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sabato 24 agosto 2019

Potere e pietas sono reciprocamente incompatibili

Antigone. Quando si scontrano il potere e la pietas
foto di Achille Le Pera

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Questo è il terzo “pezzo” che metto oggi nel blog per vedere quale dei miei tre generi sia il più gradito a voi lettori: quello letterario - filosofico, quello della narrativa, o quello letterario applicato alla politica.
Vi sarei grato se mi faceste conoscere le vostre preferenze
L’utile e il giusto sono incompatibili nella prospettiva del potere mentre in quella morale devono essere sempre associati
Ritorno a Lucano e al’empietà dell’eunuco Potino che teorizza l’incompatibilità tra utile e rectum, tra pietas, virtus da una parte e summa potestas da tutt’altra.
Leggiamo dunque le parole di questo castrato morale: “Sidera terra - ut distant et flamma mari, sic utile recto” (Pharsalia, VIII, 487 - 488), le stelle dalla terra e la fiamma dall’acqua del mare differiscono tanto quanto l’utile dal giusto.

Eppure l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani scritta alla fine del 57 o ai primi del 58, dice ai cristiani di Roma: ogni anima sia sottoposta alle autorità superiori: infatti non c’è autorità se non da Dio: “non est enim potestas nisi a deo” (13, 1).

Che sia anche dio dalla parte del potere? Lo dicono gli Ateniesi nel dialogo con gli abitanti dell’isola di Melo avvertendoli del diritto che ha il più forte di imporre il proprio volere ai più debole:"riteniamo infatti che la divinità, per quanto si può suppore, e l'umanità in modo evidente in ogni occasione, per necessità di natura, dove sia più forte, comandi" (Tucidide, V, 2).
I Melii non obbediranno e gli Ateniesi li massacrarono. Euripide subito dopo scriverà e farà rappresentare le Troiane (415 a. C.) dove Andromaca accusa i Greci che hanno deciso di ammazzare il suo bambino di essere loro i veri barbari: o Greci inventori della barbarie, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente? (Troiane, 764 - 765),
La strage di Melo ed altre, verranno in mente agli Ateniesi dopo la notizia della catastrofe di Egospotami (404) in un'associazione di delitto e castigo che fece temere conseguenze terribili.
La nave di Stato Paralo giunse al Pireo di notte e subito si diffuse la conoecenza del disastro, lungo le Mura, fino ad Atene. Ai cittadini in preda al panico tornano in mente le sciagure della guerra, non solo le pene subite, ma anche quelle inflitte con la previsione di doverle espiare attraverso altre sofferenze gravi.
"Sicché quella notte nessuno dormì, non solo perché piangevano i morti, ma ancora molto di più, se stessi, ritenendo che avrebbero subito i mali che avevano inflitto ai Meli che erano coloni di Sparta, dopo averli sopraffatti con un assedio, e anche agli abitanti di Istiea, di Sicione, di Torone, di Egina, e a molti altri Greci". (Senofonte Elleniche, II, 2, 3)
Il “castrataccio”[1] di Lucano continua a separare il potere dalla giustizia con queste parole: “Sceptrorum vis tota perit, si pendere iusta - incipit, evertitque arces respectus honesti “ (Pharsalia, VIII, 489 - 490), va in malora tutta la forza degli scettri se comincia a considerare quello che è giusto, ed è il riguardo dell’onestà a rovesciare le rocche.

Plutarco nella Vita di Solone ricorda che il legislatore ateniese aveva detto (14, 4): l’uguaglianza non provoca guerra. Della tirannide invece il legislatore ateniese aveva detto che è una bella fortezza ma non ha via di uscita (14, 8).

Libertas scelerum est quae regna invisa tuetur - sublatusque modus gladiis” (Pharsalia, VIII, 491 - 492) è la libertà di perpetrare delitti che mantiene i poteri odiati, e ogni misura tolta alle spade.
Manzoni riprende il   della violenza del potere nell' Adelchi quando il protagonista ferito consola il padre sconfitto: "Godi che re non sei; godi che chiusa/all'oprar t'è ogni via: loco a gentile,/ad innocente opra non v'è: non resta/che far torto, o patirlo. Una feroce/ forza il mondo possiede, e fa nomarsi/Dritto." (V, 8). E' il diritto del più forte.
Parini in Il Mattino (prima parte di Il Giorno) aveva già ricordato questo “dritto” stravolto: “e ben fu dritto/se Cortes e Pizzrro umano sangue/non istimar quel ch’oltre l’Oceàno/scorrea le umane membra, onde tonando/e fulminando/, alfin spietatamente/balzaron giù da’ loro aviti troni/re messicani e generosi Incassi;/poiché nuove così venner delizie,/o gemma degli eroi, al tuo palato!” (vv. 149 - 157).

Torniamo all’eunuco di Lucano dall’ideologia molto simile a quella di chi vuole lasciare morire nel mare i migranti, profughi che fuggendo da tanti orrori ne trovano altri da noi.
Facere omnia saeve - non impune licet, nisi cum facis. Exeat aula - qui vult esse pius”” (492 - 493), non è lecito commettere ogni crudeltà impunemente, solo se non puoi farlo. Esca dal palazzo chi vuole essere pio.
Lo dichiara Agamennone nell’Aiace di Sofocle: (v. 1350), non è facile che un tiranno sia anche una persona pia.
Insomma tirannide e pietà sono incompatibili.
Quindi: “Virtus et summa potestas - non coeunt; semper metuet quem saeva pudebunt” (Pharsalia VIII, 494 - 495), virtù e sommo potere non possono stare insieme; avrà sempre paura chi si vergogna delle azioni crudeli.
Io mi vergogno da tanto tempo delle mie, tanto è vero che non le commetto più.

  



[1] Cfr. Gasbarri - Rossini L’equivoco stravagante II, 3 quando Buralicchio ingannato, dice: “pezzo di birbantaccio! Volea darmi per moglie un castrataccio!”.

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