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giovedì 16 maggio 2019

La recita di Siracusa - "Le Troiane" di Euripide

Bibi Bruschi

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Commento dei versi delle Troiane di Euripide che verranno recitati dall’attrice Bibi Bruschi il 24 maggio dalle 17, 30 nel salone Paolo VI della chiesa San Salvatore di Siracusa (1156 - 1206)



Ecuba chiede che venga deposto al suolo lo scudo di Ettore con il cadavere di Astianatte, il figlio di Ettore ammazzato dai Greci per evitare che crescendo diventi forte e prode come il padre e lo vendichi.

In versi precedenti Andromaca, la vedova di Ettore aveva detto che i veri barbari sono i greci che ammazzano i bambini: w\ bavrbar j ejxeurovnte~ [Ellhne~ kakav - tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion; (Troiane, vv. 764 - 765), o Greci inventori della barbarie, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente?
 .
Ecuba dunque biasima a sua volta i Greci, capaci più di combattere che di pensare, uomini che hanno maggior vanto di spada che di cervello (w\ meivzon j o[gkon doro;~ e[conte~ h] frenw`n , Troiane, 1158) e hanno compiuto un crimine inaudito - kaino;n diergavsasqe - 1160, per paura di un bambino.
La paura non deve essere scissa dalla ragione
Oujk aijnw' fovbon, - o[sti" fobei'tai mh; diexelqw; lovgw/ ( 1165 - 1166),
non approvo la paura, di chiunque ne abbia senza passarci attraverso con la ragione.

La paura può anche essere positiva
Cfr. il metus hostilis di Sallustio (B. I. 41) e il to; deinovn delle Eumenidi (517) e di Atena (Eumenidi, 698). 
A proposito della polivalenza problematica delle parole, la paura, e tanto meno il terrore, non è elemento utile all'educazione dei figli secondo il personaggio Micio di Terenzio, un uomo sostanzialmente positivo; eppure nelle Eumenidi di Eschilo entrambe le parti contendenti affermano la necessità di mantenere vivo to; deinovn per il bene della povli" : nel secondo Stasimo, il coro delle Erinni canta:" a volte è bene il terrore (" e[sq j o{pou to; deino;n eu\")/ e quale ispettore delle anime (frenw'n ejpivskopon)/ deve restarvi a fare la guardia"(vv. 517 - 519).
E subito dopo, ancora le Erinni:" mht j a[narkton bivon - mhvte despotouvmenon - aijnevsh/" : panti; mesw/ to; kravto" qeo;" - w[pasen "(526 - 530), non lodare una vita di anarchia né una soggetta al dispotismo: in ogni caso il dio dà potenza al giusto mezzo.
Più avanti la stessa Atena consiglia ai cittadini che hanno cura della città di rispettare uno stato senza anarchia né dispotismo ("to; mhvt j a[narcon mhvte despotouvmenon", v. 696) e di non scacciare del tutto la paura dalla città: infatti quale mortale è giusto se non ha nessuna paura? ("kai; mh; to; deino;n pa'n povlew" balei'n - tiv" ga;r dedoikw;" mhde;n e[ndiko" brotw'n; " vv. 698 - 699).

Il concetto della paura opportuna all'ordine torna nel Bellum Iugurthinum[1] di Sallustio:" Nam ante Carthaginem deletam...metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet ea quae res secundae amant, lascivia atque superbia, incessere" (41), infatti prima della distruzione di Cartagine…il timore dei nemici conservava la cittadinanza nel buon governo. Ma quando quella paura tramontò dagli animi, naturalmente quei vizi che la prosperità ama, la dissolutezza e la superbia, si fecero avanti.

Tu, bambino, continua Ecuba, potevi essere felice (makavrio~ h\sq j a[n, 1170), se c’è felicità nella giovinezza, nelle nozze e nel potere.

Nella Medea , il Nunzio dice che un uomo se ha successo può essere più fortunato di un altro, ma felice nessuno (1228 - 1230). Qnhtw`n ga;r oujdei;~ ejstin eujdaivmwn ajnhvr (1228)

Euripide accentua gli elementi patetici facendo menzionare da Ecuba le varie parti del corpo martoriato di Astianatte: il capo (kratov", v.1173) dai riccioli recisi.
La testa che tua madre ha curato
e coperto di baci; da queste ora esce stridendo, tra le ossa spezzate
 il sangue.
Più letteralmente “il sangue che esce con rumore di risa dalle ossa spezzate” del capo del bambino (e[nqen ekgela' - ojstevwn rJagevntwn fovno", 1176 - 1177).

le mani (cei're" 1178) che ricordano quelle del padre “come conservate la dolce figura del padre, ma nelle giunture giacete dissolte davanti a me (1178 - 1179). La bocca ( stovma 1180) O cara bocca, che spesso lanciavi vanterie, sei morta.

La nonna ricorda le parole affettuose che le diceva il nipote (vv. 1182 ss.).
“o madre - dicevi - certo per te una folta ciocca
Dei riccioli mi taglierò, e sulla tomba condurrò
Cortei di compagni, dandoti il caro saluto”.
Invece non tu me, ma io te più giovane, 1185
Io vecchia senza più polis né figli seppellisco un misero cadavere.
Ahimé, i molti abbracci e le mie cure
E quei sonni sono passati per me. Che cosa mai
Potrebbe scrivere di te sulla tomba un poeta?
‘questo bambino lo uccisero un giorno gli Argivi 1190
Per paura’, disonorevole epigrafe per l’Ellade - deivsante" - aijscro;n toujpivgramma g j J Elladi (1191)

Il modulo del vecchio che seppellisce il giovane verrà riutilizzato da Euripide nelle Baccanti con Cadmo il nonno, poi Agave la madre di Penteo che, ripresa coscienza, piange sui pezzi del corpo del proprio figliolo smembrato da lei stessa.
Il figlio o il nipote dovrebbe seppellire il parente più attempato, invece è il vecchio che seppellisce il giovane. La natura è capovolta: di nuovo “acta retro cuncta”, la guerra nelle Troiane, nelle Baccanti il rifiuto dell’ineliminabile irrazionale funzionano come prassi rovesciante nei confonti dei tempi naturali della vita umana.

Sentiami il lamento di Cadmo sul nipote Penteo sbranato dalle baccanti infuriate guidate dalla madre Agave resa folle da Dioniso come le altre figlie di Cadmo
 Divenne simile a voi non venerando il dio.
Infatti congiunse tutti in una sola rovina,
voi e questo qui, tanto da distruggere la casata
e anche me, che essendo privo di figli maschi, 1305
vedo ammazzato nella maniera più turpe e cattiva
 questo virgulto, o infelice, del tuo grembo,
cui la famiglia levava lo sguardo - tu che, o figlio, sostenevi
il mio tetto, o nato da mia figlia,
ed eri motivo di paura per la città: questo vecchio 1310
nessuno voleva oltraggiarlo vedendo la tua
persona: infatti gli avresti inflitto giusta punizione.
Ora verrò cacciato senza onore dal palazzo
io Cadmo il grande, che seminai la stirpe
dei Tebani e ho mietuto una bellissima messe. 1315
O il più caro degli uomini – e infatti pur non essendoci più, ugualmente
sarai contato tra i più cari per me, creatura –
non più toccando questo mento con la mano,
abbraccerai chiamando per nome il padre di tua madre creatura,
e dicendo: “Chi ti offende, chi ti manca di rispetto o vecchio?
Chi ti turba il cuore dando tormento?
dimmelo, perché io punisca chi ti offende, o padre”.
Ora io sono un disgraziato e tu una sventurata,
madre da compiangere, e sventurate le sorelle.
Se c’è chi disprezza gli dèi, considerando la morte di questo, creda negli dèi. (Euripide, Baccanti, 1302 - 1325)

Quindi Ecuba saluta lo scudo dove rimangono tracce del sudore di Ettore nella impugnatura e nei bordi.
Cfr. lo scudo in Archiloco, Orazio, Tacito.

Poi un biasimo dello stolto tra i mortali che crede di essere costantemente uno che se la passa bene, e ne gode. Ma le sorti (aiJ tuvcai, 1204) sono come un uomo capriccioso (e[mplhkto~ wJ~ a[nqrwpo~, 1205): saltano ora qua ora là, e nessuno è mai, rimanendo se stesso, sempre fortunato.

Stolto tra i mortali è chi credendo di stare bene
Senza mai scivolare, gioisce: infatti le sorti con i suoi versi
Come un uomo capriccioso, saltano ora qua 1205
Ora là, e nessuna stessa persona rimane mai fortunata
Cfr. ancora Archiloco e Annibale a Scipione prima di Zama in Polibio.

Annibale parla a Scipione e cerca un accordo: io ho sperimentato come la tuvch sia mutevole e faccia pendere la bilancia alternatamente da una parte o dall’altra kaqavper eij nhpivoi~ paisi; crwmevnh (15, 6, 8), trattandoci come se trattasse con dei bambini infanti.

 Nel Re Lear il cieco Gloster dice:"io non ho strada e perciò non voglio gli occhi: ho inciampato quando ci vedevo (I have no way, and therefore want no eyes;/I stumbled when I saw, IV, 1). Quindi aggiunge:"As flies to wanton boys, are we to the gods, /They kill us for their sport " (IV, 1), come mosche per dei monelli capricciosi siamo noi per gli dèi, ci ammazzano per il loro passatempo.

La capricciosità della sorte viene denunciata anche dagli ultimi versi della Medea, delle Baccanti, dell’Alcesti, dell’Andromaca e dell’Elena. Vediamo i versi conclusivi della Medea di Euripide:
“Molti eventi in modo insperato compiono gli dèi;
e i fatti aspettati non vennero portati a compimento,
mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così è andata a finire questa azione (vv. 1416 - 1419)
E cfr. anche Antigone 1157; Trachinie 1 - 3.


[1] Del 40 ca.

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