Il Piz Meda situato a sinistra delle prime rampe in salita che menano al passo san Pellegrino non è molto alto, arriva appena ai 2000 metri e consta di un grande bosco sopra il quale spicca una parete rocciosa simile a un volto umano sereno e dignitoso.
Tra il bosco e la rupe dove ho sempre ravvisato una faccia di donna buona si stende una conca invisibile a chi guarda dal fondo valle dove scorre l’Avisio; per vederla bisogna salire sul Pizzo stesso o su un monte vicino. Quando ero bambino avrei tanto voluto osservare quella misteriosa incavatura come se ci avessi potuto trovare l’anima, o il cuore, o la vagina della montagna. La parte posteriore visibile scendendo dal passo era amena, ora so e oso dire callipigia non senza autoironia.
Una volta, ricordo, dissi alla zia, nutrice e madre vicaria in quel di Moena: “Giulia, il Piz Meda ha una faccia simpatica. Mi piacerebbe vedere la conca che le sta sotto: forse lì c’è un piccolo lago che raccoglie le lacrime o riflette i sorrisi di quel viso”.
Ma la zia era stata maestra fascista in diversi paesi europei con soddisfazione e trovò inopportuna, impertinente, inquietante la mia osservazione.
“Bambino-disse- non hai più l’età per fare discorsi tanto sciocchi. Vai a ripassare la tavola pitagorica piuttosto, che ti farà tanto bene”.
“Perché sciocchi?” provai a ribattere.
“Sciocchi sì: non sono punto intelligenti né spiritosi bensì sciapi e assurdi”.
Andai in camera dispiaciuto pensando che avrei fatto vedere alla zia che valevo qualcosa smentendola e dandole del resto grandi soddisfazioni perché lei, donna sposata ma senza figli, puntava molto su di me, sul mio essere bravo a scuola. Lei stessa è stata una brava maestra dai 17 ai 65 anni. Ho preso molto da lei, perfino i capelli rimasti neri fino ai Settanta anni e oltre.
Nelle elementari Carducci di Pesaro ero già molto bravo in italiano. La zia Giulia insegnava a Roma nel quartiere Monte Sacro ma si teneva informata sulla mia “carriera scolastica” già allora, e dopo tutto mi ammirava. Temeva però che potessi traviarmi seguendo il volo delle mie chimere irregolari e mostruose.
Fu contenta quando nel 1987 andai a fare il commissario di greco e latino nel liceo classico Orazio nel suo quartiere.
Date queste attese sul mio conto, trovava che le mie fantasie non si confacessero a quanto lei si aspettava. Per fortuna in terza elementare avevo un maestro che invece le apprezzava e faceva girare i miei temi in tutte le classi
Sicché davo retta a lui che mi incoraggiava a essere me stesso.
Alla zia volevo bene ma non volevo farmi fuorviare da lei che del resto mi avrebbe aiutato a vivere dignitosamente quando lo stipendio non me lo avrebbe consentito. Negli ultimi anni di vita diceva che ero la persona più intelligente che avesse mai conosciuto.
La casa di Moena però non volle assegnarmela: disse che ci avrei portato chissà quante donne e il prete sarebbe venuto a bussare alla porta. Risposi che l’avrei buttato giù dalle scale. Infatti da sciocchino ero diventato birbante e lazzarone. Le sono grato comunue.
Quel 13 aprile dunque le cose mi andavano già meglio di quando ero considerato giannetto sciocchino: diverse donne mi avevano amato riamate, però il problema di fondo: quello di amarne una senza paura, senza sospetto, non l’avevo risolto. Non l’ho mai risolto. Avrei potuto amare una figlia mia, lei sì, come ho amato tutte le mie consanguinèe, ma non ho avuto il coraggio di metterla al mondo e le amanti giovani quasi adottate come figlie, dopo avermi accolto con il cuore proteso, presto o tardi si sono dileguate. Una alla volta via via.
Giustamente per sé e ancora più giustamente per me.
Pesaro 20 settembre 2024 ore 11, 05 giovanni ghiselli
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