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lunedì 3 giugno 2024

Martin Walser e Leonardo Sciascia, due giganti della complessità contemporanea. di Giuseppe Moscatt

Giuseppe Moscatt

Martin Walser (Wasserburg, 1927 - Überlingen, Baden/Württemberg, 2023)
e Leonardo Sciascia (Racalmuto, Agrigento, 1921 - Palermo, 1989)
Due giganti della complessità contemporanea


Walser

I cultori del classico conoscono bene il mito di Cassandra, la sacerdotessa troiana di Apollo dotata di preveggenza e capace di svelare i fatti più strani spesso legati ad eventi tristi e luttuosi nelle loro soluzioni. Omero ed Eschilo ci narrano le sue terribili sventure profetiche gridate ai potenti di turno, mai credute, ma poi rimpiante, come riconobbero Priamo e Clitennestra.
Oggi, in Germania e in Italia rimpiangono Martin Walser e Leonardo Sciascia, perché a loro non fu dato per tempo quel dovuto riconoscimento che avrebbero meritato. Le discussioni critiche sulle loro opere più mature si intrecciano sul problema della società complessa in cui viviamo da ormai troppo tempo. Eppure, i due pensatori avevano previsto la crisi globale attuale fin dagli anni '60, quando le eredità del '900, in due aree del mondo così distanti ma ora così vicine - come ci disse Wim Wenders in un suo indimenticato film degli anni '70 - e che ci spingono ora ad accomunarli nell'interpretazione della nuova realtà globale, figlia della tecnica connettiva che ormai ci collega al mondo. L'anno topico delle loro proposte di lettura integrata del mondo che cambia ci pare il 1961.
Sciascia


 
Leonardo, reduce dal primo romanzo di successo - Le parrocchie di Regalpetra (1956), dove narra in forma autobiografica le sue esperienze di maestro elementare nella cittadina di Racalmuto alle porte di Agrigento, sua città natale - dopo due anni a Roma al Ministero della Pubblica Istruzione, rientra in paese e nelle ore di riposo, scrive il suo primo capolavoro, Il giorno della civetta, il cui intreccio svelava l'organizzazione occulta della mafia e le sue modalità d'azione, fatta di omicidi - qui quello di un sindacalista - di minacce, di corruzione e di rottura di un predominio culturale addirittura giustificato e che aveva nella società dell'epoca inquinato con forme di falsa benevolenza perfino gli organi inquirenti, senza contare gli organi politici e la stampa, fonti tradizionali che fino ad allora ne avevano negato l'esistenza. Uno dei protagonisti del romanzo - in forma di giallo, adottata per consentire la lettura ad un pubblico variegato e smaliziato ormai dalle fiction televisive - era il capitano Bellodi dei Carabinieri, quasi un generale Dalla Chiesa in anticipo, in tempi coevi del resto al servizio di questi proprio nella Sicilia occidentale. La semplificazione del fenomeno mafioso che allora si dava sulla base dei saggi di Napoleone Colaianni e sulla vicenda del prefetto Cesare Mori, nella prima parte del '900, denunciava la parte esteriore del problema, vista cioè come una semplice deviazione di condotta, un modo di governare illecito e quasi una parentesi in una società perfetta. Invece Sciascia ne dava una interpretazione più complessa, dove era lo stesso Stato il brodo in cui nuotavano tutti. Una cecità della realtà in cui bastava un capro espiatorio da dare al popolo per mantenere l'ordine. In altre parole, Sciascia fa un passo avanti profetico rispetto alla logica del Tomasi di Lampedusa, il cui Gattopardo di quasi due anni prima, aveva enunciato la famosa massima cambiare tutto per non cambiare nulla.
 
Del pari, Martin Walser proveniva da un discreto successo letterario di alcune opere legate alla rinascita letteraria nella Germania occidentale, quando la domanda di un salto di qualità di quella letteratura imponeva la autocritica del tremendo passato nazista e la ricerca di una nuova lettura della realtà nondimeno complessa della citata società siciliana. Anche in Germania - anzi nelle due Germanie, RFT e DDR - si semplificava attraverso canoni di mera separazione fra bene e male, si alternavano le identità e soprattutto si scambiava il reciproco risentimento politico all'interno della stessa antica nazione. La cultura dell'eguale sospetto al di là del muro - ormai innalzato proprio nel 1961 - l'accusa di volere nascondere il passato e quella di farlo per fini politici ribattuta dall'altra parte; avvelenavano contemporaneamente la crescita della nuova letteratura che voleva dare un volto identitario nuovo al Paese, pur nella consapevolezza dei gravissimi mali che lo avevano attraversato.
Ecco perché Martin, malgrado il successo del romanzo storico Matrimoni a Philippsburg (1957) ed i radiodrammi La scappatella e Una domenica interminabile (1961), ambedue realizzati dal giovane Andrea Camilleri per il terzo canale della radio in Italia; abbandona l'ormai decaduta corrente letteraria del Gruppo '47, il movimento culturale nato a Monaco nel 1947, composto da giovani scrittori emergenti - per esempio Günter Grass, Heinrich Böll, Marcel Reich-Ranicki, Ingeborg Bachmann e tanti altri - che si prefiggevano una nuova Germania la cui cultura centenaria era stata obliata e repressa dalla svastica nazionalsocialista. Sì, ma verso dove? Si chiedeva Walser, forse verso le miserie del capitalismo disumano che minava la famiglia, i rapporti fra generazioni, i diritti civili, ecc.? E che dire del passato nazista e delle colpe del Paese, quando ancora l'antisemitismo è presente nella società e quando lo stato mantiene al proprio interno gerarchi, magistrati e poliziotti colpevoli dell'infamia della Shoah... E' lo stesso sdegno morale di Sciascia nel vedere la strage di Ciaculli nel 1963, quando quattro carabinieri muoiono Palermo vittime dell'attentato esplosivo di un'automobile imbottita di tritolo durante la prima guerra di mafia nella Sicilia del dopoguerra, costellata di numerosi omicidi a danno della vecchia mafia. Per Martin la sua protesta fu opportuna perché lo autorizzò a partecipare al primo processo tedesco contro gli autori della Shoah celebrato nel 1963-1965 a Francoforte. Il famoso procuratore Fritz Bauer riuscì ad instaurare un processo di massa - 22 imputati! - che nelle sue nobili intenzioni voleva approfondire i buchi del processo di Norimberga. Magistrati e poliziotti gli fecero muro. Il budget di quel processo fu limitato, il giudice istruttore fu spesso ostacolato negli interrogatori, la difesa eccepì subito che il concetto di maxiprocesso e la nozione oggettiva di Genocidio non erano reati, che occorreva valutare la prescrizione dei delitti di strage, ivi compresa le fasi istruttorie e dibattimentali. Bauer superò con non poche difficoltà le opposizioni giudiziarie e politiche, ma dovette cedere sul ruolo ambiguo degli Amministratori della IG Farben - la ditta chimica produttiva del gas nei campi di sterminio - assolti perché il fatto non costituiva reato purtroppo per evitare il collasso della chimica tedesca in piena rinascita economica industriale.
La rottura con il critico letterario Marcel Reich-Ranicki fu qui totale e pienamente ideologica: questi malgrado l'inoppugnabile passato in un campo di concentramento, perché ebreo, nelle colonne del Frankfurter Allgemeine Zeitung, difese le teorie riduzioniste di quel processo; sollevò istanze garantiste, si batté contro le evidenti connessioni politiche, assolse ogni responsabilità degli industriali ed indirizzò le colpe a discarico della nuova classe dirigente e contro l'opposizione socialista; allo stesso modo e contro chi come in Italia dichiarava fra i democristiani che la Mafia non esisteva. Caddero nel nulla i processi sui mandanti della strage di Ciaculli e ci si limitò a condanne lievi per gli esecutori Torretta e Buscetta per reati connessi. Così fu anche per l'IG Farbe ed i suoi dirigenti, assolti per mancanza di responsabilità. Nello stesso periodo dunque una duplice sconfitta per i due. Ma la loro ricerca del bandolo delle due matasse non cessò fino alla morte.
 
In realtà, Martin e Leonardo conoscevano la figura di Simon Weil, che aveva dato spazio ad idee che in ogni ramo del sapere e delle scienze erano arrivate a cozzare prima col Political Correct e ad essere accettate poi, dopo che i loro profeti avevano combattuto aspramente con la reazione dell'ordine sociale esistente. Ora quella esperienza di vita spirituale aperta e vissuta, li spronò, pur nei loro diversi Paesi, a sciogliere la parallela complessità, a ritrovare un'unità etica, se non religiosa, a riavvolgere il nastro della loro formazione morale e di mettersi sempre dalla parte degli oppressi, vuoi ebrei martoriati dai nazisti che ora in modo disinvolto governavano le due Germanie; ora gli abitanti di quella Sicilia schiavizzati da una classe dirigente che rimaneva sempre a galla. Neppure questo apparve ai due sufficiente: il metodo della analisi più interiore e più legata alle commissioni occulte stagnanti nelle pieghe della società borghese è quello del dubbio e magari anche quello dell'ironia.
Martin, per esempio, nel 1964 scrive il romanzo Intervallo, dove narra la vita di un commesso viaggiatore nella società capitalista tedesca e nel successivo l'Unicorno (1966), non solo riprendeva la metafora del rappresentante di commercio, stavolta nelle vesti di consulente sociale; ma addirittura diceva sconcezze al pubblico che lo invitava a divulgare il suo prodotto. Ora è la logica dei contrari che gli pare necessaria per rovesciare la morale di quella piccola borghesia bavarese arricchitasi col denaro americano del Piano Marshall. Una polemica letteraria e non solo: perché negli anni '70, sull'onda delle convulsioni del '68, si lanciò contro la Deutsche Bank, che riteneva il covo del pensiero forte neonazista.
Leonardo non fu da meno: A ciascuno il suo (1966), Il Contesto (1971), La morte dell'inquisitore (1964) ed il Consiglio d'Egitto (1963), costituirono romanzi stoirci di rivolta intellettuale contro l'occupazione della libertà interiore dell'uomo, divenuto spesso un estraneo rispetto alla realtà che lo comandava e lo divorava in ogni momento dell'esistenza. In fondo l'abate Vella, protagonista del romanzo storico il Consiglio d'Egitto, si permetteva di manipolare la Storia per rendere giustizia agli oppressi che vedevano giustificare il loro stato di soggezione in forza di un diritto ingiusto che li aveva privati del possesso delle loro terre. Vella, falsificando la storia e attribuendo ai braccianti il vero possesso del latifondo, esibendo un codice di atti abilmente manipolato, non aveva forse reso giustizia a quel mondo di esclusi condannato a morte dal potere di pochi? E quando nel dramma Il cigno Nero del 1964, Walser affrontava il tema politico del passato nazista irrisolto, non ci offriva una sua giustizia sociale nel giovane tedesco che, pur assillato dalle colpe della nazione e stravolto per la facile ricchezza ottenuta dai suoi parenti a danno delle famiglie ebree massacrate a Birkenau, però impazziva e si suicida, non offriva una metafora significativa del nuovo popolo tedesco dietro il quale prosperava una colpa mai espiata?
 
Naturalmente, queste scelte di campo, dalla violenta campagna capitalista dell'uno, alla singolare manipolazione della storia operato dall'altro, ebbe non poche voci contrarie. Leonardo subirà le critiche di Fortunato Pasqualino, esimio etnologo siciliano che vi leggeva troppa connessione fra mafie e l'origine araba-sicula della stessa; oppure qualche strale gli pervenne dagli storici liberali e perfino marxisti che vedevano non poche criticità per l'analisi controstorica prospettata: per esempio il Pezzino non mancherà di giudicare con severità il saggio sui Pugnalatori di Palermo del 1976, forse visto fuori dal contesto politico di quell'anno che invece guidò lo Sciascia nell'analizzare quell'episodio criminale del 1866 con gli occhi rivolti alla strage di Brescia del 1974. Più critiche ebbe il Walser, che vide contro di lui montare l'onnipotente ex sodale Marcel Reich-Ranicki, (il c.d. papa della critica letteraria nella Repubblica federale e poi nella Germania successiva alla caduta del muro nella rivista di critica più letta negli anni '70 e '80, Das literarische Quartett) in occasione della pubblicazione del romanzo di Walser Jagd (la caccia), dove avvenne la più forte polemica fra i due. Qui Martin raccontava una giornata dell'immobiliarista Gottlieb Zürn, una rassegna metaforica ed allegorica di un'esistenza umana totalmente rivolta a cacciare i poveri affittuari delle sue catapecchie di periferia. E' il 1988, il muro sta per crollare e la borghesia tedesca temeva che il loro mondo finisse nelle fauci proletarie della DDR. E dunque l'immobiliarista affilava le sue armi a difesa delle sue proprietà! Reich-Ranicki, non vuole capire il profondo senso di metafora ed afferma con forza: Walser è un narratore? Non lo credo. Egli ci può soltanto annoiare quando scrive cose impossibili! Ma Walser coglie l'occasione per un ulteriore passo rispondendogli piccato: nel nostro ormai consunto rapporto del 1949 il vero bersaglio sono proprio io e non quello che scrivo! La sfida è aperta. In particolare, la presa di coscienza politica di Walser disturbava fortemente la classe dirigente antecedente al Governo Brandt, al cui seguito presto arrivò un Günter Grass assiduo marciatore come Walser nelle oceaniche adunanze per la pace in Vietnam. E con il il romanzo autobiografico La fontana zampillante del 1978 Walser si mostrava ancora favorevole a quell'Unione Sovietica legata alla DDR tedesca.
Quando però nel 1988, durante la cerimonia alla Chiesa di S. Paolo a Francoforte venne chiamato a tenere un discorso, Walser ruppe la tregua con Reich-Ranicki: a suo parere, la critica letteraria tradizionale si comportava in modo preferenziale a favore della Shoah, anzi in modo professionale e non in modo veramente sentito, senza alcun ritegno che non fosse di proprio interesse di carriera. Reich-Reinicki capì di essere il bersaglio e rispose per le rime ribadendo l'accusa di anitsemitismo occulto e ora finalmente palese. Offeso da tale accusa nel 2002 comparve un racconto di Walser altrettanto pesante: uscendo il genere giallo, Morte di un critico di Walser rilanciò la forte antipatia fra i due. Il ricordo della polemica fa Platen e Heine nell'800 fece sorridere e riflettere gli storici, come se fosse un caso di eterno ritorno dell'eguale che sminuiva la questione, ma che si rifletterà in Italia quando anche Sciascia mise in dubbio la stampa contraria alla mafia, attribuendole un pari principio professionale retorico senza alcun amore di verità.
 
Poco si è detto finora dello scarso rilievo di Martin Walser nella cultura italiana del secondo dopo guerra. Se non fosse stato per l'entusiasmante presenza radiofonica dei drammi sapientemente gestiti dalla regia di Camilleri, poco di Walser si conosceva. Unico traghettatore della nuova letteratura tedesca fu naturalmente Elio Vittorini nel suo avveniristico giornale letterario Il Menabò, che al nr. 7 presenta La crocifissione di un gatto, un lungo monologo che ben rappresenta il nuovo linguaggio che appunto lo colpì. Basterà qualche rigo per comprendere la scelta: Di chi è la colpa, se già dal mattino presto la lingua mi sguazza come in un gioco?... Che cosa è accaduto ieri? E come è stata la notte scorsa? Collegherò i volti fluttuanti dell'ultima settimana, tutti tratti di strada, colti a volo, ed i passaggi di nuvole ben determinate, come le cornacchie che si sono posate proprio ora davanti alla mia finestra, sulla cima dall'abete ancora oscillante... (traduzione di Lia Secci). Qui appare tutto il nuovo linguaggio metaforico del Walser, che l'amico d H.M. Enzensberger chiamerà Mimikry, vale a dire l'adozione del fenomeno del mimetismo delle scienze naturali, la sua estensione alla vita umana e quindi alla nuova letteratura, dove la scrittura a tutela degli oppressi dovrà rispecchiare la condotta sociale secondo una scansione ineluttabile qual è l'imitazione, l'adattamento e poi il successivo accomodamento. Il compito del nuovo scrittore sarà allora quello di smascherare coloro che si fanno paladini falsi e bugiardi degli uomini sopraffatti dai burattinai del potere. La metafora come tecnica di dissenso del political correct, di diremmo oggi. E Sciascia? Sembrò a Vittorini in prima battuta che quello del linguaggio metaforico esulasse dalla primazia del reale che Leonardo aveva privilegiato nelle sue prime creazioni. Sebbene la freddezza fra i due sia testimoniata dal fatto che fra i gettoni della Mondadori curate da Elio non fossero comprese le cronache scolastiche di Leonardo inviategli nel 1954. Un carteggio più conciliante seguì fino al 1966, anche perché Il Giorno della civetta piacque al critico siracusano. Dove però rinacque l'incomprensione fu il citato Consiglio d'Egitto. La scelta metastorica e aneddotica non piaceva ad Elio, mentre la scelta innovativa linguistica della Crocifissione del gatto, era perfettamente coerente col suo pensiero. Chi sa come avrebbe valutato la polemica fra Walser e Reich-Reinicki, analoga a quel dell'ultimo Sciascia sui professionisti dell'antimafia che lasciò perplessa la cultura italiana, poco prima che Sciascia morisse (vd. il Corriere della sera del 10.1.1987)?

In realtà il quesito che rimante pendente è se lo scrittore deve adoperare un linguaggio caotico proprio per rivelare i secondi fini del Potere; oppure se il linguaggio diretto a tema storico abbia veramente la stessa efficacia politica della metafora. Dilemma che i lettori di Walser e Sciascia sono chiamati a sciogliere per la evidente complessità delle relative analisi.

Giuseppe Moscatt

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