le corone e offerte votive di statue - wJ" stefavnou" kai; ajndriavntwn ajnaqevsei".

XXXIII La giustizia non è un valore assoluto ma esiste solo nei rapporti reciproci e dipende dai luoghi e dagli accordi fatti per non ricevere danno.
 Cfr. viceversa Platone.

XXXIV L’ingiustizia non è un male di per sé –hJ ajdikiva ouj kaq j eJauth;n kakovn - ma per la paura che ne consegue relativamente all’essere scoperti e all’essere puniti.
 Cfr Senecaprima illa et maxima peccantium est poena peccasse, sceleris in scelere supplicium est. Multos fortuna liberat poena, metu neminem (Ep. 97, 16)

Il Socrate di Platone nel Gorgia raccomanda la giustizia e la temperanza:"chi vuole essere felice evidentemente deve seguire ed esercitare la temperanza e scappare a gambe levate davanti alla sfrenatezza (swfrosuvnhn me;n diwktevon kai; ajskhtevon, ajkolasivan de; feuktevon, 507d)...non deve lasciare che le sue passioni siano sfrenate né mettere mano a soddisfarle, male immedicabile, vivendo una vita da predone"(507e). -

XXXV Chi viola i patti stipulati non è mai sicuro che potrà occultarsi fino alla morte - mecri ga;r katastrofh'" a[dhlon eij kai; lhvsei.

XXXVI Il diritto to; divkaion - è l’utile nei rapporti reciproci
 - sumfevron ejn th'/ pro;" ajllhvlou" koinwniva/ - , ma i costumi dei popoli sono vari e la stessa cosa non è uguale per tutti.

Nel primo libro della Repubblica di Platone, Socrate è opposto al rozzo sofista Trasimaco il quale sostiene che il giusto (to; divkaion) è l’utile del più forte (to; tou' kreivttono" sumfevronRepubblica 338 c)
Socrate replica che chi comanda (a[rcwn) non deve cercare e prescrivere il proprio utile (to; auJtw'/ sumfevron) bensì quello di chi gli è subordinato (ajlla; to; tw'/ ajrcomevnw/, 342c).

Platone, nel Gorgia, attribuisce al personaggio Callicle una franca affermazione del diritto del più forte. Secondo questo personaggio del dialogo la natura e la legge sono per lo più in contrasto l'una con l'altra:"wJ" ta; polla; de; tau'ta ejnantiv jj a[llhvloi" ejstivn, h{ te fuvsi" kai; oJ novmo"" ( Gorgia, 482e). Secondo natura dunque il più forte sottomette il più debole e le leggi democratiche, secondo questo sofista, sono contrarie alla natura.





[1] Del 408 a. C.

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