Il 24 febbraio del 1980 dunque salivo di nuovo per il pendio di Sorte: passai accanto alla chiesa, di fianco al cimitero posto al margine del prato, salutai i vecchi Moenesi conosciuti da bambino che riposavano lì, poi mi incamminai verso Sorte, pensando che non avrei calpestato gli asfodeli se ci fossero stati. Così trasognato giunsi al paesino. Proseguivo percorrendo l’unica via in direzione della Malga panna. Era tutto buio e come sentìi abbaiare un cagnaccio infuriato da dentro una stalla trasecolai e fui tentato di fuggire retrogrado giù per la discesa. Ma compresi che la belva era assatanata per il fatto di essere rinchiusa e probabilmente incatenata. Superato dunque il terrore dello sbranamento, la morte per cane temuta fin da bambino, ogni tanto mi voltavo indietro non più per il sospetto di essere inseguito da quel mostro furente, bensì per vedere se dai monti orientali del San Pellegrino o del Lusia spuntava la luna.
Il cielo era tutto sereno: le stelle brillavano come diamanti sul collo di una bellissima donna bruna. Mi diede conforto il ricordo delle creature belle, fini e miti che avevo incontrato. Magnifiche borse di studio.
Speravo che la grande foresta già palestra del mio coraggio puerile e la luna vicina a spuntare da tacita selva, a gettare la propria luce sui boschi e sui prati, mi avrebbero dato un aiuto risolutivo della pena residua. Chiedevo soccorso alla natura sollevando la testa, osservando la purezza del cielo, i suoi lumi che gli alberi mi indicavano con le cime appuntite che li vellicavano quando un soffio leggero di vento le faceva ondeggiare.
Seguivo i segni di quelle dita giganti cercando risposte ai miei dubbi. Le stelle più basse apparivano e sparivano tra gli abeti e i larici come le lucciole in mezzo alle spighe del grano ancora più verdi che gialle. Alcuni rami toccati dalla luce diventavano coralli.
Chi era questo maesto? Ovidio o Shakespeare?
Ricordavo, citavo, recitavo sperando che la mia erudizione sofferta si trasfigurasse, che la congerie di nozioni diventasse educazione e bontà, che sul mucchio di parole imparate si elevasse finalmente un’immagine di bellezza e di forza che confutasse per sempre la mia insicurezza, la mia infelicità non ancora debellata. Infatti riprendeva sempre la guerra.
Bologna 19 giugno 2024 ore 10, 09 giovanni ghiselli
p. s.
498 sono le visualizzazioni del mio You Tube Osare l’inattuale
Il 29 giugno terrò una lectio magistralis su
Desiderio di Umanesimo
alla XIX edizione di Filosofi lungo l’Oglio.
Ecco il sommario con i titoli degli argomenti principali
L’ umanesimo è amore dell’umanità, della vita e della natura.
Il sapere non è sapienza se non arriva a conoscere il Bene (Platone, Repubblica, 505 a-b).
Se conoscessimo tutto tranne l’idea del bene-dice Socrate-questo sapere non ci gioverebbe a nulla.
Umanesimo è avere coscienza di essere uomo (Sofocle, Edipo a Colono, v.567)
Umanesimo è adoperarsi per il bene comune (Seneca, Epistulae ad Lucilium, , 60, 4)
Umanistica è la cura della parola che è pure cura dell’anima (Platone Fedone, 115 e)
Necessità dello studio della storia (Cicerone, Orator, 120)
L’uomo come segno di contraddizione: Socrate, Cristo e diversi altri.
I sacrifici umani quali segni di antiumanesimo (in Eschilo: Agamennone; in Euripide: Troiane- Ecuba- Ifigenia tra i Tauri- ; in Lucrezio: De rerum natura).
Gratitudine e ingratitudine (Teognide, Euripide, Senofonte).
Umanesimo è anche la capacità di mettersi nei panni degli altri con la compassione (L’Umorismo di Pirandello).
La filosofia nasce dal meravigliarsi (Platone Teeteto e Aristotele Metafisica)
Una forma di umanesimo è evitare ogni eccesso ( Scritta delfica, quindi Erodoto, Euripide, Orazio).
Argomento della seconda parte: l’amore della natura.
Nell’età ellenistica la natura diventa il paradiso perduto che gli uomini civilizzati vorrebbero ritrovare.
I poeti ellenistici sono “postfilosofici” (Bruno Snell)
Teocrito
Callimaco
Nessun commento:
Posta un commento