Menandro |
Dalla conferenza tenuta il 29 aprile nella biblioteca Scandellara
L’amore malsano
trova esche e nutrimento nell’otium.
In Catullo e
nella
tradizione elegiaca latina l’amore sottrae il poeta ai negotia del civis
e del miles, collocando l’amante nella nequitia, nell’
indolenza, nell’otium di chi si sottrae ai doveri politici e
militari.
51, 13 - 16
Otium, Catulle, tibi molestum est;/otio exsultas
nimiumque gestis./
Otium et reges prius et beatas/perdidit urbes.
Tutt’altra cosa è,
naturalmente, l’otium cum dignitate, il tempo libero dedicato allo
studio e alla riflessione, all’indagare se stesso, che è altra cosa del resto
dall’accumulo dell’erudizione.
Nel De
oratore (del 55), Cicerone scrive che nell’ optima respublica sono
possibili, successivamente, il negotium sine periculo e
l’ otium cum dignitate (I, 2) , nec
otium> negotium
C’è anche lo
studio malsano: quello che non serve alla vita
Seneca disapprova
un approccio devitalizzante ai testi classici: nel De brevitate vitae[1] il filosofo sconsiglia di accorciare
la vita perdendo tempo in occupazioni che non giovano allo spirito: "Graecorum
iste morbus fuit quaerere quem numerum Ulixes remigum habuisset, prior
scripta esset Ilias an Odyssia, praeterea an eiusdem esset auctoris, alia
deinceps huius notae, quae sive contineas nihil tacitam conscientiam iuvant,
sive proferas non doctior videaris sed molestior" (13) questa fu una
malattia dei Greci, cercare quale numero di rematori avesse avuto Ulisse, se
sia stata scritta prima l'Iliade o l'Odissea, inoltre se siano del medesimo
autore, e successivamente altre notizie di questo tipo, nozioni che se le tieni
per te non giovano per niente al puro fatto di saperle, se le tiri fuori, non
sembri più dotto ma più pedante.
Il
classicista Quintiliano vuole escludere l'ombra, la solitudine e la muffa
dall'educazione del ragazzo che deve diventare un buon oratore:"Ante
omnia futurus orator, cui in maxima celebritate et in media rei publicae
luce vivendum est, adsuescat iam a tenero non reformidare homines neque illa
solitaria et velut umbratica vita pallescere. Excitanda mens est et adtollenda
semper est, quae in eiusmodi secretis aut languescit et quendam velut in opaco
situm ducit, aut contra tumescit inani persuasione; necesse est enim nimium
tribuat sibi, qui se nemini comparat "[2] , prima di tutto il futuro oratore
che deve vivere frequentando moltissime persone, e in mezzo alla luce
della politica, si abitui fin da ragazzo a non temere gli uomini e a non
impallidire in quella vita solitaria e come umbratile. Va tenuta sveglia e
sempre innalzata la mente che in solitudini di tal fatta o si infiacchisce, e
nella tenebra prende un certo puzzo di muffa, o al contrario si gonfia di vuoti
convincimenti: è infatti inevitabile che attribuisca troppo a se stesso chi non
si confronta con nessuno.
Il maestro pallido,
ossia tedioso, desta una diffidenza o addirittura una ripugnanza istintiva,
anche fisica nel giovane discepolo.
Torno all’ozio
deleterio e aggiungo un esempio mitico traendolo da Omero: quello di Egisto la
cui attività seduttiva nei confronti della donna sposata Clitennestra è
descritta e biasimata nel III canto dell'Odissea : Nestore
racconta che mentre gli eroi della guerra troiana erano laggiù a compiere molte
imprese, il figlio di Tieste se ne stava tranquillo nella parte più sicura (eu[khlo"
mucw'/ ,
v. 263) di Argo che nutre cavalli e molto cercava di sedurre con le parole (qevlgesken
e[pessin,
v. 264 ) la moglie di Agamennone la quale dapprima rifiutava l'indegno misfatto
poiché aveva un'anima nobile ed era sorvegliata da un aedo di fiducia del suo
sposo, ma alla fine cedeva (vv. 265 - 272).
L'interpretazione
di Ovidio non è troppo diversa da quella di Omero:"Quaeritis
Aegisthus quare sit factus adulter;/in promptu causa est; desidiosus erat "
(vv. 161 - 162), volete sapere perché Egisto divenne adultero? il motivo è a
portata di mano: non aveva nulla da fare. Gli altri Greci infatti facevano la
guerra e ad Argo non c'erano processi a impegnarlo. Dunque:"Quod
potuit, ne nil illic ageretur, amavit " (v. 167), fece quello che
poté per non stare là senza far niente: fece l'amore. Anche Madame
Bovary divenne adultera poiché si annoiava:"per lei, ecco,
l'esistenza era fredda come un solaio esposto a settentrione, il silenzioso
ragno della noia tesseva e ritesseva la tela nell'ombra, in ogni cantuccio del
suo animo" (p. 36).
Già
Teofrasto (in Stobeo, IV,20,66) definiva l'amore: "pavqo"
yuch'" scolazouvsh"",
la sofferenza di un'anima disoccupata.
L'
amore di Catullo procede attraverso un avvicendarsi di esaltazioni e
sconforti.
Ovidio un remedium
“otia si tollas, periere Cupidinis arcus,/contemptaeque
iacent et sine luce faces" (Remedia,
139 - 140), se togli di mezzo il tempo libero, si rompono gli archi di Cupido,
e le sue fiaccole rimangono a terra disprezzate e senza luce. Invece dell'otium dunque
viene consigliato un qualsiasi negotium[3] che tolga a Eros il terreno fertile
della desidia lo stare seduto senza fare niente
L'amore comunque ha bisogno di tempo libero
Menandro
Nel Duvskoloς di
Menandro Gorgia diffida Sostrato dal cercare di
sedurre la sorella approfittando della sua superiorità economica:
"non
è giusto
che
il tuo tempo libero danneggi noi
che
tempo libero non abbiamo. Sappi che il povero il quale
subisce
ingiustizia è l'essere più arrabbiato del mondo" (vv.293 - 296). E' questo
un invito a non esasperare il malessere dei poveri attraverso la loro
umiliazione che invece va attenuata con il rispetto e la filantropia
L'amore ha bisogno di tempo libero: Sostrato,
l'innamorato ricco, domanda al fratello della ragazza, Gorgia è:"ma per
gli dèi, non sei mai stato innamorato di una, tu ragazzo?" ( oujpwvpot
j hjravsqh" tinov", meiravkion; v.
341). E il futuro cognato, che ricco non è, risponde: "Non me lo posso
permettere, caro mio" ( oujd j e[xestiv moi,
bevltiste, v.342) Sostrato non ne capisce la
ragione e domanda:" come ma, chi te lo impedisce?" (pw'" ; tiv" e[sq j oJ kwluvwn; 344) pensando magari al vecchio misantropo, ma Gorgia
fa vedere un panorama negativo più ampio:"il calcolo dei miei guai (oJ
tw'n o[ntwn kakw'n logismov" - 344).
/che non mi dà un momento di respiro".
Anche l’apprendimento del resto ha bisogno di tempo
libero
L'araldo tebano delle Supplici di
Euripide ribatte che il governo di un solo uomo non è male: infatti il
monarca esclude i demagoghi, i quali, gonfiando la folla con le parole, la
volgono di qua e di là a proprio profitto. D’altra parte chi lavora la terra
non ha tempo né per imparare né per dedicarsi alle faccende
pubbliche:" oJ ga;r crovno" mavqhsin
ajnti; tou' tavcou" - kreivssw divdwsi (vv. 419 - 420), è infatti il tempo
che dà un sapere più forte, invece della fretta. (cfr. Kierkegaard e Kafka che
non si sposano).
Isocrate nell’Areopagitico (del
356) scrive che nel buon tempo antico
I
più poveri venivano indirizzati all'agricoltura e al commercio:" ejpi;
ta;" gewrgiva" kai; ta;" ejmporiva"" (44). Gli
abbienti invece si dedicavano alla ginnastica, ippica, caccia, e alla
filosofia. La cultura dello spirito equiparata alla ginnastica fa parte di
quella concezione della paideia come gioco elevato espressa da Callicle
nel Gorgia.
Anche
Senofonte vuole combinare equitazione ginnastica e caccia con l'amore per la
cultura intellettuale. Pure il Protagora (326c) di Platone fa
dipendere la durata dell'istruzione dai mezzi dei genitori.
Pòzdnyshev, l'uxoricida della Sonata a Kreutzer di Tolstoj[4], mette l'ozio tra le esche
ingannevoli della sua infausta passione amorosa:"Ma in realtà quel mio
amore era prodotto, da una parte, dall'affaccendata madre e dalla sarta,
dall'altra - dalla grande abbondanza di cibi che ingoiavo, e in più dalla vita
oziosa che menavo" (p. 327).
“Depravazione, si dice, è quando ci si libera dai
rapporti morali verso una donna cui si è stati carnalmente congiunti. Il fatto
è che l’amore dipende solo dall’attrazione fisica. Agli uomini interessa solo
il corpo e le donne lo mettono in risalto, anche con mezzi artificiosi (…) I
giovani innamorati fanno presto a diventare teneri, come i cetrioli sul vapore.
I nostri sensi si infiammano per l’alimentazione sovrabbondante e l’inattività
Il cibo pruriginoso: selvaggina, pesce, vini scelti va
tutto a finire in eccessi dei sensi. Poi la trappola del matrimonio. Finita la
passione, abbiamo iniziato a litigare. La donna è felice e soddisfatta solo
quando è riuscita a intrappolare un uomo e quando ci è riuscita il suo scopo è
tenerlo sotto i piedi. I figli possono placarla. Arrivammo al punto che non era
la discordia a provocare l’inimicizia ma l’inimicizia a provocare la discordia.
A trent’anni aveva una bellezza che rendeva inquieti gli uomini: era nel fiore
dei suoi trent’anni: la donna che non genera, pienotta, allettante. Gli uomini
la guardavano. Era simile a un cavallo ben pasciuto, già troppo tenuto a freno,
cui siano state tolte le briglie”.
Arriva l’adulterio con un uomo che ricevuto in casa la
guardava come tutti i lussuriosi guardano le donne belle. Lei faceva
l’indifferente, ma era agitata. Il marito era geloso. Fra i due si stabilì una
corrente elettrica tale da produrre identici sorrisi, identici sguardi. La
bestia si era acquattata in entrambi
Il marito la insulta, furibondo per la gelosia. Di lei
conosceva solo la parte animale. Ma la sofferenza maggiore consisteva nel
dubbio.
Coglie in flagrante i due amanti Dissero che facevano della
musica, Lui scappa e il marito la colpisce prima con una gomitata poi con un
pugnale
Mentre la moglie muore, per la prima volta il marito vede
in lei un essere umano Allora tutta la sua gelosia gli parve una cosa meschina.
Per quanto riguarda il cibo pruriginoso
sentiamo Ovidio che nei Remedia lo sconsiglia: "Daunius
an Libycis bulbus tibi missus ab oris/an veniat Megaris, noxius omnis erit "
(Remedia amoris, vv.797 - 798), la cipolla della Daunia o mandata dalle
coste libiche o importata da Megara sarà sempre nociva.
In questa prospettiva, ribaltata rispetto a quella
del viagra o alle pratiche cui si sottopone Encolpio contro
l'impotenza, nocivo significa eccitante.
Tale è anche la rucola:"Nec minus erucas
aptum vitare salaces,/et quicquid Veneri corpora nostra parat " (Remedia,
799 - 800), e non è meno opportuno evitare la rucola afrodisiaca e tutto quanto
dispone il nostro corpo a Venere. - salaces, da salax,
connesso a salio, salto, significa propriamente "che fa
saltare". "La radice deriva dall'indoeuropeo *sal - che ha dato come
esito in greco aJl - , in
latino sal - "[5]. Cfr. a{llomai.
Nell'Ars amatoria che condivide l'impianto
didascalico dei Remedia amoris, ma vuole insegnare il
contrario, Ovidio consiglia gli stessi e altri cibi afrodisiaci a chi non deve
risparmiare i lombi:"bulbus et, ex horto quae venit herba salax/ovaque
sumantur, sumantur Hymettia mella/quasque tulit folio pinus acuta nuces"
( II, 422 - 424), si prenda la cipolla, e la rucola eccitante che viene
dall'orto, le uova e si prenda il miele dell'Imetto e i pinoli che produce il
pino dalle foglie aghiformi.
La cipolla (bolbov" ) è con le conchiglie e le lumache, tra gli
ingredienti principali anche del povto" aJduv" (v. 17), il magnifico banchetto che svela l'amore
di Cinisca nel XIV idillio di Teocrito.
La cipolla e la rucola sono messi tra gli
afrodisiaci anche da Marziale. Questi peraltro non aiutano Luperco
abbandonato dalla mentula:"sed nihil erucae faciunt
bulbique salaces" (III, 75, 3), niente ti fanno la rucola e le cipolle
eccitanti.
Veniamo quindi al vino:" Vina parant animum
Veneri, nisi plurima sumas/ et stupeant multo corda sepulta mero./Nutritur
vento, vento restinguitur ignis;/lenis alit flammas, grandior aura necat./Aut
nulla ebrietas, aut tanta sit, ut tibi curas/eripiat; si qua est inter utrumque
nocet " ( Remedia amoris, vv.805 - 808), il vino
dispone l'animo a Venere, se non ne prendi troppo e non vengono intontiti i
sensi sepolti dal molto vino. Viene nutrito dal vento, dal vento viene pure
spento il fuoco; una lieve brezza alimenta le fiamme, un vento più grande la
spenge. O non ci sia l'ebbrezza o sia così grande da portarti via gli affanni,
se una si trova a metà, ti fa male.
Nell'Ars amatoria leggiamo:"Vina
parant animos faciuntque caloribus aptos;/cura fugit multo diluitque mero./Tunc
veniunt risus, tum pauper cornua sumit,/tum dolor et curae rugaque frontis
abit./Tunc aperit mentes aevo rarissima nostro/ simplicitas, artes excutiente
deo./Illic saepe animos iuvenum rapuere puellae,/et Venus in vinis ignis in
igne fuit" (I, 237 - 244), il vino dispone gli animi e li rende pronti
agli ardori; l'ansia fugge e si scioglie con molto vino. Allora nascono le
risate, allora il povero prende coraggio, allora il dolore e le ansie e la ruga
della fronte se ne vanno. Allora la semplicità, rarissima nel nostro tempo,
rivela i pensieri, poiché il dio scuote via gli artifici. Lì spesso le ragazze
conquistano i cuori dei giovani e Venere nel vino è fuoco nel fuoco.
Già Euripide nelle Baccanti aveva
collegato Cipride al vino:"oi[nou de; mhkevt j
o[nto" oujk e[stin Kuvpri" - oujd j a[llo terpno;n oujde;n
ajnqrwvpoi" e[ti" (vv. 773 - 774), E quando non
c'è più il vino, non c'è Cipride/né più alcun altro piacere per gli uomini.
Una riflessione sugli effetti erogeni del vino si trova
ne L'asino d'oro di Apuleio. Il curiosus protagonista
Lucio, preparandosi a un incontro amoroso con l'ancella Fotide, ricevuta in
dono un'anfora di prezioso vino invecchiato, vini cadum in aetate
pretiosi, invita l'amante a bere insieme il liquido di Bacco elogiandolo
come il miglior viatico per percorrere una lunga rotta sulla barca di
Venere:"Ecce - inquam, - Veneris hortator et armĭger Liber advenit ultro!
Vinum istud hodie sorbamus omne, quod nobis restinguat pudoris ignaviam et alăcrem
vigorem libidinis incutiat. Hac enim sitarchĭa navigium Veneris indĭget sola,
ut in nocte pervigili et oleo lucerna et vino calix abundet " (II, 11), ecco, dico, che stimolatore e armigero
di Venere arriva Libero spontaneamente! Beviamocelo tutto oggi questo vino che
spenga in noi la viltà del pudore e susciti un vivace vigore di libidine. In
effetti la barca di Venere ha bisogno soltanto di questo approvvigionamento in
modo che, durante la notte di veglia, la lucerna sia piena d'olio e la coppa di
vino.
Il nesso vino - Venere viene ricordato controvoglia da
Leonia, la vecchia ubriaca del Curculio di Plauto che
deve offrire un goccio del suo tesoro liquido, com'è consuetudine, alla dea
dell'amore:"Venus, de paullo paullulum hic tibi dabo hau
lubenter./ Nam tibi amantes propitiantes vinum dant potantes/omnes…" (vv. 123 - 125), Venere, del poco che c'è qui darò un
pochino a te non volentieri. Infatti tutti gli amanti facendo un brindisi ti
offrono del vino per propiziarti.
Il portiere del castello di Macbeth, una specie di
portiere dell'inferno come ipotizza di essere con ironia sofoclea[6], disquisisce, intorno agli effetti del bere sulla
libidine: la provoca e la sprovoca; provoca il desiderio ma ne porta via
l'esecuzione. " Therefore, much drink may be said to be an
equivocator with lechery ", perciò bere molto si può denominare
colui che rende equivoca la lascivia: la crea e la distrugge; la spinge innanzi
e la tira indietro; la persuade e la scoraggia; "makes him stand to,
and not stand to", la mette in piedi e non la tiene su, insomma la
equivoca col sonno e dandole una smentita la pianta (Macbeth, II, 3). In
questo monologo, "di un fine umorismo lucianesco…occorrono certe allusioni
a fatti contemporanei, che allora, cioè quando Shakespeare scriveva il Macbeth [7], dovevano essere a common topic[8], o, come diremmo noi, sulla bocca di tutti, e che ci
riportano a quell'anno"[9] (1606).
Chiarini fa l'esempio della parola equivocator usata
due volte nel monologo e che allude alla dottrina gesuitica dell'equivocazione
invocata da Enrico Garnet, superiore dell'ordine dei gesuiti processato nel
1606 appunto per l'accusa di avere partecipato alla congiura delle polveri (gunpowdwer
plot) ordita dai cattolici, nel 1605, contro Giacomo I.
Si può aggiungere e precisare che bere alcolici, in
quantità non eccessiva, può disinibire in certi casi o, in altri, fare obliare
la scarsa attrazione, fondata su calcoli, per un partner che non ci piace.
Flaubert
Altrettanto pensa
la vecchia Bovary dei grilli della nuora:
"Ci vorrebbe
un'occupazione, un bel lavoro manuale! Se come tante altre fosse costretta a
guadagnarsi il pane, non avrebbe mica tanti fumi per la testa. Sai da dove
vengono? Da quel mucchio di idee balorde, dal troppo ozio in cui vive"[10].
CONTINUA
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[1] Del 49 ca d. C. La brevità della vita umana ha dato parecchio da dire agli scrittori e ai loro personaggi:"Scostatevi, vacche, che la vita è breve", gridava Aureliano secondo in Cent'anni di solitudine di G. G. Marquez (p. 202).
[2] Institutio oratoria I, 2, 18.
[3] Composto dalla negazione nec + otium .
[4] Del 1889.
[5] G. Ugolini, Lexis , p. 109.
[6] Egli esordisce dicendo: questo si chiama bussare per davvero! Se un uomo fosse portiere dell'inferno (if a man were porter of hell - gate) avrebbe l'abitudine antica di girare la chiave (II, 3). Non "possiamo fare a meno di sentire che nel far finta di essere il portiere dell'inferno egli è terribilmente vicino alla verità" (Bradley, op. cit., p. 424).
[7] Regnò sulla Scozia dal 1040 al 1057.
[8] A proposito dei nostri topoi!
[9] Cino Chiarini (a cura di) Macbeth , p. XII.
[10] Madame Bovary, (1857) p. 104.
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