NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 6 maggio 2019

Pirandello, "Il fu Mattia Pascal". Parte 1

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I Premessa
Si presenta come Mattia Pascal che fu per due anni non sa se più cacciatore di topi che guardiano di libri in biblioteca.

II Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa.
da bibliotecario della biblioteca di Miragno Mattia Pascal ripeteva il ritornello: “Maledetto sia Copernico!” E spiega questa sua maledizione paradossale a Don Eligio, il prete amico che gli chiedeva cosa ci entrasse Copernico
C’entra, don Eligio. Perché quando la terra non girava.. .
- E dàlli! Ma se ha sempre girato!
- Non è vero. L’uomo non lo sapeva, e dunque era come se non girasse. Per tanti, anche adesso, non gira. L’ho detto l’altro giorno a un vecchio contadino, e sapete come m’ha risposto? Ch’era una buona scusa per gli ubriachi (…) io dico che quando la terra non girava, e l’uomo, vestito da greco o da romano, vi faceva così bella figura e così altamente sentiva di sé e tanto si compiaceva della propria dignità, credo bene che potesse riuscire accetta una narrazione minuta e piena d’oziosi particolari. Si legge o non si legge in Quintiliano, come voi m’avete insegnato, che la storia doveva essere fatta per raccontare e non per provare?

 Historia quoque alere oratorem quodam uberi, iucundoque suco potest, può nutrire l’oratore con un certo succo ricco e piacevole, tuttavia bisogna evitare la maggior parte delle sue virtù. Est enim proxima poetis et quodammŏdo carmen solutum, una poesia senza versi, e viene scritta per narrare non per dimostrare et scribitur ad narrandum non ad probandum (Institutio oratoria, X, I, 31)

Siamo o non siamo su un’invisibile trottolina, cui fa da sferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira, senza saper perché, senza pervenire mai a destino, come se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire ora un po’ più caldo, ora un po’ più freddo, e per farci morire - spesso con la coscienza di aver commesso una sequela di piccole sciocchezze - dopo cinquanta o sessanta giri? Copernico, Copernico, don Eligio mio, ha rovinato l’umanità irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni (….) Storie di vermucci ormai le nostre” (Il fu Mattia Pascal, p. 13 e p. 14)

III La casa e la talpa
Mattia non conobbe il padre che morì quando il figlio aveva 4 anni. Aveva un fratello, Roberto, maggiore di 2 anni. Il padre li lasciò nell’agiatezza. Possedevamo terre e case. Morto il padre, la madre, inetta al governo dell’eredità, lo affidò a uno che aveva avuto molti benefici dal marito. Mattia aveva una zia zitellona bisbetica bruna e fiera, sorella del padre. Si chiamava Scolastica. L’amministratore Malagna - la talpa - rubava e “ci scavava di soppiatto la fossa sotto i piedi” (19). La zia voleva che la cognata si risposasse con Gerolamo Pomino che aveva un figlio con lo stesso nome. I due giovani Pascal - Mattia e Roberto - vivevano da scioperati. Studiavano in casa con un aio, Pinzone, uomo di una magrezza che incuteva ribrezzo. Assecondava i ragazzi che gli facevano dispetti. Insegnava la sua erudizione curiosa, bislacca e bizzarra, come, per esempio, la poesia maccaronica e la burchiellesca.
Insegnava a sciogliere gli enimmi in ottava rima di Giulio Cesare Croce.
La zia Scolastica li sgridava: una volta afferrò Mattia per il mento, gli disse Bellino! Bellino! Poi lo fissò negli occhi, finché emise una specie di grugnito e lo lasciò, ruggendo tra i denti: “Muso di cane!” 24
A Mattia avevano messo degli occhiali per raddrizzargli un occhio, ma presto li buttò via “Tanto, se diritto, quest’occhio non mi avrebbe fatto bello. A 18 anni un barbone rossastro e ricciuto gli invase la faccia a scapito del naso piccolo. Purtroppo non si può fare a cambio di nasi e Mattia si era rassegnato alle sue fattezze, senza curarsene troppo. Berto invece era bello, narcisista molto curato e ben vestito. Batta Malagna intanto rubava. Berto fece un matrimonio vantaggioso. Non così Mattia

IV Fu così
Batta Malagna era brutto assai: basso e grasso. Gli morì la moglie Guendalina senza avergli dato dei figlioli
Si prese come seconda moglie Oliva, la figlia di un fattore di campagna sana, florida, robusta e allegra. Voleva dei figli
Mattia la conosceva fin da ragazza e gli piaceva. Come rideva! Due ciriege (sic!) le labbra 32. Oliva sposò Malagna perché era ricco. Figli però non ne venivano e Malagna la sgridava, poi la picchiava: con quella apparente floridezza lei lo aveva ingannato e aveva preso il posto di una signora. Oliva aveva 22 anni e andava a sfogarsi dalla madre di Mattia.
Mattia conosce anche Romilda figlia della vedova Pescatore e rimane impressionato dagli occhi 37
Di uno strano colore verde, cupi, intensi, ombreggiati da lunghissime ciglia, occhi notturni tra due bande di capelli neri come l’ebano, quasi a far meglio risaltare la viva bianchezza della pelle

La prima elegia dei quattro libri del "romano Callimaco" si apre nel nome e con gli occhi di Cinzia: "Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis " (I, 1, 1), Cinzia per prima ha preso me infelice con i suoi occhi
Gli occhi, ribadisce poi Properzio, per chi ancora non l'avesse capito, sono i comandanti nella guerra amorosa:"si nescis, oculi sunt in amore duces " (II, 15, 12).

Il marito della vedova Pescatore era morto pazzo a Torino. Romilda piaceva anche a Pomino iunior. Mattia dice a Pomino che devono salvarla da Malagna. Poi aggiunge che egli era nato marito, come si nasce poeta.
Cfr. L’eterno marito di Dostoevkij: “ Egli non può non essere cornuto, così come il sole non può non risplendere "[1].

All’epoca le donne amavano Mattia nonostante il suo occhio sbalestrato, poiché prendeva tutto alla leggera. Voleva anche sfondare la trista ragna ordita da quel laido vecchio di Malagna.
Romilda si innamorò di Mattia e pure lui di lei. La ragazza gli buttò le braccia al collo e lo pregò di liberarlo da quella sua madraccia, Marianna Dondi. Poi però gli scrisse che era tutto finito.
Finisce che comunque Mattia sposa Romilda incinta di lui. Ma prima aveva messo incinta Oliva che tuttavia Malagna decide di allevare come figlio proprio.
Malagna intanto aveva rubato ogni cosa e Mattia dovette cercarsi un’occupazione. Però era inetto a tutto e malfamato come scioperato.
La vedova Pescatore maltrattava la santa vecchietta la madre di Mattia. Il figlio cercava di proteggerla ma questo irritava la strega e pure la moglie. Berto, il fratello, non poteva prendere in casa la madre poiché lui viveva sulla dote della moglie. Il fratello era bello ed elegante ma non aveva cuore.

La vedova Pescatore era una bufera di femmina (p. 51)
Nel vedere il genero girare per la casa come una mosca senza testa, gli lanciava occhiatacce, lampi forieri di tempesta. Lui usciva per levare la corrente e impedire la scarica. Ci fu una cagnara. La Pescatore intimò a Mattia e alla madre di lui fuori da casa mia!
Mattia reagì poi venne la zia Scolastica: il naso adunco, fiero, nella faccia bruna, isterica, le fremeva, le si arricciava e gli occhi le sfavillavano p. 53.
Segue una rissa tra le due donne, poi Scolastica porta via la cognata
La Pescatore graffia Mattia, quindi si butta a terra strappandosi le vesti e Mattia grida: “Le gambe, le gambe, non mi mostrate le gambe, per carità”
Da allora ho preso il gusto di ridere di tutte le mie sciagure. Mi vidi allora attore di una tragedia che più buffa non si sarebbe potuta immaginare.
Era pieno di graffi ma gli piaceva l’occhio che nel riflesso dello specchio guardava altrove. Analisi di sé e autoironia cfr. Svevo.
Esce per cercare un lavoro. Incontra Pomino e lo avvicina. Ero ancora ebbro di quella gaiezza mala che si era impadronita di me quando mi ero guardato allo specchio. Gli indicò i graffi e gli disse che a lui era andata bene. Pomino disse che si annoiava. E Mattia: “ammogliati, caro. Vedrai come si sta allegri! (p. 57). Pomino disse “mai!”
Bravo Pomino persevera!
Cfr. Guerra e pace Bolkonskij a Pierre.

Contro il matrimonio quale esperienza inconciliabile con ogni grandezza si esprime il principe Andrej di Guerra e pace che dice all'amico Pierre:" Non ti venga mai in mente di sposarti, mio caro; questo è il mio consiglio, non prender moglie finché non avrai potuto dire a te stesso che hai fatto tutto il possibile per evitarlo, finché non avrai smesso di amare la donna che hai scelto, finché non la vedrai come in trasparenza, altrimenti sbaglierai crudelmente e senza rimedio. Sposati da vecchio quando non sarai buono a nulla...Altrimenti andrà perduto tutto ciò che in te è buono ed elevato. Tutto si disperderà in piccolezze"[2] .
Il timore del rischio di perdere una possibilità di vita, se non eroica, certo meno insignificante di quella del marito borghese viene manifestato anche da Kafka nella Lettera al padre :"Perché, dunque, non mi sono sposato? L'impedimento essenziale, purtroppo indipendente da ogni singolo caso, era che io, non v'è dubbio, sono spiritualmente incapace di sposarmi”

Mattia gli espose le difficoltà e Pomino gli offrì dei soldi, da amico.
Mattia però voleva un lavoro. Il padre di Pomino era assessore comunale per la pubblica istruzione. Insomma attraverso conoscenze Mattia divenne bibliotecario per sessanta lire al mese. Più ricco della vedova Pescatore. Poteva cantare vittoria. Il bibliotecario di prima, un uomo decrepito continuava a recarsi in biblioteca. Morì pochi mesi dopo. La biblioteca era in uno stato pietoso: dagli scaffali precipitavano libri seguiti da certi topi grossi come conigli. Mattia scrisse all’assessore Pomino che la biblioteca necessitava di un paio di gatti per lo meno. Si sarebbero nutriti con il provento della caccia e non sarebbero costati nulla. Chiese anche delle trappole con esca, evitando la parola volgare cacio.
Mandarono due gattini che avevano paura dei topi e finivano imprigionati nelle trappole per nutrirsi con il cacio. Mattia reclamò e mandarono due gattoni lesti e seri che facevano il loro dover


L’ anima acerba di Mattia maturava a furia di ammaccature 62. Piomba in un’orribile desolazione, la noia lo aveva tarlato dentro.
Leggeva libri di filosofia che gli sconcertavano ancora di più il cervello già balzano. Andava sulla riva del mare, ascoltava il fragorio delle onde e mormorava: “Così sempre fino alla morte, senza alcun mutamento, mai” (63). Osservava le stracche onde sonnolente del mare.

Cfr. Senilità di Svevo. Emilio giunse alla riva. Si sentiva il clamore del mare: un urlo enorme composto dall’unione di varie voci più piccole” (226) Si vedeva biancheggiare qualche onda che il caos aveva voluta infranta prima di giungere a terra. Quel tramestio si confaceva al suo dolore.
L’abito letterario gli faceva paragonare quello spettacolo alla propria vita. Nel movimento delle onde che tratto dall’inerzia e trasmesso per inerzia “egli vedeva l’impassibilità del proprio destino. Non v’era colpa, per quanto ci fosse tanto danno” (p. 226)
Alcuni marinai erano indaffarati per salvare le barche
Emilio pensò che la sua sventura era formata dall’inerzia del proprio destino “ (p. 226). Non aveva mai avuto occasione, nessuno gliel’aveva data di determinare nemmeno il destino di un piccolo bragozzo ( una barca da pesca con due alberi e vele colorate).

Mattia gridava con rabbia scotendo le pugna
La moglie aveva le doglie, gli riferirono. Scappai come un daino
La suocera lo manda a cercare un medico che arriva però prima che lui ne abbia trovato uno. Nascono due misere bambine che si graffiavano tra loro come i gattini finiti nelle trappole. Una delle bambine morì pochi giorni dopo, l’altra volle avere la crudeltà di morirmi quando aveva già quasi un anno e si era fatta tanto bellina e mi chiamava papà, e io figlia mia, così senza ragione come si chiamano gli uccelli tra loro. Era diventata l’unico scopo della mia vita 65
La seconda bambina morì contemporaneamente alla mamma di Mattia.
Dopo questi lutti l’orfano vagò per un’intera notte finché si ritrovò nel podere della Stia presso alla gora del molino
Il fratello gli mandò 500 lire per la sepoltura della loro mamma
Ma ci aveva già pensato la zia. Quei soldi furono la cagione della prima morte di Mattia

V Tac Tac Tac… 66
Era andato a Montecarlo dopo una scenata domestica con moglie e suocera
Era fuggito dallo squallore e dalla desolazione senza speranza di miglioramento. Pensava di andare a Marsiglia per poi imbarcarsi per l’America. Niente di peggio che rimanere a casa poteva capitargli. Altre catene magari, ma non più gravi. Ma giunto a Nizza non se l’era sentita: “troppo ormai la noia mi aveva tarlato dentro, e svigorito il cordoglio” (68)
Gli infelici spesso diventano superstiziosi.
 Lesse il titolo di un opuscolo: metodo per vincere alla roulette. Gli sembrò un segno.
 Cfr. i segni vocali e gli altri: i tuoni dell’ Edipo a Colono e di La montagna incantata.

Decise di andare a Montecarlo. Aveva sentito dire che intorno alla bisca c’erano degli alberi: si sarebbe potuto impiccare con la cintola dei calzoni, male che andasse. Avrebbero pensato che aveva perduto molto e avrebbe fatto una bella figura. L’ingresso aveva otto colonne di marmo, come se avessero voluto innalzare un tempio alla Fortuna
giugnol

Quelli che giocano contano le probabilità: vogliono estrarre la logica dal caso, come dire il sangue dalle pietre. 70
C’era un omone innamorato del 12. Uscì quando aveva già perduto quasi tutto
A Mattia vennero in mente 4 versi del povero Pinzone
Ero già stanco di stare alla bada
Della Fortuna. La dea capricciosa
Dovea pure passar per la mia strada
E passò finalmente ma tignosa per l’omone

Mattia invece comincia a vincere. Un tedesco però gli portò via il denaro raccolto. Poi cambia tavolo e vince ancora. Continua a giocare per sfidare la sorte. Legava il suo capriccio a quello della Fortuna. Il suo gioco era rischiosiisimo: si ostinava a puntare sul rosso che usciva sempre, poi sullo zero e sortiva lo zero
Uno spagnoletto barbuto lo seguì mentre usciva e salì con lui nel treno per Nizza, poi volle che cenassero insieme e salì nello stesso albergo. A Mattia questo non dispiaceva 
La vanità umana non ricusa talvolta l’incenso acre e pestifero di certi meschini turiboli. Ma poi quella compagnia gli viene a noia. Quindi lo molla. Aveva vinto 11 mila lire. Pensa a casa sua: alla moglie che non si curava di piacergli, ai disgusti, agli attriti.
 Il bisogno che si accovaccia sulla cenere di un focolare spento come un gattaccio ispido e nero, avevano ormai reso odiosa a entrambi la convivenza. Doveva mostrasi degno dei favori della fortuna, se come sembrava, voleva davvero accordarglieli. O tutto o niente. Giocando alla disperata mise insieme una somma enorme, ma dopo il nono giorno cominciò a perdere 85 
Smise quando vide un giovane che si era sparato. Tornò a Nizza. Gli rimanevano 82 mila lire. 

VII cambio treno 87
Pensa di tornare a casa per riscattare la Stia e fare il mugnaio in campagna. Si sta meglio vicino alla terra e sotto - forse, anche meglio
Mentre torna a casa pensa con orrore alla suocera e pure alla moglie: “forse a qualche albero cadranno le foglie, vedendola; gli uccelletti ammutoliranno; speriamo che non secchi la sorgiva.” Ci sarà di nuovo qualcuno che ruberà e io rimarrò bibliotecario. Pensa ai suoi debiti. Arrivato in Italia legge un giornale e trova la notizia della sua morte.

Suicidio 92
Ieri, sabato 28, è stato rinvenuto nella gora d’un mulino un cadavere in stato di avanzata putrefazione. Il molino è sito in un podere detto della Stia, a circa due chilometri dalla nostra città). Il cadavere è stato riconosciuto per quello del nostro bibliotecario Mattia Pascal scomparso da parecchi giorni. Causa del suicidio dissesti finanziari.
Ebbe una reazione di rivolta. Gli sembrò una sopraffazione schiacciante. Lo disturbava il treno con quel suo andare monotono, da automa duro, sordo e grave 93 Pensava che l’avrà pescato e riconosciuto subito la vedova Pescatore. Si sarà messa a piangere e sarà caduta in ginocchio davanti a quel morto che non ha potuto tirarle un calcio e dirle: “ma levati di qua, non ti conosco!”
Era dato morto e si sentiva libero da debiti, moglie e suocera.
Si sentiva del resto sperduto, superstite di se stesso, in attesa di vivere oltre la morte. Doveva intanto darsi un nome. Compra Il Foglietto di Miragno e trova la cronaca con l’elogio funebre: la sua natural modestia, e il compatimento per la sua decadenza. L’autore era il direttore del giornaluccio: Lodoletta.

VIII Adriano Meis p. 103
Si sentiva libero dal fardello del suo passato
Gli sembra che gli siano spuntate le ali. Sentiva di essere leggero e voleva acquistare un nuovo sentimento della vita, poteva essere l’artefice del suo nuovo destino. Aveva un occhio in estasi da un lato.
Ascolta due giovani che parlano in treno. Uno diceva che Cirillo d’Alessandria era giunto ad affermare che Cristo era il più brutto degli uomini. Sente prima il nome Adriano poi De Meis e decide di chiamarsi Adriano Meis
Va in un cesso di stazione a intombare l’anellino di fede. Era un uomo inventato. Viaggia sentendosi felice. Era solo e non doveva rendere conto a nessuno.
Svevo, nel racconto Corto viaggio sentimentale , rappresenta un uomo anziano, il signor Aghios, che pensa alla libertà negata dal matrimonio:"Venticinque anni prima il signor Aghios s'era scelta la consorte. Quale gioia quando, vincendo ogni difficoltà, egli era arrivato a dirla sua, trovando naturale che, in compenso, egli appartenesse a lei. Egli era stato felicissimo. Oh! tanto! Nella grande libertà del viaggio egli tuttavia pensò che se venticinque anni prima, invece che sentire il bisogno di sposarsi, egli avesse sentito l'istinto del malfattore e l'avesse soddisfatto con un omicidio, certo a quest'ora, a forza di amnistie, egli sarebbe stato del tutto libero, magari di viaggiare"[3]
 Ricordo pure C. Pavese il quale nega ogni possibilità di benessere nello stare con la donna:"E' carino e consolante il pensiero che neanche l'ammogliato ha risolto la sua vita sessuale. Lui credeva di godersela ormai virtuoso e in pace, e succede che dopo un po' viene il disgusto della donna, viene un sòffoco come di prostituzione soltanto a vederla. Ci si accorge allora che con la donna si sta male in ogni modo"[4]. E ancora:"Ogni sera, finito l'ufficio, finita l'osteria, andate le compagnie - torna la feroce gioia, il refrigerio di esser solo. E' l'unico vero bene quotidiano"[5].

 Dopo un vario viaggiare in germania comincia a sentire il bisogno di un po’ di compagnia. Si ferma per un po’ a Milano
 L’inverno a Milano gli ispirava riflessioni malinconiche. Si sente forestiere della vita. In trattoria conosce il cavaliere Tito Lenzi che aveva le gambe molto corte e camminava con passettini da pernice. Parlando menzionava malevolmente Cicerone:"io odio la retorica, vecchia bugiarda fanfarona, civetta con gli occhiali…Cicerone però, diciamo la verità, eloquenza, eloquenza, ma…Dio ne scampi e liberi, caro signore! Nojoso più d'un principiante di violino!" (p. 125)
La libertà sconfinata poi gli viene a noia: la vita considerata da spettatore estraneo gli pareva senza costrutto.
Si domandava perché gli uomini rendono così complicato il congegno delle loro vite. E che farà l’uomo quando le macchine faranno tutto? La scienza impoverisce l’umanità (131).
Cfr. il Prometeo incatenato di Eschilo, Leopardi[6]Frankestein di Mary Shelley

Quindi va a Roma per prendervi dimora. Gli piaceva e gli sembrava adatta a ospitare un forestiero come lui tra tanti forestieri. Trova casa in via Ripetta, in vista del fiume. Suona e lo accoglie la figlia di Paleari, Adriana una signorinetta piccola piccola, bionda, pallida, dagli occhi ceruli, dolci e mesti, come tutto il volto. La camera ammobiliata era bella: aperto l’uscio mi sentii allargare il petto, all’aria, alla luce che entravano per due ampie finestre prospicienti il fiume. Si vedeva Monte Mario, ponte Margherita, il nuovo quartiere dei Prati fino a Castel Sant’Angelo e fino al Gianicolo
Grazie a questa spaziosa veduta presi in affitto la camera addobbata peraltro con graziosa semplicità p. 135
Il vecchio Paleari aveva il cervello di spuma. Era iscritto alla scuola teosofica. Era sprofondato nelle sue nuvolose meditazioni da quando lo avevano messo in pensione. Un’altra inquilina era la signorina Silvia Caporale con una faccia volgarmente brutta, da maschera carnevalesca. Gli occhi sembravano avere dietro dei contrappesi di piombo, come quelli delle bambole automatiche. 40 anni, un bel paio di baffi sotto il naso a pallottola sempre acceso. Era arrabbiata d’amore. Si sapeva brutta, ormai vecchia e, per disperazione beveva. La sera versava il vino dagli occhi in tante lacrime ma la mattina seguente compariva tutta infronzolata e con certe mossette da scimmia 138 - 139.
Le poche lire che guadagnava facendo la maestra di pianoforte le spendeva per bere o per infronzolarsi. Paleari leggeva libri con una filosofia così sentimentalmente macabra che pareva il sogno di un becchino morfinomane
Diceva: “il male della scienza, guardi, signor Meis, è tutto qui: che vuole occuparsi della vita soltanto” 146.
Si tratta più di tecnica (tevcnh) che di scienza (ejpisthvmh), di sofovn più che di sofiva. Cfr. Euripide, Baccantito; sofo;n d jjj ouj sofiva"  il sapere non è sapienza (v. 395)

La tecnica, infatti, non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità: la tecnica funziona. E siccome il suo funzionamento diventa planetario, finiscono sullo sfondo, incerti nei loro contorni corrosi dal nichilismo, i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia di cui si era nutrita l’età pre - tecnologica, e che ora, nell’età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi, o rifondati dalle radici”[7].
Cfr. Prometeo
Prometeo sopporta di sapere il suo destino senza venirne schiacciato, ma sa che gli uomini non sarebbero capaci di reggere una simile tensione (v. 514): “ tevcnh d j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/ ”, la conoscenza pratica è molto più debole della necessità.
Cfr. a questo proposito Curzio Rufo: “Ceterum, efficacior omni artenecessitas non usitata modo praesidia, sed quaedam etiam nova adnovit”Historiae Alexandri Magni, IV, 3, 24), del resto la necessità più potente di ogni tecnica, suggerì loro non solo i soliti mezzi di difesa ma anche dei nuovi. Sono i Tirii che si difendono dall’assedio di Alessandro Magno nel 332 a. C. 
Avanzando nella Sogdiana Al. si trovò in difficoltà per il freddo e incendiò un bosco: “efficacior in adversis necessitas quam ratio, frigoris remedium invenit” (8, 4, 11). Ancora la necessità che prevale sulla ratio (cfr. 7, 7, 10: necessitas ante rationem est).

Paleari sosteneva che Roma è una città triste, nessuna impresa vi riesce, nessuna idea viva vi attecchisce. Chi se ne meraviglia non vuole riconoscere che Roma è morta. I papi ne avevano fatto - a modo loro - un’acquasantiera; noi italiani ne abbiamo fatto un portacenere. D’ogni paese siamo venuti a scuotervi la cenere del nostro sigaro (p. 148).
Una sera Adriano incontra un ubriaco che gli grida: “allegro!”
Adriano esplode in una folle risata poi dice o pensa che la causa della sua tristezza è la democrazia, cioè il governo della maggioranza: “quando i molti governano pensano solo a contentare se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e odiosa, la tirannia mascherata da libertà (p. 152).
Cfr. I cavalieri di Aristofane e Tucidide
I Cavalieri del coro fanno notare a Demo che ha un grande potere gli uomini lo temono al pari di un tiranno “pante" a[nqrwpoi dedivasiv s j w{sper a[ndra tuvrannonCavalieri, 1113 - 1115).
Cfr. Tucidide III, 37, 2. Cleone dice: “voi non considerate che avete un potere che è una tirannide esercitata su sudditi ostili che subiscono di malavoglia il nostro potere.
Nell’ultimo discorso di Pericle lo stratego dice agli Ateniesi che non possono più tirarsi indietro dal comando: wJ" turannivda ga;r h[dh e[cete aujth;n (ajrchv supra) h}n labei'n me;n a[dikon dokei' ei\nai, afei'nai de; ejpikivndunon (Tucidide, II, 63, 2), poiché avete già un impero che è tirannide che avere preso può sembrare ingiusto, ma abbandonarlo pericoloso
I nemici Corinzi nell’assemblea peloponnesiaca del 432 avevano detto che era vergognoso per il Peloponneso lasciare che una città divenisse tiranna della Grecia (Tuc I, 122, 3) Poco più avanti (Tuc I, 124, 3) i corinzi concludono il loro discorso sostenendo che gli alleati peloponnesiaci devono domare la povlin tuvrannon che è una minaccia per tutti. in quanto alcuni Greci li ha già sottomessi e con molti altri vuole farlo.
Un nemico del popolo di Ibsen (1882).
il protagonista del dramma il dottor Stockmann, dice:"La maggioranza non ha mai ragione. Mai, ho detto. Da chi è costituita la maggioranza degli abitanti di un paese? Dalle persone intelligenti, o dagli imbecilli? Saremo tutti d'accordo, credo, nell'affermare che sulla faccia della terra gli imbecilli costituiscono l'enorme maggioranza. Ma non per questo è giusto che gli imbecilli debbano comandare sugli intelligenti!...La maggioranza ha il potere, purtroppo, ma non ha ragione. Io, e pochi altri, abbiamo ragione. Le minoranze hanno ragione...Tutte le verità maggioritarie possono venir paragonate alle conserve dell'anno scorso, a dei prosciutti rancidi[8]".

"Un partito, qualsiasi partito è come una di quelle macchine che tengono i macellai per macinare la carne: schiaccia e trita e fa polpette di tutte le teste, le pesta e le sminuzza in un'unica pappa, e trasforma tutti in pecoroni e zucche vuote…i programmi dei partiti, di tutti i partiti, soffocano ogni verità, le verità pulsanti di vita e di giovinezza"[9].

CONTINUA

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[1] F. Dostoevkij, L'eterno marito, p. 39.
[2]L. Tolstoj, Guerra e pace , trad. it. Garzanti, Milano, 1974, p. 41.
[3]In Italo Svevo, I Racconti, Rizzoli, Milano, 1988, p.438.
[4] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 8 agosto 1944.
[5]C. Pavese, Il mestiere di vivere, 25 aprile, 1946.
[6] Leopardi nello Zibaldone è molto critico verso la scoperta del fuoco:"Il fuoco è una di quelle materie, di quegli agenti terribili, come l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli animali, e dalla superficie del globo." (p. 3645). Il fuoco non è un bene, o, per lo meno, non è stato impiegato bene : nell’Operetta morale La scommessa di Prometeo gli uomini usano il fuoco per uccidersi e uccidere, e Momo, il vincitore della scommessa, domanda al Titano: “Avresti tu pensato, quando rubavi con tuo grandissimo pericolo il fuoco dal cielo per comunicarlo agli uomini, che questi se ne prevarrebbero, quali per cuocersi l’un l’altro nelle pignatte, quali per abbruciarsi spontaneamente?”. Leopardi, con il fuoco, critica anche la navigazione avvalendosi di Orazio:"Orazio (I, Od . 3) considera l'invenzione e l'uso del fuoco come cosa tanto ardita, e come un ardire tanto contro natura, quanto lo è la navigazione, e l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione di altrettanti mali e morbi ec., di quanto la navigazione; e come altrettanto colpevole della corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie umana.(Zibaldone , p. 3646).
[7] U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, p. 21. Si veda a questo proposito U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999.
[8]H. Ibsen, Un nemico del popolo , atto IV. E' un dramma del 1881.
[9] H. Ibsen, Un nemico del popolo, atto V.

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