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giovedì 23 maggio 2019

Razionale e irrazionale nelle tragedie di Euripide

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Seconda parte della conferenza che terrò nel liceo Pirandello di Bivona il 28 maggio 2019

Razionale e irrazionale in Euripide
Nella Parodo delle Baccanti  il Coro delle Menadi d'Asia vede Dioniso ed entusiasma gli spettatori trasferendo davanti a loro  l'immagine del dio che trema magicamente  nella sua anima. "Ora al coro ditirambico è affidato il compito di eccitare dionisiacamente l'anima degli ascoltatori al punto che essi, quando l'eroe tragico appare sulla scena, non vedano già l'uomo grottescamente mascherato, bensì una figura visionaria partorita per così dire dalla loro stessa estasi"[1].
La Parodo delle Baccanti  dà un'idea del dionisiaco, della rinuncia alla identità personale, dell'alternativa all'apollineo come principium individuationis e volontà di potenza, del tuffarsi nei flutti del misticismo  ed entrare in comunione con la natura, imitando Dioniso. “Così come c’è una Imitazione di Cristo, ci fu anche una imitazione di Dioniso, che venne chiamata letteralmente “imitazione” - oJmoivwsi~ pro;~ to;n qeovn - , la quale consisteva nel “perdere la testa”, dimenarsi, ammattire: maivnesqai, bakceuvein[2].  
Il suono cupo degli strumenti delle Baccanti, i tuvmpana baruvbroma (v. 156) e i lwtoiv (v. 160), i flauti , eccitava i sensi; non  aveva intervalli regolari come quello degli strumenti a corde che invece stimolava la riflessione. 
 Lo sviluppo dell'arte ellenica è legato alla duplicità di questi due istinti artistici, l’apollineo e il dionisiaco, alla loro tensione dialettica e alla loro sintesi nella tragedia.

Nietzsche divide la cultura greca antica in  grandi periodi determinati dalla lotta di questi due principi avversi:"dall'età del bronzo, con le sue titanomachie e la sua aspra filosofia popolare si sviluppò, sotto il dominio dell'istinto di bellezza apollineo, il mondo omerico", poi "questa magnificenza "ingenua" venne di nuovo inghiottita dal fiume irrompente del dionisiaco", quindi "di fronte a questa nuova potenza l'apollineo si elevò alla rigida maestà dell'arte dorica e della visione dorica del mondo".
  Infine abbiamo la tragedia attica "come la meta comune dei due istinti, il cui misterioso connubio si è glorificato, dopo una lunga lotta precedente, in una tale creatura che è insieme Antigone e Cassandra"[3].

Nel Faust II di Goethe, Elena, personaggio del dramma, ricorda la prima fase e i suoi ritorni: “ Ma il terrore che sino dalle origini insorgendo - dal seno della notte antica, multiforme, - come nubi roventi dalle fauci del fuoco del monte, alto si volve, anche all’eroe scuote il petto”.
Quindi l’apollineo: “Le creature orrende della notte le ricaccia, amico - della bellezza (Schönheitsfreund), Febo, nelle caverne e le affiena”[4].
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Sentiamo l’interpretazione di E. R. Dodds il quale assimila  Dioniso alla Afrodite dell’Ippolito, presentata con i versi 447 ss.
Vediamone alcuni: “Si muove per l’etere ed è nel flutto marino Cipride, tutto nasce da lei: è lei che semina e dona l’amore, da cui tutti sulla terra siamo nati” (447 - 450). E’ la nutrice di Fedra che parla.



Tale interesse si accentua ancora nelle Baccanti  delle quali traduciamo buona parte della Parodo (vv. 64 - 167), dove il Coro delle Menadi d'Asia vede Dioniso ed entusiasma gli spettatori trasferendo davanti a loro  l'immagine del dio che trema magicamente  nella sua anima:"Dalla terra d'Asia,/lasciato il sacro Tmolo[5], imprendo alacremente/ per Bromio una fatica dolce e un travaglio che fa bene/ celebrando Bacco./ Chi è per strada, chi è per strada, chi?/Si ritiri nelle case, e ognuno / osservi un religioso silenzio:/io infatti celebrerò Dioniso/secondo il rito, sempre.//O beato chi con buona sorte/conoscendo i misteri degli dèi/santifica la vita/e si aggrega al tiaso[6] con l'anima,/baccheggiando nei monti/con sacre purificazioni,/e celebrando secondo il rito/le orge della grande madre Cibele/alto scuotendo il tirso[7],/e, incoronato di edera,/venera Dioniso.//Andate Baccanti, andate Baccanti,/per ricondurre Dioniso/il dio Bromio figlio di dio/dai monti Frigi/ alle contrade dell'Ellade dagli ampi/spazi, il Bromio;//che/ un giorno la madre/generò portandolo tra le puerperali/strette delle doglie del parto/mentre volava il tuono di Zeus/e il bambino veniva espulso dal ventre/ed ella lasciava la vita per il colpo del fulmine;/ma subito dopo lo accolse/nei talami puerperali Zeus Cronide/e celatolo nella coscia[8]/lo tiene stretto con fibbie d'oro/così da nasconderlo a Era.//E poi lo diede alla luce, quando le Moire/lo ebbero compiuto, il dio dalle corna di toro,/e lo incoronò con corone/di serpenti, donde le menadi/intrecciano ai ricci/la preda di caccia che nutre la fiera.//O Tebe nutrice di/Semele, incoronati di edera;/infiorati, infiorati di verdeggiante/smilace dalle belle bacche/e baccheggia con i rami/di quercia o di abete,/e adorna l'indumento delle/nebridi[9] screziate con ciocche di ricci/dal bianco pelo; e intorno ai tirsi violenti,/santifìcati: presto tutta la terra danzerà,/chiunque guidi i tiasi è Bromio./Verso ilmonte verso il monte, dove aspetta/la turba delle donne/allontanata da telai e pettini/in furore ad opera di Dioniso. (vv.  64 - 119)…Dolce nei monti, chi dai tiasi in corsa/cade per terra, indossando/il sacro indumento della nebride, cacciando/il sangue del capro ucciso, gioia di mangiare la carne cruda[10], spingendosi sui monti frigi, lidi, e/il capo è Dioniso,/ evoè.//Scorre latte sul suolo, scorre vino, scorre il nettare/delle api./Il baccante sollevando/la fiamma ardente/dal ramo di pino/come vapore di incenso di Siria/si precipita in corsa/con danze eccitando gli erranti/e con grida agitandoli,/e scagliando nell'aria la molle chioma./E insieme con i canti freme così:/"O andate Baccanti,/ andate Baccanti,/splendore del Tmolo aurifluente,/cantate Dioniso/al suono dei timpani[11] dal cupo fremito,/celebrando con grida di evoè il dio dell'evoè/tra grida e suoni frigi/quando il sacro flauto melodioso/freme sacri ludi, che si accordano/alle erranti al monte, al monte: felice/allora, come puledra con la madre/al pascolo muove il piede rapido, a balzi, la baccante. (vv. 120 - 167).
Ho tradotto quasi intera[12] la Parodo delle Baccanti  per dare un'idea del dionisiaco, della rinuncia alla identità personale, dell'alternativa all'apollineo come principium individuationis e volontà di potenza, del tuffarsi nei flutti del misticismo  ed entrare in comunione con la natura, imitando Dioniso.
Le Baccanti hanno avuto interpretazioni contrastanti: secondo alcuni sono la palinodia dell'autore che torna alla religione dopo il razionalismo e la stanchezza postfilosofica; secondo altri costituiscono un' ulteriore condanna della religione.
 La prima lettura si fonda in buona parte sui versi del Primo Stasimo: "Pietà eccelsa tra gli dèi/Pietà che giù in terra/porti l'ala d'oro/odi queste parole di Penteo?/Odi l'empia/ violenza a Bromio, il/figlio di Semele, il primo dio/tra i beati nelle gioie dalle/belle corone? Lui che ha queste caratteristiche:/guidare i tiasi alle danze/e scoppiare a ridere al suono del flauto/e porre fine agli affanni/quando la gioia del grappolo/è giunta sulla mensa degli dèi,/e nei conviti incoronati di edera/il cratere cinge/di sonno gli uomini.//Di bocche senza freno/di stoltezza senza misura/il termine è sventura;/mentre la vita/della calma e il comprendere/rimane senza agitazione e/tiene insieme le case: infatti/ i celesti, pur abitando l'etere lontano,/vedono le azioni dei mortali tuttavia./Il sapere non è sapienza/e il pensare pensieri non umani./Breve è la vita: per questo/chi insegue grandi pensieri/ non può sopportare il presente./ Di uomini folli e mal consigliati/queste sono le disposizioni/secondo me.//Possa io giungere a Cipro/l'isola di Afrodite,/dove stanno gli Amori/che seducono le menti dei mortali,/e a Pafo che correnti/dalle cento bocche di un fiume barbaro/fanno fruttificare senza pioggia./E dove è la Pieria ritenuta/bellissima sede delle Muse,/sacra pendice dell'Olimpo,/là portami, Bromio, Bromio./Là sono le Grazie,/là il Desiderio, là è costume per le/Baccanti celebrare l'orgia.//Il demone figlio di Zeus/gode delle feste,/e ama Irene che dona/il benessere,/ dea nutrice di figli./E uguale al ricco e/al povero concede di avere/la gioia, senza pena, del vino;/odia invece quello cui  non stanno a cuore queste cose:/nella luce e durante le amabili notti/beata passare la vita,/e tenere lontana l'anima saggia e la mente/dagli uomini straordinari[13]:/ciò che la folla/più semplice crede e/pratica, questo io possa accettare"( Baccanti, vv. 370 - 432). Sembra una scelta delle credenze popolari, contro il reo dolor che pensa, i sofismi e il pretenzioso sapere degli intellettuali.

Dodds: “To ask whether Euripides ‘believed in’ this Aphrodite is a meaningless as to ask whether he ‘believed’ in sex. It is not otherwise with Dionysus. As the “moral” of the Hippolytus is that sex is a thing about which you cannot afford to make mistakes, so the ‘moral’ of the Bacchae is that we ignore at our peril the demand of the human spirit for Dionysiac experience. For those who do not close their minds against it such experience can be a deep source of spiritual power and eujdaimoniva. But those who repress the demand in themselves or refuse their satisfaction to others transform it by their act into a power of disintegration and destruction, a blind natural force that sweeps away the innocent with the guilty. When that has happened, it is too late to reason or to plead: in man’ s justice there is room for pity, but there is none in the justice of Nature (…) If this or something like it is the thought underlying the play, it follows that the flat - footed question posed by the nineteenth - century critics - was Euripides ‘for’ Dionysus or ‘against’ him? - admits no answer in those therms. In himself, Dionysus is beyond good and evil; for us, as Teiresias says (314 - 318), he is what we make of him (…) His favourite method is to take a one - sided point of view, a noble half - truth, to exhibit its nobility, and then to exhibit the disaster to which it leads its blind adherents because it is after all only part of the truth[14].. It is thus that he shows us in the Hippolytus the beauty and the narrow insufficiency of the ascetic ideal, in the Heracles the splendour of  bodily strength and courage and its toppling over into megalomania an ruin; it is thus that in his revenge plays - Medea, Hecuba, Electra –the spectator’ s sympathy is first enlisted for the avenger and then made to extend to the avenger’s victims. The Bacchae is constructed on the same principle: the poet has neither belittled the joyful release of vitality which Dionysiac experience brings nor softened the animal horror of ‘black’ maenadism; deliberatly he leads his audience through the whole gamut of emotions, from sympathy with the persecuted god, trough the excitement of the palace miracles and the gruesome tragi - comedy of the toilet scene, to share in the end the revulsion of Cadmus against this inhuman jiustice. It is a mistake to ask what he is trying to ‘prove’: his concern in this as in all his major plays is not to prove anything but to enlarge our sensibility - which is, as Dr. Johnson said, the proper concern of a poet” [15], chiedere se Euripide ‘credeva in’ questa Afrodite è una domanda senza senso, come chiedere se egli ‘credeva nel’ sesso. Non è diverso con Dioniso. Come la ‘morale’ dell’Ippolito è che il sesso è una cosa sulla quale non ci si può permettere di fare errori, così la ‘morale’ delle Baccanti è che noi ignoriamo a nostro pericolo l’esigenza dello spirito umano di esperienza dionisiaca[16]. Per quelli che non le oppongono una barriera mentale, tale esperienza può essere una sorgente profonda di potenza spirituale e di felicità. Ma quelli che reprimono l’esigenza in se stessi o ne rifiutano l’appagamento in altri, la trasformano con il loro atto in una potenza che disintegra e distrugge, una forza cieca e naturale che spazza via l’innocente con il colpevole. Quando questo è accaduto, è troppo tardi per ragionare o perorare: nella giustizia dell’uomo c’è spazio per la pietà, ma non ce n’è nella giustizia di Natura [17](…)
Se questo pensiero, o uno del genere, è quello che si trova alla base del dramma, ne consegue che la questione di lana caprina - Euripide stava ‘per’ Dioniso o era ‘contro’ di lui? - non ammette risposta in questi termini. In sé Dioniso è al di là del bene e del male; per noi, come dice Tiresia (314 - 318[18]), egli è quello che noi facciamo di lui (…) Il  metodo favorito di Euripide è prendere un punto di vista unilaterale, una nobile mezza - verità, mettere in mostra la sua nobiltà, poi mettere in mostra il disastro al quale essa conduce i suoi ciechi seguaci - poiché è dopo tutto solo una parte della verità. E’ così che egli ci mostra nell’Ippolito la bellezza e la stretta insufficienza dell’ideale ascetico, nell’Eracle lo splendore della forza corporea e del coraggio e il suo inciampare nella megalomania e rovina; ed è così che nei suoi drammi della vendetta -  Medea, Ecuba, Elettra - la simpatia dello spettatore è prima associata al vendicatore, poi fatta passare alle vittime del vendicatore. Le Baccanti sono costruite sullo stesso principio: il poeta non ha né sminuito la gioiosa liberazione di vitalità che l’esperienza dionisiaca comporta, né attenuato l’orrore bestiale del menadismo ‘nero’; deliberatamente egli conduce il suo pubblico attraverso tutta la gamma di emozioni, dalla simpatia con il dio perseguitato, attraverso l’agitazione dei miracoli del palazzo e la spaventosa tragicommedia della scena del travestimento, per condividere alla fine la reazione di Cadmo contro la non umana giustizia. E’ un errore chiedersi che cosa egli stia tentando di ‘provare’: il suo interesse in questo come in tutte le sue tragedie maggiori non è provare qualcosa ma allargare la nostra sensibilità - che è, come ha detto il Dottor Johnson, l’interesse proprio del poeta.     

Murray: Euripide è un indagatore e rappresenta tanto il razionalismo quanto l’irrazionalismo:“Euripides was both a reasoner and a poet. The two sides of his nature sometimes clashed and sometimes blended[19], Euripide fu sia un ragionatore, sia un poeta. I due lati della sua natura talvolta si scontrarono e talora si armonizzarono.


Con Euripide si trasformano o tramontano gli dèi tradizionali come abbiamo visto; al loro posto si alza nel cielo la Tuvch  ambigua e cangiante: l'infausta tuvch  è subentrata ai fausti dèi. Ecuba  la considera una dei tiranni di un'umanità rimasta senza fedi né valori, una specie di creature materialiste, sanguinarie, idolatre:" oujk e[sti qnhtw'n  o{sti" e[stejleuvqero" - h] crhmavtwn ga;r dou'lov" ejstin h] tuvch""( Ecuba, vv. 864 - 865), non c'è tra i mortali chi sia libero: infatti siamo schiavi delle ricchezze oppure della sorte.
L'uomo cerca di vivere secondo ragione, ma i suoi tentativi vengono frustrati dalla tuvch. La sua salvezza e la sua libertà stanno nel considerarla con calma ironica. Nello Ione che prelude più di ogni altro dramma di Euripide alla commedia di Menandro, il riconoscimento del figlio da parte della madre avviene per casi fortuiti, per mezzo di questa tuvch spogliata da connotazioni teologiche.
Questa fortuna  non è costantemente maligna, bensì capricciosa e mutevole: Ione  che è stato sul punto di uccidere la madre esclama:"O Fortuna che cambi mille volte le sorti dei mortali: li getti nella sventura, poi doni loro il successo..."(vv. 1512 - 1513) [20].

Nelle Troiane, Atena passa con disinvoltura dall’amore all’odio. Nel III stasimo il coro contrappone il sui ripetuto mevlei mevlei moi (v. 1077) all’indifferenza, al capriccioso “me ne frego” degli dèi.
 Ecuba sa che invocarli è inutile: “kai; tiv tou;~ qeou;~ kalw`; - kai; pri;n ga;r oujk h[kousan ajnakalouvmenoi” (vv. 1280 - 1281), perché invoco gli dèi? Anche prima infatti non mi ascoltarono, sebbene invocati.
Cfr. Fabrizio De Andrè: Il testamento di Tito.
Pohlenz nel suo trattato su L'uomo greco  [21] mette in evidenza l'umanesimo del drammaturgo: l'uomo euripideo, pur esposto all'arbitrio della tyche, può trovare in se stesso la capacità di rivendicare un proprio destino. "L'uomo tuttavia non divenne mai per Euripide lo zimbello della Tyche.
Eracle, l'eroe che riuscì a far ritorno persino dall'Ade, precipita dal colmo del successo nel baratro più profondo: in un accesso di pazzia uccide la moglie e i figli. Tornato in sé, scorge, come Aiace, una sola possibilità: darsi la morte. Ma le parole d'un amico fedele lo convincono che questa non sarebbe azione degna d'un eroe, ma una vile ritirata: "voglio sopportare la vita"[22] egli dice: non compirà più imprese sovrumane, ma si costruirà, in un limitato orizzonte, una nuova vita. La tragedia dell'uomo è questa, d'essere materialmente esposto al cieco dominio della Tyche; ma nel suo petto, anche per Euripide, egli ha una capacità di resistenza che lo rende padrone del suo destino e gli consente di non disperare".

Non è sempre pessimistica la visione del mondo dei personaggi euripidei: nelle Supplici,  Teseo esprime un ottimismo sostanziale:"disse una volta un tale[23] che il male/tra gli uomini prevale sul bene;/ebbene io ho un'opinione contraria a questi,/il bene per gli uomini prevale sul male;/se non fosse così non vivremmo nella luce./Approvo chi tra gli dèi diede un ordine/alla vita da confusa e bestiale ,/prima di tutto infondendoci l'intelligenza (ejnqei;" suvnesin[24]), poi/dandoci la lingua come messaggera della parola…"(vv. 196 - 204). "Tale protesta contro il pessimismo scaturisce proprio dal cuore del poeta, perché non è minimamente richiesta dal contesto della tragedia. Le Supplici furono in verità scritte da Euripide in uno stato d'animo di particolare letizia, al tempo della pace di Nicia"[25].
 Pohlenz sottolinea anche il sentimento della natura espresso dal poeta: quando Atene oramai aveva assunto la fisionomia di una grande città con viuzze strette e polverose, Euripide colse l'affinità tra la purezza dell'anima e l'incontaminatezza della terra selvaggia. L'uomo e la vita terrena sono uniti da una sorta di simpatia. Lo vediamo soprattutto nelle Baccanti e nello Ione "il quale conversa con gli uccelli petulanti che deve scacciare via dal limitare del santuario, quasi fossero dei suoi simili"[26]
Nell’Oreste, “Elettra prega la dea della Notte di voler cullare con le morbide ali il fratello malato, concigliandogli un sonno ristoratore[27]; e in molti altri passi, specialmente nelle parti liriche delle tragedie dell'ultimo periodo, Euripide ci presenta la sacra Notte, le stelle, i monti e i fiumi, gli animali e le piante come esseri uniti all'uomo da una sorte di partecipazione e di compassione a cui l'uomo, nella sua solitudine, può aprirsi"[28].
Uno dei motivi principali dell'opera di Euripide secondo Pohlenz è l'analisi psicologica:"Egli non fu precisamente il razionalistico ‘poeta dell'illuminismo greco’. Fu  il poeta che meglio di ogni altro seppe ascoltare i moti più segreti del cuore umano e avvertì in tutta la gravità i conflitti che ne scaturivano. Il desiderio di vendetta di Medea emerge dalle insondabili profondità della sua anima, e appena arriva alla soglia della coscienza ha inizio nell'intimo del personaggio una dura, inesorabile lotta, in cui la ragione e l'amore materno soccombono alla passionalità del qumov" "[29].
 Dodds vede in Euripide addirittura “il principale rappresentante dell’irrazionalismo del V secolo : “Euripides remains for us the chief representative of fifth - century irrationalism; and herein, quite apart from his greatness as a dramatist, lies his importance for the history of Greek thought[30],  e in questo, del tutto a parte dalla sua grandezza come drammaturgo, sta la sua importanza per il pensiero greco.
Un saggio indiano, Shree Rajneesh, commentando Eraclito (in L'armonia nascosta) ricorda che"la vita non è logica. E' logos, ma non è logica.". Il filosofo di Efeso il quale, come il signore di cui c'è l'oracolo a Delfi"ou[te levgei ou[te kruvptei ajlla; shmaivnei", non dice né nasconde ma significa (fr.120 Diano), ha indagato se stesso (fr.126 Diano), al pari di Edipo, e ha scorto un'armonia nascosta più forte di quella che vedono tutti:"aJrmonivh ajfanh;" fanerh'" kreivsswn"(fr.27 Diano). 
Sofocle è essenzialmente poeta apollineo.
 Il poeta di Colono rappresenta personaggi i quali, nel bene e nel male, giungono là dove la sola logica non può arrivare. La loro grande passione può essere definita dalla massima delfica"Conosci te stesso". Essi intraprendono una ricerca che li porta fino all'inconscio e oltre; le loro parole vanno molto al di là della logica.
Sofocle apre i sotterranei dell’anima molto tempo prima di Freud. Le tragedie dell’apollineo Sofocle tendono a smontare la logica meschina
 Sul  versante dionisiaco della cultura greca tragica, quello dionisiaco, c'è innanzitutto il Bacco di Euripide che guida un esercito di Menadi contro l'unilateralità della logica.
 Le donne di Tebe invasate dal bel dio figlio di Zeus e di Semele cantano che il sapere non è sapienza:"to; sofo;n d j ouj sofiva"(v.395). Il baccantismo cui il tragediografo ateniese ha dato voce poetica nel più denso dei suoi drammi, può essere inteso come una reazione,  anche fisiologica , tanto all'oppressione delle donne, alla repressione del loro istinto, quanto a un uso spropositato della presunta razionalità, ossia della logica meschina con la quale i burocrati"scemi" vogliono ridurre in formule e rendere grigia la vita varia e variopinta del mondo. La baccante è lieta come puledra che, insieme con la madre al pascolo, muove a salti l'agile piede "hJdomevna d j a[ra, pw'lo" o{pw" a{ma matevri - forbavdi, kw'lon a[gei tacuvpoun skirthvmati" (vv.166 - 167); mentre Penteo, il capo che si crede razionale, è scemo e dice cose sceme:"mw'ra ga;r mw'ro" levgei"(v.369). Non è un ossimoro vivente come Bruto o Amleto; è un mw`ro~ integrale.

Una reazione  del genere è avvenuta in tempi recenti: precisamente nel movimento del 1976 - 77, dove c'era una forte componente femminista animata anche  dalla volontà di rivalutare la fantasia, l'istinto, in particolare quello delle donne, contro gli angusti schemi della burocrazia del "compromesso storico". Poi però, proprio come nelle Baccanti di Euripide, la fantasia è stata ricacciata indietro dalle stragi, quindi l'istinto è decaduto nella subrazionalità e nell'ignoranza imposta dalla televisione attraverso il "genocidio culturale" denunciato, invano, da Pasolini. Un genocidio che si è ritorto contro i manovratori che l'hanno voluto, aprendo la strada a padroni nuovi, forse ancora più rozzi di quelli.  Così nell'antica Atene la libertà anarchica delle Baccanti  è decaduta nel disimpegno politico e nella chiusura dentro la sfera privata, nell'egoismo e nella "calva assennatezza" della commedia di Menandro.

Questa inclinazione per la psicologia non  elimina l'interesse politico : non è vero quello che dice Aristofane che Euripide disgregò l'amor di patria degli antichi maratonomachi; anzi tutta la sua attività poetica si svolse in funzione della comunità, e in particolare il tragediografo si schierò in favore della democrazia cavalleresca di tipo Pericleo, soprattutto con gli Eraclidi e con le Supplici  che sono inni ad Atene. "Euripide era legato alla propria patria da un amore appassionato. Nella prima fase della guerra peloponnesiaca adoperò la propria arte per sostenere la giusta causa d'Atene e per esaltare lo spirito e le realizzazioni del popolo ateniese, e anche dopo la spedizione siciliana, proprio perché disapprovava la politica della città, considerò suo dovere prendere posizione, molto più decisamente di Sofocle, di fronte ai problemi dell'ora. Ciò gli riusciva tanto più facile in quanto il mito aveva ormai per lui uno scarso significato e perciò lo poteva liberamente investire con i problemi del presente. Anche per lui i fondamentali problemi dell'uomo erano al centro dell'interesse. Ma mentre Eschilo aveva proclamato la sua fede incrollabile in Zeus uno e onnipotente e nel suo giusto ordine universale, e mentre Sofocle, per ammonire gli uomini di guardarsi dalle nuove correnti di pensiero, non si stancava di dimostrare la nullità dell'uomo e la sua dipendenza dalla divinità, e in tutti i problemi della vita affermava come istanza suprema le leggi eterne e non scritte e le massime di Apollo, Euripide, figlio della nuova età, cercò la soluzione di tutti i problemi umani esclusivamente nell'uomo stesso"[31].




[1] " F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 8
[2] J. Ortega y Gasset, Idea del teatro, p. 86.
[3] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 4.
[4] Faust, II, 3. Davanti al palazzo di Menelao. Trad. Franco Fortini.
[5]  Monte della Lidia da dove vengono le seguaci di Dioniso
[6] I tiasi erano gruppi di Menadi organizzate per il culto.
[7] I tirsi sono rami di pino appuntiti che congiungono violenza e santità: possono infliggere ferite e operare miracoli benefici.
[8] Il feto di Dioniso, dopo che la madre Semele morì fulminata dal fuoco folgorante di Zeus (v. 3), fu portato a maturazione dentro una coscia del Cronide.
[9] Sono pelli di cerbiatto di cui si coprivano le Menadi
[10] Le Menadi facevano a pezzi degli animali (sparagmov" , cfr. v. 735) e ne mangiavano la carne cruda (wjmofagiva). Un altro aspetto del loro invasamento era l' ojreibasiva, la corsa su per i monti. Negli affreschi di riti orgiastici e nella rappresentazione dettagliata dei turbamenti dell'anima femminile si potrebbe ravvisare il compiacimento che la decadenza mette nella descrizione dell'abnorme e del patologico.  
[11] Tamburelli inventati dai Cureti per coprire con il loro strepito i vagiti di Zeus e salvarlo dalla voracità del padre Crono. Quindi tali strumenti vennero dati a Rea e ai Satiri.
[12] Tranne la seconda antistrofe (vv. 120 - 134) più erudita ed eziologica che poetica.
[13] Cfr. la scheda di approfondimento “L’eccesso come disvalore. La ricerca dello straordinario” successiva al v. 127 della Medea.
[14] Cf. Murray, Euripides and His Age, 187.
[15] E. R. Dodds, Euripides Bacchae, pp. xlv - xlvii.
[16] La componente istintiva, prima repressa, poi scatenata verso la distruzione, mai applicata all'incremento della vita, porta Gustav Aschenbach  alla morte, preannunciata da una fantasia onirica  memore dei riti orgiastici delle Baccanti:" Al ritmo dei timpani si squassava il suo cuore, il cervello vorticava; ira accecamento, stordimento voluttuoso invadevano la sua anima, smaniosa di accordarsi al tripudio del dio. Ed ecco, enorme, ligneo, scoprirsi e innalzarsi l'osceno simbolo; a quella vista tra sfrenati clamori, tutti gridarono la formula rituale e con la schiuma alle labbra si precipitarono in un'orgia pazzesca. Ridenti, singhiozzanti, si eccitavano a vicenda con gesti sconci e carezze lubriche, e si cacciavano l'un l'altro i pungoli nelle carni, leccando il sangue che colava sulle membra". T. Mann, La morte a Venezia  (del 1913)  p. 139. Ndr.
[17]" La natura è aristocratica, più aristocratica di qualsiasi società feudale basata sulle caste"   Schopenhauer, Parerga e paralipomena (del 1851), Tomo I, p. 275.
[18] Non sarà Dioniso a costringere le donne a essere/caste nei confronti di Cipride, ma nel temperamento/(sta sempre l'essere casto in tutte le occasioni sempre)/a questo bisogna pensare: e infatti anche nei baccanali/quella che è casta non si guasterà (Baccanti, 314 318) ndr.
[19] G. Murray, Euripides and his age, p. 197. questo libro si trova 8° si trovava) tradotto in italiano: Euripide e i suoi tempi, Laterza, bari, 1932.
[20] Alla fortuna Machiavelli dovrà riconoscere potere su metà dell'agire umano: "la fortuna…dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle" (Il principe XXV). Essa fornisce ai grandi della storia dotati di virtù l'occasione per manifestarla:"Bisognava che Ciro trovassi e' Persi malcontenti dello imperio de' Medi, e li Medi molli et effemminati per la lunga pace. Non posseva Teseo dimonstrare la sua virtù, se non trovava li Ateniensi dispersi" ( Il principe VI).
. Del resto Cesare Borgia nel quale pure c'erano "tanta ferocia e tanta virtù" non poté reggere al rovescio, per cui, al momento della morte del padre Alessandro, era anche lui "malato a morte", sicché non riuscì a evitare la "mala elezione" del  cardinale Giuliano della Rovere suo nemico il quale divenne "Iulio pontefice".  "Errò adunque el duca in questa elezione, e fu cagione dell'ultima ruina sua" ( Il principe VII).
[21] Der Hellenische Mensch, 1947.
[22] "ejgkarterhvsw bivon", affronterò la vita v. 1351.
 "A quanto sembra fu principalmente Prodico di Ceo a sostenere l'opinione che nel mondo e nella vita umana predomina il male",  M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 165.
[24] Abbiamo visto che nell'Oreste, scritta in un  anno meno fausto (408) è proprio l'intelligenza  che rende malato il protagonista (v. 396)
[25] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 166.
[26] Ione, 154 ss, L'uomo greco, p. 546.
[27] Oreste, 174 ss.
[28] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 546
[29]M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 624.
[30] Dodds, Euripides the irrationalist in  The ancient concept of progress, p. 90.
[31] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 624.

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