NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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sabato 18 maggio 2019

Gli eterni nemici della cultura e della vita. Uccisioni di ragazze


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Titanomachie, Gigantomachie: battaglie degli dei contro gli eterni nemici della cultura raffigurate splendidamente in fregi di templi antichi.
La lotta dell’ordine contro il caos è il tema di tutta la cultura greca arcaica e classica: non solo di quella letteraria, ma pure dell'arte figurativa: le sculture del maestro di Olimpia con la lotta tra Centauri e Lapiti del frontone occidentale del tempio di Zeus; le metope del Partenone con centauromachia, amazzonomachia, gigantomachia, ora in gran parte nel British Museum di Londra; la gigantomachia, fregio dell'altare di Pergamo[1] che ora si trova a Berlino, esprimono la stessa idea . Infatti "non esiste… una vita nobile ed elevata senza la conoscenza dei diavoli e dei demoni e senza la continua battaglia contro di essi"[2], contro "giganti e titani, miticamente, gli eterni nemici della cultura"[3].

Adesso le persone perbene devono opporsi con forza alle menzogne delle propagande, ai consumi che producono inquinamento, ai rigurgiti razzisti, alla cattiva scuola, all' egoismo diffuso, all'epidemia della malevolenza, insomma a tutto ciò che offende la bellezza e la bontà della vita. Ricordo tempi belli: i primi anni Settanta. Allora era diffusa la benevolenza, allora i lavoratori fruivano di uno statuto buono che li difendeva dalla schiavitù, allora la terra e il cielo ci sorridevano e noi uomini sorridevamo alle donne che rispondevano ai nostri sorrisi. Ora prevalgono la diffidenza, la mutria o l'irrisione della sghignazzata, l'inganno, il raggiro. Direte che sono un vecchio laudator temporis acti me puero. E' un poco vero anche questo, ma ciò non toglie che pure il resto sia vero.
Dimenticavo la violenza sui più deboli. Casi di ragazze sgozzate come animali al macello
I due Atridi dissoi; jAtrei'dai kai; lew;" jAcaiikov" e l’esercito Acheo (Euripide, Ecuba, 510) hanno mandato l’araldo Taltibio da Ecuba perché ordini alla madre di seppellire la figlia che è morta.
Ecuba naturalmente grida 
oi[moi (511) e w\ tavlain j ejgwv per la perdita di tanti figli. Domanda poi come sia stata uccisa: con rispetto - a\r j aijdouvmenoi (515) o arrivando a compiere to; deinovn l’orrore tremendo di ammazzarla come nemica ?
Taltibio dice di avere provato compassione. Poi racconta: “la prese per mano il figlio di Achille seguito da un manipolo di Achei scelti -
lektoi; t j jAcaiw'n (Ecuba, 525). Detto forse da Euripide con ironia come fa Lucrezio con “ductores Danaum delecti, prima virorum” (De rerum natura, I, 86) a proposito del sacrificio di Ifigenia.
Questi 
lektoiv dovevano trattenere con le mani l’eventuale skivrthma movscou (526) balzo della vitella.
Cfr 
divkan cimaivra~ dell’Agamennone (232) dove Ifigenia è sollevata sull’altare del sacrificio “come una capra”.
In questa tragedia di Eschilo, il padre 
hJgemw;n oJ prevsbu~ (v. 185), il comandante anziano delle navi achee, per risparmiare il tempo già molto sciupato nell’attesa che si placassero i venti kakovscoloi (193), forieri di ozio cattivo, naw'n kai; peismavtwn ajfeidei'~ (195), sperperatori di navi e cordami, non osò diventare lipovnau~ (212), disertore della flotta e invece e[tla quth;r genevsqai qugatrov~ (224 - 225), osò divenire sacrificatore della figlia, la primogenita Ifigenia, che venne sollevata sull’altare divkan cimaivra~ (232), come una capra, imbavagliata per giunta affinché non potesse proferire maledizioni contro la casa.

Polissena muore ammazzata senza perdere il suo rango e il suo stile
Neottolemo vuota una coppa d’oro sulla tomba del padre poi fa cenno a Taltibio di ordinare il silenzio - Quindi l’araldo trasmette l’ordine Siga't j , jAcaioiv, si'ga pa'" e[stw lewv" (532)
Taccciono tutti tranne il figlio di Achille: prega il padre wJ" pivh/" di bere il nero puro sangue della ragazza, ai\ma sangue o{ soi dwrouvmeqa che noi ti doniamo. In cambio il giovane domanda di concedere a ciascuno di tornare in patria con un ritorno favorevole (540 - 541).
Cfr. Lucrezio exitus ut classi felix faustusque daretur (I, 100)

Sappiamo che nel ritorno i Greci da Agamennone a Odisseo subirono ogni tribolazione se non anche la morte. Nelle Troiane Atena chiede a Poseidone di farli naufragare i greci e Cassandra profetizza le loro sciagure.

Quando Neottolemo ebbe impugnato la spada, Polissena parlò in maniera davvero nobile, da sorella di Ettore e principessa di Troia: ejkou'sa qnhvskw: mh; ti" a{yhtai croov" - toujmou' (Ecuba, 548 - 549), di mia volontà muoio, nessuno tocchi la pelle mia, offrirò infatti la gola con cuore saldo.
Ovidio:
Vos modo, ne Stygios adeam non libera manes,
este procul, si iusta peto, tactuque viriles
Virgineo remevete manus! Acceptior illi
Quisquis is est, quem caede mea placare paratis,
liber erit sanguis; …” (Metamorfosi, XIII, 465 - 469),
ora voi, perché io non scenda non libera alle ombre Stigie
state lontani, se chiedo il giusto, e allontanate le mani
di maschi dal contatto con la vergine! Più gradito a quello
chiunque lui sia, che vi accingete a placare ammazzandomi,
sarà il sangue libero…

Ammazzatemi lasciandomi libera, perché muoia libera - wJ" ejleuqevra qavnw (Ecuba, 550), io che sono di stirpe regale basiliv" non voglio essere chiamata schiava (douvlh, 552)
Polissena ha osservato persino l’etichetta della principessa pur in un momento che avrebbe sconvolto chiunque ma, come si dice, noblesse oblige. La folla apprezzò e aplaudì. Agamennone ordinò ai guardiani di scostarsi. Polissena lacerò il proprio peplo dalla spalla all’ombelico e scoprì le mammelle e il petto bellissimo come di statua - mastouv" tj e[deixe stevrna q j w" ajgavlmato" - kavllista (560 - 561).
Poi la principessa posò a terra il ginocchio.
Cfr.Lucrezio e la sua Ifigenia, molto diversa muta metu genibus summissa petebatDe rerum natura, I, 92.

 Quindi Polissena disse parole piene di coraggio: ecco, giovane pai'son, colpisci il petto se vuoi, o la gola che è qui pronta - laimo;" eujtreph;" o{de (Ecuba, 565).
Il figlio di Achille per compassione della ragazza non volendo e pure volendo - o[ d j ouj qevlwn te kai; qevlwn oi[ktw/ kovrh" (566), taglia con il ferro i canali del respiro tevmnei sidhvrw/ pneuvmato" diarroav" (567).
Mentre moriva, la principessa troiana si dava comunque molta cura di cadere in bella forma pollh;n provnoian ei\cen eujschvmwn pesei'n (569) con decoro, coprendo ciò che si deve coprire rispetto agli occhi degli uomini - kruvptous j a} kruvptein ommat j ajrsevnwn crewvn (570).
Ovidio scrive:
pertulit intrepidos ad fata novissima vultus
tunc quoque cura fuit partes velare tegendas
Cum caderet, castique decus servare pudoris” (Metamorfosi, XIII, 478 - 480), portò avanti lo sguardo fiero fino all’ultimo istante concesso e anche allora cadendo ebbe cura di tenere celate le parti da coprire e di conservare il decoro del casto pudore.

Quindi la ragazza muore e tutti si davano da fare per onorarla, alcuni dalle mani gettavano foglie - ejk cerw'n fuvlloi" e[ballon sul cadavere, altri accatastavano tronchi di pino per il rogo.
Chi non faceva niente veniva apostrofato con w\ kavkiste (577) non hai nulla da offrire a un’anima così nobile? Taltibio conclude il racconto dicendo che in Ecuba vede eujteknwtavthn te se pasw'n gunaikw'n dustucestatavthn q j oJrw' (581 - 582) la donna che ha avuto i figli migliori di tutte e anche quella che ha avuto la sorte peggiore.

Anche Seneca nelle sue Troiane descrive la morte di Polissena con ammirazione nei confronti della ragazza che conserva il pudore verginale, “…et tamen fulgent genae - magisque solito splendet extremus decor - ut esse Phoebi dulcius lumen solet - iam iam cadentis…” (1138 - 1141) e tuttavia splendono le guance, e più del solito brilla il fascino ultimo come suole essere più dolce la luce di Febo al tramonto.
La folla è stupefatta e quasi tutti la ammirano: alcuni li commuove formae decus (1144) la bellezza della persona, altri mollis aetas (1145), la tenera età, altri vagae rerum vices le turbinose vicende della vita, tutti comunque colpisce l’animo forte che va incontro alla morte movet animus omnes fortis et leto obvius (1146) . Quando il figlio di Achille si erse sul tumulo paterno audax virago non tulit retro gradum (1151), l’audace eroina non indietreggiò, conversa ad ictum stat truci vultu ferox (1152), protesa al colpo sta dritta e fiera con sguardo minaccioso.
 Non manca il consueto tocco deformante, pre - espressionistico di Seneca.
Un tale coraggio colpisce tutti; il figlio di Achille ne è commosso, forse addirittura spaventato: “novumque monstrum est Pyrrus ad caedem piger” (1154), c’è un prodigio mai visto Pirro è restio a versare il sangue
Però poi colpisce la ragazza e il sangue esce a fiotti dal largo squarcio. “Nec tamen moriens adhuc - deponit animos: cecidit, ut Achilli gravem - factura terram , prona et irato impetu” (1157 - 1159) Polissena perde molto sangue ma non il coraggio, cadde, come per rendere pesante la terra ad Achille, distesa e con impeto selvaggio. Uterque flevit coetus; at timidum Phryges - misere gemitum, clarius victor gemit”, l’uno e l’altro popolo pianse, ma i Frigi emisero un gemito sommesso, il vincitore più sonoro.
La corifea commenta dicendo: una terribile sventura deinovn ti ph'ma (583) è caduta sui Priamìdi e sulla mia città per le necessità degli dèi.
Ecuba si sente sopraffatta dai mali e non sa quale osservare pollw'n parovntwn, poiché sono troppi e si accavallano. Il tuo pavqo", Polissena, mi induce a piangere, eppure mi hai tolto l’eccesso del dolore dopo che mi sei stata raccontata come sei morta da nobile (Ecuba, 592), in maniera degna della tua stirpe.
Ecuba dunque prova “una strana consolazione” per la nobiltà con la quale la sua ragazza è morta, splendendo di bellezza, come un’opera d’arte, e parlando con il coraggio di un eroe:

In un’altra tragedia di Euripide la nobiltà d'animo di Ifigenia nell’affrontare il sacrificio fa innamorare Achille, lo accende addirittura di desiderio: “ma'llon de; levktrwn sw'n povqo" m' ejsevrcetai - ej" th;n fuvsin blevyanta: gennaiva ga;r ei\” ( Ifigenia in Aulide, vv. 1410 - 1411), di più mi prende il desiderio del tuo letto nuziale mirando alla tua natura: infatti sei nobile.




[1] 180 - 160 a. C.
[2] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 293.
[3] J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore, p. 144.

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