NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 25 agosto 2019

Epicuro contro il consumismo. III parte

Epicuro

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Epicuro nell’Epistola a Meneceo afferma: “to; mevgiston ajgaqo;n frovnhsi"” (132, 5), il massimo bene è la saggezza, e per questo è un bene più prezioso della filosofia dio; kai; filosofiva" timiwvteron uJpavrcei frovnhsi": dalla saggezza derivano tutte le altre virtù, ejx h|" aiJ loipai; pa'sai pefuvkasin ajretaiv, in quanto essa insegna che non è possibile vivere felicemente senza vivere assennatamente nella bellezza e nella giustizia (A Meneceo, 132)

Breve excursus sull’importanza del capire
Un topos relativo all'intelligenza è quello che condanna la stupidità, connessa spesso all'empietà: si trova espresso chiaramente nell'Agamennone[1] di Eschilo dal protagonista che esita a calpestare il tappeto di porpora:" to; mh; kakw'" fronei'n - qeou' mevgiston dw'ron[2]" (vv. 927 - 928);
quindi nell'Antigone[3] di Sofocle le cui parole conclusive, del Coro, ovvero dell'autore che da questo "cantuccio" si esprime senza "introdursi nell'azione"[4]contengono la morale del dramma e presentano la quintessenza del sofocleismo: "il comprendere (to; fronei'n[5]) è di gran lunga il primo requisito/della felicità; è necessario poi non essere empio/ in nessun modo negli atti che riguardano gli dèi (crh; de; tav g j ej" qeou;" mhde;n ajseptei'n)" [6].
 Lo stesso Creonte alla fine lo capisce:"mh; fronei'n pleivsth blavbh" (v. 1051), non comprendere è il danno massimo.
“La stupidità, per farsi rispettare, inventò l’ingiustizia”[7].
Nelle Troiane, la lucida follia di Cassandra dichiara che chi ha senno deve evitare la guerra: “feuvgein me;n oun crh; povlemon o{sti~ eu\ fronei`” (v. 400) 
Luogo simile nelle Baccanti[8] di Euripide[9]:" Essere equilibrati e venerare gli dèi /è la cosa più bella (To; swfronei'n de; kai; sevbein ta; tw'n qew'n - kavlliston"), e credo che questo sia anche il bene/più saggio per chi sa farne uso (vv.1150 - 1151).

"La pietà suprema sarà per i Greci l'intelligenza"[10].
Capire significa anche amare.
“Non c’è peccato peggiore, nel nostro tempo, che quello di rifiutarsi di capire: perché nel nostro tempo non può scindersi l’amare dal capire. L’invito evangelico che dice “ama il prossimo tuo come te stesso” va integrato con un “capisci il prossimo tuo come te stesso”. Altrimenti l’amore è un puro fatto mistico e disumano”[11].

“Intelligenza e indulgenza apparivano a Giuseppe due pensieri strettamente affini, reciprocamente scambievoli e portatori perfino di un nome comune: bontà”[12].
“Questo è, infatti, il modo di comportarsi e addirittura il contrassegno dell’uomo buono, che egli si accorge con saggia reverenza del divino, il che avvicina bontà e intelligenza, anzi propriamente le fa apparire una cosa sola”[13].
Fine excursus

Nessuno è migliore di chi ha opinioni riverenti verso gli dèi: riguardo alla morte non ha assolutamente paura e sa che è facile ottenere il bene e il male è lieve o dura poco.
Delle cose alcune avvengono kat j ajnavgkhn, per necessità, altre per caso, ajpo; tuvch", altre invece sono in nostro potere a} de; par j hJma'".
 La necessità non deve rendere conto a nessuno –ajnupeuvqunon - il caso è instabile, e la parte nostra non ha padroni to; parj hJma'" ajdevspoton, ma può ricevere biasimo oppure lode.
La Necessità, come la Natura in Lucrezio fa le veci del fatum degli stoici o degli dèi. Seneca nel De beneficiis scrive che Giove può essere chiamato anche fatum, cum fatum nihil aliud sit quam series implexa causarum (4.7).

 E’ meglio essere sfortunati ma saggi che fortunati stoltamente.




[1] Del 458 a. C.
[2] Il non capire male/ è il dono più grande di dio.
[3] Del 442.
[4]Cfr. A. Manzoni, Prefazione a Il conte di Carmagnola .
[5] "Con fronei'n, "saggezza", il coro non allude a qualità teoretiche, come la conoscenza o la sapienza, ma a un modo di pensare, di sentire e di agire misurato, equilibrato, improntato al rispetto degli dèi. Allude a qualità morali" , G. A. Privitera, R. Pretagostini, Storie e forme della letteratura greca, p. 281.
[6] Vv. 1347 - 1349.
[7] J. Ortega y Gasset, Idea del teatro, p. 30.
[8] Rappresentate postume
[9] 485 ca - 406 a. C.
[10] M. Zambrano, L'uomo e il divino (1955), p. 194.
[11] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 103.
[12] T. Mann, Giuseppe in Egitto, p. 257.
[13] T. Mann, Giuseppe il nutritore, p. 62.

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