NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 12 maggio 2019

Presentazione dell'Ecuba di Euripide preparata per il liceo Pirandello di Bivona


Euripide, Ecuba del 424
Commento testuale
Prologo 1-97
I vv. 1-58 sono trimetri giambici. Segue un canto monodico di Ecuba (59-
97). La scena è collocata nel Chersoneso tracio, separato dalla Troade
dallo stretto dell’Ellesponto
Appare il fantasma di Polidoro che scende dall’alto per mezzo di una
mhcanhv. Dice del resto di provenire dall’Ade.
La prima parola è h{kw , come nelle Troiane (Poseidone) e nelle Baccanti
(Dioniso)-h{kw nekrw'n keuqmw'na kai; skovtou puvla"- lipwvn, (1-2) sono
giunto dopo avere lasciato l’antro dei morti e le porte della tenebra.
Cfr. le anime evocate nella Nevkuia (Odissea XI).
I morti dell'Odissea non sono angeliche farfalle sviluppate dai
vermi della condizione terrena, ma teste svigorite ("ajmenhna;
kavrhna", XI, 29). "Laggiù, nel cupo regno d'abisso, esse vanno
vagando, prive di coscienza, od al massimo dotate di una
semi-coscienza crepuscolare, con voce foca e stridula, deboli,
insensibili, essendo spariti carne, ossa e tendini"1.
Stazio nella Tebaide racconta che Tiresia con libagioni di vino,
latte, miele, e di sangue che attira le ombre, evoca il vulgus
exangue (IV. 519) dei morti.
“La yuchv non è il corpo sotto le cui sembianze essa appare,
bensì la sua immagine spettrale, il suo doppio, un eidolon
come il sogno, la visione, l’illusione, il phasma…A questa
psyché omerica si contrappone una concezione diversa
dell’anima, che viene elaborata nell’ambito di sette flosofco-
1E. Rohde, Psiche , p. 11. In nota l'autore cita:"ouj ga;r e[ti savrka" te kai; ojsteva
i\ne" e[cousin"(Odissea , XI, 219), infatti i tendini non reggono più le ossa e la carne.
religiose, come i pitagorici e gli orfci, e che appare legata a
esercizi spirituali destinati a sfuggire al tempo, alle
reincarnazioni successive e alla morte, purifcando e liberando
la particella divina che ognuno reca in sé (…) E’ però con
Platone che l’inversione dei valori attribuiti al corpo e all’anima
viene pienamente realizzata ( …) è proprio la psyché
immortale a costituire la vera essenza di ciascuno, nel suo
intimo, nel corso della vita2. Il corpo vivente muta allora di
statuto e diventa a sua volta una semplice apparenza,
l’immagine illusoria, inconsistente, fugace e transitoria di ciò
che siamo veramente e per sempre”3.
Cfr. Nietzsche "Il cristianesimo è un platonismo per il popolo”4.
Cicerone ribadisce la posizione platonica con "mens cuiusque is est
quisque non ea figura, quae digito demonstrari potest " (De Republica ,
VI, 26), la mente di ciascuno è quel ciascuno, non la figura che può essere
mostrata con un dito.
Polidoro (cfr. dw'ron, dono quasi un nomen non omen) dunque racconta la
sua triste storia. Era stato mandato da Priamo al palazzo di Polimestore
( cfr. mhvstwr, “consigliere”), nella bella pianura del Chersoneso (cevrso"-
ou-hJ-terraferma e nh'so", isola, dunque promontorio).
Là governa doriv con la lancia fivlippon naovn, un popolo che ama i cavalli
(9). Com me, continua il morto, mio padre Priamo manda di nascosto
lavqra/ molto oro polu;n crisovn (10) pensando di lasciare ai figli superstiti
mh; spavni" bivou (12) una “non penuria di risorse per vivere”.
Excursus su l’auri sacra fames
2 “In questa stessa vita, ciò che costituisce l’io di ciascuno di noi non è altro che
l’anima”, Leggi, XII, 959a, 7-8; cfr. anche Alcibiade, I, 130c; Fedone, 115 c-d;
Repubblica, V, 469d.
3 Jean-Pierre Vernant, Tra mito e politica, pp. 280-281.
4 Di là dal bene e dal male, prefazione.
L’oro associato spesso alla ricchezza, all’abbondanza di mezzi utili alla
vita, si rivela quasi sempre motivo di guerra, di odio, di morte. Si pensi al
petrolio nella nostra epoca.
"Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo.
Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e
non odono; non c'è respiro nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e
chiunque in essi confida" (Salmi, 135, 15-18).-
Virgilio nell'Eneide vede il desiderio dell'oro come motore di
efferati delitti e ricorda quello del barbaro re tracio:"
Polydorum obtruncat et auro/ vi potitur. Quid non mortalia
pectora cogis , /auri sacra fames! ", massacra Polidoro e con
violenza si impossessa dell'oro. A cosa non spingi i cuori
umani, maledetta fame dell'oro! (III, 55-57).
Properzio fa dipendere il tramonto degli dèi5, della pietas, della fides, dei
iura, della lex, del pudor, dal lusso e dalla lussuria di uomini e donne, e
dalla maledetta fame dell'oro già esecrata da Virgilio6:"At nunc desertis
cessant sacraria lucis:/aurum omnes victa iam pietate colunt./Auro pulsa
fides, auro venalia iura,/aurum lex sequitur, mox sine lege pudor" (III, 13,
47-50), ma ora sono trascurati i santuari nei boschi deserti: vinta la
devozione, tutti venerano l'oro. Dall'oro è stata messa fuori corso la lealtà,
5 Cfr. Edipo re:"Infatti già estirpano/gli antichi vaticini di Laio consunti/e
in nessun luogo Apollo/risplende per gli onori/e tramontano gli dei
(e[rrei de; ta; qei'a), 907-910.
".- fqivnonta= è prolettico: anticipa ejxairou'sin . Lo spengersi degli oracoli
procede parallelamente a quello della città; cfr.vv.25-
26:"fqivnousa..fqivnousa(sogg è povli" del v.22). Infatti per Sofocle il
declinare della religione corrisponde al decadere della vita.-ejxairou'sin: il
soggetto è la gente infuenzata da capi e maestri cattivi.-e[rrei de; ta;
qei'a
6 Quid non mortalia pectora cogis , /auri sacra fames! ", a cosa non
spingi i cuori umani, maledetta fame dell'oro! (Eneide, III, 55-57).
con l'oro si compra la giustizia, la legge obbedisce all'oro, presto il pudore
sarà fuori legge.
Tutto questo porterà alla caduta di Roma:"frangitur ipsa suis Roma
superba bonis" (v. 60), la stessa Roma superba viene spezzata dalle sue
ricchezze.
Ovidio scrive che l'oro è ancora più nocivo e promotore di violenza dello
stesso ferro con cui si fanno le guerre scatenate appunto dal metallo giallo.
Durante l'ultima età, quella del male integrale, omne nefas , ogni empietà,
irrompe nel genere umano:"fugitque pudor 7 verumque fidesque8;/in
quorum subiere locum fraudesque dolusque/insidiaeque et vis et amor
sceleratus habendi/(…) effodiuntur opes, inritamenta malorum;/ iamque
nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod
pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma./ Vivitur ex
rapto; non hospes ab hospite tutus,/non socer a genero, fratrum quoque
gratia rara est./Imminet exitio vir coniugis, illa mariti;/lurida terribiles
miscent aconita novercae;/filius ante diem patrios inquirit in annos./Victa
iacet pietas, et Virgo caede madentis,/ultima caelestum, terras Astraea
reliquit" (Metamorfosi, I, 129-131 e 140-150) e fuggì il pudore la
sincerità, la fiducia; e al posto di questi valori subentrarono le frodi, gli
inganni, le insidie e la violenza e l'amore criminale del possesso (…) si
estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto9
e, più funesto del ferro, l'oro10 era venuto alla luce : venne alla luce la
7 Il pudore è considerato già da Esiodo uno dei pilastri del vivere umano e civile: nelle
Opere il poeta afferma che nell'ultima fase dell' empia età ferrea gli uomini nasceranno
con le tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181) oltraggeranno i genitori che invecchiano,
useranno il diritto del più forte, la giustizia starà nelle mani (divkh d j ejn cersiv , v. 192) e
se ne andranno Cavri" , Gratitudine, Aijdwv" Rispetto, Nevmesi" , lo Sdegno; quindi non vi
sarà più scampo dal male "kakou' d j oujk e[ssetai ajlkhv" (v. 201).
Altrettanta forza, se non anche di più, ha il Pudore nella cultura latina.
8 Altro valore di base della civiltà latina. Cicerone nel De officiis (del 44 a. C.) dà
una definizione della fides " Fundamentum autem est iustitiae fides, id est dictorum
conventorumque constantia et veritas " (I, 23), orbene la fides è il fondamento della
giustizia, cioè la fermezza e la veridicità delle parole e dei patti convenuti.
9E' un topos antitecnologico che risale a Erodoto :"il ferro fu inventato per il
male dell'uomo"( Storie, I, 68). Euripide nelle Fenicie attribuisce alla
strage un cuore di ferro:"sidarovfrwn…fovno" " (vv. 672-673).
10 Si può pensare a quello nero: il petrolio per il quale si è versato tanto sangue. Che
il ferro e l'oro creino discordia tra gli uomini portando differenziazioni economiche
e sociali lo afferma anche Platone nelle Leggi (679b).
guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote
ordigni che scoppiano. Si vive di rapina; l'ospite non è al riparo
dall'ospite, non il suocero dal genero, anche l'accordo tra fratelli è poco
frequente. Il marito minaccia di rovina la moglie, questa il marito;
mescolano squallide pozioni velenose le terrificanti matrigne; il figlio
scruta la morte anzi tempo negli anni del padre. Giace sconfitta la carità e
la Vergine Astrèa11, ultima dei celesti, ha lasciato le terre sporche di strage.
Seneca nel De ira ricorda che i re incrudeliscono, compiono
rapine e distruggono città costruite con lunga fatica di secoli
per cercare oro e argento dentro le ceneri delle città:"reges
saeviunt rapiuntque et civitates longo saeculorum labore
constructas evertunt ut aurum argentumque in cinere urbium
scrutentur " (III, 33, 1).
Anche il Satyricon è ricco di anatemi del denaro:"quid
faciant leges, ubi sola pecunia regnat? ", cosa possono fare le
leggi dove comandano solo i quattrini? (14), e, più
avanti :"noli ergo mirari, si pictura defecit, cum omnibus dis
hominibusque formosior videatur massa auri, quam quicquid
Apelles Phidiasque, Graeculi delirantes, fecerunt " (88), non
devi dunque stupirti se la pittura è morta, dato che a tutti,
dèi e uomini, sembra più attraente un mucchio d'oro di quello
che fecero Apelle e Fidia, Grechetti matti.
Dante biasima Firenze, tra l'altro, poiché "produce e spande il
maladetto fore/ch'a disviate le pecore e li agni,/però che
fatto ha lupo del pastore"12. Si tratta ovviamente del forino.
11 Dea della Giustizia
12Paradiso , IX, 130-132.
Shakespeare nel Timone d'Atene (IV, 3) chiama l'oro yellow
slave- schiavo giallo- che metterà insieme e spezzerà religioni,
benedirà i maledetti, farà adorare la lebbra canuta, place
thieves, darà dei posti ai ladri, e assegnerà loro delle cariche,
e applausi nei banchi del senato”, " common whore of
mankind”, comune bagascia del genere umano, che semina
discordie tra la marmaglia delle nazioni.
Leopardi in Il pensiero dominante condanna la sua età "superba,/ che di
vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù nemica;/stolta, che l'util
chiede,/e inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede"(vv. 59-
64).
Ancora più duramente si esprime nei confronti del lucro il poeta di
Recanati nella Palinodia al Marchese Gino Capponi :" anzi coverte/fien di
stragi l'Europa e l'altra riva/dell'atlantico mar...sempre che spinga/contrarie
in campo le fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale
cagione, o di melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61-
67).
C. Marx ne i Manoscritti economico-flosofci del 1844 ,
commenta il drammaturgo inglese dicendo che nel denaro
rileva soprattutto due caratteristiche:
"1 ) la divinità visibile, la trasformazione di tutte le
caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la
confusione universale e l'universale rovesciamento delle cose.
Esso fonde insieme le cose impossibili;
2) è la meretrice universale, la mezzana universale degli
uomini e dei popoli”
Poi: “il denaro è il mezzo universale e il potere universale di
ridurre la rappresentazione a realtà e la realtà a
rappresentazione (…) Chi può comprare il coraggio, è
coraggioso anche se vile”.
Il denaro “è la fusione delle cose impossibili; esso costringe
gli oggetti contraddittori a baciarsi. Se presupponi l’uomo
come uomo e il suo rapporto con il mondo come un rapporto
umano, potrai scambiare amore soltanto con amore, fducia
solo con fducia ecc. Se vuoi godere dell’arte, devi essere un
uomo artisticamente educato; se vuoi esercitare qualche
infusso sugli altri uomini, devi essere un uomo che agisce
sugli altri uomini stimolandoli e sollecitandoli realmente (…)
Se tu ami senza suscitare una amorosa corrispondenza, cioè
se il tuo amore non produce una corrispondenza d’amore, se
nella tua manifestazione vitale di uomo amante non fai di te
stesso un uomo amato, il tuo qmore è impotente, è
un’infelicità”13.
Fine excursus
Polidoro ricorda che era newvtato" (13) il più giovane dei fgli
di Priamo, troppo giovane per combattere. Finché mio fatello
Ettore eujtuvcei dori; aveva successo in battaglia, l’ospite tracio
ebbe cura di me, crescevo come un virgulto-w{" ti" ptovrqo"
hujxovmhn (20).
In questa fase l’assassino era una specie di Augusto
accrescitore nei confronti dell’ospite.
Però poi, morto Ettore, scannato Priamo sull’altare,
empiamente dal fglio di Achille, e caduta Troia, l’ospite scelto
dal padre kteivnei me to;n talaivpwron ammazza me il disgraziato
crusou' cavrin 25 per l’oro, “in grazia dell’oro”.
Stesso atteggiamento viene attribuito da Ecuba a Elena nelle
Troiane: l’amante di Paride e moglie di Menelao parteggiava
sempre per il vincitore.
13 Terzo manoscritto, pagine finali
Quindi l’ospite criminale ktanwvn, dopo avermi assassinato, mi
abbandonò al futto del mare eij" oi\dm j ajlov" (26) i{n j aujto;"
cruso;n ejn dovmoi" e[ch/ (27), per tenersi l’oro in casa sua.
L’innumerevole sorriso delle onde marine del Prometeo
incatenato14, in questa tragedia diverrà il futto delle lacrime
di Ecuba. Polidoro lamenta ancora di giacere sui lidi marini qua
e là, secondo l’ondeggiamento del mare ejn povntou savlw/ (28),
senza compianto né sepolcro- a[klauto" a[tafo" (30) .
E quale spettro, lasciato solo il mio cadavere- sw'm j ejrhmwvsa"
ejmovn 31-, mi muovo agitato sopra il capo della madre mia da
quando tre giorni fa Ecuba è giunta da Troia in questa terra
del Chersoneso (34)
Intanto navi dei Greci “sono sedute”, qavssousi sulle rive di
questa terra di Tracia. E’ il fglio di Achille che tiene ferma la
fotta da quando il Pelide ujpe;r tuvmbou faneiv", apparso sulla tomba,
reclama la sorella mia Polissena per il suo sepolcro quale sua vittima
sacrificale e segno di onore –provsfagma kai; gevra"-41
Excursus contro la guerra
All’andata dunque viene sacrificata la vergine Ifigenia, al ritorno Polissena
per togliere impedimenti alla partenza.
Le guerre sono connotate da massacri e da atti di supertizione criminale
fatta passare per religione. Tutti e tre i grandi tragediografi e pure il grande
commediografo Aristofane sono contrari alle guerre.
Euripide nell’Elena e nell’Elettra sostiene che Elena non andò mai a
Troia e che questa guerra venne combattuta per un fantasma, per niente
Gli dèi l’hanno voluta per alleggerire la terra dalla massa degli uomini.
14 Quando i suoi aguzzini si allontanano, l'incatenato invoca le forze della natura a
comprenderlo e compiangerlo: “o etere divino e venti dalle ali veloci,/e sorgenti dei
fiumi, e innumerevole sorriso/delle onde marine (pontivwn te kumavtwn-ajnhvriqmon
gevlasma), e terra madre di tutte le cose (pammh'tovr te gh'),/e il disco del sole che
vede tutto, invoco:/vedete quali pene soffro, io che sono un dio, da parte degli
dèi”(88-92
Alla fne dell’Elettra euripidea, Castore annuncia a Oreste che
Elena sta arrivando, insieme con Menelao, dall'Egitto, dalla
casa di Proteo, poiché a Troia non è mai andata, “Zeu;~ d j, wJ"
e[ri" gevnoito kai; fovno" brotw'n,- ei[dwlon JElevnh~ ejxevpemy j ej~ [Ilion
” ( Elettra, vv. 1282-1283), ma Zeus mandò a Ilio
un'immagine (ei[dwlon) di lei, affnché ci fosse guerra e strage
dei mortali.
Euripide, che pure aizza spesso l'odio ateniese contro Spartani e Spartane,
attribuisce a Poseidone una condanna delle devastazioni belliche nel prologo
delle Troiane15 :"mw'ro" de; qnhtw'n oJvsti" ejkporqei' povlei", -naou"; te
tuvmbou" q ,Jj iJera; tw'n kekmhkovtwn,-ejrhmiva/ dou;" aujto;" w[leq ' u{steron"(v.
95-97), è stolto tra i mortali chi distrugge le città, gettando nella desolazione
templi e tombe, sacri asili dei morti; tanto poi egli stesso deve morire.
Più avanti la lucida follia di Cassandra dichiara che chi ha senno deve
evitare la guerra: “feuvgein me;n oun crh; povlemon o{sti~ eu\ fronei`” (v.
400)
Mi sembra particolarmente opportuno ricordare tali giudizi
sull'assurdità della guerra che viene imposta agli uomini
comuni, se non dagli dèi, dall'alto dei palazzi del potere,
affnché i mortali poveri, servano a interessi che sicuramente
non sono i loro. "Sì sì, lei non era qui". Dice di Elena la
Cassandra di Christa Wolf. E aggiunge:"Il re d'Egitto l'aveva
tolta a Paride, quello stupido ragazzo. Lo sapevano tutti nel
palazzo, perché io no? E ora? Come ne usciamo, senza
perdere la faccia. Padre, dissi, con un fervore col quale non gli
parlai mai più. Una guerra condotta per un fantasma, può solo
essere perduta"16.
Già nell'Iliade Zeus dice ad Ares:"e[cqisto" dev moiv ejssi qew'n oi} [Olumpon
e[cousin (V, 890), tu per me sei il più odioso tra gli dei che abitano l'Olimpo.
15 Del 415 a. C.
16C. Wolf, Cassandra , p. 85.
Nel primo Stasimo dei Sette a Tebe17 di Eschilo il Coro dissacra il dio della
guerra: Ares è un domatore di popoli che infuriando soffia con violenza e
contamina la pietà "mainovmeno" d j ejpipnei' laodavma"-miaivnwn
eujsevbeian"(vv. 343-344).
Nell'Agamennone (del 458) Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d' j [Arh"
swmavtwn"(v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge
le vite e arricchisce gli speculatori.
Secondo Gaetano De Sanctis, Eschilo con questa tragedia ha voluto mettere in
guardia gli Ateniesi"contro le guerre ingiuste, pericolose e lontane, onde
tornano, anziché i cittadini partiti per combattere, le urne recanti le loro ceneri.
La lista dei caduti della tribù Eretteide mostra quale eco dovesse avere nei
cuori tale monito durante quella campagna d'Egitto (anni 459-454) in cui fu
impegnato il fiore delle forze ateniesi"18.
"invece di uomini- ajnti; de; fwtw'n
urne e cenere giungono teuvch kai; spodo;" eij" eJkavstou
alla casa di ciascuno"dovmou" ajfiknei' ( Primo stasimo, vv 434-
436)
Nell'Edipo re19 Ares viene deprecato dal religiosissimo autore come "il
dio disonorato tra gli dei" ( ajpovtimon ejn qeoi'" qeovn, v.215). Il dio è
disonorato a maggior ragione poiché la guerra del Peloponneso dopo la
morte di Pericle veniva condotta dal becero e sanguinario Cleone e dai
demagoghi successivi senza rispetto dell'etica eroica e senza riguardo per
l'umanità: Tucidide20 nel dialogo senza didascalie del V libro fa dire dagli
Ateniesi ai Meli di non volgersi a quel senso dell' onore (aijscuvnhn, 111,
3) che procura grandi rovine agli uomini
Empedocle21 nel Poema lustrale narra che gli uomini della primitiva età felice
non avevano Ares come dio né il Tumulto della battaglia:"oujdjdev ti" hj'nj'n
keivnvnoisin [A[Are" qeo;";" oujdjde; Kudoimov"v""(fr. 119, 1).
17 Del 467 a. C.
18 Storia dei Greci , II vol., p.91
19 Propendo per una datazione bassa, posteriore al 415 a. C.
20 460 ca-400 ca a. C.
21 Fiorito intorno alla metà del V secolo.
Aristofane negli Acarnesi22 dichiara guerra alla guerra.
Il protagonista Diceopoli, il cittadino giusto, convince il coro che la guerra è
un male e lo induce a dire: "io non accoglierò mai in casa Polemo" (v. 977), la
personificazione del conflitto, visto come " un uomo ubriaco (pavroino" aJnhvr,
v. 981) il quale "ha operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur
invitato a bere nella coppa dell'amicizia, "bruciava ancora di più con il fuoco i
pali delle viti/e rovesciava a forza il nostro vino fuori dalle vigne"(986-987).
Il campagnolo pacifista Diceopoli si fa portavoce dei contadini, esasperati
poiché la guerra del Peloponneso nella fase archidamica distruggeva tutti gli
anni i raccolti.
Fine excursus
Contro la vita di Polissena c’è la richiesta di Neottolemo che non resterà
ajdwvrhto" privo di questo dono da parte degli amici, poi c’è il destino hJ
peprwmevnh, il destino che spinge mia sorella, dice ancora Polidoro, a
morire in questo giorno a[gei- qanei'n ajdelfh;n tw/d ' j ejmhvn ejn h[mati (44).
Il fantasma ricorda di pregato quelli che hanno potere sottoterra tou;" kavtw
sqevnonta" di ottenere una tomba e di cadere tra le braccia della madre
(50)
Anche sotto terra dunque ci sono gli sqevnonte", quelli che contano. Il
diritto del più forte è vigente dappertutto come dicono gli ateniesi ai Meli
nel v libro delle Storie di Tucidide.
Perfino il buon dio sosterrebbe il diritto del più forte secondo la
predominante potenza degli Ateniesi i quali, ampliando lo sguardo a una
prospettiva cosmica e universale, affermano :
" riteniamo infatti che la divinità, secondo la nostra opinione,
e l'umanità in modo evidente, in ogni occasione, per
necessità di natura, dove è più forte, comanda".
Questa sarebbe un'eterna legge di natura:
"noi non abbiamo imposto questa legge né l'abbiamo
utilizzata per primi quando vigeva, ma avendola ricevuta che
c'era, e pronti a lasciarla rimanere per sempre, ce ne
avvaliamo, sapendo che anche voi e altri, se vi trovaste nella
stessa condizione di potenza in cui siamo noi, fareste lo
stesso". (Tucidide, V, 105, 2).
22 425 a. C.
La preghiera di Polidoro dunque è stata accolta e il suo
cadavere afforerà nella battigia ai piedi di una schiava di
Ecuba.
Le ultime parole sono di compianto per la madre -w"J pravssei"
kakw'" , come stai male (pravssw, il verbo tragico per eccellenza
ha come primo signifcato quelli di “faccio”, siccome fare male
e stare male si equivalgono). Infatti Polidoro aggiunge: un dio
ti distrugge se fqeivrei qew'n ti", controbilanciando il benessere
di un tempo-ajntishkwvsa" th'" pavroiq jeujpraxiva" (57-58).
Entra Ecuba appoggiata a un bastone e in versi anapestici
chiede alle ragazze del coro, le prigioniere di guerra, di
sostenere lei, da regina, diventata compagna di schiavitù:
a[get j th;n oJmodouvlon (…) provsqe d j a[nassan (60-61). Ricorda
incubi e fantasmi che di notte la perseguitano. Invoca la Terra
signora w\ povtnia Cqwvn, madre dei sogni dalle ali neremelanopteruvgwn
mh'ter ojneivrwn- e dice che vuole scacciare la
visione notturna ajpopevmpomai e[nnucon o[yin (72)
Sogni
Cfr. Il sogno di Clitennestra nell’Elettra di Sofocle
Crisotemi è stata mandata dalla madre a portare libagioni sulla tomba del
padre. Racconta alla sorella Elettra che la loro madre si è spaventata in
seguito a un sogno.
Clitennestra ha veduto di notte Agamennone che tornava al mondo, si
univa a lei, poi piantava lo scettro nel focolare. Dallo scettro germogliava
un ramo, un virgulto (qallov~, v. 422) che ombreggiava tutta la terra di
Micene.
Un sogno del genere lo fa il re dei Medi, Astiage, in Erodoto: gli sembrava
che dalla vagina di sua figlia Mandane sposata con il persiano Cambise
nascesse una vite che occupava tutta l’Asia (I, 108). In precedenza aveva
sognato che la figlia urinando sommergeva tutta l’Asia (I, 107).
Già spaventato da questo primo sogno e dall’interpretazione datane dai
Magi, Astiage diede alla figlia un marito persiano di nome Cambise che
considerava più debole di un Persiano di mediocre condizione
Al tempo del secondo sogno Mandane era incinta e predissero al nonno
che il nascituro avrebbe regnato al suo posto. Quindi Astiage consegnò il
bambino ad Arpago perché lo uccidesse. Arpago fece portare il neonato da
un bovaro di nome Mitridate.
Sua moglie di nome Kunwv lo tenne e lo allevò al posto del proprio figlio
partorito morto.
Ecuba dunque nel sogno vedeva il figlio Polidoro creduto salvo in Tracia e
la sua cara figliola Polissena. La vecchia regina teme per questi due figli e
prega gli cqovnioi qeoiv (79) gli dei sotterranei swvsat j pai'd j ejmovn, salvate
mio figlio, o]" movno" oi[kwn a[gkur j e[t j ejmw'n, che è l’ unica ancora rimasta
della mia casa.
Frequenti sono le metafore nautiche nelle tragedie: nelle Troiane del 415
Ecuba entra in scena intonando anche lì una monodia in
anapesti (vv. 98-152)
e consiglia a se stessa l’accettazione del destino con questa
metafora nautica: “naviga- plei`- secondo la rotta kata;
porqmovn-, naviga secondo il destino plei` kata; daivmona e non
porre la prora della vita contro l’onda pro;" ku'ma-, ma naviga
secondo le sorti” (vv. 103-105).
E’ una dichiarazione amara di amor fati. Ecuba constata che il
polu;~ o[gko~ (v. 108), il grande vanto degli antenati era oujdevn,
niente, era un gonfore che si è dissolto.
Ecuba sente che sta arrivando qualche brutta nuova-estai to;
nevon ( Ecuba, 83).
La novità in greco ha spesso un signifcato negativo
Nel Filottete (vv.784) di Sofocle quando il sangue goccia
dalla piaga, il malato aspetta qualche novità, sicuramente non
buona:"kaiv ti prosdokw' nevon".
Il nevon indica anche il sovversivo: newterivsai th;n politeivan
signifca sovvertire la costituzione (Tucidide 1, 115, 2).
Il cuore di Ecuba frivssei-frivx è l’incresparsi del mare e il brivido, di
freddo o di paura-, tarbei'- cfr. torvus- minaccioso (86) rabbrividisce,
ha paura. Vuole vedere Eleno e Cassandra i fgli prigionieri dei
Greci, due giovani di spirito profetico dotati.
Di notte Ecuba ha visto una cerva screziata- balia;n e[lafonsquarciata
sfazomevnan dagli artigli cruenti di un lupo,
prefgurazione del sacrifcio di Polissena che al v. 526 viene
paragonata a un movsco" un vitello che balza.
Ecuba ha visto anche l’ombra di Achille che reclamava il dono
(h[/tei gevra", 94) di una delle tribolate troiane.
La regina chiede agli dèi di stornare questo dalla fglia
Parodo (vv. 98-153)
Entra il Coro
Le prigioniere hanno lasciato di nascoto le tende dei padroni e
sono andate da Ecuba. Ma il coro non porta buone notizie,
anzi si defnisce kh'rux ajcevwn (105) messaggero di angosce.
In un’assemblea plenaria degli Achei- ejn j Acaiw'n plhvrei xunovdw/
(107) hanno deciso di sacrifcare tua fglia ad Achille. Tu sai
che è apparso salito sulla tomba crusevoi" su;n o{ploi" (110) con
le sue armi d’oro- un altro spettro- e ha fermato le navi
gridando: “dove andate lasciando la mia tomba senza
offerte?-to;n ejmo;n tuvmbon ajfevnte" (115). Un altro spettro dopo
Polidoro.
Ovidio racconta che l’ombra di Achille domandò ai Greci se
partivano scordandolo: “immemores mei disceditis” e se
veniva sepolta con lui la gratitudine del sio grande valore
(Metamorfosi, XIII, 445-446) E chiese:
“Ne facite! Utque meum non sit sine honore sepulcrum,
placet Achilleos mactata Polyxena manes! ”(447-448)
Polissena sacrifcata plachi l’ombra di Achille!
Si più pensare a Spettri di ibsen del 1881
L’esistenza è spettrale in quanto dominata dagli spettri di un passato che è
ancora presente
“Spettri, sì, sono spettri, gli spettri che ritornano” dice Helen Alving
alludendo al fatto che Regine, di cui suo figlio è innamorato, è anche lei
figlia carnale del padre di Osvald, di suo marito. I due dunque sono
fratellastri
Solo l’elementarità animalesca della serva Regine può sottrarsi alla morsa
degli spettri: Osvald vedeva in Regine una possibile salvezza: “hai visto
come cammina, mamma? Non è un piacere guardarla?così bella, soda. Ma
sono figli dello stesso padre, pur senza saperlo. La madre di Osvald però
sa che la ragazza è nata da una relazione adulterina de padre di Osvald, il
defunto marito.
La Alving lamenta la mancanza di luce in questo mondo spettrale : “Io
sono paurosa, pavida, sì, piena di timidezze e paure perché c’è in me,
profondamente radicato, qualcosa di oscuro, di spettrale, che mi opprime
come un’ossessione, come un incubo da cui non riesco a liberarmi (..) Ah
Manders, io credo che tutti noi non siamo nient’altro che degli spettri e
tutti noi viviamo nell’ombra timorosi della luce, della chiarezza, della
verità”.
Il figlio Osvald invece vorrebbe la luce: “E poi anche questo tempo, questa
pioggia che non finisce mai, che è capace di andare avanti per settimane,
per mesi, un raggio di sole uno se lo può sognare. Le sue ultime parole
sono “il sole, il sole”.
Un’altra metafora marina nel racconto del Coro: “pollh'" d’ e[rido"
sunevpaise kluvdwn ( Ecuba, 116) si scontrarono i flutti di una tempesta e
l’esercito si divise: una parte voleva scannare la ragazza, a un’altra non
sembrava ben fatto
Agamennone si adoperava in tuo favore , tenendo al letto della Baccante
profetica-th'" mantipovlou Bavkch" ajnevcwn -levktra (121-122), mentre i
due figli di Teseo (Acamante e Demofonte) dissw'n muvqwn rJhvtore" h\san
(124) erano oratori di discorsi contrapposti ma erano d’accordo su un
parere: quello di coronare la tomba di Achille con sangue fresco-ai[mati
clwrw'/ 127 e dicevano che non si doveva porre il letto di Cassandra
davanti alla lancia di Achille. Qui troviamo un riferimento probabilmente
polemico alle antilogie e alla moda dei dissoi; lovgoi che potevano essere
contrapposti solo apparentemente.
La logica aperta al contrasto diviene metodica già con i Dissoì lògoi 23, i
“Discorsi in contrasto” presenti pure nelle Antilogie perdute di Protagora24
il quale "fu il primo a sostenere che intorno ad ogni argomento ci sono due
asserzioni contrapposte tra loro" come ricorda Diogene Laerzio (9, 51).
Dunque c’era una divisione di pareri perfino all’interno dello stesso parere,
prima che l’artista della parola persuasiva Odisseo oJ poikilovfrwn l’uomo
dalla mente variopinta cioè scaltro, kovpi" imbroglione, hJduvlogo" dal
dolce eloquio, dhmocaristhv" adulatore del popolo (vv. 132), convinse
l’esercito a non rinnegare il migliore dei Greci per evitare il sacrificio di
servi: nessun caduto doveva andare a lamentarsi con Persefone del fatto
che i greci non onorano i caduti.
Cfr. La retorica sui caduti magari in guerre aggressive. Cerimonie fatte per
manipolare i giovani e invogliarli a morire pure loro.
Il coro continua a parlare alla ex regina annunciando l’arrivo imminente di
Odisseo che verrà pw'lon ajfevlxwn per strappare la puledra sw'n ajpo
mastw'n, dalle tue mammelle, e spingerla via dalla vecchia mano-e[k te
geraia'" cero;" oJrmhvswn (143) Euripide, come altre volte, mette in rilievo
il patetico della situazione
La parodo delle Baccanti si chiude con queste parole:
23 " Un testo che può definirsi la formulazione "relativistica" del pensiero dei sofisti…
Gli "agoni di discorsi" tucididei echeggiano questa problematica, pur a mezzo secolo
di distanza dai Dissoì lògoi… uno scritto sofistico redatto verso il 450 o al più tardi
440" (S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 1 pp. 258 ss.
24 Nato nella ionica Abdera intorno al 485 a. C., all'incirca coetaneo di Euripide
dunque.
“felice hJdomevna
allora, come puledra con la madre a[ra pw'lo" o{pw" a{ma matevri
al pascolo, muove il piede rapido, a balzi, la baccante” (165-167)
Insomma la vitalità della puledra paragonata a quella della ragazza, rende
più raccapricciante il sacrificio della giovane.
Il coro consiglia a Ecuba di correre agli altari e di gettarsi supplice alle
ginocchia di Agamennone. jAgamevmnono" i{z j iJkevti" gonavtwn (145)
Se le tue preghiere non la salveranno dovrai vedere la vergine caduta sulla
tomba tuvmbou propeth' 150, imporporata del sangue foinissomevnhn
ai{mati che sgorga dal collo ornato d’oro con cupa corrente- nasmw'/
melanaugei' (153).
Viene in mente la pena di Ecuba sul corpo martoriato di Astianatte
nell’esodo delle Troiane, in particolare il sangue che esce con rumore di
risa dalle ossa spezzate del capo del bambino (e[nqen ekgela'-ojstevwn
rJagevntwn fovno" ( 1176-1177)
Pubbicato fn qui nel blog
Da correggere fino al v.657
Primo Episodio (vv. 154-443)
Inizia con una monodia di Ecuba , seguita da un commo con Polissena
(154-215). A questa parte cantata seguono i trimetri giambici recitati
(216-443).
L’infelice regina non sa nemmeno con quali gemiti o grida manifestare il
suo dolore. Si definisce infelice per la vecchiaia infelice e anche per la
servitù intollerabile, insopportabile. Chiede: chi mi difende? tiv" ajmuvnei
moi; 160, quali figli? Quale patria? Il marito e i figli sono frou'doi
scomparsi.
Il vecchio rimasto solo si sente come il bambino abbandonato dai genitori.
Ecuba è disorientata: non sa quale strada prendere.
Così desolata chiede aiuto a un dio o a un demone che la soccorraejparwgov"
v.164. Alle Troiane del coro fa notare che loro le hanno riferito
di strazi cattivi che l’hanno annientata-ajpwlevsat j, wjlevsat j (167), non mi
è più cara la vita alla luce del sole-oujkevti moi bivo"-ajgasto;" ejn favei
(167-168)
Sono parole di resa che fanno pensare a quelle di Macbeth: “I gin to be aweary of the
sun” (Macbeth, V, 5), comincio a essere stanco del sole.
La luce del sole significa vita illuminata dalla gioia di vivere.
Quindi la vecchia chiede al proprio piede sventurato tlavmwn pouv" di
condurla alla tenda dove si trova la figlia della disgraziatissima madre,
Polissena cui chiede ripetutamente di uscire –e[xelq j e[xelq j di dare
ascolto al suo grido –a[ie matevro" aujdavn (174)
Esce, ossia entra in scena, Polissena spaventata dal gridare della madre tiv
boa'/" ; che fa pensare al prossimo annuncio di qualche brutta, spaventosa
novità-ti nevon; (177) che fanno uscire la ragazza colpita da sbigottimento
w{st j o[rnin, come un uccellino (178)
Pure Polissena è tornata bambina in questo momento di terrore.
Anche nelle Troiane al piccolo uccello viene paragonato il bambino spaventato.
Andromaca si rivolge al figlio prossimo a essere sacrificato, come sarà Polissena,
dalla barbarie dei Greci, con queste parole:
O figlio, tu piangi: ti accorgi dei tuoi mali?
Perché mi hai afferrata con le mani e ti tieni stretto alle vesti,
Come un uccellino-neosso;" wjseiv- rifugiandoti nelle mie ali? (749-751)
Ecuba alza un altro lamento oi[moi tevknon (Ecuba, 180) e la figlia le
domanda tiv me dusfhmei'" ; perché mi rivolgi parole di cattivo augurio? Il
preludio a me rivolto è cattivo froivmiav moi kakav (181).
La madre accenna dolorosamente alla vita della figliola-aijai' sa'" yuca'"-
Tale allusione reticente accresce la paura di Polissena che vuole venga
determinato l’annuncio di sciagura-mh; kruvyh" darovn-deimaivnw deimaivnw,
ma'ter , non tenere nascosto a lungo, ho paura, ho paura. Le domanda
perché gema (183-185)
La paura di Polissena si convertirà in eroismo come quello di Ifigenia in
Aulide.
Ecuba continua a commiserare la fglia e se stessa senza
specifcare, ma Polissena la incalza-tiv tovd j ajggevllei" ; (187)
che cosìè questo che annunci? e la madre deve dirglielo: la
decisione comune degli Argivi ha lo scopo di sgozzarti –
sfavxai s j (188) sulla tomba del Pelide.
Polissena vuole sapere come faccia la madre a conoscere e gridare tali mali
non augurabili a nessuno pw"' fqevggh/ ajmevgarta kakw'n (191-192).
Ecuba risponde che le hanno riferito tali decisioni degli Argivi sulla sua
vita ta'" sa'" peri; yuca'" (197).
Tali voci maledette riferisco, figliola- aujdw', pai' dusfhvmou" fhvma" (194)ù
Polissena compiange prima che se stessa la madre, dalla nobile creatura
che è. Nobile e nobilmente educata per quanto è ignobile Odisseo
Polissena chiama Ecuba madre di vita dolorosa, donna che ha sofferto di
tutto e ora un demone le ha suscitato contro lwvban-ecqivstan ajrrhvtan t j
(200) un oltraggio odiosissimo infame indicibile: io tua figlia non ci sarò
più e non potrò più infelice condividere la schiavitù della tua infelice
vecchiaia-oujkevti dh; -ghvra/ deilaivw/ deilaiva- sundouleuvsw (202-204)
Vedrai tua figlia strappata dalle tue braccia scendere nell’Ade con la gola
tagliata- laimovtomon-laimov" oJ, gola-come una vitella cucciola nutrita sui
monti ( skuvmnon gavr m j w[st j oujrivqrevptan- movscon 205-206)
Nelle Troiane di Seneca, Agamennone si oppone umanamente allo
spietato Pirro che esige il sacrifcio di Polissena :"Quidquid eversae pot
est/superesse Troiae, maneat: exactum satis/poenarum et ultra est.
Regia ut virgo occĭdat/tumuloque donum detur et cineres riget/et
facinus atrox caedis ut thalamos vocent,/non patiar. In me culpa
cunctorum redit:/qui non vetat peccare, cum possit, iubet " (vv.285-
291), tutto ciò che può sopravvivere di Troia sconvolta, rimanga: è
stato fatto pagare abbastanza in fatto di pene e anche troppo. Non
permetterò che la ragazza fglia della regina muoia e la sua vita sia
donata a una tomba e spruzzi di sangue le ceneri e che il misfatto
atroce dell’assassinio chiamino cerimonia nuziale: la colpa di tutti i
misfatti ricade su me: chi non impedisce un delitto, quando può, è
come se lo avesse ordinato.
Se deve essere fatto un sacrifcio in onore di Achille, continua il dux
"caedantur greges/fuatque nulli febilis matri cruor" (vv. 296-297), si
ammazzino animali del gregge e scorra il sangue che non faccia
piangere nessuna madre umana.
Giacerò al buio con i morti, continua Polissena, eppure con
questi lamentosi canti funebri piango la tua sorte madre, non
la mia vita lwvban luvman t j , oltraggio e vergogna, per me morire è
l’accidente migliore- qanei'n moi-xuntuciva kreivsswn (214-215)
La coreuta annuncia l’arrivo di Odisseo spoudh'/ podov" con fretta
di passo: ha intenzione di signifcarti nevon ti (216-217)
qualche cosa di nuovo, cioè di brutto.
Entra in scena il subdolo e malvagio demagogo ( cfr. i vv 131-
132)
e riferisce il volere dell’esercito, la votazione già effettuatayh'fon
kranqei'san (219).
Cfr. le Supplici di Eschilo con il re Pelasgo che fa dipendere la sua
decisione di accogliere le Danaidi dal voto del popolo di Argo.
Agli Achei è sembrato bene sgozzare tua fglia Polissena pai'da
sh;n Poluxevnhn sfavxai, sul tumulo eretto sopra la tomba di
Achille- pro;" ojrqo;n cw'm j [Acilleivou tavfou (221).
Il sacerdote -ijereuv"- di questo sacrifcio sarà pai'" j Acillevw" il
ragazzo di Achille (224).
Un sacerdote tutt’altro che santo.
Nell’Andromaca (del 426) “il ragazzo di Achille” subisce la morte per
lapidazione dalla pretaglia delfca aizzata da una voce terribile
proveniente dal tempio.
Neottolemo, il fglio di Achille, stando sotto gli occhi di tutti, prega il
dio, e mentre viene ferito, domanda:"tivno" m j e{kati kteivnet j eujsebei'"
oJdou;" h{konta; poiva" o[llumai pro;" aijtiva";", perché mi uccidete sulla strada
della pietà? Per quale colpa muoio?" ( Andromaca, vv.1125-1126), ma
nessuno dei molti presenti gli rispose; anzi lo uccisero colpendolo con
pietre. Tutto questo è raccontato da un messo che alla fne della rJh'si"
(v.1164) accusa Apollo di essere w{sper a[nqrwpo" kakov", come un uomo
malvagio, e domanda:"pw"' a]n oun\ ei[h sofov";", come potrebbe essere
saggio?
Odisseo prosegue suggerendo a Ecuba di non opporre
resistenza: deve riconoscere la forza in campo: e la presenza
dei mali tuoi “givgnwvske d’ ajlkh;n kai; parousivan kakw'n-tw'n sw'n
(226-227)
Nei mali è saggio capire quello che è necessario- sofo;n toi ejn
kakoi'" a} dei' fronei'n (227)
Ecuba sente la presenza dell’ajgw;n mevga" (229) la grande gara,
quella decisiva. Sarà una gara piena di gemiti e non vuota di
lacrime (230 plhvrh" stenagmw'n oujde; dakruvwn kenov"
Nella Medea di Euripide la protagonista dice
“Fra tutti gli esseri, quanti sono vivi e hanno raziocinio,
noi donne siamo la creatura più tribolata:
noi che innanzitutto dobbiamo comprare un marito
con gran dispendio di ricchezze, e prenderlo come padrone
del corpo, e questo è un male ancora più doloroso del male.
E in questo sta la gara massima-ajgw;n mevgisto"- prenderlo cattivo
o buono. Infatti non danno buona fama le separazioni
alle donne, e non è possibile ripudiare lo sposo (vv. 230-237)
ajgw;n mevgisto" ( v. 235):
Antifonte sofista afferma che le nozze sono un grande agone in effetti: "mevga" ga;r
ajgw;n gavmo" ajnqrwvpwn" 25.
Pubblicato fn qui parte IV 26 aprile
La vecchia regina si rivolge a Zeus chiedendogli perché non l’abbia
lasciata morire dove doveva, al suo posto di moglie del re, e l’abbia
lasciata vivere per farle vedere i mali moltiplicarsi e ingrandirsi
Quindi chiede a Odisseo, il demagogo, il reuccio di Itaca se è consentito
toi'" douvloisi agli schiavi informarsi ejxistorh'sai (236) presso i liberi
tou;" ejleuqevrou" detto con ironia poiché i demagoghi devono assecondare
gli umori della plebe
25Intorno alla Concordia fr. 49 Untersteiner.
Odisseo risponde dandosi importanza con stupida prosopopea: “e[xest j
ejrwvta: tou' crovnou ga;r ouj fqonw' (238), è concesso, domanda, non ti
nego il mio tempo.
Ecuba mette alla prova la gratitudine di Odisseo: gli ricorda quando andò
come spia-katavskopo" (239) a Troia, con dei cenci addosso e deforme
dusclainiva/ tj a[morfo" (240) e dagli occhi gocce di sangue gli rigavano le
guance.
In questa situazione il primo demagogo recitava.
Lo ricorda il pacificatore e legislatore (diallakthv" kai; nomoqevth") ateniese a
Pisistrato nella Vita di Solone scritta da Plutarco: Gli disse: “ouj kalw'" (…)
ujpokrivnh/ to;n Jomhriko;n J Odusseva, non reciti bene la parte dell’Odisseo omerico,
infatti ferendo te stesso fai le stesse cose fuorviando i cittadini con le quali quello
trasse in inganno i nemici (30).
Odisseo risponde che lo ricords bene poiché la cosa gli ha toccato non solo
la parte alta del cuore- ouj ga;r a[kra" kardiva" e[yause mou (243).
Sono parole false poiché Odisseo non darà il dovuto contraccambio alla
salvezza ricevuta.
La regina gli rammenta ancora che Elena lo riconobbe e lo confidò a lei
sola (243). Odisseo riconosce di avere corso kivndunon mevgan (244) e che
Ecuba lo aiutò. Anzi, se è vivo, lo deve a lei. Allora le disse molte parole
w{ste mh; qanei'n, pur di non morire (250).
Qundi Ecuba accusa Odisseo e tutti quelli della sua razza di ingratitudine:
«Razza di ingrati è la vostra-ajcavriston uJmw'n spevrm j, di quanti
cercate il favore popolare: non voglio che vi facciate
conoscere da me: non vi curate di danneggiare gli amici, pur
di dire qualche cosa per piacere alla folla. Ma quale trovata
pensano di avere fatto con il votare la morte di questa
ragazza? Forse il dovere li spinse a sgozzare un essere umano
presso una tomba, dove sarebbe più giusto ammazzare un
bue? e[nqa bouqetei'n ma'llon prevpei; » (Ecuba, vv. 254-261).
Cfr. caedantur greges già citato dallenelle Troiane di Seneca
(296). Cfr. anche il biasimo dell’ingratitudine nella silloge
teognidea.
Polissena, continua Ecuba oujde;n ei[rgastai kakovn (264) non ha
fatto alcun male. Achille doveva esigere il sacrifcio di Elena
che l’ha condotto a Troia e alla morte.
Non senza l’aiuto di Ulisse come racconta Stazio nell’Achilleide. Ulisse
andò a scovarlo nell’isola di Sciro ptresso il re Licomede dove lo aveva
imboscato la madre travestito da robusta fanciulla.
Lì del resto aveva concepito Neottolemo con Deidamia.
Elena è la più bella oltre essere la colpevole: due motivi per
onorare Achille morto facendola morire sulla sua tomba
insiste la regina.
Ecuba poi torna a chiedere il contraccambio del favore fatto a
Odisseo: cavrin t’ ajpaitw' th;n toq j (276) ti chiedo gratitudine
del favore di allora e ti prego di non strapparla dalle mie
braccia-iJketeuvw tev se- mh; mou to; tevknon ejk cerw'n ajpospavsh/"
(277).
Quindi la madre supplica Odisseo di non ammazzare la fglia
con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in
favore della vita:"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (v. 278),
non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Grazie a lei io ho giosco-gevghqa-e dimentico i mali kajpilhvqomai
kakw'n (279), lei per me è la consolazione moi parayuchv di
molte sventure, lei è povli", tiqhvnh, bavktron, hjgemw;n oJdou' (281)
patria, nutrice, bastone, guida della strada.
Ricorda la dichiarazione d’amore di Andromaca al marito
La moglie di Ettore significa la sposa innamorata, bisognosa del marito e a lui
assolutamente devota: nel VI canto dell'Iliade dichiara il suo amore all'eroe
troiano, dicendogli che per lei rappresenta tutti gli affetti e pregandolo di non
esporsi troppo nella guerra sterminatrice:
. " Ettore, tu per me sei il padre e la veneranda madre/e anche il fratello, tu sei
pure il mio sposo fiorente;/allora, ti prego, abbi compassione e rimani qui sulla
torre,/non rendere il figlio orfano e vedova la sposa" (vv. 429-432)
Chi comanda-continua Ecuba- non deve comandare quello che
non si deve-ouj tou"; kratou'nta" crh; kratei'n a{ mh; crewvn (Ecuba,
282), e chi ha successo- eujtucou'nta"- non deve credere che
gli andrà sempre bene.
Cfr. di nuovo Agamennone nelle Troiane di Seneca.
Al culmine della sua carriera di a[nax l’Atride mostra di avere coscienza
di questa legge della rovinosa caduta probabile per chi è salito in
alto:"Violenta nemo imperia continuit diu,/moderata durant; quoque
Fortuna altius/evexit ac levavit humanas opes,/hoc se magis
supprimere felicem decet/variosque casus tremere metuentem
deos/nimium faventes. Magna momento obrui/ vincendo didici. Troia
nos tumidos facit/nimium ac feroces? Stamus hoc Danai loco,/unde
illa cecidit " (vv. 258-266), nessuno ha conservato a lungo il potere
con la violenza, quello moderato dura; e quanto più la Fortuna ha
levato in alto la potenza umana, tanto più il fortunato fa bene a
trattenersi e paventare le varie cadute temendo gli dèi che lo
favoriscono troppo. Vincendo ho imparato che i grandi regni vengono
sepolti in un attimo. Troia ci rende troppo superbi e spietati? Noi Danai
stiamo in piedi nel luogo dal quale quella è caduta.
Troviamo un locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca
quando le donne di Micene notano che la Fortuna/ fallax (vv. 57-58)
inganna con grandi beni collocandoli troppo alti in praecipiti dubioque
(v. 58), in luogo scosceso e insicuro. Infatti le cime sono
maggiormente esposte alle intemperie, ai colpi della Fortuna, e
predisposte alle cadute rispetto alle posizioni medie:"quidquid in altum
Fortuna tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix
mediae quisquis turbae/sorte quietus…" (Agamennone, vv. 101-104),
tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, per atterrarlo lo solleva. E'
più lunga la vita per le creature modeste: fortunato chiunque sia della
folla mediana contento della sua sorte.
Ecuba procede facendo l’esempio di se stessa: che era una
regina cui un solo giorno ha tolto ogni forma di benessere-to;n
pavnta dj o[lbon h|mar e{n m’ajfeivleto (285). Questo riguarda tutti
gli umani che senza eccezione vengono privati via via della
gioventù, della salute e della vita. Chiede a Odisseo che sa
parlare di convincere gli Achei che signifca attirarsi la
malevolenza divina ammazzare le donne -w"J ajpokteivnein fqovno"
-gunai'ka" (287-288) che non avete ammazzato dopo averle
strappate dagli altari. Abbiate pietà wj/ktivrate (290).
Poi la vecchia regina dice a Odisseo con un anacronismo “da
voi c’è una legge uguale per liberi e schiavi sui delitti di
sangue: “Novmo" d j ejn uJmi'n toi'" t j ejleuqevroi" i[so"- kai; toi'si
douvloi" ai{mato" pevri” (Ecuba, vv.291-292). “Voi” significa voi Greci.
Di questa legge si trova notizia nell’orazione di Antifonte26 Sull’uccisione
di Erode scritta per l’imputato Eussiteo, un cittadino di Mitilene accusato
di avere ucciso Erode, un cittadino ateniese. Eussiteo la recita in propria
difesa davanti a giudici di Atene, città della quale ricorda le leggi avìte.
Tra l’altro dice“gli schiavi i quali hanno ucciso i padroni, se anche sono
colti in flagrante, neppure in tal caso questi devono morire per mano dei
parenti, ma vengono consegnati alla magistratura secondo le vostre leggi
patrie” (48).
Ecuba continua dicendo a Ulisse, che dato il suo rango ajxiwvma, potrà
persuadere l’esercito, anche se parla male (293). Infatti lo stesso discorso
non ha la stessa forza-ouj taujto;n sqevnei se viene da gente non reputata e[k
ajdoxouvntwn ijwvn e da quelli reputati-kajk dokouvntwn (294-295).
Pubblicato fin qui 27 aprile
Il Coro commenta dicendo che queste parole di Ecuba farebbero versare
lacrime anche a un uomo sterrov" (296) duro e inflessibile di natura.
Odisseo replica che è disposto a salvare la vita di Ecuba rendendole il
contraccambio, ma non rinnegherà –oujk ajrnhvsomai-303 le parole
pronunciate sul sacrificio di Polissena.
Il verbo di rivendicazione è lo stesso usato da Prometeo relativamente al suo
trasgredire: :"io sapevo tutto questo:/di mia volontà, di mia volontà ho compiuto la
trasgressione, non lo negherò (eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk ajrnhvsomai)/ aiutando i
mortali ho trovato io stesso le pene (aujto;~ huJrovmhn povnou~ )"(265-267).
26 Visse tra il 480 cirrca e il 411. Fu tra i promotori della svolta antidemocratica del
411. Quando questo regime cadde, Antifonte venne condannato a morte
Tucidide ne scrive un caldo elogio in VIII , 68, 1
Qui nell’Ecuba però le pene sono inflitte da Odisseo, non subìte come
quelle di Prometeo.
Il demagogo continua dicendo che lo sgozzamento della ragazza è dovuto
ad Achille che lo ha richiesto-ejxaitoumevnw/ (305).
Achille infatti è a[xio" timh'" (309) è meritevole di onore, siccome è morto
nel modo più bello per la terra di Grecia.
Nell’Iliade Achille rivendica da vivo l’onore che gli è dovuto, e Agamennone gli ha
tolto sottraendogli Briseide. Il compenso che il prode si aspetta in cambio
dell' ajrethv dimostrata obbedendo a tali obblighi impegnativi fno al
sacrifcio, è un riconoscimento in termini di onore: la timhv negata è una
tragedia per il valoroso che si è distinto in battaglia: Achille si rifuta di
combattere constando che l'uomo codardo e il valoroso sono tenuti
nello stesso onore:" ejn de; ijh'/ timh'/ hjme;n kako;" hjde; kai; ejsqlov""27.
Allora sua madre implora Zeus di onorargli il fglio:"tivmhsovn moi uiJovn"28,
onorami il fglio-prega-, poiché è di vita più breve degli altri, e il signore
di genti Agamennone lo disonorò ("hjtivmhsen"29) : gli ha preso il suo
dono e lo tiene.
La stessa Tetide dichiara a Zeus che, se non la esaudirà, tutti gli dèi
vedranno come ella sia ajtimotavth qeov" (v. 516) la dea meno onorata.
Sarebbe turpe aijscrovn (Ecuba, 310) continua Odisseo, se
dopo avere considerato Achille quale amico fnché vedeva la
luce del sole, ora che è morto non lo tenessimo più in questa
considerazione.
Quando poi ci saranno altre guerre vedendo il caduto non
onorato-to;n katqanovnq j oJrw'nte" ouj timwvmenon (316),
combatteremo o rimarremo attaccati alla vita?-povtera
macouvmeq j h] filoyuchvsomen; (v.315).
Questo è il motivo degli onori resi ai morti in battaglia: invogliare altri
giovani a morire in guerra.
27Iliade , IX, 319
28Iliade , I, 505
29Iliade , I, 507
Da vivo, continua Odisseo, mi basta poco, ma vorrei che la
mia tomba venisse vista onorata: dia; makrou' ga;r hJ cavri" (320),
infatti è una gratitudine che dura.
Ecuba deve pensare che anche in Grecia ci sono molte
persone che hanno perso i loro cari, vecchie, donne e spose
private di ottimi mariti- grai'ai gunai'ke"- nuvmfai t j ajrivstwn
numfivwn thtwvmenai (324-325).
Se penso a mariti come Giasone o Menelao o Admeto, nelle tragedie di Euripide
questi a[ristoi non sono tanti. Il migliore è Ettore cui del resto Andromaca è del
tutto sottomessa quasi come una schiava (Andromaca e Troiane).
Voi barbari non considerate amici gli amici e non onorate chi muore con
bell’onore mhvte tou;" kalw'" teqnhkovta" -qaumavzesq j (329-330).
Il coro interviene con due trimetri deprecando il male della
schiavitù-to; dou'lon wJ" kakovn (332) che deve subire costretta
dall forza.
Per lo meno a queste prigioniere non è stata tolta la parrhsiva che nelle
Fenicie l’esule Polinice considera il male più grande per chi ha perso la
patria.
Parrhsiva potrebbe essere scelta come parola chiave e considerata a partire dallo Ione30
di Euripide dove il protagonista esprime il desiderio di ereditare da una madre ateniese
questo privilegio, recandosi ad Atene, poiché lo straniero che piomba in quella città, anche
se a parole diventa cittadino, ha schiava la bocca senza la libertà di parola ("tov ge stovmadou'lon
pepv atai31 koujk e[cei parrhsivan", vv. 674-675).
Analogo concetto si trova nelle Fenicie32 quando Polinice risponde alla madre sulla cosa
più odiosa per l'esule:" e{n me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto,
che non ha libertà di parola.
Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire quello che si pensa.
"La parresìa è l'elemento che il Greco avverte come ciò che massimamente lo
distingue dal barbaro. L'esule soffre della perdita della parresìa come della mancanza
del bene più grande (Euripide, Fenicie, 391). Inutile ricordare che il valore della parresìa
30 Del 411 a. C.
31 Forma poetica equivalente a kevkthtai.
32Rappresentata poco tempo dopo lo Ione. Tratta la guerra dei Sette contro Tebe.
svolgerà un ruolo decisivo nell'Annuncio neo-testamentario. E dunque entrambe le
componenti della cultura europea vi trovano fondamento"33.
Su questa parola chiave gioca Victor Hugo quando riporta queste parole “ingenuamente
sublimi” scritte da padre Du Breul nel sedicesimo secolo: “Sono parigino di nascita e
parrisiano di lingua, giacché parrhysia in greco significa libertà di parola della quale feci
uso anche verso i monsignori cardinali”34.
Torniamo a Ecuba la quale deplora i propri lovgoi pro;" aijqevra-frou'doi
mavthn (334-335) e consiglia alla figlia giovane e bella –ei[ ti meivzw duvnamin h]
mhvthr e[cei" (336) di provare ad autodifendersi : impegnati per non essere
privata della vita a lanciare trilli come la bocca di un usignolo-ws{ t j ajhdovno"
stovma fqogga;" iJei'sa (337-338). Convinci Odisseo ad avere pietà.
Polissena dice a Odisseo che non deve temere di venire importunato da
suppliche. Ti seguirò per via della necessità, poi sono io che voglio morire
qanei'n te crhv/zomai (347).
Cfr. il cupio dissolvi della Sibilla del Satiricon (48), parole citate da Eliot come
epigrafe ed emblema de La Terra desolata (1922):"nam Sibyllam quidem Cumis ego
ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: Sivbulla, tiv
qevlei"; , respondebat illa:" jApoqanei'n qevlw", infatti la Sibilla di sicuro a
Cuma, io stesso con i miei occhi, vidi sospesa in un 'ampolla, e
dicendole i fanciulli:"Sibilla, cosa vuoi?", rispondeva lei:"morire, voglio".
Nella terra sconciata non c’è più posto per i profeti.
Se non lo volessi, continua Polissena, kakh; fanou'mai kai;
filovyuco" gunhv (348) apparirò quale donna vile e attaccata
alla vita. Vengo da una condizione principesca, una ragazza h|/
path;r h\n a[nax-Frugw'n ajpavntwn (349-350) e dovevo sposare un
re. Avevo molti pretendenti. Ero i[sh qeoi'si plh;n to; katqanei'n
movnon (356), simile alle dèe a parte che sarei dovuta morire,
nu'n dj eijmi; douvlh, ora sono una schiava. Basta questo nome cui
non sono avvezza a farmi amare il morire. Posso essere
comprata per denaro, io, la sorella di Ettore e di molti altri
eroi, addetta alla necessità di fare il pane,- prosqei;" d j
33 M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 21 n. 2.
34 Notre-Dame de Paris, p. 38.
ajnavgkhn sitopoiovn ejn dovmoi", 362, di spazzare la casa- saivrein
te dw'ma- e stare al telaio 363.
Uno schiavo comprato da qualche parte dou'lo" wjnhtov" povqen
insozzerà il mio letto- levch de; tajma; cranei' , che una volta era
considerato degno di principi. Mando fuori dagli occhi una luce
libera attribuendo il mio corpo all’Ade (367). Polissena chiede
alla madre di non impedirle quanto ha deciso: mhde;n ejmpodwvn
gevnh/ (372), anzi di condividere la sua volontà: morire è meglio
che subire turpitudini immeritate (374). Chi non è abituato ad
assaggiare i mali li porta sul collo con sofferenza e si sente
più fortunato morendo.
La giustifcazione estetica della vita umana, il culto della
bellezza, è un'altra delle ragioni per cui i Greci sono nostri
padri spirituali.
Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere,
afferma Polissena quando antepone una morte dignitosa a
una vita senza onore:"to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba ,
v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento".
Il culto della bellezza nella vita e nella morte non manca in Sofocle:
Antigone dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo
questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire
nobilmente"peivsomai ga;r ou-j tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n (
Antigone, vv. 95-97).
Aiace il quale risponde al corifeo (vv.479-480):"ajll j h] kalw'" zh'n h]
kalw'" teqnhkevnai-- to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve o vivere con stile, o
con stile morire.
Altrettanto afferma Neottolemo, il fglio schietto dello schietto
Achille, in faccia al subdolo Odisseo del Filottete :"
bouvlomai d j, d' , a[nax, kalw'"-drwn' ejxamartei'n ma'llon h] nika'n kakw'" " (vv.
94-95), preferisco, sire, fallire agendo con nobiltà che avere successo
nella volgarità.
Il coro commenta queste parole dicendo che nascere da
persone nobili lascia un forte e chiaro segno-carakthvr-, ma il
nome della nobiltà diventa più grande per chi se ne fa degno
(380-381)
Ecuba si rivolge a Odisseo e prova a stornare la morte dalla
fglia su se stessa: thvnde me;n mh; kteivnete (385), non
ammazzate questa, ejgw; jtekon Pavrin io ho partorito Paride
che ha ucciso il fglio di Tetide tovxoi" balwvn, colpendolo con le
frecce (388).
In contraddizione con il v. 265 dove Ecuba ha accusato Elena
della morte di Paride.
Odisseo risponde che jAcillevw" favntasma ha chiesto questa
ragazza, non te vecchia, ouj s j w\ geraiav (389).
Allora Ecuba chiede di venire ammazzata con la fglia: così per
la terra e il morto ci sarà una doppia bevuta di sangue- gaiva/
nekrw'/ te di;" tovson pw'm j ai[mato" genhvsetai – 393
Ma Odisseo ripete l’a[li" del v. 278: basta il sangue di
Polissena, ouj prosoistevo" -a[llo" (394-395), non occorre
aggiungerne altro.
Ecuba replica che sente grande necessità pollh; ajnavgkh di
morire con la fglia, ma Odisseo risponde sprezzantemente
che non sapeva di avere dei padroni.
La mdre allora dice che vuole attaccarsi alla fglia kisso;" druo;"
o{pw", come l’edera alla quercia (398).
Polissena suggerisce a Ecuba di non opporsi per non suscitare
la violenza dei più forti- suv tj w\ tavlaina toi'" kratou'si mh; mavcou
(404). Farebbero scempio del tuo vecchio corpo. La fglia
chiede alla madre piuttosto un gesto di affetto: hJdivsthn cevradov",
dammi la tua dolcissima mano e lascia che accosti la mia guancia alla
tua (410) poiché non succederà più ma ora io vedrò il radioso cerchio del
sole per l’ultima volta (412). Il sole come sempre è la vita. Poi a[peimi
kavtw, me ne vado di sotto- a[numfo" ajnumevnaio" w|n m j ejcrh'n tucei'n
(416) senza sposo né i canti nuziali che avrei dovuto ottenere.
Un rimpianto simile a quello di Antigone che condotta nella prigione-tomba lamenta
di andare a morire a[gamo"...ajnumevnaio" ( Sofocle, Antigone, vv. 867 e 876), senza
nozze.
Polissena chiede alla madre cosa debba dire a Ettore e Priamo.
Riferisci che io sono la più disgraziata di tutti-a[ggelle pasw'n
ajqlowtavthn ejmev (423). La ragazza menziona con gratitudine i seni della
madre mastoiv che l’hanno nutrita con dolcezza hjdevw" (424)
Nell’Iliade Ecuba li fa ricordare a Ettore perché non a repentaglio la propria vita
Ecuba nell'Iliade mostra il seno a Ettore per indurlo a non affrontare Achille: la
vecchia regina, aperta la veste, con una mano solleva il seno, e prega il figlio di
ricordare che gli aveva dato la mammella che fa scordare le pene:"ei[ potev toi
laqikhdeva35 mazo;n epj evscon : -tw'n mnh'sai" (XXII, vv. 83-84)36.
Polissena augura buona fortuna alla madre, a Cassandra e a Polidoro, ma
Ecuba ha un brutto presentimento
La sorella dice che Polidoro è vivo, sbagliando. Ecuba dichiara di essere
morta ancora prima di morire (431)
Polissena chiede a Odisseo di portarla via poiché prima di venire sgozzata
ha consumato il cuore in lamenti e consuma (ejkthvkw) anche la madre con
i pianti (433-434)
Ecuba chiude il primo episodio chiedendo un abbraccio alla figlia a[yai
mhtro;" (439) quindi maledice Elena la spartana sorella dei Dioscuri: dia;
kalw'n ga;r ojmmavtwn , per i tuoi occhi belli infatti le cose più turpi hanno
preso Troia una volta felice (442-443)
I Stasimo 444-483
Le ragazze del Coro, come faranno quelle delle Troiane, si chiedono dove
il vento marino-pontia;" au[ra- condurrà la loro vita infelice. In quale casa
giungerà dopo essere stata acquistata come serva-doulovsuno" kthqei's j
(449). Sarà il Peloponneso o la Ftiodide irrigata dall’Apidano padre di
acque bellissime ? L’Apidano è affluente nell’Enipeo, affluente a sua volta
nel fiume Peneo.
35 Alceo attribuisce al vino (oi\non…laqikavdea, fr. 96 D. , v. 3) questo aggettivo
formato da lanqavnw e kh̃do~.
36 “ Sulla terra sono molte buone invenzioni, le une utili, le altre gradevoli: per esse la
terra è amabile. E certe cose vi sono così bene inventate, da essere come il seno della
donna: utili e al tempo stesso gradevoli” F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 252.
Euripide anche nelle Troiane usa parole elogiative su questa zona settentrionale della
Grecia.
La veneranda terra del Peneo.
Base bellissima dell’Olimpo
Ho sentito dire che è colma di prosperità
E di florida fertilità;
in queste regioni come seconde dopo la sacra
divina terra di Teseo, mi tocchi di giungere (Troiane, I stasimo, vv 214-219). Il poeta
come si sa si recherà in Macedonia ospite del re Archelao e là concluderà la sua vita
Oppure, si chiede il coro andrò a condurre una vita di tristezza nell’isola
di Delo dove la palma primigenia-e[nqa prwtovgonov" te foi'nix- e l’alloro
davfna 459-offirono i rami sacri per l’amata Latona, ornamento del parto
divino?.
La palma di Delo è ricordata da Odisseo e paragonata a Nausicaa
Odissea, VI, vv. 160-163:"Non ancora infatti una tale creatura io vidi
con gli occhi/,né uomo né donna: venerazione mi prende a
guardarti./Invero una volta a Delo presso l'altare di Apollo siffatto/ vidi
alzarsi un nuovo virgulto di palma" (…)
vv.166-169:"E così allo stesso modo vedendo anche quello rimanevo
stupito nell'animo/a lungo, poiché non ancora un tale fusto si era
alzato dalla terra,/come te, donna, ammiro e sono preso da stupore e
temo terribilmente/ di toccarti le ginocchia: ma un duro dolore mi
pervade".
l' Inno omerico III ad Apollo ricorda che Latona a Delo generò Apollo ,
piegata presso l'altura del Cinto, vicinissimo alla palma ("ajgcotavtou
foivniko"", v. 18), lungo le correnti dell'Inopo.
Forse a Delo le Troiane celebreranno l’aurea benda e l’arco di Artemide
Artevmido" tovxa con le ragazze dell’isola. Anche questa località e
menzionata con una certa simpatia probabilmente perché a Delo era stata il
centro della lega detta appunto delio attica
Delo per alcuni anni ebbe anche grande importanza politica come sede
della Lega Delio-Attica costituita nel 477 in funzione antipersiana: da
allora nel tempio di Apollo era custodita la cassa federale e là veniva
amministrata da dieci magistrati ateniesi, gli Ellenotami, fno al 454
quando Pericle, su proposta dei Sami, la fece trasferire ad Atene,
sull'Acropoli.
Ma la sede preferita è, naturalmente Atene, la città di Pallade
dal bel carro. Lì le Troiane potranno aggiogare delle puledre
ricamandole su un peplo color zafferano-ejn krokevw/ pevplw/
468- rappresentandole con arte in tessuti trapunti di fori,
oppure raffgurare la razza dannata dei Titani che Zeus stende
con il fuoco della folgore. Sono con i giganti gli eterni nemici
della cultura.
Questo primo stasimo si conclude però con una deplorazione:
mentre la patria va in fumo e viene devastata dalla lancia
degli Achei, il coro delle Troiane, lasciando l’Asia avrà in
cambio la dimora dell’Europa, stanza nuziale di Ade, della
morte.
Euripide l’Ecuba e con le Troiane e esprime dolore e disgusto per la
guerra del Peloponneso e in particolare, per l’episodio dell’isola di Melo
con la seconda (del 415) e con la prima (424) probabilmente per
quello dei Mitilenesi ribelli che Cleone voleva uccidere in massa.
Nel 428 le città dell'isola di Lesbo, tranne Metimna, si ribellano;
Mitilene capeggia la rivolta ed entra nella lega peloponnesiaca. Gli
Ateniesi reagiscono con forza, assediano la città per terra e per mare,
fnché questa nel 427 si arrende. Gli aiuti spartani sono ineffcaci e
tardivi.
Dopo la resa, Cleone propone di uccidere tutti i Mitilenesi e gli Ateniesi
in un primo momento lo approvano.
Tucidide presenta il demagogo dicendo che era il più violento dei
cittadini ("biaiovtato" tw'n politw'n", III, 36, 6) e quello più capace di
persuadere ("piqanwvtato"") la massa.
Disse in sostanza che l'impero ateniese è una tirannide ("turannivda
e[cete th;n ajrchvn", III 37, 2) la quale per reggersi deve usare la forza e
bandire la compassione.
A tale proposta segue quella più moderata di Diodoto il quale consiglia
di punire solo i colpevoli: così i sostenitori di Atene sarebbero stati
incoraggiati. Non basta la forza delle leggi né alcun’altra minaccia a
trattenere la natura umana quando questa è lanciata
appassionatamente (proquvmw~, III, 45, 7) a fare qualche cosa.
Il partito di Diodoto vinse:"ejkravthse de; hJ tou' Diodovtou" (III, 49, 1) e
Mitilene scampò alla distruzione. Comunque un poco più di mille ("ojlivgw/
pleivou" cilivwn", III, 50, 1) ribelli furono uccisi, le mura di Mitilene
vennero abbattute, le navi portate via e il territorio dell'isola (tranne
quello di Metimna) diviso in lotti per i cleruchi ateniesi
II Episodio vv. 484-628
Entra in scena Taltibio e chiede dov’è la regina. Gli è vicina ma
l’araldo non la vede siccome Ecuba è stesa a terra sulla
schiena-nw't j e[cous j ejpi, cqoniv ( 486), come pure si trova in
diversi momenti delle Troiane simboleggiando l’atterramento
della sua città, della sua stirpe e del suo popolo.
Riporto alcuni versi delle Troiane
Coro
Custodi della vecchia Ecuba, non avete visto 462
La padrona come cade distesa e muta?
Non le darete aiuto? O abbandonerete, malvagie,
una vecchia caduta? Alzate il suo corpo, drizzatelo. 465
Ecuba
Lasciatemi-non è certo gradito quello che non piace, fanciulle-
Giacere caduta: infatti sono degni di cadute ptwmavtwn ga;r a[xia
I dolori che soffro e ho sofferto e soffrirò ancora. 468.
La caduta del corpo è il correlativo oggettivo del decadimento generale dei Troiani e
dei Greci.
Taltibio vedendo questo capovolgimento dubita del’esistenza
provvidenziale di Zeus e si domanda se non sia la tuvch, il caso
a sovrintendere ejpiskopei'n alle vicende dei mortali (Ecuba,
491)
Quindi l’araldo considera uno per uno i termini di questo ribaltamento dei
regnanti a farmakoiv: Ecuba da moglie-davmar- del potente e ricco Priamo
è precipitata nella condizione di douvlh, gra'u", a[pai" (495), schiava,
vecchia, senza figli e giace distesa kei'tai sporcando con la polvere la
testa infelice -kovnei fuvrousa duvsthnon kavra (496)
Taltibio dice: “ sono vecchio ma per me sarebbe meglio morire primsa di
cadere in una sorte così deforme” moi qanei'n eij[h pri;n aiscra'/
peripesei'n tuvch/ tiniv (497-498)
Sulla vita amara dei potenti cfr. lo Ione e Agamennone che nell’Ifigenia in Aulide
invidia il vecchio servo.
Ione sostiene la superiorità della vita ritirata su quella impegnata o
tesa al potere che viene smontato del tutto :"del potere lodato a
torto/l'aspetto è dolce, ma dentro il palazzo/c'è il dolore (tajn dovmoisi
de;- luphrav): chi infatti è felice, chi fortunato/se, temendo e guardando
di traverso (dedoikw;" kai; parablevpwn), trascina/il corso della vita?
Preferirei vivere/da popolano felice piuttosto che essendo tiranno
("dhmovth" a]n eujtuch;"-zh'n a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno" w[n"),/il quale si
compiace di avere amici malvagi,/mentre odia i generosi per paura di
attentati " (Ione, vv. 621-628).
E' questa un'affermazione ricorrente nell'opera euripidea: torna nell'
Ifgenia in Aulide dove lo stesso Agamennone, richiesto di sacrifcare la
vita della primogenita , dice a un vecchio servo:" ti invidio,
vecchio,/invidio tra gli uomini quello che passa una vita/senza pericoli,
ignorato, oscuro (ajgnw"; ajklehv" );/ quelli che stanno tra gli onori li
invidio di meno"(17-20).
Quindi Taltibio invita Ecuba a tirarsi su, almeno fisicamente il fianco e il
capo canuto (500)
Ecuba chiede di essere lasciata in pace
Taltibio dice il proprio nome e di essere stato mandato da Agamennone.
La regina spera che sia venuto a dirle che gli Achei hanno deciso di
sgozzare anche lei sulla tomba-kam j ejpisfavxai tavfw/ (505). hjgou' moi,
gevron (507), guidami, vecchio.
Ma Taltibio è stato mandato dai dissoi; jAtrei'dai e dal lew;" jAcaiikov"
perché dica alla madre di sepprllire la figlia che è morta.
Ecuba naturalmente grida oi[moi (511) e w\ tavlainj ejgwv per la perdita di
tanti figli. Domanda poi come sia stata uccisa : con rispetto-a\r j
aijdouvmenoi (515) o arrivando a compiere to; deinovn l’orrore trmendo di
ammazzarla come nemica ?
Taltibio dice di avere provato compassione. Poi racconta: “la prese per
mano il figlio di Achille seguito da un manipolo di Achei scelti-lektoi; t j
jAcaiw'n ( detto forse da Euripide con ironia come fa Lucrezio con
“ductores Danau delecti, prima virorum” (De rerum natura, I, 86) del
sacrificio di Ifigenia).
Questi lektoiv dovevano trattenere con le mani l’eventuale skivrthma
movscou (526) balzo della vitella.
Cfr divkan cimaivra~ dell’ Agamennone (232) dove Ifigenia è sollevata
sull’altare del sacrificio “come una capra”
Nell’Agamennone di Eschilo, il padre hJgemw;n oJ prevsbu~ (v. 185), il comandante
anziano delle navi achee, per risparmiare il tempo già molto sciupato nell’attesa che
si placassero i venti kakovscoloi (193), forieri di ozio cattivo, naw'n kai; peismavtwn
ajfeidei'~ (195), sperperatori di navi e cordami, non osò diventare lipovnau~ (212),
disertore della flotta e invece e[tla quth;r genevsqai qugatrov~ (224-225), osò
divenire sacrificatore della figlia, la primogenita Ifigenia, che venne sollevata
sull’altare divkan cimaivra~ (232), come una capra, imbavagliata per giunta affinché
non potesse proferire maledizioni contro la casa.
Neottolemo vuota una coppa d’oro sulla tomba del padre poi fa cenno a
Taltibio di ordinare il silenzio- Quindi l’araldo trasmette l’ordine Siga't j ,
jAcaioiv, si'ga pa's e[stw lewv" (532)
Taccciono tutti tranne il figlio di Achille: prega il padre w"J pivh/" di bere il
nero puro sangue della ragazza, ai\ma sangue o{ soi dwrouvmeqa che noi ti
doniamo. In cambio il giovane domanda di concedere a ciascuno di
tornare in patria con un ritorno favorevole (540-541)
Cfr. Lucrezio exitus ut classi felix faustusque daretur (I, 100)
Sappiamo che nel ritorno i Greci da Agamennone a Odisseo subirono ogni
tribolazione se non anche la morte. Nelle Troiane Atena lo chiede a Poseidone e
Cassandra lo profetizza.
Quando Neottolemo ebbe impugnato la spada, Polissena parlò in maniera
davvero nobile, da sorella di Ettore e principessa di Troia: ejkou'sa
qnhvskw: mh; ti" a{yhtai croov"- toujmou' (548-549), di mia volontà muoio,
nessuno tocchi la pelle mia, offrirò infatti la gola con cuore saldo.
Ovidio:
“Vos modo, ne Stygios adeam non libera manes,
este procul, si iusta peto, tactuque viriles
Virgineo remevete manus! Acceptior illi
Quisquis is est, quem caede mea placare paratis,
liber erit sanguis; …” (Metamorfosi, XIII, 465-469),
ora voi, perché io non scenda non libera alle ombre Stigie
state lontani, se chiedo il giusto, e allontanate le mani
di maschi dal contatto con la vergine! Più gradito a quello
chiunque lui sia, che vi accingete a placare ammazzandomi,
sarà il sangue libero…
Ammazzatemi lasciandomi libera, perché muoia libera- wJ" ejleuqevra qavnw
(Ecuba, 550), io che sono di stirpe regale basiliv" non voglio essere
chiamata schiava (douvlh, 552)
Polissena ha osservato persino l’etichetta della principessa pur in un
momento che avrebbe sconvolto chiunque ma, come si dice, noblesse
oblige. La folla apprezzò e aplaudì. Agamennone ordinò ai guardiani di
scostarsi. Polissena lacerò il proprio peplo dalla spalla all’ombelico e
scoprì le mammelle e il petto bellissimo come di statua-mastou"v tj e[deixe
stevrna q j w" ajgavlmato"- kavllista (560-561).
Poi la principessa posò a terra il ginocchio.
(cfr.Lucrezio e la sua Ifigenia, molto diversa muta metu genibus summissa petebat, I,
92)
Quindi Polissena disse parole piene di coraggio: ecco, giovane pai'son,
colpisci il petto se vuoi, o la gola che è qui pronta-laimo;" eujtreph;" o{de
(565).
Lui per compassione della ragazza non volendo e anche volendo-o[ d j ouj
qevlwn te kai; qevlwn oi[ktw/ kovrh" (566), taglia con il ferro i canali del
respiro tevmnei sidhvrw/ pneuvmato" diarroav" (567).
Sgorgavano sorgenti di sangue. Mentre moriva, lei comunque si dava
molta cura di cadere in bella forma pollh;n provnoian ei\cen eujschvmwn
pesei'n (569) con decoro , coprendo ciò che si deve coprire rispetto agli
occhi degli uomini-kruvptous j a} kruvptein ommat j ajrsevnwn crewvn (570).
Ovidio scrive:
“ pertulit intrepidos ad fata novissima vultus
tunc quoque cura fuit partes velare tegendas
Cum caderet, castique decus servare pudoris” (Metamorfosi, XIII, 478-
480), portò avanti lo sguardo fiero fino all’ultimo istante concesso e anche
allora cadendo ebbe cura di tenere celate le parti da coprire e di conservare
il decoro del casto pudore.
Quindi la ragazza muore e tutti si davano da fare per onorarla, alcuni dalle
mani gettavano foglie- ejk cerw'n fuvlloi" e[ballon sul cadavere, altri
accatastavano tronchi di pino per il rogo.
Chi non faceva niente veniva apostrofato con w\ kavkiste (577) non hai
nulla da offrire a un’anima così nobile? Taltibio conclude il racconto
dicendo che in Ecuba vede eujteknwtavthn te se pasw'n gunaikw'n
dustucestatavthn q j oJrw' (581-582) la donna che ha avuto i figli migliori
di tutte e anche quella che ha avuto la sorte peggiore.
Anche Seneca nelle sue Troiane descrive la morte di Polissena con ammirazione nei
confronti della ragazza che conserva il pudore verginale, “…et tamen fulgent genaemagisque
solito splendet extremus decor-ut esse Phoebi dulcius lumen solet-iam iam
cadentis…” (1138-1141) e tuttavia splendono le guance, e più del solito brilla il
fascino ultimo come suole essere più dolce la luce di Febo al tramonto.
La folla è stupefatta e quasi tutti la ammirano: alcuni li commuove formae decus
(1144) la bellezza della persona, altri mollis aetas (1145), la tenera età, altri vagae
rerum vices le turbinose vicende della vita, tutti comunque colpisce l’animo forte che
va incontro alla morte movet animus omnes fortis et leto obvius (1146) . Quando il
figlio di Achille si erse sul tumulo paterno audax virago non tulit retro gradum
(1151), l’audace eroina non indietreggiò, conversa ad ictum stat truci vultu ferox
(1152), protesa al colpo sta dritta e fiera con sguardo minaccioso.
Non manca il consueto tocco deformante, preespressionistico di Seneca.
Un tale coraggio colpisce tutti; Pirro ne è commosso, forse addirittura spaventato:
“novumque monstrum est Pyrrus ad caedem piger” (1154), c’è un prodigio mai visto
Pirro è restio a versare il sangue
Però poi la colpisce e il sangue esce a fiotti dal largo squarcio. “Nec tamen moriens
adhuc-deponit animos: cecidit, ut Achilli gravem-factura terram , prona et irato
impetu” (1157-1159) Polissena perde molto sangue ma non il coraggio, cadde, come
per rendere pesante la terra ad Achille, distesa e con impeto selvaggio. Uterque flevit
coetus; at timidum Phryges- misere gemitum, clarius victor gemit”, l’uno e l’altro
popolo pianse, ma i Frigi emisero un gemito sommesso, il vincitore più sonoro.
La corifea commenta dicendo: una terribile sventura deinovn ti ph'ma (583)
è caduta sui Priamìdi e sulla mia città per le necessità degli dèi.
Ecuba si sente sopraffatta dai mali e non sa quale osservare pollw'n
parovntwn, poiché sono troppi e si accavallano. Il tuo pavqo", Polissen, mi
induce a piangere, eppure mi hai tolto l’eccesso del dolore dopo che mi
sei stata raccontata come gennai'o" (592) sei morta da nobile, in maniera
degna della tua stirpe.
Ecuba dunque prova “una strana consolazione” per la nobiltà con la quale
la sua ragazza è morta, splendendo di bellezza, come un’opera d’arte, e
parlando con il coraggio di un eroe:
“Non è strano che, se la terra è cattiva,/ma ottiene buone condizioni dagli
dèi, produce buona spiga,/mentre se è buona, ma non riceve quanto essa
deve ottenere,/ dà cattivi frutti; tra gli uomini invece, sempre/il malvagio
non è nient'altro che cattivo / mentre il buono è buono, né per una
disgrazia/guasta la sua natura, ma rimane sempre onesto? (“oJ me;n ponhro;"
oujde;n a[llo plh;n kakov",-oJ d j ejsqlo;" ejsqlov", oujde; sumfora'" u{pofuvsin
dievfqeir j , ajlla; crhstov" ejst j ajeiv;”)/Dunque i genitori fanno la
differenza o l'educazione?/Certamente anche essere educati bene, porta/ un
insegnamento di onestà; e se uno l’ha imparato bene,/ sa che cosa è turpe,
avendolo appreso con il metro del bello. /Ma questi pensieri la mente li ha
scagliati invano"( Ecuba, vv. 592-603).
La madre dolorosa poi manda l’araldo Taltibio a cercare di tenere
lontano la folla da Polissena, la figlia morta assassinata : ei[rgein o[clon
-th'" paidov" (605-606). Infatti l’ajkovlasto" o[clo", un o[clo" una folla
non tenuto a freno, e un’anarchia dei marinai nautikhv t jajnarciva (607), è
peggiore, più forte e distruttiva del fuoco-kreivsswn purov" e tra loro
kako;" d j oJ mh; ti drw'n kakovn (608) canaglia è chi non fa del male.
Cfr. l’Oedipus di Seneca dove la profetessa Manto, figlia di Tiresia, dice:" Mutatus
ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta ( vv. 366-367) , è mutato
l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.
Nella monografia di Sallustio su Catilina, Catone in senato parla dopo e contro
Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e
tenendoli prigionieri in catene nei municipi. L’Uticense denuncia questa
tranvalutazione delle parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum
amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo
vocatur, eo res publica in extremo sita est " (Bellum Catilinae, 52, 11), già da tempo
veramente abbiamo perduto la corrispondenza tra il valore reale dei nomi e le cose:
poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male coraggio,
perciò la repubblica è ridotta allo stremo.
Simile transvalutazione è notata nel Macbeth da Lady Macduff:" I am in this earthly
world where to do harm Is often laudable; to do good, sometime Accounted
dangerous folly " (IV, 2), io son in questo mondo terrestre dove fare il male è spesso
cosa lodevole; fare il bene qualche volta è tenuto in conto di pericolosa follia.
Una parola il cui significato si è capovolto nel corso della mia vita adulta è
"moderato" che dal '68 sino alla metà degli anni Settanta suonava malissimo e ora
suona benissimo. Alle orecchie dei più dico, e con tanta ipocrisia siccome il
“moderato” è spesso, di fatto un piccolo borghese razzista odiatore dei poveri in
quanto teme di venire assimilato a loro.
Ma veniamo al primo maggio 2019, una festa del lavoro con troppi disoccupati “per
la contraddizion che nol consente” (Inferno XXVII, 120). Negli ultimi mesi per certi
esseri umani imbestialiti e inferociti torturare e ammazzare un disabile disgraziato è
un “passatempo divertente” funzionale a rintuzzare la noia, violentare una donna è
“dovere di maschi virili”, riesumare e celebrare il fascismo è “politica buona”, infine
il disprezzo l’odio razziale contro è segno di “sano patriottismo”.
Davvero per tutti costoro kako;" d j oJ mh; ti drw'n kakovn (608) canaglia è chi non fa
del male.
Euripide nel 424 a. C. aveva già previsto presofferto e tutto
Ecuba chiede poi all’ancella sua antica ajrcaiva lavtri (609) di portarle una
brocca con dell’acqua per gli estremi lavacri delle figlia- nuvmfhn
a[numfon, parqevnon t j ajpavrqenon, sposa non sposa, vergine non vergine
(612). Spera anche di raccapezzare degli ornamenti per il cadavere tra le
prigioniere. Ricorda il lusso e i fasti di un tempo spariti nel nulla,
scomparsi con la sua identità di regina. E poi ci gonfiamo ei\ta dh't j
ojgkouvmeqa (623), chi perché vive in case ricche, chi per il fatto di essere
onorato tra i cittadini (cfr. Troiane 108 citato sopra)
Ta; d j oujdevn, ma queste cose sono nulla, illusioni delle menti, glwvssh" te
kovmpoi, vanità della lingua.
Il più beato è quello cui non tocca alcun male giorno per giorno (628)
II Stasimo vv. 628-656. Un coro che ricorda e non aggiunge quasi niente
Le coreute deplorano la sciagura sumforav che doveva necessariamente
avvenire da quando Paride tagliò sul monte Ida i pini per la nave che lo
condusse a Sparta verso il letto di Elena- jElevna" ejpi; levktra (635), la
donna kallivstan più bella che mai sia stata illuminata dal sole.
Il male comune. Koino;n kakovn- è piombato sulla terra del Simoenta in
seguito a demenza privata- ejx ijdiva" ajnoiva" 641 di uno solo, poi giunse da
arrivò sciagura mortale.
Fu giudicata la lite ejkrivqh d j e[ri" tra le tre dèe e il giudice era un uomo
pastore di buoi ajnh;r bouvta" (646). Questo ha portato guerra, massacri e
l’oltraggio dei tetti crollati.
Ma anche sull’Eurota dalla bella corrente la ragazza spartana versa molte
lacrime e la madre dei figli morti pone la mano sul capo canuto e si graffia
la guancia-druvptetaiv te pareiavn (655) mettendo l’unghia insanguinata a
lacerarla. Anche nelle Troiane vinti e vincitori hanno lo stesso destino di
lutti e sofferenze.
III Episodio vv, 657-904
Entra una qeravpaina dicendo che Ecuba è la regina con la corona
dell’infelicità.
Cfr. la corona di spine dell’ecce homo ( N. T., Giovanni, 19, 5). Gesù uscì portando
forw'n to;n ajkavnqinon stevfanon, portans coronam spineam et purputeum
vestimentum. Pilato disse che non aveva trovato in lui nessuna colpa ma i pontifices
Iudaei et ministri responderunt crucifige!
L’ancella dichiara al coro che porta altro a[lgo" dolore a Ecuba (663).
Ecuba entra in scena e l’ancella le dice che la sua vita è finita siccome è
rimasta rovinata a[pai", a[nandro" a[poli" ejxefqarmevnh (669)
Ecuba replica . “nom mi hai detto nulla di nuovi-ouj kaino;n ei\pa", tu hai
rinfacciato a chi già sa.
La qeravpaina è entrata recando il cadavere di Polidoro avvolto in un
mantello ma Ecuba crede che si tratti di Polissena
L’ancella dice che si tratta di una nuova disgrazia ed Ecuba teme che si
tratti di Cassandra.
L’inserviente allora scopre il cadavere denudato del morto: sw'ma
gumnwqe;n nekrou' (679).
Ecuba riconosce Polidoro nel cadavere ma è quasi incredula poiché il
ragazzo era in salvo, ospite in Tracia
Quindi in versi lirici la regina dice che darà inizio a dei lamenti, un canto
bacchico imparato da poco dal demone vendicatore bakcei'on ejx
ajlavstoro"-ajrtimaqh' novmon-(686-687). Non solo il canto sarà bacchico:
Ecuba assumerà anche tratti da menade dionisiaca
La sua visione è fissata su mali incredibili, sempre nuovi a[pist j a[pista,
kaina; kaina; devrkomai (689).
da una radice derk/-/dork/-/drak- da cui deriva il sostantivo dravkwn, il serpente che
guarda fisso.
Commento a devrkomai di Buno Snell
“ devrkesqai significa: avere un determinato sguardo. Dravkwn il serpente il cui
nome è tratto da devrkesqai, viene chiamato così, poiché ha uno "sguardo"
particolare, sinistro. E' detto il "veggente", non perché ci veda meglio di altri e la sua
vista funzioni in modo speciale, ma perché ciò che colpisce in lui è il guardare. Così
la parola devrkesqai indica in Omero non tanto la funzione dell'occhio, quanto il
lampeggiare dello sguardo, percepito da un'altra persona (...) E' una maniera molto
espressiva di guardare; e che molti passi della poesia di Omero riacquistino la loro
particolare bellezza soltanto quando ci si rende conto del vero valore di questa parola,
lo può dimostrare l'Odissea , V, 84-158: (Ulisse) povnton ejp j ajtruvgeton
derkevsketo davkrua leivbwn.
devrkesqai significa "guardare con uno sguardo particolare" e risulta
dall'insieme che si tratta di uno sguardo pieno di nostalgia, che Ulisse, lontano
dalla patria, manda là dal mare. Se vogliamo rendere in modo esauriente tutto il
significato della parola derkevsketo ( e dobbiamo rendere anche il valore
dell'iterativo), ecco che diventiamo prolissi e sentimentali:"sempre guardava con
nostalgia..." oppure:"il suo sguardo sperduto vagava sempre" sul mare. Tutto ciò è
contenuto a un dipresso nella singola parola derkevsketo. E' un verbo che dà
un'immagine precisa di un particolare modo di guardare glotzen (=spalancar gli
occhi) o starren (=fissare), che determinano un particolare modo di guardare (per lo
meno in maniera diversa dalla solita). Anche dell'aquila si può dire: ojxuvtaton
devrketai, "guarda con occhio molto penetrante", ma anche qui non ci si riferisce
tanto alla funzione dell'occhio, alla quale usiamo pensar noi quando diciamo
"guardare acutamente", "fissare qualcosa con sguardo acuto", quanto ai raggi
dell'occhio, penetranti come i raggi del sole, che Omero chiama "acuti", poiché
attraversano ogni cosa come un'arma affilata"37.
Mali si aggiungono ad altri mali dunque e non ci sarà più un giorno senza
gemiti e senza lacrime
Ilcoro conferma. “Dein j deina;, w\ tavlaina, pavscomen kakav (Ecuba, 693)
Ecuba torna a cantare e si rivolge al cadavere del figlio domandando come
sia morto, per quale destino, per mano di quale uomo.
L’ancella non lo sa, l’ha trovato sulla riva del mare ejp j ajktai'"
qalassivai" (698). Ve lo ha spinto l’onda del mare.
Cfr. le onde del mare come segno dell’impassibilità e immutabilità del
destino in Senilità di Svevo.
Ecuba ricorda il brutto sogno che del futuro le squarciò il velame. E dice al
coro che l’assassino è stato “ejmo;" ejmo;" xevno", Qrh/kio" iJppovta", il mio,
mio ospite, il cavaliete trace (710) cui Priamo aveva affidato Polidoro. La
37B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , pp. 20-21.
corifea domanda esterrefatta cruso;n w"J e[coi ktanwvn; (715), per avere
l’oro dopo averlo ammazzato?.
Ecuba commenta che sono state perpetrate delle infamie a[rrht j, cose
indicibili. Empie al di là della stupefazione e non sopportabili. Pou' divka
xevnwn; dove è finito il diritto dell’ospitalità? (715).
Nel primo stasimo dell’Edipo re leggiamo:
"Chi è quello di cui la profetica/rupe di Delf disse: /"ha compiuto
infamie su infamie a[rrht j(a) a[rrhvtwn /con mani sporche di strage?" (vv.
463-466)-
a[rrht j(a) sono cose che non si possono dire (aj privativo e rJhtov", come
il latino nefanda).
Tra queste infamie dunque c’è l’incesto e c’è l’assassinio dell’ospite
Nelle Eumenidi di Eschilo le Erinni che incalzano il matricida, lo minacciano di
trascinarlo tra i grandi peccatori: quanti si sono resi colpevoli verso un dio, o un
ospite o hanno mancato di rispetto ai genitori38 (v. 269-271). E’ il codice tripartito
della grecità arcaica e classica.
Segue una maledizione contro il katavrato" ajndrw'n , Polimestore, che ha
straziato con la spada le fragili membra di un fanciullo, spietatamente.
A questo punto la corifea annuncia l’arrivo di Agamennone (725)
Il re domanda a Ecuba perché ritardi gli onori funebri alla figlia Polissena
che nessuno ha toccato secondo il desiderio della madre riferito da
Taltibio.
hJmei'" me;n ou\n eijw'men oujde; yauvomen, l’ abbiamo lasciata lì senza toccarla
(729). Agamennone manifesta una certa disponibilità alla vecchia regina
sperando che non gli metta contro la figlia Cassandra scelta come amante
Cfr. questo connubio nell’Agamennone di Eschilo e nelle Troiane.
Quindi l’a[nax domanda a Ecuba chi sia il morto accanto a lei
38 Un’anticipazione di questo codice si trova in Esiodo. La prima fase dell’età del ferro è
quella in cui visse l’autore che depreca il tempo della propria nascita. Il gevno~ sidhvreon
(Opere e giorni, v. 176) è contrassegnato da fatica e miseria e duri affanni. Eppure tra i
mali si troveranno misti dei beni. Più avanti però Zeus distruggerà anche questa razza e,
nella bassa età del ferro, i beni spariranno del tutto. Allora gli uomini nasceranno con le
tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181), i figli non saranno simili al padre, né il padre ai
figli, i quali oltraggeranno i genitori che invecchiano, l’ospite non sarà caro all’ospite, né
il compagno al compagno, nemmeno il fratello, come prima.
La regina replicando, chiede in realtà a se stessa : “povtera prospevsw
govnu- j Agamevmnono" tou'd j h} fevrw sigh'/ kaka; (738), devo gettarmi alle
ginocchia di Agamennone o sopportare in silenzio i miei mali?
L’istinto di conservazione è relativo alla vita di Cassandra. Poi c’è la
speranza di poter punire Polimestore con l’aiuto del capo dell’esercito
vincitore.
Agamennone la incalza per avere una risposta, ma Ecuba continua a
parlare a se stessa: se mi ritiene douvlhn polemivan una schiava nemica e
mi respinge aggiungeremmo del dolore- a[lgo" a]n prosqeivmeq j a[n (741-
742). Risparmiare il dolore è cosa molto umana.
Soffrire in certi casi non serve a niente (Pavese), mentri in altri insegna-tw'/
pavqei mavqo".
Agamennone insiste: “ou[toi pevfuka mavnti" , non sono tanto indovino
da cercare la strada dei tuoi propositi senza ascoltarli (743-744)
Ecuba domanda ancora a se stessa se forse lei considera Agamennone più
malevolo nei pensieri di quanto non sia, e forse non lo è o[nto" oujci;
dusmenou'" (745-746)
In fondo, se è benevolo, può considerarla una specie di suocera quale
madre di Cassandra.
Agamennone comincia a spazientirsi e le dice: “se non vuoi che io sappia,
nemmeno io voglio ascoltarti”.
Ecuba ha riflettuto: Agamennone è l’amante di Cassandra e forse può
aiutarla a vendicarsi contro chi le ha ucciso il figlio. Dunque dice a se
stessa: non potrei vendicare i miei figli senza costui-tou'de a[ter (749-
750). Quindi ora tolma'n ajnavgkh (751) bisogna osare qualunque sia il
risultato.
Viene in mente il (tolmhtevon tavd ' , Medea, v. 1051, bisogna osare questo!) di
Medea che vuole evitare la derisione lasciando impuniti i nemici. Vediamo un poco
di contesto
“No certo, non io : addio propositi!
ma che cosa mi succede? voglio espormi alla derisione
lasciando i miei nemici impuniti?
Bisogna osare questo; che debolezza però la mia,
anche solo l’ammettere nell'anima parole tenere!
Entrate, figli, in casa”. (Medea, vv. 1048-1053)
Ha deciso di ucciderli
L’audacia delle donne viene messa tra i deinav nel primo stasimo delle Coefore di
Eschilo, meno noto di quello dell’Antigone dove deinovteron è l’a[nqrwpo", l’essere
umano in generale (v. 333)
Il coro di Eschilo menziona alcuni aspetti della natura spaventosi, ma non quanto
l’audacia e la sfrontatezza di uomini e donne: “Molte creature tremende nutre la
terra”, polla; men; ga' trevfei-deina;, “angosce di terrori”, deimavtwn a[ch, “e gli
abbracci del mare sono pieni di mostri ostili agli uomini”, povntiaiv t j ajgkavlai
knwdavlwn ajntaivwn brotoi'si plhvqousi, “germogliano anche a mezz’aria sospesi
splendori”, blastou'si kai; pedaivcmioi lampavde" pedavoroi, “gli animali che
volano e che camminano sulla terra potrebbero dire della collera rapida delle
tempeste”, ptanav te kai; pedobamv ona kajnemovent j a]n ajgivdwn fravsai kovton
(Coefore, vv. 585-592, strofe a).
Vediamo l’antistrofe a (593-601): “Ma della mente troppo audace dell’uomo chi
potrebbe dire”, ajll j uJpevrtolmon ajndro;" frovnhma tiv" levgoi, “e delle donne
sfrontate nel cuore”, kai; gunaikw'n fresi;n tlhmovnwn, “le passioni temerarie”,
pantovlmou" e[rwta", “associate alle folli cecità dei mortali?” a[taisi sunnovmou"
brotw'n, “i vincoli coniugali dei mostri e dei mortali li vince l’amore disamore che
domina la donna”, xuzuvgou" d j oJmauliva" qhlukrath;" ajpevrwto" e[rw" paranika'/
knwdavlwn te kai; brotw'n.
Ecuba ha preso la risoluzione e si rivolge da supplice ad Agamennoneijketeuvw
se, (Ecuba, 752) nominando le ginocchia, la guancia e la destra
felice di lui. Il capo greco la conforta dicendole che potrà avere la libertà.
Ma lei vuole essere schiava per tutta la vita, pur di vendicarsi dei malvagi.
Lo scopo principale mette da parte tutto il resto, come succede nelle
persone coscienti di quello che vogliono, e anche risolute.
Agamennone le domanda quale aiuto gli chieda-tin j ejpavrkesin (758)
Ecuba indica il cadavere di Polidoro e spiega: tou'ton pot j e[tekon
ka[feron zwvnh" up{ o (762) questo l’ho partorito io e lo portavo sotto la
cintura.
Il parto viene spesso ricordato dalle madri per significare la forza
dell’amor matris che dovrebbe essere genitivo soggettivo e oggettivo
come si legge nell’Ulisse di Joyce che elogia l’amore della madre:"
Se non fosse stato per lei la maratona del mondo lo avrebbe
schiacciato sotto i piedi, spiaccicata lumaca senza vertebre.
Lei aveva amato quel debole sangue acquoso trasfuso dal
proprio (…)
Amor matris, subjective and objective genitive, may be the
only true thing in life.Paternity may be a legal fction. Whi is
the father of any son that any son should love him or he any
sono?
Amor matris , genitivo soggettivo e oggettivo, questa è forse l'unica
cosa vera nella vita. La paternità forse è una finzione legale. Chi è il
padre di un qualsiasi figlio perché qualsiasi figlio debba amarlo o
viceversa? (...) Il figlio nascituro guasta la bellezza: nato, porta dolore,
separa l'affetto, accresce le preoccupazioni. E' un maschio: la sua crescita è
il declinare del padre, la sua giovinezza l'invidia del padre, il suo amico il
nemico del padre (...) Che cosa mai li congiunge in natura? Un istante di
cieca fregola, what links them in nature? An istant of blind rut"39 . Il
rovescio del discorso di Apollo nelle Eumenidi di Eschilo
Le sofferenze del parto ancora più doloroso della guerra.
La Medea di Euripide afferma di preferire la guerra al parto inaugurando un tovpo" che
arriva alle soldatesse di oggi.
“Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli/ in casa, mentre loro
combattono con la lancia,/ pensando male: poiché io tre volte accanto a uno
scudo/ preferirei stare che partorire una volta sola. ( Medea, vv. 248- 251).
Ennio (239-169 a. C.) traduce i versi di Euripide quando fa dire alla sua Medea
exul :"nam ter sub armis malim vitam cernere/quam semel parĕre”, infatti preferirei
decidere la vita sotto le armi tre volte che partorire una volta sola.
Le sofferenze del parto sono ricordate nell' Elettra di Sofocle da Clitennestra quando
l’adultera assassina tenta di giustificarsi per il trattamento riservato al marito il quale non
era incolpevole: egli sacrificò Ifigenia dopo averla seminata, senza avere passato il
travaglio della madre quando la partorì:"oujk i[son kamw;n emj oi;-lupv h", o{t' e[speir' ,
w{sper hJ tivktous' ejgwv" ( vv. 531-532). Qui il seminare conta meno del partorire,
diversamente da quanto sostiene Apollo nelle Eumenidi di Eschilo.
Più avanti Clitennestra viene a sapere che Oreste è morto in una gara di carri. La
notizia è falsa ma la madre la crede vera. Quindi chiede a Zeus che cosa significhi-tiv
tau'ta; (Elettra, 766 )
Se è una fortuna o una cosa tremenda, ma utile (povteron eujtuch' legw- h] deina;
me;n, kevrdh dev; 766-7677). Comunque è penoso se mi salvo la vita a prezzo dei miei
lutti commenta la Tindaride (768).
Il pedagogo le domanda perché sia così turbata e Clitennestra risponde
39Ulisse , p 38 e p. 284.
“deino;n to; tivktein ejstivn (770), partorire è tremendo, e di fatto neppure a quella
che subisce del male sopravviene odio per i figli che ha partorito oujde; ga;r kakw'"-
pavsconti mi'so" wn| tevkh/ prosgivgnetai (771)
Nelle Fenicie di Euripide la Corifea commenta la pena di Giocasta per Polinice
dicendo:"deino;n gunaixi;n aiJ di' wjdivnwn gonaiv,-kai; filovteknovn pw" pa'n gunaikei'on
gevno"" (vv. 355-356), sono terribili per le donne i parti attraverso le doglie, e tutta la razza
femminile è in qualche modo amante dei figli.
Giocasta lo è stata anche troppo; Medea evidentemente fa eccezione.
Nell' Ifigenia in Aulide la Corifea comprende la pena di Clitennestra per la figliola,
ricordando quale prova terribile sia il parto:"deino;n to; tivktein kai; fevrei fivltron
mevga-pa'sivn te koino;n w{sq' upJ erkavmnein tevknwn" (vv. 917-918), tremendo è partorire e
comporta una grande magia d’amore comune a tutte, tanto da soffrire per i figli.
Partorire dunque è una delle tante cose tremende (polla; ta; deinav, Antigone, 332).
Torniamo alla nostra Ecuba la quale spiega ad Agamennone chi era quel
figlio e perché non si trovava a Troia: era stato mandato lì in Tracia presso
Polimestore con la custodia di oro amarissimo-pikrotavtou crusou'
fuvlax (772) era custode dell’oro che non l’ha custodito in quanto il
metallo giallo è il veleno più micidiale.
In Romeo e Giulietta (1596) il protagonista, comprando un veleno, afferma che l'oro,
preso in cambio dallo speziale, è "worse poison", un veleno peggiore, per l'anima
degli uomini. Esso "commette in questo odioso mondo più assassinî, che non queste
povere misture che tu non puoi vendere; io vendo a te del veleno, tu non ne hai
venduto a me" (V, 1).
Ecuba continua a informare Agamennone sulla sfortuna del figlio
Il re la conpiange w\ scetliva su; tw' ajmetrhvtwn povnwn (783) o miserevole
tu dalle pene non misurabili.
Cfr. Sofocle, Edipo re:"Ahimé, innumerevoli –ajnavriqma- infatti
sopporto/le pene e mi sta male tutto/lo stuolo, e non c'è arma della
mente con cui uno si difenderà (vv. 168-171)"-: diversamente da
Edipo che vuole misurare e commisurare (cfr.vv.73-84), il coro non
riesce più a contare le sofferenze. Quando le pene sono innumerevoli
non si sa più neanche per quale ragione si soffre e viene meno la
capacità di reagire.
Cesare Pavese nell'ultima pagina de Il mestiere di vivere , in data 18
agosto 1950, ossia dieci giorni prima di ammazzarsi, scriveva:"Più il
dolore è determinato e preciso, più l'istinto della vita si dibatte, e cade
l'idea del suicidio".
Agamennone le dice che non c’è donna ou[tw dustuchv" (Ecuba,
785) tanto bersagliata dalla tuvch; Ecuba replica: non c’è a
meno che tu dica la Tuvch stessa”, nel senso di disgrazia.
Ecuba chiede dunque al re suv moi genou'-timwro;" ajndro;",
ajnosiwtavtou xevnou (789-790) diventa per me il vendicatore
contro l’uomo, il più empio degli ospiti che ha compiuto
l’azione più empia dedravken e[rgon ajnosiwvtaton (792)-
dravw è il verbo tragico per eccellenza ebbe a scrivere Cacciari.
Polimestore dunque non ha temuto gli dei inferi né i superiou[
te tou;" gh'" nevrqen ou[te tou;" a[nw -deivsa" ( Ecuba, 791-792), lui
che spesso aveva condiviso la mia mensa-koinh'" trapevzh"
pollavki" tucw;n ejmoiv (793).
Cfr. la comunione della mensa, del mangiare insieme e,
viceversa il Leopardi monofavgo" ,
Polimestore, continua Ecuba, aveva goduto della mia
ospitalità e dopo tutto questo ha ucciso mio fglio. Per giunta
non lo ha ritenuto degno di una tomba ma lo ha gettato in
mare-tuvmbou oujk hjxivwsen, ajllj ajfh'ke povntion (797)
Noi siamo schiavi e deboli forse hjmei'" me;n ou\n dou'loiv te
kajsqenei'" i[sw" ma gli dèi sono forti ajll j oiJ qeoi; sqevnousi e lo è ancora
di più il Novmo" keivnwn kratw'n, la Legge che comanda su gli dei, e per
essa difatti noi crediamo negli dèi- novmw/ ga;r tou;" qeou;" hJgouvmeqa (800)
e viviamo distinguendo il giusto e l’ingiusto kai; zw'men a[dika kai; divkai j
wJrismevnoi (801)
Altri invece intendono “gli dèi sono potenti e la Legge di quelli comanda”.
Io preferisco la prima interpretazione
Nel Prometeo incatenato, il martire sostiene, consolandosene, che nemmeno Zeus
"potrebbe in alcun modo sfuggire alla parte che gli ha dato il destino (th;n
peprwmevnhn)"(v. 518).
Destino e Necessità sono le divinità supreme in questa tragedia e non solo in questa
(cfr. per esempio l’Alcesti di euripide)
Prometeo sopporta di sapere il suo destino senza venirne schiacciato, ma sa che gli
uomini non sarebbero capaci di reggere una simile tensione (v. 514): “ tevcnh d j
ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/ ”, la conoscenza pratica è molto più debole della
necessità.
Nel trattato Della tirannide (del 1777) Alfieri distingue la religione cristiana dalla
pagana rilevando l’incompatibilità della prima con la libertà: “La religion pagana, col
suo moltiplicare sterminatamente gli dèi, e col fare del cielo quasi una repubblica, e
sottomettere Giove stesso alle leggi del fato, e ad altri usi e privilegi della corte
celeste, dovea essere, e fu infatti, assai favorevole al vivere libero…La cristiana
religione, che è quella di quasi tutta la Europa, non è per se stessa favorevole al viver
libero: ma la cattolica religione riesce incompatibile quasi col viver libero…Ed in
fatti, nella pagana antichità, i Giovi, gli Apollini, le Sibille, gli Oracoli, a gara tutti
comandavano ai diversi popoli e l’amor della patria e la libertà. Ma la religion
cristiana, nata in popolo non libero, non guerriero, non illuminato e già intieramente
soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca obbedienza; non nomina né
pure mai la libertà; ed il tiranno (o sacerdote o laico sia egli) interamente assimila a
Dio” (I, 8).
Ecuba procede magnificando e ampliando il potere di Agamennone: gli
dice che ora la Legge è nelle sue mani e se quelli che uccidono gli ospiti
non pagheranno il fio, non c’è più nessuna equità tra le cose degli uominioujk
estin oujde;n tw'n ejn ajnqrwvpoi" i[son (805).
Equità comporta anche l’eguaglianza, come la libertà secondi Leopardi.
Ecuba chiede ad Agamennone di guardare i mali di lei wJ" grafeuv", come
un pittore, standone distante ajpostaqeiv" (807), per la prospettiva
d’insieme. Quindi la vecchia regina esautorata ribadisce i suoi mali: serva
douvlh da regina tuvranno"; grau"' a[pai" da eu[pai" (810), poi a[poli"
e[rhmo" e dunque ajqliwtavth brotw'n (810-811).
Nella fase della democrazia e di rapporti umani politici, da cittadini di una polis
libera, la solitudine e la mancanza di patria sono mali; finita l’epoca della
democrazia, della parresìa e della libertà, la solitudine diventa un bene, la
moltitudine un male.
Fuge multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum (Seneca, Ep. 10. 1)
Quid tibi vitandum praecipue existimem quaeris? Turbam (7, 1)
cfr. turbo metto in disordine, o[clo", folla, massa; ojclevw, disturbo.
Nihil vero tam damnosum bonis quam in aliquo spectaculo desidēre (…) avarior
redeo, ambitiosior, luxuriosior? Immo vero crudelior et inhumanior, quia inter
homines fui (…) nugis omissis mera homicidia sunt (7, 3) exitus pugnantium mors est
(7, 4)
“C’è da dir male anche di chi soffre per la solitudine-io ho sempre e soltanto
sofferto per la moltitudine”40.
pubblicati nel blog vv 657- 811
Agamennone accenna ad allontanarsi ed Ecuba se ne duole. E si chiede
perché noi mortali ci affatichiamo sugli altri apprendimenti e ci sforziamo
–ta[lla maqhvmata mocqou'men kai; mateuvomen- su tutto come se fosse
dovuto, mentre non ci adoperiamo per niente di più a fondo per imparare la
persuasione anche pagando –oujde;n ti ma'llon ej" tevlo" spoudavzomenmistou;"
didovnte" manqavnein (816-817), affinché se uno talora volesse
sarebbe possibile persuadere e nello stesso tempo ottenere –peivqein
tuvfcavnein q ’ a[ma (818-819)
Non c'è altro tempio della Persuasione che la parola, dice Euripide, personaggio delle
Rane di Aristofane autocitandosi: "oujk e[sti Peiqou"' iJero;n a[llo plh;n lovgo" "41.
"La nostra civiltà si è decisamente allontanata dal posto che la persuasione occupava nella
latinità. Suada infatti-come del resto Peitho ("persuasione" in greco42)-era una Dea, e
suadeo, con la sua radice di suavis, ha a che fare con "il rendere dolce43, piacevole", come
un tenero amante che conosce l'arte delle dolci parole e sa come dare piacere per rendere
la vita amabile, gradevole. Nel mondo greco, Peitho compariva per lo più come una figura
a sé stante o come un attributo associato ad Atena e Afrodite. La persuasione è
essenzialmente un potere di seduzione, attraverso la parola intelligente e convincente
(Atena) oppure attraverso il fascino dei modi e la bellezza della figura (Afrodite). Il dono
maggiore di Peitho è la retorica, il dono dell'eloquenza convincente"44.
40 Ecce homo, Perché sono così accorto, p. 37.
41 Rane,v. 1391. Euripide, in gara con Eschilo, cita e pone sulla bilancia questo verso della
sua Antigone , per noi quasi tutta perduta (fr. 170). Il peso maggiore però è del verso di
Eschilo (fr. 279) al centro del quale si trova Qavnato~ (Rane, v. 1392). Dioniso, che fa da
giudice, infatti dice che la morte è baruvtaton kakovn (1394), il guaio più pesante; Peiqw;
de; kou`fovn ejsti kai; nou`n oujk e[cwn (v. 1396), la Persuasione invece è leggera e senza
pensiero. In effetti c’è anche molto di istintivo nella capacità di persuadere.
42 Peiqwv. Ndr.
43 In inglese sweet, in tedesco süss. Ndr.
44 J. Hillman, Il potere, p. 194.
La forza della persuasione continua comunque a essere uno strumento decisivo per il
successo.
Cicerone fa notare l'equivalenza tra la Peiqwv dei Greci e la Suada dei latini : “Peiqwv
quam vocant Graeci, cuius effector est orator, hanc Suadam appellavit Ennius” 45,
quella che i Greci chiamano Peiqwv, Ennio chiama Suada, e chi la produce è
l’oratore.
Non si può persuadere senza piacere: persuadeo latino è etimologicamente imparentato
con aJndavnw, "piaccio", con hJduv", con hJdonhv e pure con suavis, piacevole, con l’ inglese
sweet e con il tedesco süss—Da una radice indoeuropea *suad- che in greco ha dato come
esito Fad->ajd-, in latino suad-
Per piacere bisogna essere belli assai, oppure si deve essere bravi, emozionanti nel
parlare.
Quindi la vecchia regina si abbandona di nuovo alla disperazione il cui
“correlativo oggettivo” è il fumo che vede balzare fuori dalla città –
kapno;n de; povlew" tovnd j ujperqrwv/skonq j ojrw' (823)
Poi tenta la carta della figlia amante del capo per essere aiutata a ottenere
vendetta. Premette che forse mettere avanti Afrodite è parola vana ma
vuole dirla lo stesso. E dice ad Agamennone:”vicino ai tuoi fianchi si
stende mia figlia la profetessa di Febo pro;" soi'si pleuroi'" pai'" ejmh;
koimivzetai-hJ foibav" che i Frigi chiamano Cassandra (826-827).
Sembra che Ecuba si aspetti che Agamennone la chiami in maniera
diversa, magari con un vezzeggiativo da amante. Quindi procede
chiedendo al re di mostrare cavrin, gratitudine, riconoscenza a Cassandra e
a lei per le notti affettuose o degli amplessi amorosi filtavtwn
ajspasmavtwn (829)
Dalla tenebra e dagli incanti della notte nasce la più grande gratitudine per
i mortali-ejk tou' skovtou te tw'n te nukterhsivwn –fivltrwn mmevgisth
givgnetai brotoi'" cavri" (831-832)
Vediamo come Taltibio nelle Troiane annuncia a Ecuba qual è la sorte di Cassandra
Taltibio
La prese senza sorteggio il sire Agamennone 249
Ecuba
Come serva alla sposa 250
spartana? Ahimé
Taltibio
No. Ma come tenebrosa sposa del letto levktrwn skotiva numfeuthvria. . Questo
buio (oJ skovto~ -shadow, Schatten ) è simbolico della morte di entrambi gli amanti
Ecuba
45 Brutus, (del 46 a. C.), 59.
Davvero, la vergine di Febo, cui il dio dai capelli d’oro
Diede in dono una vita senza nozze?
Taltibio
Amore della ragazza ispirata lo colpì con le frecce ejtovxeus j46, 255
Ecuba
Getta via, figlia, le chiavi del dio
E dal corpo i sacri ornamenti
Delle bende che indossi. 258
Eros qui è il dio del dolore (daivmwn ajlginovei" ) , come nelle Argonautiche (4,
64) di Apollonio Rodio.
Quindi Ecuba prova a dire al re che facendo del bene a Polidoro lo farà a
un parente, a suo cognato khdesth;n sevqen (Ecuba, 834)
Poi passa alle suppliche e alle lusinghe: vorrebbe che dalle sue braccia
mani e capelli e perfino dalla base dei piedi, grazie alle arti di Dedalo o di
uno degli dèi, venissero fuori delle voci perché tutte insieme ti
abbracciassero le ginocchia piangendo e scongiurandoti con ogni accento.
Infine Ecuba chiama Agamennone-w\ mevgiston {Ellhsin favo" ( 841) e
chiede aiuto per una vecchia eij kai; mhde;n ejstin (842) anche se non è più
niente. La perorazione si conclude con una gnwvmh, una massima morale: è
dovere dell’uomo nobile servire la giustizia e fare del male ai malvagi
sempre e dovunque
jesqlou' ga;r ajndro;" th'/ divkh/ q’ uJphretei'n
kai; tou;" kakou;" dra'n pantacou' kakw'" ajeiv (844-845)
Sono due versi di grande chiarezza e semplicità siccome il discorso della
verità è semplice
Nelle Fenicie47 di Euripide, Polinice afferma la parentela della semplicità con la
giustizia e con la verità:"aJplou"' oJ muq' o" th'" ajlhqeiva"48 e[fu,-kouj poikivlwn49 dei'
ta[ndic' eJrmhneuavtwn" (vv. 469-470), il discorso della verità è semplice, e quanto è
conforme a giustizia non ha bisogno di interpretazioni ricamate. Invece l' a[diko"
46 tovxon, arco, tossico da toxicum, il veleno con il quale si ungevano le frecce
47 Composte intorno al 410 a. C.
48 Seneca cita questo verso traducendolo così: “ut ait ille tragicus ‘veritatis simplex
oratio est’, ideoque illam implicari non oportet” (Ep. 49, 12), come dice quel famoso
poeta tragico “il linguaggio della verità è semplice”, e perciò non deve essere
complicata.
49 Si ricordi quanto si è detto a proposito della poikiliva (21. 3).
lovgo" , il discorso ingiusto, siccome è malato dentro, ha bisogno di artifici
scaltri:"nosw'n ejn auJtw'/ farmavkwn dei'tai sofw'n" (v. 472)
Il coro commenta il fluttuare delle relazioni umane regolato del resto dalle
necessità: è inquietante come tutte le cose si incontrano con i mortali e le
leggi hanno determinato le necessità-kai; ta;" ajnavgka" oiJ novmoi diwvrisan
(847) rendendo amici quelli più nemici e facendo dei nemici di quelli che
prima erano benevoli.
Avvengono nella vita eventi del tutto inaspettati come leggiamo nella conclusione
della Medea
Coro
Di molti casi Zeus è dispensatore sull’Olimpo 1415
e molti eventi in modo insperato compiono gli dèi;
e i fatti aspettati non vennero portati a compimento,
mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così è andata a finire questa azione 1419.
La conclusione dell'Alcesti, dell'Andromaca , dell'Elena e delle Baccanti è uguale a
questa della Medea, tranne che per il primo verso degli ultimi cinque : " pollai;
morfai; tw'n daimonivwn" (Alcesti , v. 1159; Andromaca, v. 1284; Elena, v. 1688;
Baccanti, v. 1388), molte sono le forme della divinità".
Agamennone manifesta la propria compassione e comprensione alla madre
dolorosa e dice di volere che l’ospite empio ajnovsion xevnon (Ecuba, 852)
per riguardo agli dei e alla giustizia qew'n q j ou{nek j kai; tou' dikaivou
paghi il fio e il conto a te-soi dou'nai divkhn (853).
L’ a[nax aggiunge che aiuterà se non si penserà che lui il capo ha deciso la
morte del re di Tracia per amore di Cassandra-ei[ pw"' mh; dovxaimi
Kasavndra" cavrin tovnde bouleu'sai fovnon (855).
Sarebbe politicamente dannoso per il capo dei Greci: imfatti Polimestore è
un alleato dell’esercito greco e i Polidoro un nemico.
Vedi la politica e la doxa.
I sentimenti di Agamennone per Cassandra e pure per Polidoro
costituiscono un fatto privato cwriv" tou'to e non riguarda l’esercito kouj
koino;n stratw'/ (860)
Tu dunque hai in me uno ben disposto e rapido nell’aiutarti tacuvn
prosarkevsai , ma lento se verrò incolpato dai Greci-bradu;n d jAcaioi'"
eij diablhqhvsomai (863).
Da queste parole Ecuba inferisce che nemmeno il capo supremo il cui
compito è il comando, neppure lui è una persona libera.
“non c'è tra i mortali chi sia libero Oujk e[sti qnhtw'n o{sti" e[st j
ejleuvqero",:/infatti si è schiavi delle ricchezze oppure della sorte-h]
crhmavtwn ga;r dou'lov" ejstin h] tuvch", -/o la folla della città o le leggi
scritte h] plh'qo" aujto;n povleo" h] novmwn grafaiv- / gli impediscono di
usare l’orientamento del proprio giudizio"(vv. 864-865).
Sono versi chiave.
Nelle Supplici di Euripide, Teseo propugna la democrazia e dice
all’araldo tebano mandato da Creonte che quando c’è un tiranno non
esistono più leggi comuni (novmoi- koinoiv, vv. 430-431). E procede:
“gegrammevnwn de; tw'n novmwn o{ t’ ajsqenh;~-oJ plouvsiov~ te th;n divkhn i[shn ecei ”
(vv. 433-434), quando ci sono le leggi scritte il debole e il ricco hanno
gli stessi diritti
"Teseo si produce in un'esaltazione del sistema democratico (...)
replicando alle accuse dell'araldo, puntualizza un aspetto della
democrazia che in questa sede ha grande rilevanza: mentre nella città
governata da un tiranno la legge è del tutto arbitraria, in un regime
democratico (Eur. Suppl. 433-437): le leggi sono scritte (gegrammevnwn
tw'n novmwn), la giustizia è uguale per il debole e per il ricco. Chi è più
debole può fronteggiare chi sta meglio, qualora ne riceva offesa, e se
ha ragione il piccolo prevale sul grande. Al di là dei topoi democratici
ricorrenti nel discorso di Teseo, che per molti aspetti hanno richiamato
il parallelo con l'epitafo di Tucidide50, è importante soffermarsi sul
nesso che egli istituisce tra "leggi scritte" e democrazia: la pratica
effettiva della giustizia e dell'uguaglianza tra i cittadini,
indipendentemente dai loro rapporti di censo e di forza, è garantita
dalla scrittura delle leggi, che tutela i diritti dei meno potenti. La
necessità e la difesa della scrittura delle leggi doveva essere percepita
come un punto essenziale della propaganda democratica nell'ambito di
quella tensione e contrapposizione che vi era ad Atene tra la
legislazione scritta della polis e quella orale propugnata e gestita dalle
casate aristocratiche"51.
Anche in Eur. Hec 866 sgg. dunque c'è un nesso tra scrittura delle leggi (novmwn
grafaiv) e potere del popolo (plh'qo").
In questo contesto tuttavia il plh`qo~ povlew~ e grafai; novmwn possono costituire un
impedimento alla libertà e al vivere secondo le proprie inclinazioni (Ecuba, v. 867).
Non c’è mortale che sia libero, in quanto siamo schiavizzati da denaro o dalla tuvch,
50II, 35-46.
51G. Ugolini, Sofocle e Atene , pp. 150-151.
o dalla folla o dalle leggi scritte.
Possiamo trovare note addirittura ottimistiche nelle Supplici, rappresentate nel 422,
quando si profilava la pur malsicura pace di Nicia. Un ottimismo assente dall’Ecuba
del 424.
Nella letteratura greca non mancano le critiche delle leggi scritte
Nell'Antigone di Sofocle la protagonista contrappone agli editti (khruvgmaq j ,
v. 454) di Creonte le norme non scritte e non vacillanti degli dei
(a[grapta kajsfalh' qew'n- novmima, vv. 454-455) che non sono di oggi né
di ieri.
A tali diritti la fglia di Edipo dà la precedenza poiché sono sempre vivi
( ajeiv pote- zh'/ tau'ta, vv. 456-457).
Successivamente, nell' Edipo re , Sofocle afferma l'esistenza di "leggi sublimi
procreate/attraverso l'aria celeste/ di cui l'Olimpo/ è padre da solo/né natura
mortale di uomini le generava/ né mai dimenticanza/potrà
addormentarle:/grande c'è un dio in loro e non invecchia ("mevga" ejn touvtoi"
qeov", oujde; ghravskei", v. 872).
La volontà divina dunque si manifesta attraverso un pullulare di
mantei'a, novmoi, novmima che nelle scelte degli uomini, quando esse si
impongono, devono avere la precedenza rispetto alle disposizioni dei
legislatori; questi, d'altra parte, nel redigere i codici, non dovrebbero
mai formulare regole contraddittorie rispetto alle norme divine, ma
rispecchiarle e avvalersene come fece appunto l'antico legislatore
spartano.
Secondo il sofista Callicle del Gorgia di Platone i novmoi della povli" democratica
costituiscono la barriera difensiva che gli ajsqenei'" , i deboli, e oiJ polloiv, i più, erigono
per sé e per il loro utile (sumfevron), onde difendersi dalla legittima pre-potenza dei forti i
quali vogliono, secondo la natura del diritto, kata; fuvsin th;n tou' dikaivou e secondo la
legge della natura, kata; novmon ge to;n th'" fuvsew", stare meglio di loro, e vengono
invece illegittimamente inceppati, incantati e stregati da questi vincoli contrari alla natura
(para; fuvsin).
Ma è giusto che il più forte prevalga sul più debole e l'uomo veramente forte lo
dimostrerà spezzando tutti i vincoli e facendo brillare to; th'" fuvsew" divkaion, il diritto
della natura ( 483 b sgg).
La nostra legge prende i forti fin da piccoli e li rende schiavi con incantesimi e
stregonerie, come si fa con i leoni (w{sper levonta~ katepa/vdontev~ te kai; gohteuvonte~
katadoulouvmeqa, 483e ) da domare diciamo loro che è bello e giusto avere tutti una
parte uguale
La legge del più forte viene affermata anche dagli Ateniesi nel famoso dialogo del V
libro delle Storie di Tucidide.
Nella Costituzione degli Ateniesi pseudosenefontea il dialogante A biasima la
democrazia come prepotenza del popolo, e sostiene che essa è la conseguenza
dell’impero marittimo: la canaglia ha preso il potere e ha reso forte la città o{ti oJ
dh'mo;~ ejstin oJ ejlauvnwn ta;~ nau~' (1, 2), in quanto è il popolo che fa andare le navi.
Lo scita Anacarsi, racconta Plutarco, derideva l'opera di Solone che
pensava di frenare l'ingiustizia e l'avidità dei cittadini con parole
scritte, gramv masin, le quali non differiscono per niente dalle ragnatele
("a{ mhde;n tw'n ajracnivwn diafevrein", Vita di Solone, 5, 4), ma, come
quelle, tratterranno le deboli e le piccole tra le prede irretite, mentre
saranno spezzate dai potenti e dai ricchi. Il legislatore ateniese rispose
che adattava il suo codice ai cittadini, in modo da mostrare a tutti che
agire con giustizia è meglio che trasgredire le leggi. Ma, commenta
Plutarco, le cose andarono a fnire come supponeva Anacarsi il quale
dopo avere assistito all'assemblea fece un'altra rifessione
intelligente:"o{ti levgousi me;n oiJ sofoi; par& JvEllhsi, krivnousi d& oiJ
ajmaqei'""(5, 6)
Ecuba cerca di togliere le preoccupazioni ad Agmennone che dà troppo
peso alla massa tw'/ t j o[clw/ pleion nevmei" (868) e ne ha paura tarbei'".
Gli chiede di stare dalla sua parte ma non di agire con lei suvnisqi me;n gavr
(…) sundravsh" de; mhv (871).
Se da parte della folla ci sarà qovrubo" h] jpikouriva (872) tumulto o aiuto
per Polimestore qando l’uomo tracio soffrirà il dovuto da parte di Ecubapavsconto"
ajndro;" Qrh/ko;" oi|a peivsetai, tu trattieni quella massa ei\rge
senza sembrare che lo fai per me-mh; dokw'n ejmh;n cavrin (874).
Il resto lo disporrò tutto io e bene, qavrsei (875).
E’ la regina vinta che fa coraggio al re vincitore in questa pupazzata che è
la vita
Agamennone chiede a Ecuba come farà: se impugnerà la spada
-favsganon- con la mano vecchia o lo ucciderà farmavkoisin o con
qualcuno che l’aiuti. E come acquisterà degli amici? (879)
Favsganon viene indicato tra gli oggetti e le parole che risalgono
all'epoca micenea, " e possono venire, attraverso il medioevo ellenico,
lo scudo di Aiace, che copre tutta la persona; la spada con chiodi
d'argento (favsganon ajrgurovhlon, che trova corrispondenza anche
linguistica in myc. pakana e akuro ), l'elmo con zanne di cinghiale (Il .
X, 261 sgg: in un libro che già dagli antichi era considerato tardo!)"52.
Ecuba risponde che le tende coprono la folla delle Troianekekeuvqas
53j Trw/avdwn o[clon (880)
E con loro mi vendicherò, chiarisce Ecuba.
Agamennone chiede come sia possibile il prevalere delle donne su gli
uomini-kai; pw'" gunaixi;n ajrsevnwn e[stai kravto" ; (883).
Tremendo è il numero con l’inganno e invincibile-deino;n to; plh'qo" su;n
dovlw/ te duvsmacon (884), risponde Ecuba, poi ricorda la forza della donna
che l’uomo sottovaluta.
Non la sottovaluta Marziale (40 ca-104 d.C.) nella clausula di un suo
epigramma:" Inferior matrona suo sit , Prisce, marito:/non aliter funt
femina virque pares " (VIII, 12, 3-4), la moglie, Prisco, stia sotto il
marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari.
Agamennone ripete deinovn e aggiunge un biasimo (mevmfomai) alla razza
delle donne, in questo contesto una sfiducia sulle loro capacità.
Allora Ecuba ricorda famosi eccidi di uomini compiuti da donne: le
Danaidi e le ardite femmine spietate di Lemno che svuotarono l’isola dai
maschi (887). Ma bastino le chiacchiere tovnde me;n mevqe" lovgon (888).
E’ ora di agire, e come Medea, la donna abbandonata, Ecuba, la vecchia
regina vinta e desolata dirige le operazioni.
Chiede per la sua ancella il permesso di attraversare con sicurezza il
campo greco, e ingiunge ad Agamennone di andare da Polimestore a
52 L. E. Rossi, Storia e civiltà di Greci /1, p. 95
53 Hide, to cover, GK keuvqein, to hide
A CONCISE ETYMOLOGICAL DICTIONARY
OF THE
ENGLISH LANGUAGE
BY THE REV.
WALTER W. SKEAT
NEW AND CORRECTED IMPRESSION (1984)
First impression 1882
OXFORD
AT THE CLAREDON PRESS
dirgli che Ecuba vuole parlargli e che porti con sé i figli: è necessario che
loro sappiano. Inoltre chiede di sospendere i funerali di Polissena: vuole
che i due fratelli assassinati brucino mia'/ flogiv-dissh; mevrimna mhtriv
(896-897), brucino insieme, doppia angoscia per la madre e insieme
scendano sotto terra.
Agamennone le accorda tutto: pa'si ga;r koino;n tovde-ijdiva/ q j ejkavstw/ kai;
povlei, to;n me;n kakovn-kakovn ti pavscein, to;n de; crhstovn eujtucei'n
(902-904), questo infatti è interesse comune , di ciascuno singolarmente e
della polis (con un anacronismo): che il malvagio soffra e che la persona
per bene abbia successo.
E’ un Agamennone manovrato da Ecuba ma non senza una sua non
cattiva morale. Mi ricorda in parte quello di Seneca citato sopra
Terzo Stasimo 905-952
Il Coro si rivolge alla patri;" jIliav" deplorando il fatto che non
sarà più una povli" tw'n ajporqhvtwn di quelle non devastate.
Le Troiane ricordano invece una distruzione precedente
Secondo Stasimo (Troiane, vv. 799-856).
Strofe
O re di Salamina nutrice di api, Telamone, 800
che hai abitato la sede dell’isola cinta dai flutti
inclinata verso i colli sacri , dove Atena
fece conoscere il primo ramoscello di lucente olivo,
celeste diadema e ornamento per la splendida Atene,
venisti, venisti a compiere atti di valore insieme
con il figlio di Alcmena armato di arco, 805
per distruggere Ilio, Ilio città nostra
allora quando venisti dalla Grecia.
Antistrofe
Quando Eracle, sdegnato per i puledri, condusse
per la prima volta il fiore dell’Ellade, e sul Simoenta dalla bella corrente
fermò il remo che aveva varcato il mare e legò le gomene di poppa
ed estrasse dalle navi la buona mira della mano,
morte per Laomedonte: e abbattute le mura ben squadrate
di Febo, con la purpurea vampa del fuoco, del fuoco
devastò la terra di Troia:
due volte allora con due assalti ripetuti l’insanguinata punta della lancia
abbatté le mura intorno alla Dardania (Troiane 820).
Ne fa già menzione Omero nell’Iliade (VI, 640, 642), poi Pindaro nell’Olimpica VIII
(31-46) e lo stesso Euripide nell’Andromaca (798-801)
Il Coro dell’Ecuba descrive la distruzione di Troia: sei stata rasatakevkarsai-
della corona delle torri , sei tinta dalla macchia miserevole del
fumo, disgraziata, non metterò più piede nel tuo suolo
A mezzanotte ho iniziato a morire mesonuvktio" wjlluvman (914)
Quando dolce il sonno si diffonde sugli occhi e dopo la festa con le danze
lo sposo giaceva nel talamo- anche qui il mobile più importante della
casa-, la lancia appesa al chiodo, e non si vedeva più la flotta nemica.
Un’immagine di pace .
La moglie del guerriero finalmente a riposo si preparava per la notte: mi
acconciavo-davo un ritmo forse pensando ancora a quello delle danze- i
capelli ricci con bende che li tenevano legati in alto -ejgw; de; plovkamon
ajnadevtoi"-mivtraisin ejrriqmuizovman (923-924) guardando i raggi
innumerevoli di specchi d’oro-crusevwn ejnovptrwn leuvssous j ajtermovna"
eij" aujgav" (925-926).
Il verbo leuvssw "etimologicamente ha affnità con leukov", brillante,
candido, e infatti dei quattro esempi dell'Iliade nei quali il verbo porta
un oggetto all'accusativo, tre si riferiscono al fuoco e ad armi lucenti.
Esso signifca dunque: guardare qualcosa di lucente. Signifca
inoltre:"guardare lontano"...E' un modo di guardare con sguardo fero,
gioioso, libero...leuvssein indica evidentemente determinati sentimenti
che si provano nel vedere, soprattutto nel vedere determinate cose.
Ciò è confermato anche dal fatto che in Omero si trovano espressioni
come terpovmenoi leuvssousin (Od. , VIII, 171)54, tetavrpeto leuvsswn (Il. ,
XIX, 19)55, caivrwn ounJv eka...leu'sse ( Od. , VIII, 200)56, nelle quali viene
espressa la gioia che accompagna il leuvssein; mai il verbo leuvssein
viene usato con riferimento a cose angosciose e paurose"57.
54 Lo guardano con piacere, l'uomo le cui parole un dio incorona di bellezza, Ulisse
stesso.
55 Ebbe gioito guardando (Achille quando la madre gli consegna le armi di Efesto)
56Contento perché vedeva (un amico, che poi era la solita Atena per Ulisse)
57Snell La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 22.
Mi preparavo dunque per cadere sulle coperte del letto ejpidevmnio" wJ"
pevsoim j ej" eujnavn v.927 ( eujnhv come luogo dove ci si stende mentre levco"
è il letto come legno, assi, e anche devmnion è il telaio del letto.
Guy de Maupassant in un suo divertente racconto erotico afferma l'importanza capitale
del letto:"Tengo più al mio letto che a qualsiasi altra cosa. E' il santuario della vita. Gli
affidiamo nuda la carne stanca, perché la rianimi e la riposi nel candore delle lenzuola e
nel calduccio delle piume. E' là che troviamo le ore più dolci dell'esistenza, le ore
dell'amore e del sonno. Il letto è sacro. Dobbiamo rispettarlo, venerarlo; amarlo come
quanto abbiamo di migliore e di più dolce sulla terra"58.
A queste immagini di festa e di pace succede un rovesciamento: uno strepito
kevlado" (Ecuba, 928) giunse nella città, si sentiva gidare un ordine, un
incitamento kevleuma: figli degli Elleni quando, quando distrutta la rocca di
Troia tornerete a casa?
La moglie lasciati i letti d’amore con una sola tunica levch de; fivlia
monovpeplo" come una ragazza spartana Dwri;" wJ" kovra, postami accanto alla
veneranda Artemide non ottenevo ascolto, infelice. Vengo portata via mentre
vedo morere il marito mio, verso la distesa del mare.
Tra gli Ateniesi le donne spartane erano ritenute poco serie, perfino dissolute
(cfr. Andromaca, 596-598 citati sopra).
Volgendo indietro lo sguardo alla città, quando la nave mosse il passo, verso il
ritorno e mi separò dalla terra di Ilio, infelice, cedetti al dolore
Il III stasimo si chiude con la maledizione di Elena sorella dei Dioscuri e del
bovaro dell’Ida l’atroce Paride aijnovparin (945). Costoro mi hanno fatto
perdere la patria, mi hanno buttata fuori dalla mia casa con le loro nozze, non
nozze ma una sciagura del demone vendicatore ouj gavmo" ajll j ajlavstorov" ti"
oijzuv" (949). La doppia maledizione si conclude con l’auspicio male ominoso
che la distesa marina non riporti mai Elena a casa (950-952)
ESODO vv. 953-1295
Enatra in scena Polimestore accompagnato dalle sue guardie e dai figli. Parla
con parole piene di ipocrisia. Si finge addolorato per la sorte infelice di Ecuba,
di Priamo, di Polissena, di Troia. Dice parole generiche con un fare tipico di
che cerca di nascondere qualche cosa: “oujk ejsti pisto;n oujdevn (956), non c’è
nulla di affidabile, né la buona reputazione-eujdoxiva- né che uno il quale sta
bene kalw'" pravssonta non starà male mh; pravxein kakw'" (957).
58 Le sorelle Rondoli , in Racconti d'amore, p. 256.
Sono gli dei che confondono-fuvrousi- queste cose mettendoci scompigliotaragmo;
n ejntiqevnte" (959) in modo che noi li veneriamo per ignoranza-wj"
ajgnwsiva/ sevbwmen aujtouv" (960).
Cfr la confusione come il male conseguito alla navigazione degli Argonauti nei cori
secondo e terzo della Medea di Seneca.
Ma perché ci si deve lamentare tiv dei'-qrhnei'n, se uno non può saltare i mali?
Quindi chiede venia della sua ajpousiva, assenza: quando Ecuba è giunta, lui si
trovava ejn mevsoi" Qrhv/kh" o[roi" (963) tra i monti centrali della Tracia, ma
appena è tornato, ha sentito il messaggio ed è giunto.
Ecuba che sente ripugnanza per il criminale gli dice che si vergogna di
guardarlo in faccia aijscuvnomai se prosblevpein ejnantivon (968), e il pudore
la trattiene aijdwv" m j e[cei (970 ) per la decadenza subita da quando ero stata
vista nella buona sorte wf[ qhn eutj ucou's j mentre ora mi trovo in questa
caduta, ejn tw/de povtmw/, in questo destino di morte.
Quindi la donna ripete che non potrebbe guardarlo con pupille diritte koujk
a]ndunaivmhn prosblevpein ojrqai'" kovrai" (972).
Non pensare ad una mia malevolenza-dusnoian-nei tuoi confronti, mente. Del
resto c’è anche il novmo", il costume che le donne nom guardino dritto in faccia
gli uomini.
Polimestore dice che non ci trova nulla di strano-kai; qau'mav gj oujdevn (976),
poi viene al sodo e domanda per quale ragione l’abbia mandato a chiamare
Ecuba chiede di potergli parlare senza la scorta: svelerà dei segreti soltanto a
lui e ai suoi figli.
La vecchia regina organizza la vendetta con lucidità e abilità strategica, come
Medea
Polimestore, che non ha capito congeda, il seguito dicendo di essere al sicuro
ejn ajsfalei' anche non scortato. Aggiunge con “ironia euripidea” : tu mi sei
amica e anche l’esercito acheo (981-982). Chiede come possa aiutarla e dice di
essere pronto e{toimov" eijm j ejgwv (985). Sappiamo che è pronto, predisposto alla
rovina
Ecuba dissimula la sua conoscenza del crimine di Polimestore e gli chiede di
Polidoro affidatogli eij zh'/ (988), se è vivo. Il resto lo domanderà dopo.
Dal verso 989 inizia una sticomitia che procede fino al v. 1016
Polimestore risponde mavlista, certo va tutto molto bene quanto lo riguarda
Ecuba finge di crederci dicendogli però parole che gli spettatori capiscono in
modo diverso dall’assassino: o carissimo, parli bene e in modo degno di te-eu\
kajxivw" levgei" sevqen (990). Cioè da criminale e da bugiardo.
Polimestore per cambiare discorso domanda a Ecuba se voglia sapere altro; lei
invece rimane su polidoro e domanda se il figlio si ricorda della madre che lo
ha partorito. Eij th'" thkouvsh" mevmnhtaiv tiv mou (992). Il momento del parto
viene ricordato spesso dalle madri nelle tragedie (vedi sopra)
Polimestore risponde che il figlio voleva venire a trovarla di nascosto-se;
kruvfio" ejzhvtei molei'n (993)
Ecuba poi domanda se sia salvo l’oro cruso;" de; sw'" con cui il ragazzo
era venuto da Troia
La vecchia regina vuole farlo mentire fino in fondo per renderlo sempre
più odioso. Polimestore risponde dissimulando: è salvo e custodito nel
palazzo mio sw"' , ejn dovmoi" ge toi'" ejmoi'" frourouvmeno" (995). Non
dice che custodisce l’oro per sé.
Ecuba provoca Polimestore per vedere se sospetta qualche cosa: tu
conservalo e non desiderate la roba dei vicini (996). Ma oramai lo ha in
pugno e la provocazione è un modo per mostrare quanto è stupido oltre
che avido
Il Tracio è così cretino che si giustifica anche: [hkist j:ojnaivmhn tou'
parovnto", w\ guvnai (997), certo che no, possa io godere della roba
presente, donna.
Ecuba dopo questo verso stuzzica prima la curiosità, poi l’avidità di
Polimestore: sai che cosa voglio dire a te e ai tuoi figli? (998).
Ovviamente Polimestore non lo sa, ma probabilmente agogna e spera altro
bottino.
Viene in mente l’avidità che ha perduto Policrate di Samo.
Policrate finì ucciso miserabilmente dal satrapo di Sardi Orete che lo aveva attirato,
promettendogli ricchezze, in un tranello dove il tiranno di Samo cadde poiché era
davvero avido di denari ("iJmeivreto ga;r crhmavtwn megavlw"", Erodoto III, 123). Gli
amici e gli indovini avevano cercato invano di dissuaderlo dal partire, e pure la figlia
che aveva avuto una visione notturna nella quale le sembrava che il padre fosse
lavato da Zeus e unto da Elio. Ebbene Policrate non diede retta e morì male ( "oJ
Polukravth" diefqavrh kakw'"", III, 125) compiendo la visione della figlia: infatti
Orete lo fece impalare a Magnesia e il cadavere era lavato da Zeus quando pioveva,
mentre veniva unto dal sole che traeva umori dal suo corpo (III, 125).
Ecuba tiene Polimestore in attesa e, mentre mena il can per l’aia, lo
blandisce: “c’è , o amato, poiché davvero ora sei amato da me e[st, w\
filhqei;" w"J su; nu'n ejmoi; filh'/ (1000)… Qui Ecuba fa una pausa che
rende ancora più impaziente e avido Polimestore. Oppure non è Ecuba che
si ferma bensì Polimestore che la interrompe. Dipende dall’interpretazione
degli attori
Comunque il re farabutto incalza Ecuba e le domanda tiv crh'm j quale
ricchezza c’è della quale lui e i figli debbano sapere. Un crh'ma che non
potrà mai possedere kta'sqai né usare crh'sqai.
Nell'Economico, un dialogo sulla buona amministrazione della casa, Senofonte afferma
che il possesso non significa qualche cosa di utile se il possidente non sa usarlo in modo
appropriato. Nella prima parte Socrate parla con Critobulo, figlio di Critone, e dà la
definizione di kth'ma come qualche cosa di buono che uno possiede: "o{ ti gev ti" ajgaqo;n
kevkthtai"(I, 7). Più in particolare, sono kthvmata, possessi, le cose utili (wjfevlima),
mentre le cose dannose (ta; dev ge blapv tonta) sono più una perdita che un avere (zhmivan
e[gwge nomivzw ma'llon hj; crhvmata). Allora se uno compra un cavallo e non sa
servirsene ("mh; ejpivsthtai aujtw/' crh'sqai", I, 8) ma cade e si fa male, "ouj crhvmata
aujtw'/ ejstin oJ i[ppo"", non è per lui un avere utile il cavallo. Socrate dice ancora a
Critobulo: le medesime cose per chi sa servirsene sono averi utili, per chi invece non sa
servirsene non sono averi utili: "Taujta; a{ra o[nta tw'/ me;n ejpistamevnw/ crh'sqai aujtw'n
eJkavstoi" crhvmatav ejsti, tw'/ de; mh; ejpistamevnw/ ouj crhvmata"(I, 10); così i flauti sono
utili per chi li sa suonare bene, per chi non lo sa, non sono niente più che sassi inservibili (
"oujde;n ma'llon h] a[crhstoi livqoi"). Non basta quindi possedere (kekth'sqai) il
denaro; bisogna anche sapersene servire (crh'sqai) ; è pertanto prima di tutto un
problema di conoscenza, di ejpisthvmh, di capacità riflessiva.
Luogo simile in Seneca: “Stulto nulla res opus est (nulla enim re uti
scit), sed omnibus eget” (ep. 9, 14), allo stupido non occorre nulla
( infatti non sa fare uso di nessuna cosa), ma sente la mancanza di
tutte.
Ci sono antichi sotterranei pieni di oro dei Priamidi “rivela” Ecuba (1002)
L’avido re di Tracia la interrompe di nuovo sperando di ingannare la
madre piena di dolore e di odio, e le domanda se deve far sapere questo a
Polidoro
Ecuba aggiunge una lusinga: mavlista certo e devi essere tu a dirlo ei\ ga;r
eujsebh;" ajnhvr (1004), infatti sei un uomo pio.
Polimestore, che forse comincia a sospettare qualche cosa, chiede perché
sia necessaria la parousiva dei suoi figli.
Ecuba si scopre un poco: è meglio a[meivnon , qualora tu morissi-h}n su;
katqavnh/", che questi lo sappiano- touvsd j eijdevnai (1006). E’ già un
annuncio di morte.
Polimestore non sospetta più: “kalw'" e[lexa"”-1007
Ecuba dà delle indicazioni: il tempio di Atena di Ilio dove c’è una mevlaina
pevtra (1010) che sporge dal suolo
La regina continua a stimolare l’ingordigia di Polimestore dicendo che ha
portato per lui altre cose preziose
Il farabutto si precipita a domandare dove siano, se dentro i pepli.
Ecuba vuole dare da intendere che si tratta di molta roba che ai trova nel
mucchio del bottino -skuvlwn ejn o[clw/, in queste tende (1014).
L’espressione è ambigua: lo spettatore può intendere “nella folla delle
schiave” come di fatto è.
Polimestore sospetta un poco : dove? Non è questo il campo navale dei
Geci?
Sì ma le prigioniere hanno le loro tende.
Polimestore chiede se dentro è tutto affidabile o se ci sia assenza di maschi
Non sa che le femmine infuriate possono fare di peggio se offese nel letto
o nella maternità.
Lo dice minacciosamente Medea
La donna infatti per il resto è piena di paura
e vile davanti a un atto di forza e a guardare un'arma;
ma quando sia offesa nel letto,
non c'è non c'è altro cuore più sanguinario. (Euripide, Medea, 263- 266)
Ecuba risponde: hJmei'" movnai, solo noi, niente Achei (1018). E gli fa fretta con
altre parole “ironiche”, ossia che devono essere intese da Polimestore in modo
diverso rispetto allo spettatore: muoviti, dopo avere fatto il necessario, potrai
tornare con i tuoi figli dove hai sistemato il mio-xu;n paisi;n ou|per to;n ejmo;n
w[/kikisa" govnon (1025).
Ecuba e Polimestore entrano nella tenda
La corifea a questo punto si rivolge al pubblico toglie la maschera all’inganno:
non hai ancora pagato il fio, ajll j i[sw" dwsv ei" divkhn (1024), vedrai che
pagherai.
Caduto nella sentìna, come uno senza porti, precipiterai di traverso fuori dal
tuo desiderio. Infatti il debito con la giustizia e con gli dèi quando si incontrano
fanno un male mortale, mortale (1030) Lascerai la vita per mano non bellicosa,
non per mano di guerrieri ajpolevmw/ de; ceiri; leivyei" bivon (1033)
Si sente urlare dall’interno -e[ndoqen
Polimestore grida [wmoi tuflou'mai, ahi, vengo accecato della luce degli occhi
fevggo" ojmmavtwn 1035 . Poi l’orrore per lo sgozzamento dei figli
La Coifea commenta le grida , e immagina che dentro siano compiuti mali,
inauditi-pevpraktai kaivn j e[sw dovmwn kakav (1038)
Si sente Polimestore che tenta di afferrare le donne e le minaccia-ijdouv,
bareiva" ceiro;" oJrma'tai bevlo" (1041), ecco si mette in moto il colpo della
mano pesante. Ma sono minacce vane
La corifea chiede alle altre coreute se sia il caso di entrare: in quanto l’ajkmhv, il
momento culminante richiede che dei combattenti alleati siano a fianco di
Ecuba e delle Troiane (1042-1043).
Ecuba uscita dalla tenda irride gli sforzi dell’acciecato: sbatti, non risparmiare
niente feivdou mhdevn, scardinano le porte, non rimetterai nelle pupille lo
sguardo della luce, né rivedrai vivere i figli che io ho ammazzato-ou}" e[ktein j
ejgwv (1046) rivendica con orgoglio Ecuba che si è capovolta da vittima a furia
carnefice di bambini innocenti.
I capovolgimenti da uno stato all’altro, da una condizione a quella contraria sono frequenti
e tipici nella tragedia greca (Edipo re da capo a capro espiatorio, Ifigenia da vittima
predestinate e terrorizzata a eroina) e non solo nella tragedia greca. Cfr. p. e Riccardo II di
Shakespeare.
Aristotele considera la ragazza protagonista dell’ Ifigenia in Aulide59 è un paradigma di
incoerenza (tou' de; ajnwmavlou, 1454a, 31).
La corifea incredula domanda: devspoina, kai; devdroka" oi|avper legei" ;
1048, hai fatto proprio le cose che dici?
Il problema dell’identità
Ecuba attraverso la vendetta ha recuperato la propria identità di regina. Dopo
avere acciecato il farabutto Polimestore e ucciso i figli di lui, dice alla corifea :
lo vedrai subito davanti alle tende camminare cieco con cieco passo
barcollante- tuflo;n tuflw'/ steivconta parafovrw/ podiv (1050) e pure i
cadaveri dei due figli che io ho ammazzato con le Troiane mgliori. Divkhn dev
moi-devdwke ha pagato il fio a me (Euripide, Ecuba, 1052-1053)
La Medea di Euripide decide di ammazzare i propri figli per non essere derisa
né compatita quale donna abbandonata:
59 Rappresentata postuma, nel 405 a. C.
“Vedi quello che subisci? non devi dare motivo di derisione
ai discendenti di Sisifo per queste nozze di Giasone,
tu che sei nata da nobile padre e discendi dal Sole.
E poi lo sai: oltretutto noi donne siamo
per natura assolutamente incapaci di nobili imprese,
ma le artefici più sapienti di tutti i mali”. (vv.404-409)
la Medea di Seneca ritrova la pienezza della propria identità attraverso i
delitti: Medea nunc sum; crevit ingenium malis (v. 910).
Quando arriva Giasone (v. 967), la madre assassina dice di avere recuperato il
regno e la verginità: rediere regna! rapta virginitas redit! (v. 973).
“Vivere nell'identità significa essere al riparo dall'inferno del vedersi nell'altro e di essere
l'altro che imita l'uno (…) Dalla mancata identità della vita umana sorge la visione
frammentaria, incompleta, distorta"60. Non trovare la propria identità significa assumerne
una gregaria basata su un sentimento di appartenenza alla massa. Medea è di altra stoffa: è
fiera della sua diversità. Per lei è inconcepibile che ci sia gente pronta "a rinunciare alla
libertà, a far sacrificio del proprio pensiero, per essere uno del gregge, per conformarsi e
ottenere così un sentimento di identità, benché illusorio"61.
“Il borghese deve affermare quella che sarà la sua identità per tutta la vita. L’aristocratico
si manifesta per quello che è già al momento della nascita. Il borghese si sente costretto ad
accumulare, o quanto meno a salvaguardare”62.
Quindi Ecuba annuncia l’arrivo del cieco e si allontana.
Polimestore entra in scena con una monodia, un brano cantato (1056).
Brancola nel buio tetravpodo" (1058) appoggiando l’incedere di bestia
montana quadrupede- tetravpodo" bavsin qhrov" (1057) sulle mani e sull’orma
dei piedi. Cerca di afferrare le Troiane assassine ajndrofovrou" mavryai j
Iliavda" (1062) che lo hanno annientato- mavrptw e ricordo ejmaryavmhn di
Amarcord di Fellini.
L’uomo privato della vista chiede al Sole di risanargli la palpebra
insanguinata degli occhi allontanando il cieco bagliore-ei[qe moi ojmmavtwn
aiJmatoven blevfaron- ajkevsaio tuflovn (1066-1067), un desiderio
irrealizzabile come quello del primo verso della Medea di Euripide: Ei[q j
w[fel j j Argou'" mh; diaptavsqai skafo"-
60 L'uomo e il divino , pp. 268-269.
61E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea , p. 68.
62 Sàndor Màrai, La donna giusta, p. 18.
Dal rumore sente il passo furtivo delle donne (cfr. Edipo a Colono dalla
voce infatti vedo, fwnh'/ ga;r ojrw', v. 139)
Polimestore vorrebbe farne strazio ottenendo una punizione oltraggiosa
ricompensa dell’onta mia- ajrnuvmeno" lwvban -luvma" ajntivpoin j ejma'"
(1074-1075).
Dove, dove mi trascino- si domanda poi- lasciando i miei figli abbandonati
alle Baccanti di Ade perché li facciano a pezzi-diaimora'sai (1077) e
dopo averli sgozzati (sfaktav) li gettino qual cibo crudele, cruento ai cani
dei monti?
Il Coro accenna a un moto di compassione verso il disgraziato cui sono
stati inflitti dusfor j kakav mali insopportabili, 1085, del resto dravsanti d’
aijscrav deina; tajpitivmia, per chi compie azioni turpi, i mali sono la
punizione, il contrappasso.
E’ il contrappasso enunciato già da Esiodo, da Solone e, per quanto
riguarda la tragedia, nell’Orestea di Eschilo
Nel doloroso canto (kommós) che precede l’epilogo dell’Agamennone (vv. 1562-
1564), il Coro dice queste parole: “paga chi uccide”, ἐκτίνει δ’ ὁ καίνων, “rimane
saldo, finché Zeus rimane sul trono, che chi ha fatto subisca: infatti è legge divina”,
μίμνει δὲ μίμνοντος ἐν θρόνωι Διὸς / παθεῖν τὸν ἔρξαντα· θέσμιον γάρ.
C’è una ripresa di questo nel kommós delle Coefore (vv. 313-314): δράσαντα
παθεῖν, / τριγέρων μῦθος τάδε φωνεῖ, “subisca chi ha agito, un detto tre volte antico
suona così”.
Ricordo anche l’Eracle di Euripide dove Anfitrione indirizza queste parole a Lico
inconsapevolmente incamminato verso la morte (vv. 727-728): προσδόκα δὲ δρῶν
κακῶς / κακόν τι πράξειν, “aspettati facendo del male di averne del male”.
Infine l’Oreste di Euripide. A Menelao che gli domanda τί χρῆμα πάσχεις; τίς σ’
ἀπόλλυσιν νόσος; (395) “che cosa soffri? quale malattia ti distrugge?”, il nipote
risponde ἡ σύνεσις, ὅτι σύνοιδα δείν’ εἰργασμένος, 396-“l’intelligenza, poiché sono
consapevole di avere commesso cose terribili”. Oreste dunque è reso sofferente dalla
propria σύνεσις . Menelao gli ricorda la legge del contrappasso per cui deve soffrire
(v. 413): οὐ δεινὰ πάσχειν δεινὰ τοὺς εἰργασμένους, “non è terribile che patiscano
conseguenze tremende quelli che hanno compiuto atrocità.
Polimestore allora chiede aiuto ai suoi soldati, agli Achei, agli Atridi
Urla che delle donne, donne e prigioniere di guerra lo hanno distrutto.
gunai'ke" w[lesan me,-gunai'ke" aijcmalwtivde" (1095-1096).
Deina; deina; pepovnqamen (1098) deinov" è l’aggettivo più tipicamente
come dravw è il verbo. Seguono altri lamenti. Il delinquente punito non sa
se morire salendo in cielo o sprofondando sotto terra.
Il Coro giustica il suicidio scusabile quando uno sopporta mali più grandi
del sostenibile, liberarsi da una vita infelice talaivnh" ejxapallavxai zovh"
(1108)
Il suicidio è ammesso dagli Stoici quando non possiamo più essere utili a nessuno.
E’ l’eu[logo~ ejxagwghv ejk tou` bivou, ragionevole uscita dalla vita,
La vita non bisogna sempre conservarla: “non enim vivere bonum est, sed bene
vivere” (Seneca, Ep. 70, 4) . Chi, come Platone, è contrario al sicidio non videt se
libertatis viam cludere (14).
“Patet exitus: si pugnare non vultis, licet fugere” (De providentia, 6, 7).
Ostendemus in omni servitute apertam libertati viam (…) vides illum praecipitem
locum? Illac ad libertatem descenditur. Vides illud mare, illud flumen, illum puteum?
Libertas illic in imo sedet (De ira, 3, 3)
Entra Agamennone, dicendo che se Ilio non fosse stata già distrutta lo
strepito ktuvpo" 1113 avrebbe creato panico fovbon nell’esercito.
Polimestore gli si rivolge supplichevolmente: eijsora'/" a} pavscomen ;
(1115)
Agamennone inizia compatendolo per come è ridotto. Chiede chi l’abbia
conciato in quel modo e aggiunge “ chiunque fosse, doveva essere uno con
una grande rabbia verso di te e i tuoi figli”- mevgan covlon soi; kai;
tevknoisin ei\cen o[si" h\n (1119).
Polimestore risponde che è stata Ecuba con le Troiane
Ecuba è in vista e Agamennone le domanda davvero tu hai osato questa
audacia straordinaria? su; tovlman , jEkavbh, thvnd j e[tlh" ajmhvcanon ; 1123
Cfr. Medea di Euripide Il quinto Episodio (vv. 1002-1250) è formato da due scene e
da un intervento del Coro in anapesti che le separa. La prima scena (vv. 1002-1080)
contiene un colloquio tra il Pedagogo e Medea e un monologo della protagonista che
dopo avrtci pensato sopra conferma la sentenza di morte nei confronti dei figli
(tolmhtevon tavd ' , v. 1051, bisogna osare questo!) per non essere derisa lasciando
impuniti i nemici.
Ricordo di nuovo l’audacia delle donne che viene messa tra i deinav nel
primo stasimo delle Coefore di Eschilo citato sopra.
Polimestore, sentito che Ecuba è vicina chiede dove precisamente sia, per
afferrarla con le mani, poi farla a pezzi e insanguinarla (1127). E’ assetato
di vendetta.
Agamennone gli chiede quale sia il suo stato d’animo tiv pasv cei" ; , una
domanda retorica invero, e Polimestore lo prega se livssomai di lasciargli
scatenare contro Ecuba margw'san cevra, la mano furente-1128
Ma Agamennone vuole ascoltare entrambe le parti e chiede al Tracio di
scacciare dal cuore la barbarie to; bavrbaron (1129) e di parlare. Poi
parlerà Ecuba.
Segue un dibattito giudiziario sul genere di quello delle Troiane.
Quintiliano sostiene che Euripide rispetto a Sofocle è di gran lunga più utile a
coloro che si preparano a trattare cause: “iis qui se ad agendum comparant
utiliorem longe fore Euripiden”. Quindi spiega perché: “Namque is et sermone (quod
ipsum reprehendunt, quibus gravitas et cothurnus et sonus Sophocli videtur esse
sublimior) magis accedit oratorio generi et sententiis densus et in iis quae a
sapientibus tradita sunt paene ipsis par, et dicendo ac respondendo cuilibet eorum
qui fuerunt in foro diserti comparandus », infatti egli nel linguaggio (fatto stesso che
rimproverano quelli cui sembra più elevato il coturno e il tono di Sofocle) si avvicina
di più al genere oratorio ed è pieno di sentenze e in quelle che sono state tramandate
dai filosofi quasi pari a loro stessi, e nel parlare e nel rispondere si deve paragonare a
ciascuno di quelli che furono facondi nel foro.
Tutto questo però non esclude il pathos: “in adfectibus vero cum omnibus mirus tum
in iis qui miseratione constant facile praecipuus” 63, nei sentimenti del resto è
straordinario sia in generale sia particolarmente in quelli che sono fatti di
compassione.
Parla dunque Polimestore. Riconosce di avere ucciso Polidoro e[kteina
nin (1136) poi dice che ha fatto bene e spiega perché a[kouson wJ" eu\ kai;
sofh'/ promeqiva/ (1137) con saggia previdenza. Un crimine preventivo
dunque come le guerre che abbiamo visto di recente.
Polidoro vivo avrebbe rifondato Troia e gli Achei sarebbero tornati a
portare guerra, devastando un’altra volta la Tracia.
Un motivo analogo a quello che spinse i Greci ad ammazzare
Astianatte nelle precedenti Troiane.
Come Ecuba ne ebbe notizia –continua il cieco- mi attirò qui
come per svelarmi scrigni nascosti wJ" kekrummevna"-qhvka"
fravsousa (1146-1147). Mi fece entrare con i fgli e senza
scorta. { Izw klivnh" (1150) mi siedo sul letto, e molte ragazze
troiane pollai; Trwwv n kovrai si siedono a destra e a sinistra
63
Quintiliano, Institutio oratoria, X, 1, 67-68.
accanto a me, come presso un amico w"J dh; para; fivlw/ (1152)
ed elogiavano la spola della mano delle Edòni, la loro arte
tessitrice osservando alla luce queste vesti.
Un atteggiamento molto femminile funzionale a mascherare
la ferocia.
Altre invece fecero una mossa non tipicamente femminile e
avrebbero dovuto insospettirlo: mentre osservavano la lancia
tracia, lo resero nudo gumno;n m je[qhkan del doppio
equipaggiamento difensivo (1156). Le madri che avevano
parorito-o{sai de; tokavde" h\san- ammirando i miei bambini li
prendevano in braccio ejn ceroi'n e[pallon (1158) e li
allontanavano dal padre scambiandoseli tra le mani.
D’un tratto però tirate fuori le spade dai peplo-labou'sai
favsgan j ejk pevplwn (1161) ammazzano i bambini, mentre altre
tenevano fermi il padre. Si può pensare allo scempio delle
Menadi nei confronti di Penteo. Polimestore viene bloccato da
questa folla di femmine infuriate: se alzava la testa kovmh"
katei'con (1166) lo tenevano giù per i capelli e se cercavo di muovere
le mani non ci riuscivo per la massa, la pletora delle donne- eij de; kinoivhn
cevra"- plhvqei gunaikw'n oujden h[nuon tavla" (1167).
Sembra la descrizione di un incubo e fa pensare alcune descrizioni di
impotennza nel Processo di Kafka, quando K si reca nel tribunale
Un grammofono emerito proveniente da quartieri migliori cominciò a sonare in
modo orrendo. C’erano varie rampe di scale e lui ne infilò una ricordando le parole di
Willem: il tribunale è attirato dalla colpa.
Passò in mezzo a dei bambini pensando: la prossima volta porterò caramelle per
conquistarli o un bastone per prenderli a legnate. Mai un’espressione di affetto
disinteressato: cultura pragmatica.
Due bambini con facce da vagabondi adulti cercarono di trattenerlo per i calzoni.
Guarda dentro tante stanze con malati di corpo o di mente
Finché entra in una stanza affollata da un’assemblea. Attraversa la sala e arriva a un
tavolino Gli dissero che era arrivato con un’ora e cinque minuti di ritardo. Si levò un
brontolio ostile. K. Disse: sarò arrivato tardi ma ora sono qui. La parte destra della
sala applaudì. L’ala sinistra si ammutolì, tranne qualche singolo applauso. Pensò
come fare per conquistare tutti
Il giudice istruttore lo interroga. Gli chiede se sia un pittore
K. dice che riconosce il procedimento per compassione. Si affacciò la lavandaia che
l’aveva fatto entrare. K. Sollevò con le punta delle dita il quadernino lercio del
giudice e lo mostrò con disprezzo al pubblico
Quindi parla all’assemblea. Racconta del suo arresto da parte di custodi senza morale.
Il processo è una farsa. Come quello dell’Asino d’oro di Apuleio a Lucio otricida.
La folla era divisa. K. Parla e lo ascoltano con una viva attenzione di cui l’oratore fu
contento (p. 89). K. critica l’organizzazione persecutoria del tribunale. Non mancano
i carnefici. Un’organizzazione di folli criminali corrotti. Un giovane stringeva la
lavandaia, e a bocca spalancata guardava il soffitto e strillava. K. si accorse che i
componenti la folla avevano il medesimo distintivo del giudice. Era la masnada
corrotta del tribunale e lui si era illusa di accattivarsela. Se ne andò gridando
“pezzenti!”, mentre il giudice lo minacciava: andando via perdeva il diritto di essere
interrogato (p. 91). Ma K gridò che faceva ameno di tutti gli interrogatori. Alle sue
spalle scoppiò un baccano.
Alla fine del romanzo K viene ucciso da due sicari: “Ora le mani di uno dei signori si
posarono sulla gola di K. Mentre l’altro gli immergeva il coltello nel cuore e ve lo
girava dentro. Con gli occhi prossimi a spegnersi K fece in tempo a vedere i signori
che vicino al suo viso, guancia contro guancia, osservavano l’esito. “Come un cane!”
disse e gli parve che la vergogna gli dovesse sopravvivere”. Sono le ultime parole del
romanzo
Le donne infurite quindi prese delle fibbie -povrpa" labou'sai (1170)
trafiggono le povere pupille e le fanno sanguinare aiJmavssousin (1171)
Poi fuggono via per le tende. Io saltato su come una belva phdhvsa" ejgwvqh;
r w}", inseguo le cagne assassine diwvkw ta;" miaifovnou" kuvna" (1173)
tastando tutte le pareti come un cacciatore w"J kunhgevth" (1174),
colpendo, percuotendo- bavllwn, ajravsswn (1174)
Tali orrori ho subito toiavde pevponqa cercando di favorire te- speuvdwn
cavrin th;n shvn e avendo ucciso un tuo nemico polevmiovn te so;n ktanwvn
(1176)
Per non stendere lunghi discorsi w"J de; mh; makrou;" teivnw lovgou" (1177),
se qualcuno ha già detto male delle donne, o lo sta dicendolo ora o sta per
farlo, e io riassumendo tutto dirò: nessuna genia del genere nutre il mare
né la terra: e chi via via le incontra lo sa –oJ d j aijei; xuntucw;n ejpivstatai
(1178-1182).
Viene in mente l’aria del protagonista maschile delle Nozze di Figaro di Mozart-Da
Ponte:"Guardate queste femmine,/guardate cosa son./Queste chiamate dee/dagli
ingannati sensi/a cui tributa incensi/la debole ragion./Son streghe che incantano/per
farci penar,/sirene che cantano/per farci affogar;/civette che allettano/per trarci le
piume,/comete che brillano/per toglierci il lume./Son rose spinose,/son volpi
vezzose,/son orse benigne,/colombe maligne,/maestre d'inganni,/amiche d'affanni/che
fingono, mentono,/che amore non sentono,/ non senton pietà./Il resto nol
dico./Già ognuno lo sa"64.
Euripide attraverso Polimestore fa venire in mente l’antifemminismo di
autori diversi e di tanti personaggi. Ne presento una rassegna avvertendo i
malevoli che non condivido l’odio contro le donne , anzi le considero il
sale della terra. Lo scopo principale della mia vita, perseguìto sempre,
conseguìto non poche volte, è stato quello di riuscire gradito alle donne
Excursus
L’antifemminismo nella letteratura
Alcuni classici dell'antifemminismo. Autori e personaggi
Esiodo, Semonide, Euripide, Shakespeare, Leopardi, Schopenhauer, Weininger, Pavese e
altri
Da Esiodo (VIII-VII sec.) si fa partire la considerazione malevola delle donne.
Tuttavia l’autore beota riconosce che l'uomo ha bisogno di questa creatura complementare
e che, se non sbaglia la scelta della compagna, può evitare i dolori infiniti.
Nella Teogonia dopo avere definito la donna "bel malanno" (kalo;n kakovn, v. 585) e
"inganno scosceso" ( dovlon aijpunv , v. 589) deve comunque ammettere che quanti evitano
le nozze e le opere tremende delle donne ("mevrmera e[rga gunaikw'n, v. 603) arrivano alla
funesta vecchiaia con la mancanza di qualcuno che si prenda cura di loro, e, quando uno di
questi muore solo, la sua ricchezza se la dividono i lontani parenti. Alla fine dei conti chi
sceglie una buona moglie, saggia e premurosa, compensa il male con il bene (v. 609), chi
invece si imbatte in una femmina di stirpe funesta, vive con un'angoscia costante nel petto,
nell'animo e nel cuore e il suo male è senza rimedio (vv. 610-612). Si tratta del male dato
agli uomini ajnti; purov" (v. 570) in cambio del fuoco, insomma della prima donna.
Nel poema agricolo l'autore torna sul mito della femmina capostipite.
Questa prima donna esiodea, chiamata Pandora poiché tutti gli dèi le avevano fatto un
dono, questo inganno scosceso e senza rimedio ("dovlon aijpu;n ajmhvcanon" Opere e
giorni , v. 83), accolto incautamente da Epimeteo invano messo in guardia da Prometeo,
diffuse mali e malattie sulla terra e sul mare, togliendo il coperchio all'orcio (pivqou mevga
pwm' a, v. 94) dove le sciagure erano rinchiuse, sicché ora :"pleivh me;n ga;r gai'a kakw'n,
pleivh de; qavlassa", v. 101, piena è la terra di mali e pieno il mare. Nel vaso, sul quale
infine Pandora ripose il coperchio per volere di Zeus, rimase solo la Speranza (Mouvnh d&
aujtovqi jElpiv", v. 96).
A questo punto il mito della prima donna si collega a quello dell'età dell'oro.
La storia del decadimento dall'aurea stirpe primigenia (cruvseon me;n prwvtista gevno", v.
109) a quella finale, e attuale, ferrigna ( nu'n ga;r dh; gevno" ejsti; sidhvreon, v. 176), prende
64Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro , IV, 8.
l'avvio dal racconto dei mali conseguiti alla mossa, malaccorta o malvagia, di Pandora,
questa Eva dei Greci. Il fratello dell'autore, Perse, dunque deve stare attento a non
lasciarsi ingannare da una donna pugostovlo"65, dalle natiche agghindate, che mentre fa
moine seducenti mira al granaio (vv. 373-374).
Anche nel poema più recente del resto l'autore non esclude che l'uomo accorto possa
scegliersi una compagna brava: non può esserci migliore acquisto66 di una moglie buona,
come non c'è nulla di più raccapricciante di una sposa cattiva (Opere , vv. 702-703).
Su questa linea si trova Semonide di Amorgo autore (nei primi anni del VI secolo) di un
Giambo sulle donne (fr. 7 D.), una tra le più famose espressioni dell'antifemminismo
greco.
Questo autore fa derivare le femmine umane di vario carattere da altrettante bestie: il
primo tipo discende dal porco irsuto: costei sta non lavata in vesti sporche a ingrassare in
mezzo al luridume (vv. 5-6).
Il secondo deriva dalla volpe67 maliziosa, esperta di tutto, non le sfugge niente, sovverte le
categorie morali ed è varia d'umore.
La terza femmina proviene dalla cagna che latra in continuazione e non basta lapidarla
per farla tacere.
La quarta, figlia della terra, è pigra e pesante.
La quinta deriva dal mare ed è mutevole e capricciosa poiché il pelago è cangiante: a
volte è calmo, come l'acqua marina quando, d'estate, è una grande gioia per i marinai, a
volte invece si infuria ed è agitato da onde di cupo fragore. Insomma una bufera di
femmina.
La sesta discende dall'asina, scostumata, sessualmente vorace;
la settima dalla donnola, sciagurata, disgustosa e ladra;
l'ottava proviene dalla cavalla, morbida e adorna di una folta criniera. Non sopporta i
lavori domestici e si fa amico l'uomo solo per necessità. Questa è la donna narcisista e
parassitaria che passa il tempo a pettinarsi, truccarsi, profumarsi. Una creatura del genere è
uno spettacolo bello a vedersi per gli altri, ma per chi se la tiene in casa è un male, a meno
che sia un despota o uno scettrato che di tali vezzi si gloria nell'animo.
65 Formato da pughv, deretano e stevllw, agghindo.
66 "La casa, il bove e la moglie sono i tre elementi fondamentali della vita del
contadino in Esiodo, Opp. 405 ( citato da Aristotele, Pol. I 2, 1252 b 10, nella sua
famosa trattazione economica). In tutta la sua opera Esiodo considera l'esistenza della
donna da un punto di vista economico, non solo nella sua versione della storia di
Pandora, con cui vuole spiegare l'origine del lavoro e della fatica tra i mortali, ma
anche nei precetti sull'amore, il corteggiamento e il matrimonio (ib. 373, 695 ss.;
Theog. 590-612)". W. Jaeger, Paideia 1, p. 63, n. 24..
67Si ricorderà "son volpi vezzose" de Le nozze di figaro .
Tale è dunque la donna adatta ai tiranni che nella cultura greco-latina sono paradigmi
negativi. Costoro del resto hanno fama di violentare le donne come si legge68 nella
descrizione che Otane fa del mouvnarco" nel dibattito sulla migliore costituzione.
Quella che discende dalla scimmia è brutta e ripugnante.
Ultimo tipo, e unico raccomandabile, è quello che deriva dall'ape ( "ejk melivssh" ", v.
83). Questa femmina ha tutte le caratteristiche della buona sposa e chi se la prende è
fortunato. A lei sola infatti non siede accanto il biasimo (mwm' o"), grazie a lei fiorisce la
prosperità, invecchia cara con lo sposo che l'ama69 dopo aver generato una bella prole,
diviene distinta tra tutte le donne, la circonda grazia divina (qeivh...cavri", v. 89) e non si
compiace di star seduta tra le donne quando parlano di sesso.
Leopardi traduce questi versi (90-91) così :" né con l'altre è solita/goder di novellari
osceni e fetidi".
Del resto a Silvia la natura negò le conversazioni gentili e delicate con altre ragazze :"né
teco le compagne ai dì festivi/ragionavan d'amore" (vv. 47-48).
Dunque una possibilità di non essere cattiva per la donna c'è secondo Esiodo e Semonide.
Molto più radicale nella negatività e nella certezza di non poter trovare una buona moglie
è l'Ippolito di Euripide come vedremo.
Tra i classici dell'antifemminismo assoluto possiamo aggiungere Schopenhauer :" Le
donne sono adatte a curarci e a educarci nell'infanzia, appunto perché esse stesse sono
puerili, sciocche e miopi, in una parola tutto il tempo della loro vita rimangono grandi
bambini: esse occupano un gradino intermedio fra il bambino e l'uomo, che è il vero
essere umano (...) le donne rimangono bambini per tutta la vita, vedono sempre soltanto
ciò che è vicino, rimangono attaccate al presente, scambiano l'apparenza delle cose con la
loro sostanza, e preferiscono inezie alle questioni più importanti (...) le donne, in quanto
sesso più debole, sono costrette dalla natura a far ricorso non già alla forza ma all'astuzia:
di qui deriva la loro istintiva scaltrezza e la loro indistruttibile tendenza alla menzogna (...)
per la donna una sola cosa è decisiva, vale a dire a quale uomo essa sia piaciuta (...) Il
sesso femminile, di statura bassa, di spalle strette, di fianchi larghi e di gambe corte,
poteva essere chiamato il bel sesso soltanto dall'intelletto maschile obnubilato dall'istinto
sessuale: in quell'istinto cioè risiede tutta la bellezza femminile. Con molta più ragione, si
potrebbe chiamare il sesso non estetico "70.
Su questa stessa linea troviamo il Leopardi di Aspasia , frustrato da Fanny Targioni-
Tozzetti sui sentimenti della quale precedentemente si era illuso al punto che gli sembrava
di errare "sott'altra luce che l'usata"71.
Dopo la morte del poeta, Ranieri disse a Fanny che quella donna era lei ma ella protestò
dichiarando di non aver mai dato "la menoma lusinga a quel pover uomo" e anzi precisò,
ogni volta che il Leopardi accennava a cose d'amore, "io m'inquietavo, e non volevo, né
68 Erodoto, III, 80, 5.
69G. Leopardi traduce"In carità reciproca...ambo i consorti dolcemente invecchiano".
70Parerga e paralipomena Tomo II, p. 832 e ss.
71G. Leopardi, Il pensiero dominante , v. 104.
anco credevo vere certe cose, come non le credo ancora, ed il bene che io gli volevo glielo
voglio ancora tal quale, abbenché ei più non esista"72.
Vediamo dunque la vendetta dell'innamorato deluso.
Partiamo però da Properzio
Nell'ultima elegia del terzo libro Properzio, lo schiavo d'amore, per
liberarsi dal servitium si aiuta con il ricordo (di ascendenza catulliana73)
dell'iniuria: "Flebo ego discedens, sed fetum iniuria vincit " (III, 25, 7),
piangerò nel lasciarti ma l'offesa vince il pianto, poi si consola con la
previsione dell'invecchiamento della sua domina :"At te celatis aetas
gravis urgeat annis,/et veniat formae ruga sinistra tuae./Vellere tum
cupias albos a stirpe capillos/ah speculo rugas increpitante tibi,/
exclusa inque vicem fastus patiare superbos,/ et quae fecisti facta
queraris anus./ Has tibi fatalis cecinit mea pagina diras./Eventum
formae disce timere tuae " (III, 25, 11-18), ma l'età greve incomba
sugli anni dissimulati e vengano rughe sinistre sulla tua immagine
bella. Che allora tu voglia strappare dalla radice i capelli bianchi,
quando lo specchio ti rinfaccerà le rughe, e a tua volta respinta possa
tu sopportare la sprezzante alterigia, e lamentarti ormai vecchia del
male che hai fatto. Questi cattivi presagi ti ha cantato la mia pagina
fatale, impara a temere la fne della tua bellezza. Questa dunque è
ingannevole come l'amore ed effmera come mutevoli sono le donne.
In conclusione:"Giovane: un antro arabescato di fori. Vecchia: un drago
che esce fuori"74.
Di nuovo Leopardi
Riporto alcuni versi di Aspasia :"Raggio divino al mio pensiero apparve,/donna, la tua
beltà75 (...) Vagheggia/il piagato76 mortal quindi la figlia/della sua mente, l'amorosa
idea/che gran parte d'Olimpo in se racchiude, /tutta al volto ai costumi alla favella/pari alla
donna che il rapito amante/vagheggiare ed amar confuso estima./or questa egli non già, ma
quella, ancora/nei corporali amplessi, inchina ed ama./ Alfin l'errore e gli scambiati
oggetti/conoscendo, s'adira; e spesso incolpa/la donna a torto. A quella eccelsa
imago/sorge di rado il femminile ingegno;/e ciò che inspira ai generosi amanti/la sua
stessa beltà, donna non pensa,/né comprender potria. Non cape in quelle/anguste fronti
ugual concetto. E male/al vivo sfolgorar di quegli sguardi/spera l'uomo ingannato, e mal
richiede/sensi profondi, sconoscuti, e molto/più che virili, in chi dell'uomo al tutto/da
72 Citazione tratta da Giacomo Leopardi, Canti , Einaudi, Torino, 1962, p. 231.
73 Cfr. 72, 7-8.
74Nietzsche, Di là dal bene e dal male , p. 157.
75Nota il platonismo.
76Nota il tovpo" della ferita amorosa.
natura è minor. Che se più molli/e più tenui le membra, essa la mente/men capace e men
forte anco riceve" (vv. 33 e ss.). Quel "di rado" invero lascia qualche speranza.
La donna di cui si è innamorati dunque prima è cosmo e dea. Poi, come
il re carnevalesco, si ribalta. Lo spiega Giasone a una giovane ierodula
del tempio sull'Acrocorinto in un dialogo di C. Pavese:"Piccola Mèlita,
tu sei del tempio. E non sapete che nel tempio-nel vostro- l'uomo sale
per essere dio almeno un giorno, almeno un'ora, per giacere con voi
come foste la dea? Sempre l'uomo pretende di giacere con lei-poi
s'accorge che aveva a che fare con carne mortale, con la povera donna
che voi siete e che son tutte. E allora infuria-cerca altrove di essere
dio"77.
Un altro classico dell'antifemminismo è Sesso e carattere di O. Weininger. Questo
denigratore delle donne sostiene che la femmina umana ha sempre bisogno della guida del
maschio:" la donna s'aspetta sempre dall'uomo la delucidazione delle proprie
rappresentazioni oscure (...) la donna riceve la propria coscienza dall'uomo: la funzione
sessuale per l'uomo-tipo di fronte alla donna-tipo è appunto quella di rendere cosciente
l'inconscio della donna che è per lui il completamento ideale"78. Più avanti l'autore afferma
che "la donna non possiede alcuna logica" (p. 163) Ella "non possiede dunque il
principium identitatis né il principium contradictionis o exclusi tertii ". Allora "un essere
che non comprende come A e non-A s'escludano a vicenda, non trova nessun
impedimento alla menzogna, anzi per lui non esiste un concetto di menzogna, dato che il
suo contrario, la verità, gli rimane completamente ignota come termine di confronto" (p.
164). La donna si realizza nell'attività sessuale e dunque ella "non pretende dall'uomo
bellezza ma pieno desiderio sessuale. Su di essa non fa mai impressione l'elemento
apollineo nell'uomo ( e perciò neppure quello dionisiaco), ma quello faunesco nella sua
massima estensione; mai l'uomo ma sempre il maschio; e in primo luogo-non lo si può
tacere in un libro sulla donna-la sua sessualità nel senso più stretto, il phallus " (p. 258).
La paura che l'uomo ha della donna sarebbe orrore del vuoto:"Il senso della donna è
dunque quello di essere non-senso. Essa rappresenta il nulla, il polo contrario alla divinità,
l'altra possibilità nell'essere umano (…) E così si spiega anche quella profonda paura
dell'uomo: la paura della donna, cioè la paura di fronte alla mancanza di senso: la paura
dinanzi all'abisso allettante del nulla (...) la donna non è nulla, è un vaso cavo
imbellettato e dipinto per un po' di tempo" (p. 299)...Soltanto col diventare sessuale
dell'uomo la donna riceve esistenza e importanza: la sua esistenza dipende dal phallus e
questo è perciò il suo supremo signore e dominatore assoluto. L'uomo divenuto sesso è il
Fatum della donna; don Giovanni è l'unico uomo dinanzi a cui tremi fin nel midollo delle
ossa" (p. 300).
77Dialoghi con Leucò, Gli Argonauti .
78Sesso e carattere , p. 124.
Echi del misogino austriaco si trovano nel rimuginare di Zeno mentre osserva e ascolta il
rivale Guido provando la tentazione di ucciderlo, una voglia repressa perché non ne scapiti
il sonno:"Faceva parte della sua teoria (o di quella del Weininger) che la donna non può
essere geniale perché non sa ricordare"79.
Nell'ultimo capitolo del libro di Weininger (La donna e l'umanità ) troviamo uno
spiraglio, l'accenno a un remedium rispetto all'impossibilità di amare. Il rimedio giusto è
sempre la moralizzazione. " La maggior nemica dell'emancipazione della donna è la donna
stessa (p. 334)...come deve l'uomo trattare la donna? Come vuole essere trattata essa
stessa, o come esige l'idea morale? Se la deve trattare come essa vuole, deve accoppiarsi a
lei, ché essa vuol venir posseduta; la deve picchiare, ché vuol esser percossa; ipnotizzare,
ché vuol venire ipnotizzata; deve dimostrarle con la galanteria quanto poco ne stimi il vero
valore, ché essa vuol sentirsi complimentare, ma non venir stimata per ciò che è. Se invece
vuole comportarsi di fronte alla donna come esige l'idea morale, dovrà cercare di vedere in
lei la creatura umana che è, cercar di stimarla come tale (p. 335)...l'uomo non è in grado
di risolvere il problema etico per la propria persona se continua a negare l'idea
dell'umanità nella donna, nel momento che ne usa come d'un mezzo di godimento" (p.
339).
Una resipiscenza del genere viene in mente all'uxoricida della Sonata a Kreutzer di
Tolstoj :" Guardai i miei figlioli, il suo volto livido e disfatto, e per la prima volta
dimenticai me stesso, i miei diritti, l'orgoglio, e per la prima volta vidi in lei un essere
umano"(p. 382).
Sembra l' a[rti manqavnw, "ora comprendo", di Admeto nell'Alcesti di Euripide (v. 942).
Vediamo qualcosa sull’ antifemminismo attribuito a Euripide. Se ne trovano accenti
forti in alcuni personaggi delle sue tragedie. Invero nelle tragedie di questo autori le
donne hanno uno spessore più grande dei maschi che spesso sono dei miserabili
opportunisti (Giasone della Medea e Admeto dell’Alcesti per fare due esempi)
Nell’Andromaca di Euripide, la vedova di Ettore conclude il primo
episodio scagliando un anatema contro tutte le donne immorali, o
contro tutte le donne esclusa se stessa, se vogliamo dare credito alla
nomea di antifemminismo del suo creatore:
"E' terribile che uno degli dèi abbia concesso rimedi
ai mortali anche contro i morsi dei serpenti velenosi,
mentre per ciò che va oltre la vipera e il fuoco,
per la donna, nessuno ha trovato ancora dei rimedi
se è cattiva: così grande male siamo noi per gli uomini"( Andromaca,
269-273).
79 I. Svevo, La coscienza di Zeno, p. 170.
Un antifemminismo certamente professato dalla vedova di Ettore nel
secondo episodio:
"non bisogna preparare grandi mali per piccole cose
né, se noi donne siamo un male pernicioso (ajthro;n kakovn),
gli uomini devono assimilarsi alla nostra natura"(352-354).
Più avanti Ermione, la moglie legittima, parlando con Oreste, deplora la rovina subita
dalle visite delle comari maligne:" kakw'n gunaikw'n ei[sodoi m ' ajpwvlesan" ( v. 930). La
sposa che permette a tale genìa di guastare la sua intesa coniugale, viene come trascinata
da un vento di demenza. Sentiamo la figlia di Menelao pentita di essersi lasciata montare
la testa da queste Sirene maligne che hanno provocato la rovina del suo matrimonio con
Neottolemo:" Ed io ascoltando queste parole di Sirene80,/ scaltre, maligne, variopinte,
chiacchierone,/ fui trascinata da un vento di follia. Che bisogno c'era infatti che
io/controllassi il mio sposo, io che avevo quanto mi occorreva?/grande era la mia
prosperità, ero padrona della casa,/e avrei generato figli legittimi,/quella81 invece dei
mezzi schiavi e bastardi82 servi dei miei./ Mai, mai, infatti non lo dirò una sola volta,/
bisogna che quelli che hanno senno, e hanno una moglie,/ lascino andare e venire dalla
moglie che è in casa/ le donne: queste infatti sono maestre di mali (didavskaloi kakw'n):/
una per guadagnare qualcosa contribuisce a corrompere il letto,/ un'altra, siccome ha
commesso una colpa vuole che diventi malata con lei,/ molte poi per dissolutezza; quindi
sono malate/ le case degli uomini. Considerando questo, custodite bene/ con serrature e
sbarre le porte delle case;/ infatti nulla di sano producono le visite/ dall'esterno delle
donne ma molte brutture e anche dei mali (Andromaca, vv. 936-953).
La donna va chiusa in casa anche perché non rubi, la roba del maschio, oltre che
l'onore: infatti Esiodo, "l'inventore" dell'antifemminismo afferma che fidarsi di una
donna è rischioso come dare fiducia a un ladro:"o{" de; gunaiki; pevpoiqe, pepoiq'
o{ fhlhvth/sin" (Opere , 375).
80 Sono mostri che adescano i naviganti con la malìa del loro canto per poi ucciderli.
Per attirare Odisseo gli dicono che chi fa sosta da loro riparte pieno di gioia e
conoscendo più cose ("kai; pleivona eijdwv"", Odissea, XII, 188). Ma il figlio di
Laerte, unico tra gli uomini, riesce a udire il canto delle Sirene senza esserne sedotto.
Come nel caso di Circe, come in quello dell'accesso all'Ade, egli sa che cosa deve
fare, e di fronte alle Sirene escogita uno stratagemma: tappa gli orecchi dei suoi
marinai e si fa legare all'albero della nave.
81 Andromaca.
82 Si può pensare all'elogio dei bastardi pronunciato da Edmondo, il figlio
illegittimo (di Gloster) che nel Re Lear si presenta come devoto adoratore
della dea natura."Thou, Nature, art my goddess". Bastardo dunque, secondo
la natura, è un titolo onorifico:" noi nel gagliardo furto di natura prendiamo
una tempra più solida maggior fierezza di carattere rispetto ai gonzi generati
tra il sonno e la veglia in un letto freddo, frollo e fiacco (I, 2).
Oltre il non truccarsi pure il non spogliarsi fa parte della virtù della donna, almeno in
ambito e ateniese e ionico83. In questa stessa tragedia si trova un pesante biasimo delle
donne spartane: Peleo, sempre nell'Andromaca , critica tutte le Lacedemoni per i loro
costumi dicendo: neppure se lo volesse potrebbe restare onesta ("swvfrwn", v. 596) una
delle ragazze di Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude
("gumnoi'si mhroi'"", v.598) e i pepli sciolti, e hanno corse e palestre comuni, cose per me
non sopportabili.
Vediamo alcune espressioni della fantasia contraria alla natura di generare senza
l'unione tra l'uomo e la donna, creature che sarebbero naturalmente quant'altre mai
congeniali tra loro.
Sentiamo innanzitutto Giasone nella Medea :"Crh'n ga;r a[lloqevn poqen brotou"; -pai'da"
teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai geno": -cou{tw" a]n oujk h\n oujde;n ajnqrwpv oi" kakovn"
(vv. 572-575), bisognerebbe infatti che in altro modo, donde che sia, gli uomini
generassero i figli, e che la razza delle donne non esistesse, così non ci sarebbe nessun
male per gli uomini.
Insomma il male è la femmina.
Nell'Ippolito il protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato
dalle donne, ingannevole male per gli uomini ("kivbdhlon ajnqrwvpoi" kakovn ", v. 616),
male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto
dell'ate84 ("ajthrovn85...futovn", v. 630) che auspica la loro collocazione presso muti morsi
di fiere (vv. 646-647) e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle
femmine umane.
Sentiamo alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:
"O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini? Se
infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne ,
ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di
bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero
in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa
quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).
Si ricordi a questo proposito la nascita di Atena dalla testa e di Dioniso dalla coscia di
Zeus che rapì il feto al fuoco dove bruciava la madre Semele e disse:
Vieni, Ditirambo, entra
in questo mio maschio ventre (ejma;n ar[ sena tavnde baq' i nhduvn) Baccanti 526-527)
83 Erodoto fa gridare a Gige:" Jvama de; kiqw'ni ejkduomevnw/ sunekduvetai kai; th;n
aijdw' gunhv" (I, 8, 3) con il levarsi di dosso la veste, la donna si spoglia anche del
pudore".
84 L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale.
85 Ricorda che la protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij gunai'ke;" ejsmen
ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.
Nelle Eumenidi di Eschilo, Apollo difende Oreste matricida dicendo che può esserci il
padre senza la madre, come dimostra Atena che non è stata nutrita in tenebre di ventre
(oujk ejn skovtoisi nhduvo" teqrammevnh, 665) ma è un germoglio quale nessuna dea può
generare.
Comunque non è la madre tevknou tokeuv", generatore del figlio, poiché ella è solo
trofo;" nutrice del feto seminato, tivktei d j oJ qrwv/skwn, genera chi la monta.
Nell'Orlando furioso (1532) troviamo echi di questo risentimento contro le donne, messi
in bocca al personaggio di Rodomonte, scartato da Doralice.
Prima il"Saracin" biasima, "catullianamente", l'instabilità e la perfidia delle donne:" Oh
feminile ingegno,-egli dicea-/come ti volgi e muti facilmente86,/contrario oggetto a quello
della fede!/Oh infelice, oh miser 87 chi ti crede!" (27, 117).
Quindi Rodomonte aggiunge il motivo esiodeo della femmina umana imposta come
punizione all'umanità maschile:"Credo che t'abbia la Natura e Dio/produtto, o scelerato
sesso, al mondo/per una soma, per un grave fio/de l'uom, che senza te saria
giocondo:/come ha prodotto anco il serpente rio/e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo/e di
mosche e di vespe e di tafani,/e loglio e avena fa nascer tra i grani" (27, 119). Infine
l'amante infelice rimprovera la Natura, come Ippolito e Giasone, poiché costringe gli
uomini a mescolarsi con le donne per la riproduzione:"Perché fatto non ha l'alma
Natura,/che senza te potesse nascer l'uomo,/ come s'inesta per umana cura/l'un sopra l'altro
il pero, il sorbo e 'l pomo?/Ma quella non può far sempre a misura:/anzi, s'io vo' guardar
come io la nomo,/veggo che non può far cosa perfetta,/poi che Natura femina vien
detta"(120).
Un motivo questo presente anche nel Paradise Lost (1658-1665) del "puritano
d'incrollabile fede"88 John Milton (1608-1674). In questo poema Adamo si chiede perché
il Creatore, che ha popolato il cielo di alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra
questa novità, questo grazioso difetto di natura ( this fair defect 89 of Nature ) e non ha
riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato
86 Cfr. il già citato "varium et mutabile semper/femina " diVirgilio (Eneide , IV, 569-
570).
87 Questo miser risale alla letteratura latina nella quale, a partire da Catullo, dicono
alcuni, assume il significato di persona infelice per l'amore non contraccambiato. In
realtà se ne trovano già diversi esempi in Plauto. Qui ne do un paio:"miseriorem ego
ex amore quam te vidi neminem" dice l'anziano Alcesimo al vecchio amico Lisidamo
innamorato di Casina (v. 520), non ho mai visto uno più infelice, per amore, di te. Più
avanti lo stesso innamorato conferma:"Neque est neque fuit me senex quisquam
amator adaeque miser" (685), non c'è e non c'è stasto un vecchio innamorato infelice
quanto me.
88 C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 517.
89 Cfr. questo nesso ossimorico con kalo;n kakovn, bel malanno, sempre riferito alla
donna da Esiodo nella Teogonia ( v. 585). Ci torneremo più avanti.
un altro modo per generare l'umanità ("or find some other way to generate Mankind? ", X,
888 e sgg.).
Questo desiderio del maschio deluso è stato realizzato per sé dal Dio biblico che crea il
mondo senza alcuna presenza femminile, come fa notare Fromm:"Il racconto non ha
inizio con le parole:" In principio era il caos, in principio era l'oscurità", bensì, "In
principio Dio creò...."-dunque lui solo, il dio maschile, senza intervento né partecipazione
da parte della donna-cielo e terra. Dopo l'interruzione di una frase in cui risuonano ancora
le antiche concezioni, il racconto prosegue:"E dio disse:"sia la luce", e la luce fu (Gn. 1,
3). Qui in tutta chiarezza compare l'estremo della creazione solamente maschile, la
creazione per mezzo esclusivo della parola, la creazione attraverso il pensiero, la creazione
attraverso lo spirito. Non si ha più bisogno del grembo materno per generare, non più della
materia: la bocca dell'uomo che pronuncia una parola ha la capacità di creare la vita
direttamente e senza bisogno d'altro (...) Il pensiero che l'uomo sia in grado di creare esseri
viventi soltanto con la sua bocca, con la sua parola, dal suo spirito, è la fantasia più
contronatura che sia immaginabile; essa nega ogni esperienza, ogni realtà, ogni
condizione naturale, spazza via ogni vincolo posto dalla natura per raggiungere
quell'unico scopo: rappresentare l'uomo come assolutamente perfetto, come colui che
possiede anche la capacità che la vita sembra avergli negato: la capacità di generare"90.
E meno male che poi "il Signore Dio disse:"Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio
fare un aiuto che gli sia simile" (Genesi, 2, 23).
La stessa fantasia viene denunciata da Alonge nei drammi di Ibsen in particolare ne Il
costruttore Sollness del 1892:"L'uomo odia la donna, la odia perché ha invidia del suo
ventre…Non ci sono donne nella religione del capitale. Il dio padre corrisponde
esattamente al dio creatore. Il Figlio discende direttamente e misteriosamente dal Padre.
Nell'olimpo cristiano la Vergine tenta di nascondere a malapena un evidente processo di
partenogenesi maschile"91.
Sentiamo anche il lunatico Re Lear di Shakespeare:" Guardate quella signora che sorride
in modo affettato, la cui faccia fa presagire neve dove il corpo si biforca, che affètta virtù e
scuote il capo a sentir nominare il piacere; la puzzola e il cavallo nutrito d'erba fresca non
vanno là con un appetito più sfrenato. Sotto la vita esse sono centauri, sebbene donne nella
parte superiore (down from the waist they are centaurs, though women alla above); solo
fino alla cintola esse sono eredi degli dèi; sotto è tutta del demonio: lì c'è l'inferno, lì ci
sono le tenebre, lì c'è la voragine solforosa che brucia, che scotta, c'è il fetore, c'è la
consuzione" (King Lear, IV, 6).
90E. Fromm, Amore sessualità e matriarcato , trad. it. Mondadori, Milano, 1997. p.
104 e 105.
91 R. Alonge, Epopea borghese nel teatro di Ibsen, Guida Editori, Napoli, 1983, p.
139.
La lex Oppia e la rivolta delle donne
Catone il Vecchio si opponeva al lusso e alla libertas femminile da lui intesa già
come licentia 92. E' la paura della donna a suggerire al Catone di Tito Livio alcune
parole sulla necessaria sottomissione della femina al fine di tenere sotto controllo
una natura altrimenti riottosa .
Così si esprime il censore quando parla, nel 195 a. C., contro l'abrogazione della lex
Oppia che, dal 215, imponeva un limite al lusso delle matrone93 le quali erano scese
in piazza proprio per manifestare a favore dell'annullamento della legge:" Maiores
nostri nullam, ne privatam quidem rem agere feminas sine tutore auctore voluerunt,
in manu esse parentium, fratrum, virorum...date frenos impotenti naturae et indomito
animali et sperate ipsas modum licentiae facturas...omnium rerum libertatem, immo
licentiam , si vere dicere volumus, desiderant… Extemplo simul pares94 esse
coeperint, superiores erunt "95, (XXXIV, 2, 11-14; 3, 2) i nostri antenati non vollero
che le donne trattassero alcun affare, nemmeno privato senza un tutore, e che stessero
sotto il controllo dei padri, dei fratelli, dei mariti...allentate il freno a una natura così
intemperante, a una creatura riottosa e sperate pure che si daranno da sole un limite
alla licenza...desiderano la libertà, anzi, se, vogliamo chiamarla con il giusto nome,
la licenza in tutti i campi…. appena cominceranno a esserci pari, saranno superiori.
Augusto con le sue leggi tentò di porre un freno alla temuta licentia che i
tradizionalisti non avevano potuto fermare.
La lex Iulia de adulteriis coercendis fu approvata nel 18 a. C. Essa
"non si limitava a sottoporre a regolamentazione la violazione della
fede coniugale. Inserita nel quadro generale della politica demografca
e moralizzatrice di Augusto, stabiliva, in linea assai più generale, che
fosse punito come crimen (vale a dire come delitto pubblico,
perseguibile su iniziativa di qualunque cittadino) qualsiasi rapporto
sessuale al di fuori del matrimonio e del concubinato, eccezion fatta
per quelli con le prostitute e con donne a queste equiparate, o in
ragione del mestiere esercitato, o perché già condannate, in
92 Livio, XXXIV, 2, 11-14.
93 Vietava tra l'altro di indossare vesti multicolori o di girare per Roma su un cocchio
a doppio traino di cavalli.
94 Evidentemente la parità fa paura ai maschi. Lo aveva già detto Marziale (40
ca-104 d.C.) nella clausula di un suo epigramma:" Inferior matrona suo
sit, Prisce, marito:/non aliter funt femina virque pares " (VIII, 12, 3-4),
la moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna
diventano pari.
95Tito Livio, Storie , XXXIV, 3, 2.
precedenza, per condotta immorale. Il termine adulterio, insomma, è
usato da Augusto in senso lato, e comprende anche lo stuprum96.
Il tentativo non riuscì nemmeno all'Augusto imperatore se Tacito nel suo
studio del potere, denuncia, con l'empietà e la crudeltà, pure la dissolutezza dei
costumi dell'età che si accinge a narrare, fin dall' inizio delle Historiae97:"Pollutae
caerimoniae, magna adulteria; plenum exiliis mare, infecti caedibus scopuli "(I, 2),
profanate le cerimonie, adultèri colossali; il mare pieno di esilii, gli scogli sporchi di
strage.
Negli Annales di Tacito ( III 33) Severus Caecĭna che era stato collaboratore di
Germanico comandando le legioni sul basso Reno nel 14, nel 21 d. C., fa un discorso in
senato proponendo che le mogli non accompagnassero i magistrati nelle province
sorteggiate: esse una volta erano tenute a freno dalle leggi come quella Oppia, nunc
vinclis exolutis, domos, fora, iam et exercitus regerent, ora sciolti quei legami,
spadroneggiavano nelle case nei tribunali e negli eserciti.
C. Pavese"Sono un popolo nemico, le donne, come il popolo tedesco"98. E pure, con
un pessimismo meno esteso ma più personalizzato:"Sono tuo amante, perciò tuo
nemico"99.
Se una donna non tradisce, è perché non le conviene"100. Inoltre:"Le
puttane battono a soldi. Ma quale donna si dà altro che a ragion
veduta?"101.
Sentiamo la Medea di Euripide
“La donna infatti per il resto è piena di paura
e vile davanti a un atto di forza e a guardare un'arma;
ma quando sia offesa nel letto, -ej" eujnh;n hjdikhmevnhnon
c'è non c'è altro cuore più sanguinario. (Medea, vv. 263- 266)
96 Relazione colpevole.
97 Composte tra il 100 e il 110, dunque prima degli Annales , sebbene raccontassero
anni successivi: dal 69 al 96. Constava di dodici, o quattordici, libri. Ci sono arrivati i
primi cinque che contengono la storia dal gennaio del 69 alla rivolta giudaica del 70
d. C.
98Il mestiere di vivere , 9 settembre 1946.
99 Il mestiere di vivere ,18 novembre 1945.
100Il mestiere di vivere , 31 ottobre 1938.
101Il mestiere di vivere , 17 gennaio 1938.
Bisogna dire che le donne possono infuriarsi pure per l'offesa sessuale da loro stesse
arrecata, nel letto o fuori dal letto:"Bisogna stare attenti con le donne. Sorprendile una
volta con le mutande abbassate. Non te la perdonano più"102.
Fine dell’excursus
La corifea ingiunge a Polimestore di non ridiventare ardito mhde;n qrasuvnou
(1183) e di non biasimare l’intero genere mettendo tutto insieme quello che è
femminile- to; qh'lu sunqei;" in seguito ai mali tuoi (1184).
Generalizzare sulle molteplici, varie persone è sempre una forma di razzismo, una delle
più odiose: l’antifemminismo come il femminismo e così pure il maschilismo e il suo
contrario: né le donne sono tutti uguali tra loro, né i maschi. Comunque la femmina, tanto
quella umana quanto quella della bestia spicca tra gli interessi del maschio eterosessuale,
come è scritto nella stessa etimologia di femmina: si pensi che il vocabolo "deriva
dall'indoeuropeo *dha-/dhe- che ha dato come esito in greco qh-, in latino fe -"103 da
queste radici derivano qhlhv, mammella, qhvleia, femmina appunto, qh'lu" femminile,
femina , felix e felicitas .
In altre parole: sine femina non est vita; si est tamen, non est ita.
Seguono due versi espunti in alcune edizioni: ce ne sono molte di noi, alcune
sono malviste- ejpivfqovnoi- 1185 , altre di noi siamo per natura nel numero
delle malvagie 1186.
Ecuba dice ad Agamennone che non dovrebbe mai succedere che la lingua
degli uomini non avesse più forza dei fatti- oujk ejcrh'n pote-tw'n pragmavtwn
th;n glw'ssan ijscuvein plevon (1188). Buoni dovrebbero essere i discorsi di chi
agisce bene, mentre le azioni malagie- au\ ponhrav- dovrebbere avere come
correlativo tou;" lovgou" saqrouv" (1190) parole difettose.
–cfr. vv. 1239-1240- non si dovrebbero mai dire bene le cose ingiuste.
La polemica contro chi parla in maniera convincente e agisce male, in genere i
demagoghi, si trova espressa anche in altre tragedie.
Nell'Oreste, del 408, l'odioso ciarlatano che forse adombra il
demagogo Cleofonte104, fglio di madre Tracia, il quale capeggiava il
102 J. Joyce, Ulisse, p. 139.
103G. Ugolini, Lexis , p. 241.
104 Viene messo alla gogna nella parabasi delle Rane di Aristofane come incapace di
pronunciare correttamente la lingua dei veri Ateniesi: sulle sue labbra ambigue
orrendamente freme la rondinella tracia (vv. 679-681), e, poco più avanti il
demagogo è messo tra gli stranieri, rossi di pelo, mascalzoni e discendenti da
mascalzoni, ultimi arrivati, dei quali ora la città si serve per ogni uso, ma che in
partito della guerra a oltranza, chiede la condanna a morte dei
matricidi, oramai divenuti vittime per quel continuo mutare dei ruoli
assegnati dalla Sorte sovrana che è ricorrente nella poesia euripidea:"E
dopo questo105 si alza un tale, un uomo di lingua senza ritegno
(ajqurovglwsso~ lett. lenza porta), tronfo di audacia, Argivo non Argivo,
impostosi a forza,
fdando nella confusione e nella rozza licenza di parola, e pure convincente
tanto da gettare i cittadini in qualche male" (vv. 902-906).
Costui, spietato106 e deleterio per la città107: "disse che bisognava
uccidere Oreste e la sorella tirando pietre"(vv. 914-915).
“E’ soprattutto Euripide che, appena gli si presenta l’occasione, si
abbandona alle considerazioni politiche: basti pensare all’assemblea
popolare descritta dal messaggero nell’Oreste, con gli ambasciatori e
la regolare votazione”108.
Simile al demagogo è il politicante privo di lealtà e gratitudine.
Sono le accuse che Menelao indirizza al fratello, capo della spedizione
panellenica contro Troia, nell'Ifgenia in Aulide :
passato non sarebbero stati utilizzati facilmente nemmeno per caso come
vittime espiatorie: “oujde; farmakoi'sin eijkh'/ rJa/divw~ ejcrhsat j an” (vv. 730-733).
“Noi diremmo ‘spaventapasseri’ o ‘Guy Fawkeses’. La parola significa
letteralmente ‘medicine umane’, ovvero ‘capri espiatori’ (G. Murraty, Le
origine dell’Epica Greca, p. 24).
Tra le altre cose la rondine è in sé un animale ambiguo: significa il ritorno della
primavera e dell’amore ma non “ci sono dubbi sul fatto che la rondine, nella
cultura antica, funzioni anche come presagio di sventura. Cleopatra fu
terrorizzata dal fatto che delle rondini avevano fatto il nido attorno alla sua
tenda, e sulla nave ammiraglia (Dione Cassio, 50, 15)”. (M. Bettini, Le orecchie di
Hermes, p. 137). E' il dark side della rondine.
105 Diomede che aveva proposto l’esilio per i matricidi.
106 Certamente ignaro del monito di Cristo venturo "chi di voi è senza peccato scagli
per primo la pietra"(Giovanni, VIII, 7) che invece troveremo prefigurato da
Menandro negli (Epitrepv onte") dove troviamo un vero momento di mavqo" tragico
quando Carisio, il protagonista, definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza
peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti" ajnamarv thto", eij" dovxan blevpwn, v. 588)
e comprende che l'errore sessuale della moglie è stato un "infortunio involontario"(
ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm j, v. 594).
107 th'/ povlei kako;n mevga (Oreste, v. 908).
108 J. Burckhardt, Storia della civiltà greca, vol. I, p. 226
"lo sai, quando volevi ottenere il comando dei Danai contro Troia,
senza ambirvi in apparenza, ma aspirandovi con la volontà, come eri
umile, toccando ogni destra e tenendo aperte le porte per chi lo volesse tra i
popolani, e dando udienza successivamente a tutti, anche se uno non la chiedeva,
cercando con modi affettati di comprare dalla piazza l'oggetto dell'ambizione. Poi,
quando ottenesti il potere, assunti altri modi, non eri più amico come
prima agli amici di prima, inaccessibile e introvabile dentro i luoghi
chiusi. L'uomo buono quando si trova in auge non deve cambiare i
costumi109, anzi, soprattutto allora deve essere costante verso gli
amici, quando, con la buona fortuna, è in grado di far loro del
bene"(vv. 337-348).
Sono sofoiv –continua Ecuba-quelli che aggiustano
accuratamente queste azioni ingiuste ma non possono essere
sofsti fno in fondo: fniscono male, nessuno ne è venuto
fuori. Questo riguarda il proemio rivolto ad Agamennone. Ora
arrivo a costui e risponderò alle sue parole kai; lovgoi"
ajmeivyomai (Ecuba, 1196)
ta; ajmoibai'a sono le parti dialogate della tragedia.
Tu dici di avere ammazzato mio figlio per stornare dagli Achei una
doppia fatica Acaiw'n povnon ajpallavsswn diplou'n (1197) e per
Agamennone- j Agamevmnonov" qj e[kati. Ma, w\ kavkiste, per prima cosa la
razza barbara non è amica dei Greci né potrebbe esserlo (1200-1201). Le
tue menzogne non sono credibili: oJ crusov", eij bouvloio tajlhqh' levgein,-
e[kteine to;n ejmo;n pai'da, kai; kevrdh ta; sav (1206-1207) , l’oro se vuoi
dire la verità ha ucciso il figlio mio e il lucro tuo. Di nuovo l’oro come
veleno e movente di delitti.
Spiegami questo divdaxon tou'to, quando Troia aveva successo o{t j
eujtuvcei-Troiva, e una cerchia di torri aggirava la città, Priamo era vivo, e
la lancia di Ettore era in fiore- {Ektoro" t j h[nqei dovru (1210) era
possente, se davvero avessi voluto ingraziarti quest’uomo, mentre crescevi
mio figlio e lo avevi in casa, come mai pw"' non lo hai ucciso allora o non
andasti a portarlo vivo ai Greci? Ma da quando noi non siamo più nella
luce e la città ne diede segno con il fumo sotto i nemici kapnw'/ d j ejshvmhn
109 Seneca nell’Epistola 120 scrive:"maximum indicium est malae mentis fluctuatio
(20)... Magnam rem puta unum hominem agere " (22), il massimo segno di un animo
volto al male è l'ondeggiare...Considera grande cosa rappresentare sempre la stessa
parte.
j a[stu, polemivwn u{po (1215), tu allora ammazzasti quello che era giunto
ospite al tuo focolare (1216)
Tu non sei amico di nessuno: se davvero eri amico degli Achei , l’oro che
ammetti non essere tuo ma di lui, avresti dovuto portarlo a loro che ne
hanno bisogno e sono da tanto tempo lontani dalla patria (1219-1221)
Ma tu neppure ora per niente-su; d j oujde; nu'n pw - sopporti di mollare la
presa anzi perseveri a tenertelo in casa (1223). Se tu avessi salvato mio
figlio come avresti dovuto, ei\ce" a]n kalo;n klevo", ora avresti una buona
fama. Segue una sentenza a dire il vero piuttosto banale : ejn toi'" kakoi'"
ga;r ajgaqoi; safevstatoi-fivloi, nelle difficoltà infatti si chiariscono del
tutto gli amici. Tutte le situazioni favorevoli hanno di per sé degli amicita;
crhsta; dj au[q j e{kast j e[cei fivlou" (1228).
Se tu avessi avuto penuria e lui avesse avuto buona sorte, il figlio mio
sarebbe stato per te qhsauro;" mevga" (1229) un grande tesoro. Ora lui non
ce l’hai come amico e il vantaggio dell’oro se ne è andato-crusou' t j
o[nhsi" oi[cetai (1231), e pure i tuoi figli, e tu stai in questa manieraaujtov"
te pravssei" w\de (1232)
Ecuba è sempre più audace e arriva a dire parole imperiose e quasi
minacciose ad Agamennone: soi d j ejgw; levgw- Agamevmnon (1232-1233).
L’attore o l’attrice dovrebbe indicare l’ a[nax con il dito.
Se lo proteggerai, apparirai malvagio-eij tw'/d j ajrkevsei" , kako;" fanh/-
notare i significati almeno trissoiv di ajrkevw (allontano, proteggo, basto) e
l’ambiguità di molte parole.
Cfr. Sofocle e Pirandello.
L'ambiguità del linguaggio e l' impossibilità di intendersi viene teorizzata da Pirandello
nei Sei personaggi: "Ma se è tutto qui il male! Nelle parole!…come possiamo intenderci,
signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono andate
dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che
hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro! Crediamo d'intenderci; non ci intendiamo
mai!"110.
Luogo simile si trova nell'ultimo romanzo dell'Agrigentino, Uno, nessuno e centomila 111:
"il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca
in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi la stessa
lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote?
110 Sei personaggi in cerca d'autore ( parte prima). Parla il personaggio del Padre. La
commedia andò in scena la prima volta il 10 maggio 1921 al teatro Valle di Roma.
111 Pubblicato a puntate sul settimanale "La fiera letteraria" nel 1926.
Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell'accoglierle,
inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci; non ci siamo
intesi affatto" (p. 39).
Situazione simile nell’Antigone di Sofocle
"In bocca ai diversi personaggi, le stesse parole acquistano significati differenti od
opposti, perché il loro valore semantico non è lo stesso nella lingua religiosa,
giuridica, politica, comune. Così , per Antigone, novmo" designa il contrario di ciò che
Creonte, nelle circostanze in cui è posto, chiama anche lui novmo". Per la fanciulla il
termine significa "norma religiosa"; per Creonte, "editto promulgato dal capo dello
Stato. E in realtà il campo semantico di novmo" è sufficientemente esteso per
comprendere, con altri, ambedue i sensi...Le parole scambiate sullo spazio scenico,
anziché stabilire la comunicazione e l'accordo fra i personaggi, sottolineano viceversa
l'impermeabilità degli spiriti, il blocco dei caratteri; segnano le barriere che separano
i protagonisti, fanno risaltare le linee conflittuali"112.
Faresti del bene a un ospite non pio, non affidabile, ma empio e ingiusto
(Ecuba, 1235). Diremo che tu stesso ti compiaci dei malvagi in quanto sei
tale-toiuton o[nta (1237), ma non voglio insultare i padroni-despovta" d j
ouj loidorw' (1237).
Viene in mente, con un po’ di ironia, Pindaro che Nell'Olimpica IX
scrive:"diffamare gli dei è odiosa sapienza (ejpei; tov ge loidorh'sai qeouv"-
ejcqra; sofiva, vv. 37-38)
La corifea nota che le belle azioni-ta; crhsta; pravgmata- danno
degli spunti-ajforma;" ejndivdws j - per le belle parole-crhstw'n ajei;
lovgwn (1238-1239)- cfr. vv. 1187-1190-
Agamennone trova spiacevole giudicare le ingiustizie degli
altri, ma è tuttavia necessario o[mw" d j ajnavgkh 1241-, infatti
comporta vergogna ricusare una faccenda presa in mano.
Quindi l’a[nax si rivolge a Polimestore dicendogli che non gli
sembra che abbia voluto fare un favore a lui e agli Achei
ammazzando l’ospite, ajll j wJ" e[ch/" to;n cruso;n ejn dovmoisi soi'"
(1245). Ancora l’oro maledetto. Nella tua disgrazia racconti
le cose sautw'/ prosfor j (1246), giovevoli a te.
112J. P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento in Mito e tragedia nell'antica Grecia ,
pp. 89-90.
Forse da voi è di poco conto ammazzare un ospite –tavc j ou\n
parj ujmi'n rJaidion xenoktonei'n (1247), ma per noi Greci fare
questo è cosa turpe-hmi'n de; g j aijscro;n poiei'n { Ellhsin tovde
(1248)
Qui Euripide afferma il relativismo della culture, come ha fatto
Erodoto
Agamennone sa che se assolvesse un ospite che ha trucidato
l’ospite non potrebbe evitare il biasimo pw'" fuvgw yovgon;- oujk a]n
dunaivmhn (1249- 1250).
Indirizzo a Salvini che perde voti una sentenza rivolta dalla
coreuta delle prigioniere Troiane a Polimestore nell’esodo
dell’Ecuba di Euripide
Quindi la sentenza: ejpei; ta; mh; kalav-pravssein ejtovlma" poiché
hai osato compiere quello che non è bello (che è anche
buono) tlh'qi kai; ta; mh; fivla (Euripide, Ecuba, 1251) sopporta
anche quello che ti è discaro
A proposito di ta; mh; kalav il non bello che non è nemmeno buono
Quello dei Greci era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva
pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Detti memorabili
di Filippo Ottonieri ).
Nel primo stasimo dell'Antigone (vv.370-374) il coro si augura che non sia
suo parevstio", compagno di focolare, l'a[poli", il bandito dalla città con il
quale non convive il bello morale.
L’uomo il quale possiede il ritrovato della tecnologia (to; macanoven113),/ che è un qualche
sapere (sofovn ti), oltre l'aspettativa/ora si volge al male, ora al bene/ e le leggi della terra
unendo/e degli dei la giurata giustizia/è grande nella città (u{yipoli") bandito dalla città
(a[poli") è quello con il quale /coesiste la negazione del bello morale (to; mh; kalovn), per
la sfrontatezza (tovlma" cavrin)./Non mi stia accanto sul focolare/né sia uno che ha lo
stesso pensiero/chi compie queste azioni" (vv. 365 -375).
L’uomo dunque, tra i polla; ta; deinav (Antigone, v. 332), i molti enti terribili meravigliosi
lo è più di tutti gli altri (koujde;n deinovteron pevlei, v. 333), e, come tale, tote; me;n
kakovn, a[llot j ejp j ejsqlo;n e{rpei (367), ora si volge al male, ora al bene.
113 Si può anche tradurre la macchinazione del saper operare come fa Heidegger.
L’assassinio dell’ospite viene messo da Dante tra gli esempi di avarizia nel
Purgatorio ( Canto XX, V cornice): “e in infamia tutto jl monte gira-Polinestòr
ch’ancise Polidoro” (vv. 114-115).
Brevissima appendice su questo “maggio depravato”
Io, se non fossi l’uomo strano che sono- oujk a]n a[topo" ei[hn114- non crederei che
questo maggio depravato-depraved May115- sia una punizione inflitta da Dio,
chiunque Egli sia, a tutti noi, siccome sono troppi gli uomini disumani assai che non
amano gli altri esseri umani e nemmeno se stessi.
Polimestore soffre di più perché è stato vinto hjsswvmeno" da una donna che è
pure una schiava e deve pagare il conto a gente inferiore (Ecuba, 1252)
Ecuba ribadisce che questo avviene dikaivw" dopo il male che ha fatto.
Polimestore si dice tavla" infelice per i figli e per gli occhi (1255)
Ecuba gli rinfaccia le proprie sofferenze per Polidoro.
Il cieco la chiama w\ panou'rge siccome è contenta di infierire su di luicaivrei"
uJbrivzous j eij" e[m j (1257).
La donna replica che deve farlo dal momento che lo ha punito
Allora Polimestore le profetizza che andando per mare in Grecia salirà
sull’albero della nave e di lì si getterà nel mare dove kuvwn genhvsh/ puvrs j
e[cousa devrgmata (1265 cfr. devrkomai e dravkwn ) diventerai una cagna
dallo sguardo di fuoco.
Cfr. Ovidio Metamorfosi XIII,
Troia simul Priamusque cadunt, priamela coniunx,
perdidit infelix hominis post omnia formam
externasque novo latratu terruit oras
longus in angustum qua clauditur Hellespontus (404-407) dove si restringe il lungo
Ellesponto
quindi i versi 399-575.
In particolare quando la folla dei Traci sdegnata per lo scempio subito da Polimestore
le lancia contro sassi e dardi, Ecuba prende a morsi un sasso rictuque in verba
parato-latravit conata loqui (568-569) preparate le fauci alle parole, cercando di dire,
latrò
Cfr. Dante :
E quando la fortuna volse in basso
L’altezza de’ Troian che tutto ardiva
Sì che ‘sieme col regno il re fu casso,
Ecuba trista, misera e cattiva,
114 Parla Socrate nel Fedro di Platone (229c)
115 T. S. Eliot, Gerontion, 21
poscia che vide Polissena morta,
e del suo Polidoro in su la riva
del mar si fu la dolorosa accorta,
forsennata latrò sì come cane,
tanto il dolor le fe’ la mente torta (Inferno, XXX, 13-21). Cerchio VIII, decima
bolgia, Falsari
Come fai a saperlo? Domanda Ecuba
E’ stato il Diovnuso" mavnti" dei Traci rispone il re tracio (Ecuba, 1266-
1267)
Il nesso tra Dioniso e la Tracia si trova già nel VI canto dell’Iliade (130-140) con la
persecuzione del sanguinario re trace Licurgo nei confronti delle nutrici di Dioniso
che gettarono i tirsi a terra impaurite
Anche il giovanissimo dio ne fu spaventato fobhqeiv" (135) e si gettò nei flutti del
mare dove fu accolto da Thetis. Ma gli dèi si adirarono con il figlio di Driante,
Licurgo, e Zeus il figlio di Crono tuflo;n e[qhke ( 139) cieco lo rese.
Quindi Ecuba canzona Polimestore domandandogli: i tuoi mali non li hai
vaticinati? (Ecuba, 1267)
Uno scherno che si trova anche nel Prometeo incatenato quando Kratos dice a
Prometeo che gli dei lo chiamano yeudwnuvmw" (85) con un nome falso, in quanto non
è capace di prevedere i propri mali (cfr. promhqhv", preveggente).
Nell’Elettra di Sofocle, Oreste riconosciuto troppo tardi da Egisto che sta per
ammazzarlo gli domanda con macabra ironia: tu che sei un ottimo indovino -manti"
a[risto" (1481) come mai ti sei ingannato così a lungo?
Il cieco re di Tracia nega: no, altrimenti non mi avresti preso con
l’inganno- su;n dovlw/ (Ecuba, 1268)
Ecuba quindi domanda se compirà la profezia da morta o da viva (1270)
Polimestore le risponde che morirà e la sua tomba sarà chiamata kuno;"
talaivnh" sh'ma, il tumulo della cagna disgraziata, nautivloi" tevkmar
(1273) segnacolo per i marinai.
Cfr. Tucidide VIII, 104 dove lo storiografo menziona il promontorio dell’Ellesponto
chiamato to; kuno;" sh'ma. Vi accadde una utilissima vittoria navale degli Ateniesi
guidati da Trasibulo e Trasillo i quali elevato un trofeo sulla punta di Cinossemasthvsante"
de; tropai'on ejpi; th'/ a[kra/ ou| to; Kuno;" sh'ma, inviarono ad Atene una
nave che annunciasse la vittoria.
Era l’estate del 411 quando cadde il governo dei Quattrocento ad Atene.
Ecuba manifesta indifferenza per la sua fine-oujde;n mevlei moi-1274- ora
che l’assassino ha pagato il fio.
Allora il cieco le preannuncia anche la morte di Cassandra
La madre dolorosa sputa, poi dice ho sputato-ajpevptus j (1276) per
respingere il malaugurio e rigettarlo su Polimestore.
Il cieco precisa ktenei' nin hJ tou'd j a[loco", oijkouro;" pikrav (1277) la
ucciderà moglie di costui custode amara della casa.
Ecuba esclude tanta pazzia nella Tindaride- mhvpw maneivh tosovnde
Polimestore aggiunge che ucciderà anche lui-indica Agamennonepevlekun
ejxavra" j a[nw (1279) sollevando in alto la scure
Il re di Argo gli domanda se sia pazzo- ou|to" suv, maivnh/ o desideri
ottenere malanni (1280)
Puoi ammazzarmi, replica il veggente cieco, comunque in Argo ti aspetta
foniva loutrav (1281), lavacri di sangue,
Nelle Eumenidi di Eschilo, Oreste, in diffcoltà, chiede l'aiuto di Febo il
quale, dopo essersi proclamato profeta di Zeus, nega, senza esitare,
l’equivalenza dell'uccisione di Clitennestra e di quella del “nobile eroe
onorato di scettro concesso da Zeus"(vv. 625-626), tanto più per il
fatto che il re venne ammazzato a tradimento, quando, appena
tornato dalla guerra (v.631), la moglie prima lo accolse con volto lieto
(v. 632) poi gli preparò il bagno nella vasca (v. 633), quindi gli gettò
adosso un mantello grande come una tenda (v.634), e infne, "dopo
averlo inceppato con un bel peplo inestricabile, lo colpisce (kovptei), vv.
634-635.
Nell’Elettra di Sofocle la figlia di Agamennone esce dalla soglia della reggia, e recita
una monodia.
Si rivolge alla luce pura (w\ favo~ aJgnovn, 86 ). Ricorda che di notte e di giorno piange
il padre cui sua madre e l’amante (koinolechv~, 97) Egisto spaccano la testa con la
scure (scivzousi kavra pelevkei, 99) come quercia i boscaioli (o{pw~ dru`n uJlotovmoi).
Il tempo presente del verbo significa l’impossibilità di obliare l’orrore.
Agamennone ordina ai servi di portare via il profeta di sventure che però
continua a maledire. Allora il re di Argo ordina di gettarlo da qualche parte
delle isole deserte dato che parla troppo e con insolenza-ejpeivper ou{tw
kai; livan qrasustomei' (1286). Poi invia l’infelice Ecuba a seppellire i
suoi morti. Quindi ordina alle Troiane di avvicinarsi alle tende dei
rispettivi padroni despotw'n skhnai'" pelavzein (1289). Già vede i venti
che fanno procedere verso casa: pnoav"- pro;" oi\kon h[dh pompivmou" oJrw'
(1289-1290). Conclude con l’augurio eu\ dj e"j pavtran pleusv aimen, si
possa navigare bene fino a casa e si possa vedere che tutto sta bene nelle
nostre case, ajfeimevnoi povnwn(1292) ora che ci siamo liberati da queste
fatiche.
Ma per Agamennone, come per Odisseo, non basterà essere tornato a casa per
trovarvi la liberazione dalle pene.
"Ma quando venne l'anno con il volgere del tempo
nel quale a lui filarono gli dèi che in patria tornasse
a Itaca, neppure là era sfuggito alle prove
anche in mezzo ai suoi cari (Odissea, I, 16-19)
Ad Agamennone anzi andò molo peggio.
La tragedia Ecuba di Euripide si chiude con questa parole del Coro:
i[te pro;" limevna" skhna;" te, filai,
tw'n desposuvnwn peirasovmenai
movcqwn: sterra; ga;r ajnavgkh (1293-1295)
andate al porto e alle tende amiche,
a provare le fatiche
imposte dai padroni; dura è infatti la necessità.
La forza della Necessità inflessibile
Appendice
La Necessità in Omero, nella tragedia e in Platone.
"Edipo è la tragedia della 'colpa incolpevole' e della predestinazione. Gli
dèi avvertono lealmente il protagonista che il fato gli ha destinato il ruolo
di parricida e di marito della propria madre. Egli è padrone del suo
arbitrio, ha la piena libertà d'azione e di scelta. Gli dèi non intervengono, si
limitano a guardare. Aspettano che egli abbia commesso l'errore, e allora
lo puniscono. Gli dèi sono giusti: puniscono l'eroe per un crimine che egli
realmente ha commesso, e lo puniscono solo dopo che l'ha commesso. Ma
il punto è che l'eroe doveva commettere il delitto. Edipo voleva ingannare
il destino, ma non è sfuggito al Fato. Non ha potuto sfuggirgli. E' caduto
nel tranello, ha commesso l'errore, ha ucciso suo padre e sposato sua
madre. Quel che doveva accadere, accade…Il Fato sconfigge Edipo senza
miracoli…Immaginiamo un cervello elettronico che giochi a scacchi (…)
L'uomo deve giocare a scacchi col cervello elettronico, non può
abbandonare il gioco, non può interromperlo e deve perderlo. Perde
giustamente, nel senso che perde secondo le regole del gioco e perché
commette un errore. Tuttavia non poteva vincere"116.
la Necessità nella tragedia è una forza ineluttabile. Non così nell'Odissea
dove si trovano affermazioni della responsabilità umana: Zeus stesso
chiarisce che gli uomini sbagliano attribuendo agli dèi le cause dei loro
mali i quali invece derivano dalle loro colpe (I, 32 e sgg.).
Nel Prometeo incatenato lo stesso benefattore tecnologico deve
ammettere:
"la tecnica è molto più debole della necessità"(514).
Questo predominio del fato non risparmia nessuno, e il martire aggiunge,
consolandosene, che nemmeno Zeus "potrebbe in alcun modo sfuggire
alla parte che gli è stata assegnata"( th;n peprwmevnhn,518) dalla
Necessità il cui timone è retto dalle Moire e dalle Erinni che sono le dee
venerande della vendetta.
.
Il titano afferma anche"Eppure che dico? Conosco in anticipo
tutto/esattamente come accadrà, né alcuna pena mi/raggiungerà
inaspettata: ma il destino assegnato è necessario/sopportarlo il più
facilmente possibile, sapendo che/la forza della necessità è ineluttabilegignwsv
konq j o{ti-to; th'" ajnavgkh" e[st j ajdhvriton sqevno" -(101-105).
Il doloroso grido "io ho presofferto tutto" sarà ricorrente nella letteratura
europea: nell'Eneide il pio eroe risponde così alla Sibilla che gli ha
preconizzato disgrazie:"non ulla laborum,/o virgo, nova mi facies
inopinave surgit;/omnia praecepi atque animo mecum ante peregi "(VI,
103-105), nessun aspetto delle fatiche, vergine, mi si presenta nuovo o
inaspettato: io ho provato tutte le pene in anticipo e le ho compiute dentro
di me con la mente.
116 J. Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p. 100.
Anche il Tiresia di Eliot ha presofferto tutto :"and I Tiresias have
foresuffered all ", ed io Tiresia ho presofferto tutto (The waste land , v.
243).
Nell'Agamennone si legge:"to; mevllon hJvxei"(1240), "quello che deve
accadere accadrà", ossia quello che avviene, avviene
necessariamente.
Alla fine dell' Ifigenia in Tauride di Euripide Atena ex machina approva
Toante che obbedisce ai suoi dicendogli:" aijnw': to; ga;r crew;n sou' te kai;
qew'n kratei'" (v. 1486), infatti la necessità domina su te e sugli dèi.
Nell'Edipo re Tiresia avvisa Edipo che la sua ira da tiranno davanti alle
proprie parole profetiche è inutile:" infatti esse si compiranno (hJvxei)
anche se io le copro con il silenzio" (v. 341).
L'Alcesti di Euripide può essere chiamata la tragedia della
necessità. Nel secondo episodio il corifeo ricorda al re Admeto, il
quale ha perso l'ottima sposa, che è necessario sopportare
queste disgrazie:"ajnavgkh tavsde sumfora;" fevrein (v. 416) in quanto
il morire è un debito per tutti noi mortali.
Nel terzo stasimo poi i coreuti elevano addirittura un inno alla Necessità, vista
come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti gli dèi: "Io
attraverso le muse/mi lanciai nelle altezze, e/ pur avendo toccato moltissimi
ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn, v. 964)/ non ho trovato niente più
forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n jAnavgka"-hu|ron
oujdev ti favrmakon , vv. 965-966)/nelle tavolette tracie che/scrisse la voce
di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo avere tagliato le
erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie./ Di questa sola dèa/non è
possibile recarsi agli altari,/né alle statue, né ascolta i sacrifici./Signora, non
venire da me/ più potente di prima nella vita./Anche Zeus infatti qualunque
cosa decida/con te la porta a compimento (su;n soi; tout' o teleuta'/, v.
979)./Tu domi con la tua forza/anche il ferri dei Calibi,/e non ha ritegno/il tuo
volere scosceso.(vv. 962-983)
Non c'è medicina dunque, non c'è alcuna forza in grado di opporsi a tale
potenza la quale sembra travolgere Admeto che il coro tenta di consolare :"
kai; s j ejn ajfuvktoisi cerw'n ei|le qea; desmoi'""(v. 985), La dea ha preso
anche te nei nodi inestricabili delle sue mani.
Nell’Oedipus di Seneca il quinto e ultimo canto del Coro
riconosce l'onnipotenza del Fato:"Fatis agimur: cedite
fatis./Non sollicitae possunt curae/mutare rati stamina
fusi./Quidquid patimur mortale genus,/quidquid facimus, venit
ex alto; servatque suae decreta colus/Lachesis, dura revoluta
manu. " ( vv. 979-985), siamo mossi dal fato, arrendetevi al
fato. Non possono gli ansiosi affanni cambiare gli stami del
fuso immutabile. Tutto quanto noi, stirpe mortale, subiamo,
tutto quanto facciamo, viene dall'alto; e Lachesi rispetta i
decreti della sua conocchia flati da mano infessibile. Tutto
dunque è prestabilito.
Musil trasforma il fatis agimur nell'essere in balìa delle cose:" Si
direbbe che ad ogni istante noi abbiamo in mano gli elementi, e la
possibilità di fare un progetto per tutti…Ma purtroppo non è così.
Siamo noi, invece, in balìa delle cose".117
Torniamo al quinto Coro dell'Oedipus :"Omnia certo tramite
vadunt,/primusque dies dedit extremum./Non illa Deo vertisse licet,/quae
nexa suis currunt causis./It cuique ratus, prece non ulla/mobilis
ordo./Multis ipsum metuisse nocet./Multi ad fatum venere suum/dum fata
timent" (vv. 988-994), tutto procede su un percorso fissato, e il primo
giorno ha già stabilito l'ultimo. Nemmeno un dio potrebbe cambiare gli
eventi che corrono connessi alle loro cause. Va avanti per ciascuno un
ordine determinato che non è mutabile da alcuna preghiera. A molti nuoce
temere il destino. Molti arrivarono al destino mentre temono il destino. Si
può pensare alla canzone Samarcanda di Vecchioni.
To; de; movrsimon ouj par-fuktovn, il destino non è schivabile,
sentenzia Pindaro nella Pitica XII (vv. 30-31).
Tutto quanto riceviamo, ci spetta in quanto è dovuto al
nostro carattere, alla nostra storia: questa è la presa di
117 L'uomo senza qualità, p. 27.
coscienza dell'uomo intelligente e pio. "In verità ogni uomo è
egli stesso una parte di fato"118 .
Ancora più calzanti sul fatalismo ci sembrano queste parole di
Tolstoj:"Dunque tutte queste cause-miliardi di cause-hanno
agito in concomitanza per dar luogo a ciò che accadde. Di
conseguenza, nulla fu causa isolata ed esclusiva dell'evento,
ma l'evento dovette verifcarsi semplicemente perché doveva
verifcarsi." Si tratta della campagna napoleonica di Russia in
Guerra e Pace (p.909). Poco più avanti (p. 912) l'autore
conclude il capitolo con queste parole:"Ogni azione compiuta
da costoro, e che ad essi sembra un atto di libero arbitrio, in
senso storico è tutt'altro che arbitraria, ma viene a trovarsi in
connessione con tutto il corso della storia ed è predestinata
ab aeterno ".
Altre testimonianze si potrebbero dare sul fato, ma devo
limitarmi a poche espressioni particolarmente effcaci e
sintetiche
Seneca nel De beneficiis scrive che Giove può essere chiamato anche
fatum, “cum fatum nihil aliud sit quam series implexa causarum” (4.7).
"Quae fato manent quamvis signifcata non vitantur ", quello
che spetta al fato, anche se preavvertito non si evita, scrive
Tacito119 a proposito della morte preannunciata a Galba.
Posso concludere la rassegna con alcuni versi dell'Elegia alle
Muse del saggio Solone:"ta; de; movrsima pavntw"/ou[te ti" oijwno;"
rJuvsetai ou[q j iJerav"(vv. 55-56), in ogni caso il destino né un
auspicio né i sacrifci lo terranno lontano. E più avanti
(v.63):"Moi'ra dev toi'" qnhtoi'si kako;n fevrei hjde; kai; ejsqlovn", è il
destino che porta ai mortali il bene ed il male.
118Nietzsche, Umano troppo umano , II, p. 159.
119Historiae I, 18.
Certo è che l'accettazione del destino è uno dei massimi
insegnamenti di questi autori: tale amor fati signifca il giusto
riconoscimento d'una giustizia insita nelle cose stesse.
“Amor fati è la mia intima natura”120 , das ist meine innerste Natur.
Più ineluttabile è dunque la Necessità nei poeti drammatici che
nell'Odissea .
Così è anche nella storiografia erodotea: "Passato non molto tempo, infatti
era necessario -crh'n- che per Candaule finisse male, diceva a Gige tali
parole" (I, 8, 2) C'è il senso della fatalità che l'uomo non può
stornare. il mortale si trova in balia del caso (pa'n ejsti
a[nqrwpo" sumforhv, I, 32, 4) ed è soggetto alla divinità, al
punto che:"o{ ti dei' genevsqai ejk tou' qeou', ajmhvcanon ajpotrevyai
ajnqrwvpw/"(IX, 16, 4), quanto deve accadere da parte del dio è
impossibile per l'uomo stornarlo121. Lo dice un persiano che
prevede la sconftta di Platea. L'idea dell'impotenza dell'uomo
di fronte alla divinità è una di quelle che accomunano Erodoto
a Sofocle122.
In Platone troviamo una controtendenza: il mito di Er, sostiene che l'asse
dell'Universo è il fuso di Ananche (Repubblica , 616c) il quale si volge sulle
ginocchia (617b) di lei, madre delle Moire : Cloto, Atropo e terza Lachesi
che assegna le parti. Queste vengono scelte dalle anime in prossimità di
120 F. Nietzsche, Ecce homo, p. 92.
121 Riscontrabile nel virgiliano:"Desine fata deum flecti sperare precando ", smetti di
sperare che i decreti dei numi si pieghino con le preghiere. Lo intima la Sibilla a
Palinuro nell'Eneide (VI, 376).
Cfr. anche fatis agimur : cedite fatis dell’Oedipus di Seneca (v. 980), siamo trascinati
dal fato, cedete al fato.
12216 M. Pohlenz (La tragedia greca, pag.187, I vol.) scrive:"Se lo spirito moderno
tendeva a fare dell'individuo la misura e il padrone delle cose, la sensibilità religiosa
di Sofocle lo spinse nella direzione contraria, e, come Erodoto, lo rese cosciente
proprio dell'impotenza dell'uomo a paragone con la divinità".
intraprendere un'altra vita (" oujc ujma'" daivmwn lhvxetai, ajll j uJmei'" daivmona
aiJrhvsesqe"(617e), non sarà il demone a sorteggiare voi, ma voi sceglierete il
demone"); esse sono del resto condizionate dalle esperienze dell'esistenza
precedente: Aiace per esempio si scelse la vita di un leone per il ricordo del
giudizio delle armi,
Agamennone "per avversione al genere umano e i dolori sofferti prese in
cambio la vita di un'aquila"(620b). Odisseo, guarito da ogni ambizione per il
ricordo dei travagli precedenti, scelse la vita di un uomo privato e tranquillo
("bivon ajndro;" ijdiwvtou ajpravgmono"", 620c). Qui comincia l'ellenismo, il
lavqe biwvsa"..
Comunque il libero arbitrio non è annientato: Lachesi sostiene che la virtù
è senza padrone (ajreth; de; ajdevspoton, 617e) e ciascuno ne avrà di più o
di meno, a seconda che la apprezzi o la disprezzi. Responsabile è chi ha
fatto la scelta, non la divinità. Parola di Lachesi, la vergine figlia di
Ananche:" "jAnagkh" qugatro;" kovrh" Lacevsew" lovgo"".
Chiudo questa digressione con la parabola del guardiano della legge e
dell'uomo di campagna raccontata dal prete nel duomo del Processo di
Kafka. Il racconto si conclude con l'affermazione della potenza della
necessità:"Non si deve credere che tutto è vero, si deve credere che tutto è
necessario"(p.226).
Bologna 12 maggio 2019 giovanni ghiselli
,

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