Antigone. Quando si scontrano il potere e la pietas foto di Achille Le Pera |
Questo è il terzo “pezzo” che metto oggi nel blog per vedere quale dei miei tre
generi sia il più gradito a voi lettori: quello letterario - filosofico, quello
della narrativa, o quello letterario applicato alla politica.
Vi sarei grato se mi faceste conoscere le vostre
preferenze
L’utile e il giusto sono incompatibili nella prospettiva
del potere mentre in quella morale devono essere sempre associati
Ritorno a Lucano e al’empietà dell’eunuco Potino che
teorizza l’incompatibilità tra utile e rectum, tra pietas,
virtus da una parte e summa potestas da
tutt’altra.
Leggiamo dunque le parole di questo castrato morale: “Sidera terra - ut
distant et flamma mari, sic utile recto” (Pharsalia, VIII,
487 - 488), le stelle dalla terra e la fiamma dall’acqua del mare differiscono
tanto quanto l’utile dal giusto.
Eppure l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani scritta
alla fine del 57 o ai primi del 58, dice ai cristiani di Roma: ogni anima sia
sottoposta alle autorità superiori: infatti non c’è autorità se non da Dio: “non est enim potestas
nisi a deo” (13, 1).
Che sia anche dio dalla parte del potere? Lo
dicono gli Ateniesi nel dialogo con gli abitanti dell’isola di Melo
avvertendoli del diritto che ha il più forte di imporre il proprio volere ai
più debole:"riteniamo
infatti che la divinità, per quanto si può suppore, e l'umanità in modo
evidente in ogni occasione, per necessità di natura, dove sia più forte,
comandi" (Tucidide, V, 2).
I Melii non obbediranno e gli Ateniesi li
massacrarono. Euripide subito dopo scriverà e farà rappresentare le Troiane (415
a. C.) dove Andromaca accusa i Greci che hanno deciso di ammazzare il suo
bambino di essere loro i veri barbari: o Greci inventori della barbarie, perché uccidete
questo bambino che non è colpevole di niente? (Troiane, 764 - 765),
La strage di Melo ed altre, verranno in mente
agli Ateniesi dopo la notizia della catastrofe di Egospotami (404) in
un'associazione di delitto e castigo che fece temere conseguenze terribili.
La nave di Stato Paralo giunse al Pireo di
notte e subito si diffuse la conoecenza del disastro, lungo le Mura, fino ad
Atene. Ai cittadini in preda al panico tornano in mente le sciagure della
guerra, non solo le pene subite, ma anche quelle inflitte con la previsione di
doverle espiare attraverso altre sofferenze gravi.
"Sicché quella notte nessuno dormì, non solo perché
piangevano i morti, ma ancora molto di più, se stessi, ritenendo che avrebbero
subito i mali che avevano inflitto ai Meli che erano coloni di Sparta, dopo
averli sopraffatti con un assedio, e anche agli abitanti di Istiea, di Sicione,
di Torone, di Egina, e a molti altri Greci". (Senofonte Elleniche, II, 2,
3)
Il “castrataccio”[1] di
Lucano continua a separare il potere dalla giustizia con queste parole: “Sceptrorum vis tota
perit, si pendere iusta - incipit, evertitque arces respectus honesti “
(Pharsalia,
VIII, 489 - 490), va in malora tutta la forza degli scettri se comincia a
considerare quello che è giusto, ed è il riguardo dell’onestà a rovesciare le
rocche.
Plutarco nella Vita di Solone ricorda
che il legislatore ateniese aveva detto (14, 4): l’uguaglianza non provoca
guerra. Della tirannide invece il legislatore ateniese aveva detto che è una
bella fortezza ma non ha via di uscita (14, 8).
Libertas scelerum est quae regna
invisa tuetur - sublatusque modus gladiis” (Pharsalia, VIII,
491 - 492) è la libertà di perpetrare delitti che mantiene i poteri odiati, e
ogni misura tolta alle spade.
Manzoni riprende il della violenza del potere nell' Adelchi
quando il protagonista ferito consola il padre sconfitto: "Godi che re non
sei; godi che chiusa/all'oprar t'è ogni via: loco a gentile,/ad innocente opra
non v'è: non resta/che far torto, o patirlo. Una feroce/ forza il mondo
possiede, e fa nomarsi/Dritto." (V, 8). E' il diritto del più forte.
Parini in Il Mattino (prima
parte di Il
Giorno) aveva già ricordato questo “dritto” stravolto: “e ben fu dritto/se
Cortes e Pizzrro umano sangue/non istimar quel ch’oltre l’Oceàno/scorrea le
umane membra, onde tonando/e fulminando/, alfin spietatamente/balzaron giù da’
loro aviti troni/re messicani e generosi Incassi;/poiché nuove così venner
delizie,/o gemma degli eroi, al tuo palato!” (vv. 149 - 157).
Torniamo all’eunuco di Lucano dall’ideologia
molto simile a quella di chi vuole lasciare morire nel mare i migranti,
profughi che fuggendo da tanti orrori ne trovano altri da noi.
“Facere omnia saeve - non
impune licet, nisi cum facis. Exeat aula - qui vult esse pius”” (492 - 493),
non è lecito commettere ogni crudeltà impunemente, solo se non puoi farlo. Esca
dal palazzo chi vuole essere pio.
Lo dichiara Agamennone nell’Aiace di
Sofocle: (v. 1350), non è facile che un tiranno sia anche una
persona pia.
Insomma tirannide e pietà sono incompatibili.
Quindi: “Virtus et summa
potestas - non coeunt; semper metuet quem saeva pudebunt” (Pharsalia VIII,
494 - 495), virtù e sommo potere non possono stare insieme; avrà sempre paura
chi si vergogna delle azioni crudeli.
Io mi vergogno da tanto tempo delle mie,
tanto è vero che non le commetto più.
[1] Cfr. Gasbarri - Rossini L’equivoco
stravagante II, 3 quando Buralicchio ingannato, dice: “pezzo di
birbantaccio! Volea darmi per moglie un castrataccio!”.
Nessun commento:
Posta un commento