La mattina seguente chiedevo lumi al Piz Meda. Ma la sua roccia in forma di faccia umana taceva. Allora provai a guardare una rupe bicipite del Catinaccio: una la cui forma mi aveva fatto sempre pensare a una madre con il figlio piccino in braccio. Mi tornò in mente il dogma della Vergine madre. Mi avvelenava ancora, non l’avevo già rifiutato.
“Una vergine voglio: per amarla senza riserve” pensai. A trentaquattro anni suonati non era arrivato a una considerazione razionale dei fatti naturali “naturae species ratioque”.
Lo studio di Lucrezio mi aveva erudito ma non ancora educato: il sapere non era diventato sapienza. Avverrà solo qualche anno più tardi riguardo alla verginità: quando conobbi una vergine disonesta e incapace.
Allora non capivo che i veri difetti di Ifigenia non stavano nel suo imene bensì nell’egoismo, nell’esibizionismo, nella scarsa disciplina mentale.
Vagai inquieto per le vie del paese rimuginando pensieri confusi, cercando una chiarezza e un equilibrio tra questi. Di Ifigenia apprezzavo molto le belle membra e la volontà di imparare. Non era poco pensandoci bene.
Poco prima delle sei, il sole richiamò la mia attenzione aprendosi un ampio varco tra le nuvole. Era già prossimo alla soglia del talamo. Entro qualche minuto vi sarebbe entrato chiudendo l’uscio.
Si trovava molto vicino al dorso del Sass da Ciamp e ne faceva ardere gli abeti come brace che sprizza scintille incandescenti. Quindi, toccata la schiena del monte, sembrava girare vorticosamente come una sega circolare e polverizzare la poca neve rimasta, tagliuzzare le piante, frantumare le rocce sgretolandole in un pulviscolo rosso.
Da Someda osservavo il primo fra tutti gli dei adorandolo, e gli rivolsi una preghiera ad alta voce: “Con il tuo fuoco catartico, Signore, Mente dell’Universo, brucia i bubboni della mia mente schiava, malata, ammorbata dai furfanti bigotti, rapaci profanatori del tuo volto santo. Rendimi puro e capace di amare un’altra donna pura di cuore come era Elena”.
Un anziano con la moglie passavano vicino a me che pregavo e il marito disse: “che vergogna! così giovane e già ubriaco a quest’ora!”.
Quel “giovane” mi fece bene e anche l’”ubriaco” perché mi sentivo pieno di spirito santo come gli Apostoli nel giorno della Pentecoste: et repleti sunt omnes Spiritu sancto” mentre venivano presi per ubriachi: “musto pleni sunt isti” (Atti degli Apostoli, 2, 4 e 13)
Mi girai e sorrisi al vecchio uomo con gratitudine per l’ottimo segno vocale che, senza sapere, mi aveva lanciato.
Pesaro 20 settembre 2024 ore 11, 40. giovanni ghiselli
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