Bibi Bruschi |
Commento dei versi delle Troiane di Euripide che verranno recitati
dall’attrice Bibi Bruschi il 24 maggio dalle 17, 30 nel salone Paolo VI della
chiesa San Salvatore di Siracusa (1156 - 1206)
Ecuba chiede
che venga deposto al suolo lo scudo di Ettore con il cadavere di Astianatte, il
figlio di Ettore ammazzato dai Greci per evitare che crescendo diventi forte e
prode come il padre e lo vendichi.
In versi
precedenti Andromaca, la vedova di Ettore aveva detto che i veri barbari sono i
greci che ammazzano i bambini: w\ bavrbar j ejxeurovnte~ [Ellhne~
kakav - tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion; (Troiane,
vv. 764 - 765), o Greci inventori della barbarie, perché uccidete questo
bambino che non è colpevole di niente?
.
Ecuba dunque
biasima a sua volta i Greci, capaci più di combattere che di pensare, uomini
che hanno maggior vanto di spada che di cervello (w\ meivzon j
o[gkon doro;~ e[conte~ h] frenw`n , Troiane, 1158) e hanno compiuto un
crimine inaudito - kaino;n diergavsasqe - 1160, per paura di un bambino.
La paura non
deve essere scissa dalla ragione
Oujk aijnw' fovbon, - o[sti" fobei'tai mh; diexelqw; lovgw/ ( 1165 - 1166),
non approvo
la paura, di chiunque ne abbia senza passarci attraverso con la ragione.
La paura può
anche essere positiva
Cfr.
il metus hostilis di Sallustio (B. I. 41) e
il to; deinovn delle Eumenidi (517)
e di Atena (Eumenidi, 698).
A proposito
della polivalenza problematica delle parole, la paura, e tanto meno il terrore,
non è elemento utile all'educazione dei figli secondo il personaggio Micio di
Terenzio, un uomo sostanzialmente positivo; eppure nelle Eumenidi di Eschilo entrambe le parti
contendenti affermano la necessità di mantenere vivo to; deinovn per il bene della povli" : nel secondo Stasimo, il coro delle Erinni canta:" a volte è bene il terrore
(" e[sq j o{pou to; deino;n eu\")/ e quale ispettore delle anime (frenw'n ejpivskopon)/ deve restarvi a fare la guardia"(vv. 517 - 519).
E subito dopo, ancora le Erinni:" mht j a[narkton
bivon - mhvte despotouvmenon - aijnevsh/" : panti; mesw/ to; kravto"
qeo;" - w[pasen "(526 - 530), non lodare una
vita di anarchia né una soggetta al dispotismo: in ogni caso il dio dà potenza
al giusto mezzo.
Più avanti la stessa Atena consiglia ai cittadini che
hanno cura della città di rispettare uno stato senza anarchia né dispotismo
("to; mhvt j a[narcon mhvte despotouvmenon", v. 696)
e di non scacciare del tutto la paura dalla città: infatti quale mortale è
giusto se non ha nessuna paura? ("kai; mh; to; deino;n pa'n
povlew" balei'n - tiv" ga;r dedoikw;" mhde;n e[ndiko"
brotw'n; " vv. 698 - 699).
Il concetto della paura opportuna all'ordine torna
nel Bellum Iugurthinum[1] di Sallustio:" Nam
ante Carthaginem deletam...metus
hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido
mentibus decessit, scilicet ea quae res secundae amant, lascivia atque
superbia, incessere" (41), infatti prima della distruzione di
Cartagine…il timore dei nemici conservava la cittadinanza nel buon governo. Ma
quando quella paura tramontò dagli animi, naturalmente quei vizi che la
prosperità ama, la dissolutezza e la superbia, si fecero avanti.
Tu, bambino,
continua Ecuba, potevi essere felice (makavrio~ h\sq j a[n, 1170), se c’è felicità nella
giovinezza, nelle nozze e nel potere.
Nella Medea ,
il Nunzio dice che un uomo se ha successo può essere più fortunato di un altro,
ma felice nessuno (1228 - 1230). Qnhtw`n ga;r oujdei;~ ejstin
eujdaivmwn ajnhvr (1228)
Euripide
accentua gli elementi patetici facendo menzionare da Ecuba le varie parti del corpo
martoriato di Astianatte: il capo (kratov", v.1173) dai riccioli recisi.
La testa che
tua madre ha curato
e coperto di
baci; da queste ora esce stridendo, tra le ossa spezzate
il
sangue.
Più
letteralmente “il sangue che esce con rumore di risa dalle ossa spezzate” del
capo del bambino (e[nqen ekgela' - ojstevwn rJagevntwn fovno", 1176 - 1177).
le mani (cei're" 1178) che ricordano quelle del
padre “come conservate la dolce figura del padre, ma nelle giunture giacete
dissolte davanti a me (1178 - 1179). La bocca ( stovma 1180) O cara bocca, che
spesso lanciavi vanterie, sei morta.
La nonna
ricorda le parole affettuose che le diceva il nipote (vv. 1182 ss.).
“o madre - dicevi
- certo per te una folta ciocca
Dei riccioli
mi taglierò, e sulla tomba condurrò
Cortei di
compagni, dandoti il caro saluto”.
Invece non
tu me, ma io te più giovane, 1185
Io vecchia
senza più polis né figli seppellisco un misero cadavere.
Ahimé, i
molti abbracci e le mie cure
E quei sonni
sono passati per me. Che cosa mai
Potrebbe
scrivere di te sulla tomba un poeta?
‘questo
bambino lo uccisero un giorno gli Argivi 1190
Per paura’,
disonorevole epigrafe per l’Ellade - deivsante" - aijscro;n
toujpivgramma g j J Elladi (1191)
Il modulo
del vecchio che seppellisce il giovane verrà riutilizzato da Euripide
nelle Baccanti con Cadmo il nonno, poi Agave la madre di
Penteo che, ripresa coscienza, piange sui pezzi del corpo del proprio figliolo
smembrato da lei stessa.
Il figlio o il
nipote dovrebbe seppellire il parente più attempato, invece è il vecchio che
seppellisce il giovane. La natura è capovolta: di nuovo “acta retro
cuncta”, la guerra nelle Troiane, nelle Baccanti il
rifiuto dell’ineliminabile irrazionale funzionano come prassi rovesciante nei
confonti dei tempi naturali della vita umana.
Sentiami il
lamento di Cadmo sul nipote Penteo sbranato dalle baccanti infuriate guidate
dalla madre Agave resa folle da Dioniso come le altre figlie di Cadmo
Divenne
simile a voi non venerando il dio.
Infatti
congiunse tutti in una sola rovina,
voi e questo
qui, tanto da distruggere la casata
e anche me,
che essendo privo di figli maschi, 1305
vedo
ammazzato nella maniera più turpe e cattiva
questo
virgulto, o infelice, del tuo grembo,
cui la
famiglia levava lo sguardo - tu che, o figlio, sostenevi
il mio
tetto, o nato da mia figlia,
ed eri
motivo di paura per la città: questo vecchio 1310
nessuno
voleva oltraggiarlo vedendo la tua
persona:
infatti gli avresti inflitto giusta punizione.
Ora verrò cacciato
senza onore dal palazzo
io Cadmo il
grande, che seminai la stirpe
dei Tebani e
ho mietuto una bellissima messe. 1315
O il più
caro degli uomini – e infatti pur non essendoci più, ugualmente
sarai
contato tra i più cari per me, creatura –
non più toccando
questo mento con la mano,
abbraccerai
chiamando per nome il padre di tua madre creatura,
e dicendo:
“Chi ti offende, chi ti manca di rispetto o vecchio?
Chi ti turba
il cuore dando tormento?
dimmelo,
perché io punisca chi ti offende, o padre”.
Ora io sono
un disgraziato e tu una sventurata,
madre da
compiangere, e sventurate le sorelle.
Se c’è chi
disprezza gli dèi, considerando la morte di questo, creda negli dèi. (Euripide, Baccanti,
1302 - 1325)
Quindi Ecuba
saluta lo scudo dove rimangono tracce del sudore di Ettore nella impugnatura e
nei bordi.
Cfr. lo
scudo in Archiloco, Orazio, Tacito.
Poi un
biasimo dello stolto tra i mortali che crede di essere costantemente uno che se
la passa bene, e ne gode. Ma le sorti (aiJ tuvcai, 1204) sono come un uomo
capriccioso (e[mplhkto~ wJ~ a[nqrwpo~, 1205): saltano ora qua ora là,
e nessuno è mai, rimanendo se stesso, sempre fortunato.
Stolto tra i
mortali è chi credendo di stare bene
Senza mai
scivolare, gioisce: infatti le sorti con i suoi versi
Come un uomo
capriccioso, saltano ora qua 1205
Ora là, e
nessuna stessa persona rimane mai fortunata
Cfr. ancora
Archiloco e Annibale a Scipione prima di Zama in Polibio.
Annibale
parla a Scipione e cerca un accordo: io ho sperimentato come la tuvch sia mutevole e faccia
pendere la bilancia alternatamente da una parte o dall’altra kaqavper eij nhpivoi~ paisi; crwmevnh (15, 6, 8),
trattandoci come se trattasse con dei bambini infanti.
Nel Re Lear il cieco Gloster dice:"io
non ho strada e perciò non voglio gli occhi: ho inciampato quando ci vedevo (I
have no way, and therefore want no eyes;/I stumbled when I
saw, IV, 1). Quindi aggiunge:"As flies to wanton boys, are we to the gods, /They kill us for their
sport " (IV, 1),
come mosche per dei monelli capricciosi siamo noi per gli dèi, ci ammazzano per
il loro passatempo.
La
capricciosità della sorte viene denunciata anche dagli ultimi versi della Medea,
delle Baccanti, dell’Alcesti, dell’Andromaca e
dell’Elena. Vediamo i versi conclusivi della Medea di
Euripide:
“Molti
eventi in modo insperato compiono gli dèi;
e i fatti
aspettati non vennero portati a compimento,
mentre per
quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così è
andata a finire questa azione (vv. 1416 - 1419)
E cfr.
anche Antigone 1157; Trachinie 1 - 3.
[1] Del 40 ca.
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