Ancora Rumiz
“la
Repubblica” 19 agosto 2007
“A Sibari è
morto Erodoto…Pitagora, dimenticato da Crotone, e Archimede, ignorato a
Siracusa
Annibale “fu ospitato dai Bretii, i montanari della
Sila…Era un popolo indipendente-narra l’archeologa (Silvana Luppino) –che
procurava ai naviganti alberi maestri e la miglior pece del Mediterraneo”. Cosenza era il quartier generale, che in latino vuol dire Consentia, il luogo del consenso, del
“patto di alleanza”.
Temuti dai
Greci e invisi ai Romani, furono
duramente puniti quando Annibale se ne tornò in Africa. I loro terreni
vennero requisiti. I loro diritti aboliti…La casa di Antonio Milano, professore
di latino a Lamezia, pare la torre di controllo di un aeroporto…Lassù c’è Cosenza “senza mura come l’antica Sparta”…lì
i marosi di Squillace, il grande capolinea
da dove il Cartaginese lasciò l’Italia nel 203…Bretii, per carità, viene dal
greco Brevttioi”.
Sono i Calabresi.
Anche la loro ’ndtrangheta viene dal greco: ajndragaqiva, virtù virile.
20 agosto “la Repubblica”, p. 33.
“Apro il dizionario
mitologico, lo esploro con la torcia, cerco di Crotone, e scopro con un brivido
che capo Lacinio, o Capo Colonna (delle Colonne) che dir si voglia, è il punto
terminale del viaggio di Ercole, prima dell’imbarco per la Sicilia.
Ercole-Annibale e Crotone
Ancora Ercole! Il viaggio di Annibale è tutto sulle sue
tracce. Parte dal suo tempio a Cadice, continua per la “Via haerculea”, valica i Pirenei dove l’eroe ha amato una ninfa (Pirene), passa le Alpi sempre sulla sua strada, e
così avanti fino in Lazio. Se avevo dubbi che Annibale avesse costruito la sua
strada apposta per entrare in un mito erculeo, ora non ce l’ho più. Crotone DOVEVA essere il suo imbarco. Lì due ricchi mandriani di nome Kroton e
Lakinos rubano al gigante parte delle mandrie, e quelle mandrie vengono
da…Cadice. A Crotone lui li ammazza,
costruisce il tempio di Era-la dea contenuta nel suo nome Era-kles-e quel
tempio è puntato verso le porte dell’alba esattamente come il porto di Cadice è
aperto verso l’Oceano, sulle leggendarie “porte della notte”. Simmetria
perfetta.
Il latifondo
“Latifundia perdidere Italiam…lo
aveva capito già il vecchio Plinio,
grandissimo storico dell’antichità. La sentenza mi batte in testa da giorni, da
quando ho ricevuto uno straordinario regalo di Roberto Cerati, glorioso
patriarca di casa Einaudi. Un doppio
volume dell’82: L’eredità di Annibale di Arnold Toynbee, studioso inglese che ha
speso trent’anni sugli effetti della guerra punica in Italia….Un conflitto
durato il quadruplo della Grande Guerra non può che lasciare segni indelebili
sul territorio in cui si gioca. E’ quanto accadde all’Italia del Centro- Sud. A
piegarla, più delle distruzioni e delle rappresaglie, sono gli arruolamenti in
massa dei liberi contadini allontanati dalle loro campagne e le vendette romane contro i popoli e le
città passati-o costretti a passare-dalla parte di Annibale. Alla fine della guerra la piccola proprietà
contadina del Mezzogiorno è in ginocchio e la nobiltà italica diventa padrona
di terreni immensi requisiti agli “infedeli”. E’ allora che esplode il latifondo, il grano soppianta orti e frutteti.
I contadini scappano nelle città, i pastori transumanti dilagano, l’Appennino si riempie di
schiavi-mandriani, pastori armati pronti a diventar banditi. Forse la questione
meridionale non nasce con i Borboni o l’unità d’Italia, ma molto prima. Negli
anni di Annibale”.
Plinio il Vecchio constata nell’età flaviana
il punto di arrivo di un processo iniziato già al tempo delle guerre
annibaliche.
Trimalcione vanta i suoi
smisurati e imperscrutabili latifondi:"deorum beneficio non emo, sed
nunc quicquid ad salivam facit, in suburbano nascitur eo, quod ego adhuc non
novi. dicitur confine esse Tarraciniensibus et Tarentinis. nunc coniungere
agellis Siciliam volo, ut cum Africam libuerit ire, per meos fines navigem"
(Satyricon,48, 2), grazie a dio non
compro niente, ma ora tutto quanto fa venire l'acquolina in bocca nasce in quel
podere vicino alla città che io ancora non conosco. Si dice che fa da confine
con le terre di Terracina e quelle di Taranto. Ora con dei campicelli voglio unire la Sicilia, in modo che, quando
mi andrà di recarmi in Africa, possa navigare lungo le mie terre.
Qui si trova il problema del latifondo che si estende dal I secolo d.
C. a partire dall'Africa.
"Ma indubbiamente anche in Italia le grandi tenute divennero
sempre più estese e a poco a poco assorbirono le fattorie di media estensione e
i poderetti contadineschi. Seneca lo dice esplicitamente ; ed egli poteva ben
saperlo, essendo uno degli uomini più ricchi d'Italia, se non addirittura il
più ricco, sotto Claudio e Nerone, e proprietario egli stesso di vaste tenute…Le
tenute di media estensione furono a poco a poco rovinate dalla mancanza di
vendita e vennero acquistate a buon mercato da grandi capitalisti. Questi
ultimi naturalmente desideravano di semplificare la gestione delle loro
proprietà, e, paghi di ottenerne un reddito sicuro se pur basso, preferivano
dare la loro terra ad affittuari e produrre prevalentemente grano".
In Italia vengono meno le
culture intensive di vite e olivo poiché le province, divenute autarchiche, non
assorbono più questi prodotti. Quindi si torna a coltivare il grano con metodi
non razionali: i braccianti, schiavi o liberi, non forniscono un lavoro di
qualità; i proprietari assenteisti del resto non li seguono.
Caso di Locri e di Quinto
Pleminio. “Sembrano storie di ‘ndrangheta, ma è una ‘ndrangheta romana. E’ un
andazzo generale. Dopo la partenza di
Annibale, i governatori locali cominciano a trattare le popolazioni italiche
come colonie sub-sahariane. Saranno i fratelli Gracchi (poi uccisi) a
lamentarsene in Senato in un discorso del 173 a. C. (sic!
È una data sbagliata: i Gracchi non erano nati: Tiberio 163-132; Gaio 154-121) ) riportato da Aulo Gellio. Ne trovo nel
libro dei passi illuminanti “Un console andò a Teano. Sua moglie disse che
voleva servirsi dei bagni degli uomini e si ordinò al questore di cacciarne
quelli che li stavano usando. Ma la signora riferì al marito che i bagni non
erano stati messi prontamente a sua disposizione e che non erano puliti. Per
questo motivo si piantò un palo nel foro e vi si condusse Marco Mario, il
membro più autorevole della comunità che fu spogliato e frustato. Quando gli
abitanti ne furono informati, introdussero una regola per cui nessuno doveva
usare i bagni quando un magistrato romano si trovava in città”.
“la Repubblica 21 agosto La
grande battaglia (di Zama) Paolo Rumiz
“Siamo seduti sull’erba alta,
sulla collina di Zama Regia, con i testi di Polibio e di Tito Livio in mano….Scipione ha rinunciato da tempo alla realtà
romana. E’ diventato più callido di Annibale. Ha occupato mezza Tunisia
fregando i Cartaginesi con spie travestite da ambasciatori, operazione che gli
consente di dare alle fiamme gli accampamenti del nemico. Da Annibale ha anche imparato la manovra avvolgente…La perfeziona,
la adatta alla fanteria pesante romana. Per la prima volta è in vantaggio come
numero di uomini e anche come cavalleria…ha
con sé i Numidi di Massinissa, ex alleati di Annibale, ora passati dalla sua
parte…
Annibale è
una volpe, compie proprio a Zama il suo capolavoro. Attira Scipione in una
trappola statica. Manda i suoi Numidi in
fuga e costringe le cavallerie romane all’inseguimento, dirottandole dalla
manovra a tenaglia. Poi lascia i suoi “invincibili”-i veterani della campagna
d’Italia-fermi in retroguardia, per schiantare i Romani già stanchi
dell’assalto.
Scipione è in difficoltà ma i
suoi non mollano. Sono anche loro uomini anziani, ma a differenza dei
Cartaginesi mai hanno sentito in bocca il gusto della vittoria. Sono i superstiti del carnaio di Canne.
Uomini cui Roma mai ha espresso gratitudine: reparti di punizione, tenuti in
Sicilia per dieci anni, lontano da casa, a purgare la sconfitta.. Si faceva
così allora: compassione zero per i perdenti”.
A meno che fossero consoli:
cfr. Varrone
“Cartagine non puniva i
soldati ma crocifiggeva i generali sconfitti. Quei veterani Scipione se li è
visti assegnare dal Senato, ed è un regalo al veleno….ma lui trasforma quei
disperati nel suo percussore…Le legiones cannenses tengono duro finché le cavallerie romane, sconfitto il
nemico, tornano sul campo a dare la bastonata finale, come il generale Bluecher
a Waterloo contro Napoleone…M’hamed Hassin Fantar, gran professore di
Tunisi, mi aveva avvertito: “Qui Annibale è un mito, conserva un, aureola e un
prestigio immenso nonostante la sua sconfitta militare”.
Brizzi traduce Livio XXX, 32
con lo schieramento annibalico.
la Repubblica 22 agosto, p. 35 Rumiz L’ombra del
Minotauro
“E’ il 189. Sono passati 13 anni da Zama e Annibale è approdato a Creta…Di
lui si sa pochissimo, tranne che compare qua e là come una una meteora nel
buio. Ricapitolo le tracce del vecchio leone dopo la sconfitta di Zama. Nel 201
lui spiazza di nuovo tutti e diventa il miglior garante della pax romana. Fa di più: sorveglia il
pagamento dei danni di guerra e riesce a
risanare le finanze di Cartagine. Attacca i privilegi dei ricchi, ne
denuncia gli abusi, scoprendo scandali finanziari, e per questo si mette in urto con la classe dirigente che comincia a
complottare contro di lui. Patria ingrata! Un’ambasceria è mandata a Roma,
dall’ex nemico, perché il vincitore di Canne sia tolto di mezzo, ma lui fiuta
il pericolo salta su una nave e scappa
fino a Tiro, nell’attuale Libano. Anche lì non ha pace. Si sposta a Efeso e incontra Antioco, re
di Siria. Gli dà consigli strategici, torna per suo conto in Libano-l’antica
Fenicia- e gli procura una flotta. I romani s’inquietano, temono che il nemico
risorga dalle ceneri, e ne richiedono la
consegna ad Antioco. Spiegano che numquam
satis liquebit nobis in pace esse populo romano, ubi Hannibal erit, non sarà mai chiaro per noi Romani il fatto di
essere in pace dove ci sarà Annibale….
Il sogno di Annibale nel De divinatione (24) di
Cicerone (del 44 a. C.)
Anche Annibale sognava, e spesso erano brutti sogni. Il più orrendo lo
fece prima dell’avventura italica, un anno prima di varcare i Pirenei con i
suoi novantamila uomini. Cicerone ne
scrive nel suo De divinatione,
dedicato ai presagi. La fonte indicata è Sileno di Calatte, una storia
greca seguita da Celio: is autem
diligentissime res Hannibalis persecutus est.
“Dopo la presa di Sagunto
Annibale sognò che era chiamato da Giove al concilio degli dèi. Lì gli venne
ordinato di portare guerra all’Italia e gli venne dato un dio come guida.
Seguendo le sue indicazioni, cominciò a marciare col suo esercito. Quel dio,
allora, gli ordinò di non voltarsi e non guardare mai indietro. Ma lui non
riuscì a resistere, e, cedendo alla bramosia di vedere, si voltò”
Tum visam beluam vastam et immanem circumplicatam
serpentibus…Vide una belva enorme e
orrenda, circondata di serpenti, la quale, ovunque passava, abbatteva ogni
albero, ogni virgulto, ogni casa. Annibale stupefatto chiese al dio (Melqart)
che lo guidava cosa fosse mai un mostro simile, e il dio rispose che quella era
vastitatem Italiae, la devastazione
dell’Italia, e gli ordinò di continuare il cammino senza curarsi di ciò che
avveniva alle spalle ut pergeret protinus, quid retro atque a tergo fieret ne laboraret”….Il
mostro era davvero la devastazione dell’Italia, oppure altro?...Il mostro deforme non era piuttosto la
resistenza di Roma, la sua testarda volontà di resistere nonostante le ripetute
sconfitte?
L’uomo senza pace era nascosto a Creta, e
intanto Roma vinceva in tutto il Mediterraneo, aveva conquistato la Spagna,
vinto in Africa, battuto i Macedoni impegnandosi in una nuova durissima guerra
subito dopo quella con i Cartaginesi. E
allora quel mostro non era forse la
micidiale forza organizzativa di una potenza capace di affrontare qualsiasi
sacrificio? Non era la durezza
implacabile e la disciplina di una classe dirigente in grado non solo di
conquistare ma anche di governare i territori tessendo relazioni d’elite?
Ma certo. Ora ne sono sicuro. L’idra era
semplicemente Roma imperiale, cui Annibale aveva tolto ogni freno
inibitore”.
Quindi Rumiz raconta
l’aneddoto del dei due nemici, un generale nazista fatto prigioniero (Heinrich
Kreipe) e il nemico (Patrick Fermor )
che l’ha catturato i quali, nell’aprile del 1944, vedendo l’Ida innevato
si scambiano i versi di Orazio sul Soratte: “Vides ut alta stet nive candidum Soracte”…Nec iam sustineant onus silvae laborantes geluque flumina constiterint
acuto. Fermor 60 anni dopo commenta: “quant’erano preparati i militari una
volta…Io ero stato mandato in Grecia perché avevo studiato Omero, e Kreipe
aveva fatto otto anni di studi classici. Sono cose che non esistono più. Mentre
penso alla straordinaria forza di quelle
fonti millenarie, capaci di avvicinare anche acerrimi nemici, il cameriere
mi porta una birra Mythos con un’occhiata complice. E’ come se mi dicesse: “Non
avere dubbi, il tuo non è un viaggio visionario”. Grandiosa birra greca con
vista”.
Cornelio Nepote
racconta che Annibale nel 193 si recò da Antioco e che combattè per lui nel mare di Pamfilia
contro la flotta dei Rodii la quale prevalse per superiorità numerica, ma nel
settore da lui comandato Annibale riuscì vincitore. Dopo la sconfitta di Antioco andò a Gortina in Creta. Ma qui il vir callidissimus omnium si accorse di essere in pericolo propter avaritiam Cretensium: magnam enim
secum pecuniam portabat. Allora riempì molte anfore di piombo, e ne coprì
la parte superiore con uno strato di oro e argento, poi le depose pubblicamente
nel tempio di Diana, simulans se suas
fortunas illorum fidĕi credere. Depistatili, mette l’oro in alcune statue
di bronzo che aveva con sé. Così illusis Cretensibus si recò in Bitinia.
Qui aizzava Prusia contro i Romani.
Nel 184 combatté contro Eumene di Pergamo sconfiggendo la flotta dei pergameni con un lancio di
serpenti. Poi la morte, a 70 anni. Scrisse libri in greco.
Sosilo spartano
fu il suo maestro di lingua greca. Seguì Annibale durante la spedizione di cui
scrisse un resoconto in 7 libri. Ci è arrivato un frammento del IV libro in un
papiro.
“la Repubblica 23 agosto, p. 31.
La guida armena “mi insegna a
scrivere “Hannibal” in alfabeto armeno, poi mi apre un testo di Plutarco “Il re
Artassa-c’è scritto- rimase contento dell’idea di Annibale e lo pregò di
assumere lui stesso la direzione dei lavori. Sorse così un modello di città grande e assai bella che, assunto il
nome stesso del re, fu proclamata capitale dell’Armenia” Plutarco, Vita
di Lucullo 31, 4 ss.
Annibale andò dal re di Armenia Artassa dopo la sconfitta di
Antioco (189 Magnesia) e dopo Creta. Gli
fece notare come fosse molto bella una zona incolta e negletta. Quindi disegnò una pianta della città da costruire
in quel punto. Il re lo pregò di assumere la direzione dei lavori. Così
sorse una città modello grande e bella.
“Cosa cercava Annibale su
queste montagne? Forse niente di diverso da ciò che lo spinse a sfidare la
morte in battaglia. L’immortalità della memoria. Ma se è così, forse c’era
ancora Ercole, il suo mito, a indicargli la strada. Eracle uccisore di mostri e costruttore di città….”Ma lui raggiunse
il suo scopo?” chiede alla fine il pastore
Sì gli dico-se è vero che
oggi parliamo ancora di lui. Annibale credeva solo nell’immortalità della
memoria. E poi: “Vedi Vardges, se quell’uomo non fosse esistito 2200 anni fa,
noi non ci saremmo mai conosciuti”.
“la Repubblica” 24 agosto, p. 35
“Proprio qui sotto
l’Ararat…piega verso il Bosforo, dove si compie la parabola della sua vita….Annibale NON va a Oriente per NON seguire
Alessandro, per non essere la copia di nessuno. Le strade altrui non gli
interessano. Vuole aprirne di nuove, come il
suo grande modello, Ercole uccisore di mostri e fondatore di città…Ed è
appunto una città che egli fa costruire.
La seconda, dopo l’armena Artaxata. Il
suo nome è Prusia, in onore di Prusa, il re di Bitinia che accetta di ospitarlo,
ma nei secoli diventerà Bursa, prima capitale dell’impero ottomano. Se esiste
davvero una traccia del suo passaggio in terra, eccola: sta sull’acropoli di
Bursa.
La Bitinia è vicina alla
propontide
La morte di Annibale
Non sul campo di Canne o di
Zama, dove non è rimasto nulla, ma in
Anatolia, a due passi dall’antica Troia, dove l’Asia finisce sul mar di
Marmara…E’ lì che la storia finisce, nel
183 avanti Cristo, vent’anni dopo la partenza dall’Italia. Il cartaginese si è costruito un buen retiro
a Libyssa, l’attuale Gebze, 40 chilometri a est di Bisanzio, ma i Romani
non lo lasciano in pace nemmeno lì. Un’ambasceria
guidata da Tito Quinzio Flaminino è andata dal re Prusa per chiedere la testa
dell’illustre protetto, e questi, per non inimicarsi la Grande Potenza, ha
accettato di tradirlo. Quando Annibale si scopre circondato, si fa dare il
veleno “tenuto in serbo da tempo per un evento del genere”.
“Liberiamo il popolo romano
dalla sua angustia-esclama, prima di morire, nella cronaca di Tito Livio-se
esso trova che duri troppo l’attesa della morte di un vecchio. Né grande né
gloriosa è la vittoria che riporterà Flaminino su un uomo inerme e tradito.
Basterà questo giorno a dimostrare quanto sia mutata l’indole dei Romani. I
loro avi misero sull’avviso il re Pirro, loro nemico insediato con un esercito
in Italia, che si guardasse dal veleno. Questi di oggi, invece, istigano…a
uccidere un ospite”. Poi, continua Livio, “dopo avere imprecato contro la
vita…e invocato gli dei ospitali a testimoni della fiducia violata dal re,
vuotò la tazza” Haec vitae exitus fuit
Hannibalis…Aveva 64 anni…So che da quelle parti l’imperatore romano Settimio Severo, intorno al 195 dopo Cristo, trovò
un tumulo di pietre col nome di Annibale e lo fece ricoprire di Marmo bianco…Settimio
era nato in Africa (a Leptis Magna nel 145) come il Cartaginese, e non aveva più imbarazzi a ricordare il
grande conterraneo dopo secoli di damnatio
memoriae…Plutarco Vita di Flaminio, capitolo 20, paragrafi
5 e 6. “sembra ci fosse una vecchia profezia sulla sua morte. Così recitava:
‘una zolla ricoprirà il corpo di Annibale’. L’interessato credette che il
riferimento fosse alla Libia e dunque a una sua sepoltura a Cartagine, e che là
avrebbe finito i suoi giorni. Ma vi è in
Bitinia una regione sabbiosa presso il mare e lì un piccolo villaggio chiamato Libyssa”…Era stato tradito da un
gioco di parole. “Gebze, stazione di Gebze, fine corsa”.
Pesaro 16 settembre 2024 ore
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