Dante Gabriel Rossetti, Elena di Troia |
Esodo
della tragedia Elena di
Euripide. La presento, con le Troiane dello
stesso autore, il 24 maggio dalle 17,30, nel salone
Paolo VI della chiesa San Salvatore di Siracusa
Esodo
vv. 1512 - 1692
L’Esodo inizia
con un messo che annuncia a Teoclìmeno la fuga di Elena: il re
d’Egitto deve cercarsi un’altra moglie: J
Elevnh ga;r bevbhk j e[xw cqonov~ (v. 1515). Con lei
c’era Menelao. Quindi l’ a[ggelo" racconta
la fuga.
Elena
andava verso il mare camminando languida e piangeva (aJbro;n
povda tiqei`s J, ajnevstene, v. 1528) accompagnata dal marito,
Menelao, tutt’altro che morto. Arrivarono poi altri
naufraghi greci eujedei`~
mevn, aujcmhroi; d j‘oJra`n (v. 1540), di bell’aspetto
ma sporchi a vedersi. Menelao li invitò a salire sulla nave e gli
Egiziani si insospettirono: C’era una pletora di uomini a bordo.
Imbarcarono anche un toro, riluttante, poi un cavallo. Menelao prese
in mano la spada per il sacrificio ma chiese a Poseidone di farli
sbarcare a Nauplia, la città costiera dell’Argolide, sotto
Epidauro. Quindi, caduta del tutto la maschera, lo Spartano invitò i
suoi a massacrare gli Egiziani. Anche Elena li incitava: Pou`
to; Trwiko;n klevo~ ; (1603),
dov’è la gloria di Troia? gridava la bellissima. I marinai di
Teoclimeno quindi vengono massacrati, il messo che racconta è
riuscito a fuggire. L’uomo conclude la sua rJh`si~ dicendo
che non c’è niente di più utile per i mortali di una saggia
diffidenza (swvfrono~ d
j ajpostiva~ - oujk e[stin oujde;n crhsimwvteron brotoi`~ (1617
- 1618).
Teoclimeno
riconosce di essere stato raggirato da una donna. Le nozze gli sono
sfuggite ejkpefeuvgasin
gavmoi me (1621).
La
carenza di nozze del resto, secondo Euripide è più spesso un bene
che un male.
Contro
le nozze Euripide si esprime già nell' Alcesti [1] dove
pure la protagonista è un'ottima sposa, anzi il corifèo la
definisce "gunhv
t j ajrivsth tw'n ujf j hJlivw/ makrw'/ "
(v. 151), di gran lunga la più nobile tra le donne che
vivono sotto il sole. Tuttavia il Coro, formato da vecchi di Fere,
amici del re, concludendo il primo stasimo canta: “ou[pote
fhvsw gavmon eujfraivnein - plevon h] lupei'n, toi'" te
pavroiqen - tevkmairovmeno"[2] kai;
tavsde tuvca" - leuvsswn basilevw", o}sti"
ajrivsth" - ajplakw;n ajlovcou th'sd j, ajbivwton - to;n e[peita
crovnon bioteuvsei”,
(vv. 238 - 242), non dirò mai che le nozze portino gioia più
che dolore, argomentandolo dai fatti passati e vedendo questa
sorte del re, il quale, persa l'ottima sposa, vivrà in futuro una
vita non vita.
Più
avanti Admeto ribadisce: “zhlw'
d j ajgavmou" ajtevknou" te brotw'n : - miva ga;r yuchv,
th'" uJperalgei'n - mevtrion a[cqo". - paivdwn de; novsou"
kai; numfidivou" - eujna;" qanavtoi" kerai>zomevna"
- ouj tlhto;n oJra'n, ejxo;n ajtevknou" - ajgavmou" t j
ei\nai dia; pantov"” (Alcesti,
vv. 882 - 888), invidio quelli senza nozze e senza figli tra i
mortali: infatti una sola è la vita e l’angoscia per questa è un
peso sopportabile. Le malattie dei figli invece e i letti nuziali
devastati dalle morti non sono tollerabili da vedere, quando è
possibile rimanere del tutto privi di figli e di nozze.
Teoclimeno
vuole punire la sorella Teonoe che non ha denunciato la trama. Uno
schiavo cerca di trattenerlo e osa dire che un servo può dare
consigli se parla meglio del padrone. E’ disposto a morire per
salvare Teonoe: "sacrificarsi per i
padroni è il gesto più glorioso per gli schiavi nobili (pro;
despovtwn - toi`~ gennaivosi douvloi~ eujkleevstaton
qanei`n (vv.1640 - 1641).
E’
ripetuta (cfr. vv.729 - 731) questa osservazione della quale forse
Seneca ha tenuto conto nella lettera 47.
Nella conclusione
del dramma sull’alto del palazzo compaiono i Dioscuri, come alla
fine dell’Elettra di Euripide .
I
fratelli di Elena consigliano a Teoclimeno di trattenere la collera:
“ejpivsce~ ojrgav~ (1642),
l’ira che caratterizza il tiranno. Teonoe ha agito bene. I due
fratelli celesti scorteranno la sorella fino a Sparta. La
figlia di Zeus, conclusa la vita terrena, sarà assunta pure lei in
cielo. L’isola posta davanti all’Attica (oggi Makronisi davanti a
capo Sunio) avrà il nome di Elena poiché l’ha ospitata quando
venne rapita dal palazzo. Il destino di Menelao errante è che
abiti nell’ isola dei Beati (makavrwn
katoikei`n nh`sovn ejsti movrsimon, v. 1677), infatti gli dèi
non odiano i nobili, le sofferenze sono piuttosto di quelli che non
sono considerati, non vengono nemmeno calcolati: “tou;~
eujgenei`~ ga;r ouj stugou`si daivmone~ - tw`n d j ajnariqmhvtwn
ma`llovn eijsin oiJ povnoi” (1678 - 1679).
Cfr.
la religio come menzogna aristocratica.
Nel
IV canto dell’Odissea Menelao
racconta la storia del vecchio marino verace "gevrwn
aJvlio" nhmerthv""(v.
349). Questa sembra una figura assolutamente rivelatrice, del resto
difficile da essere afferrata e consultata. L'Atride minore dunque
era pericolosamente bloccato dalla bonaccia nell'isola di Faro,
davanti all'Egitto[3],
quando suscitò la pietà della figlia del vecchio Proteo, Eidotea
(cfr. Elena di
Euripide, v. 11), la quale gli insegnò come bloccare l'uomo che
"conosce gli abissi del mare tutto" (vv. 385 - 386) e
costringerlo a parlare.
Nel discorso
di Proteo dunque c’è una profezia per Menelao il quale, in quanto
"gambro;"
Diov""(v.
569), genero di Zeus, non morirà ma verrà mandato dagli dèi nella
pianura Elisia, ai confini della terra dov'è il biondo Radamanto,
dove la vita per gli uomini è facilissima: non c'è neve né inverno
rigido, né pioggia, ma soffi di Zefiro che spirano dall'Oceano a
rinfrescare gli uomini (vv. 563 - 568).
Teoclimeno
infine dà retta ai Dioscuri e si congratula con loro per la
splendida sorella che hanno, donna di intelligenza e nobiltà rara
che non c’è in molte altre: kai;
caivreq jjJ JElevnh~ ou[nek j eujgenestavth~ - gnwvmh~, o} pollai`~
ejn gunaixin oujk e[ni ( Elena, vv. 1686 -
1687).
La
conclusione dell’Elena di Euripide è uguale a quella
di Alcesti ( vv. 1159 - 1163); Andromaca (vv.
1284 - 1288); (Baccanti, vv. 1388 - 1392).
Coro
“Molteplici
sono gli aspetti del soprannaturale " pollai;
morfai; tw'n daimonivwn
e
molti eventi in modo insperato (ajevlptw~) compiono
gli dèi;
e
i fatti aspettati non vennero portati a compimento,
mentre
per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così
è andata a finire questa azione” (Elena, 1688 - 1692).
Nella Medea è
differente solo il primo verso dei cinque finali: pollw`n
tamiva~ Zeu;~ ejn JOluvmpou (v. 1415),
di molti casi è dispensatore Zeus sull’Olimpo.
Questo
finale è topico.
[1] Del
438 a. C.
[2] Trarre
conclusioni congetturando dagli indizi offerti dal
passato è un elemento che accomuna Euripide a
Tucidide il quale procede appunto attraverso prove e
indizi: cfr " ejk
de; tekmhrivwn"
di I, 1 o "tekmairovmeno""
di I, 21.
[3] Dove
lo avevamo lasciato nel racconto di Nestore (III, 300), p. 109
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