Epicuro |
Epicuro nell’Epistola a Meneceo afferma: “to; mevgiston ajgaqo;n frovnhsi"” (132, 5), il massimo bene
è la saggezza, e per questo
è un bene più prezioso della filosofia dio; kai; filosofiva"
timiwvteron uJpavrcei frovnhsi": dalla saggezza derivano tutte le altre virtù, ejx h|"
aiJ loipai; pa'sai pefuvkasin ajretaiv, in quanto essa insegna che non è possibile vivere
felicemente senza vivere assennatamente nella bellezza e nella giustizia (A
Meneceo, 132)
Breve excursus
sull’importanza del capire
Un topos
relativo all'intelligenza è quello che condanna la stupidità, connessa spesso
all'empietà: si trova espresso chiaramente nell'Agamennone[1] di Eschilo dal protagonista che esita a calpestare il tappeto di
porpora:" to; mh; kakw'" fronei'n
- qeou' mevgiston dw'ron[2]" (vv. 927 - 928);
quindi nell'Antigone[3] di Sofocle le cui parole
conclusive, del Coro, ovvero dell'autore che da questo "cantuccio" si esprime senza "introdursi nell'azione"[4], contengono
la morale del dramma e presentano la quintessenza del sofocleismo: "il comprendere (to; fronei'n[5]) è di gran lunga il primo requisito/della
felicità; è
necessario poi non essere empio/ in nessun modo negli atti che riguardano gli
dèi (crh; de; tav g j ej" qeou;" mhde;n ajseptei'n)" [6].
Lo
stesso Creonte alla fine lo capisce:"mh;
fronei'n pleivsth blavbh" (v. 1051), non comprendere è il danno massimo.
“La stupidità,
per farsi rispettare, inventò l’ingiustizia”[7].
Nelle Troiane,
la lucida follia di Cassandra dichiara che chi ha senno deve evitare la guerra:
“feuvgein me;n oun crh; povlemon o{sti~ eu\ fronei`” (v. 400)
Luogo simile
nelle Baccanti[8] di Euripide[9]:"
Essere equilibrati e venerare gli dèi /è la cosa più bella (To; swfronei'n de; kai; sevbein ta; tw'n qew'n - kavlliston"), e credo che questo sia anche
il bene/più saggio per chi sa farne uso (vv.1150 - 1151).
Capire
significa anche amare.
“Non c’è
peccato peggiore, nel nostro tempo, che quello di rifiutarsi di capire: perché
nel nostro tempo non può scindersi l’amare dal capire. L’invito evangelico che
dice “ama il prossimo tuo come te stesso” va integrato con un “capisci il
prossimo tuo come te stesso”. Altrimenti l’amore è un puro fatto mistico e
disumano”[11].
“Intelligenza
e indulgenza apparivano a Giuseppe due pensieri strettamente affini,
reciprocamente scambievoli e portatori perfino di un nome comune: bontà”[12].
“Questo è,
infatti, il modo di comportarsi e addirittura il contrassegno dell’uomo buono,
che egli si accorge con saggia reverenza del divino, il che avvicina bontà e
intelligenza, anzi propriamente le fa apparire una cosa sola”[13].
Fine excursus
Nessuno è
migliore di chi ha opinioni riverenti verso gli dèi: riguardo alla morte non ha
assolutamente paura e sa che è facile ottenere il bene e il male è lieve o dura
poco.
Delle cose
alcune avvengono kat j ajnavgkhn, per necessità, altre per caso, ajpo;
tuvch", altre
invece sono in nostro potere a} de; par j hJma'".
La
necessità non deve rendere conto a nessuno –ajnupeuvqunon - il caso è instabile, e la parte
nostra non ha padroni to; parj hJma'" ajdevspoton, ma può ricevere biasimo oppure
lode.
La
Necessità, come la Natura in Lucrezio fa le veci del fatum degli
stoici o degli dèi. Seneca nel De beneficiis scrive che
Giove può essere chiamato anche fatum, cum fatum nihil aliud sit quam
series implexa causarum (4.7).
E’
meglio essere sfortunati ma saggi che fortunati stoltamente.
[5] "Con fronei'n, "saggezza", il coro non
allude a qualità teoretiche, come la conoscenza o la sapienza, ma a un modo di
pensare, di sentire e di agire misurato, equilibrato, improntato al rispetto
degli dèi. Allude a qualità morali" , G. A. Privitera, R. Pretagostini, Storie
e forme della letteratura greca, p. 281.
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