NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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sabato 4 maggio 2019

Pirandello e L'umorismo

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Lunedì 6 maggio dalle 18, 30 presenterò Pirandello e il suo Umorismo nella biblioteca Scandellara di Bologna. Ne anticipo qui alcune parti.

“In Aristofane non abbiamo veramente il contrasto, ma soltanto l’opposizione. Egli non è mai tenuto tra il sì e il no[1] egli non vede che le ragioni sue, ed è per il no testardamente, contro ogni novità, cioè contro la retorica, che crea demagoghi, contro la musica nuova, che, cangiando i modi antichi e consacrati, rimuove le basi dell’educazione, e dello Stato, contro la tragedia di Euripide che snerva i caratteri e corrompe i costumi, contro la filosofia di Socrate, che non può produrre che spiriti indocili e atei, ecc.
(…) la burla è satira iperbolica, spietata. Aristofane ha uno scopo morale, e il suo non è mai dunque il mondo della fantasia pura. Nessuno studio della verisimiglianza: egli non se ne cura perché si riferisce di continuo a cose e persone vere (…) e non crea una realtà fantastica come, ad esempio, lo Swift (…) Umorista non è Aristofane ma SocrateSocrate ha il sentimento del contrario; Aristofane ha un sentimento solo, unilaterale. Aristofane dunque, se mai, può essere considerato umorista soltanto se noi intendiamo l’umorismo nell’altro senso molto più largo, e per noi improprio, in cui siano compresi la burla, la baja, la facezia, la satira, la caricatura, tutto il comico insomma nelle sue varie espressioni”[2].

 L’umorismo e la retorica
La retorica imponeva imitazione e dava regole. La poesia in tal modo è copia, non creazione
L’umorismo scompone, disordina, discorda. Mentre secondo la retorica l’arte deve essere accordo logicamente ordinato, composizione esteriore.
L’umorismo ha bisogno del più vivace, libero, spontaneo e immediato movimento della lingua. L’umorismo crea la lingua non la imita. La lingua mummificata dalla retorica non crea umorismo né altro.
Gli scrittori originali sono pochi siccome il maggior numero è fatto di imitatores servum pecus (cfr. Orazio Epistole, I, 19, 199).
La retorica disconosce quella attività creatrice che è la fantasia
 L’umorismo è il sentimento del contrario
Primo esempio
:"Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere...Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s' inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico".

Gli altri 2 esempi: Marmeladov di Delitto e castigo e Sant’Ambrogio di Giusti
Il secondo esempio è questo tratto da Dostoevskij: “Signore, signore! oh! Signore, forse, come gli altri, voi stimate ridicolo tutto questo; forse vi annojo raccontandovi questi stupidi e miserabili particolari della mia vita domestica; ma per me non è ridicolo, perché io sento tutto ciò…” - Così grida Marmeladoff nell’osteria, in Delitto e Castigo[3] del Dostoevskij, a Raskolnikoff tra le risate degli avventori ubriachi. E questo grido è appunto la protesta dolorosa ed esasperata d’un personaggio umoristico contro chi, di fronte a lui, si ferma a un primo avvertimento superficiale e non riesce a vederne altro che la comicità”[4].

Il terzo esempio deriva da S. Ambrogio di Giusti: “Un poeta, il Giusti, entra un giorno nella chiesa di S. Ambrogio a Milano, e vi trova un pieno di soldati…Il suo primo sentimento è d’odio: quei soldatacci ispidi e duri son lì a ricordargli la patria schiava. Ma ecco levarsi nel tempio il suono dell’organo: poi quel cantico tedesco lento lento,
D’un suono grave, flebile, solenne[5]
Che è preghiera e pure lamento. Ebbene, questo suono determina a un tratto una disposizione insolita nel poeta, avvezzo a usare il flagello della satira politica e civile: determina in lui la disposizione propriamente umoristica: cioè lo dispone a quella particolare riflessione che, spassionandosi dal primo sentimento, dell’odio suscitato dalla vista di quei soldati, genera appunto il sentimento del contrario. Il poeta ha sentito nell’inno
La dolcezza amara/Dei canti uditi da fanciullo: il core/Che da voce domestica gl’impara,/Ce li ripete i giorni del dolore./Un pensier mesto della madre cara,/Un desiderio di pace e d’amore,/Uno sgomento di lontano esilio[6].
E riflette che quei soldati, strappati ai loro tetti da un re pauroso,
A dura vita, a dura disciplina,/Muti, derisi, solitari stanno, /Strumenti ciechi d’occhiuta rapina,/che lor non tocca e che forse non sanno[7]
Ed ecco il contrario dell’odio di prima:
Povera gente! Lontana da’ suoi,/In un paese qui che le vuol male[8].
Il poeta è costretto a fuggire dalla chiesa perché
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale, /Colla su’ brava mazza di nocciolo/Duro e piantato lì come un piolo”[9]

Questo è il terzo esempio di avvertimento del contrario passato a sentimento del contrario.

Sentiamo anche T. Mann sull’argomento: “Indifferenza e ignoranza della vita intima degli altri esseri umani finiscono per creare un rapporto affatto falso con la realtà, una specie di abbigliamento. Dai tempi di Adamo ed Eva, da quando uno divenne due, chiunque per vivere ha dovuto mettersi nei panni altrui, per conoscere veramente se stesso ha dovuto guardarsi con gli occhi di un estraneo. L’immaginazione e l’arte di indovinare i sentimenti degli altri, cioè l’empatia, il con - sentire con gli altri, è non solo lodevole ma, in quanto infrange le barriere dell’io, è anche un mezzo indispensabile di autopreservazione”[10].
Cfr. la terapia del rovesciamento e mettersi nei piedi dei ragazzi di Leopardi
 “Gli scolari partiranno dalla scuola dell’uomo il più dotto, senz’aver nulla partecipato alla sua dottrina, eccetto il caso (raro) ch’egli abbia quella forza d’immaginazione, e quel giudizio che lo fa astrarre interamente dal suo proprio stato, per mettersi ne’ piedi de’ suoi discepoli, il che si chiama comunicativa. Ed è generalmente riconosciuto che la principal dote di un buon maestro e la più utile,non è l’eccellenza in quella dottrina, ma l’eccellenza nel saperla comunicare”[11].

Il sentimento del contrario è dunque una forma di compassione, in senso etimologico e nasce da una speciale attività della riflessione.

Vediamo il don Chisciotte: noi vorremmo ridere di quanto c’è di comico nella rappresentazione di questo povero alienato, vorremmo ridere, ma un senso di commiserazione turba il riso, un senso di pena e pure di ammirazione: questo povero hidalgo è ridicolo ma pure eroico. Il riso diviene amaro. Una rappresentazione veramente umoristica suscita perplessità. Gli scritti umoristici contengono molte digressioni generati dalla riflessione. Ogni vero umorista non è soltanto poeta, è anche critico
La riflessione scompone l’immagine creata dal primo sentimento e ne fa sorgere un’altra creata dal sentimento contrario. Come ho mostrato nel Sant’Ambrogio di Giusti, la riflessione inserendosi come un vischio nel primo sentimento del poeta, un sentimento di odio verso quei soldatacci, genera a poco a poco un sentimento contrario (p. 186)
 A proposito di un fraintendimento di Benedetto Croce: “o io non so scrivere, o Croce non sa leggere

Indulgenza, compatimento, pietà, sono un sentimento del contrario di quel primo sentimento di sdegno davanti a certe situazioni. Se non è così allora c’è l’ironia. Don Abbondio e don Chisciotte suscitano compatimento o perfino simpatia dopo la riflessione.
Manzoni incarna il suo ideale nel cardinale Federigo Borromeo. Ma la riflessione gli dice che quello è un ideale astratto ed egli ascolta dentro di sé anche la voce delle debolezze umane
Nel XXV capitolo il Cardinale fa una predica di eroismo al prete vile il quale si trovava tra quegli argomenti come un pulcino tra gli artigli del falco che lo tengono sollevato in una regione sconosciuta, paragone che si rifà a Esiodo (Opere e giorni. 202 - 212)
Del resto don Rodrigo pur di spuntare l’impegno era capace di tutto e c’era la lega dei birboni. Il pauroso è comico quando teme pericoli immaginari, ma se i pericoli sono reali non è più soltanto comico. Don Abbondio certo non è un eroe, non ha coraggio e il coraggio uno non se lo può dare, e noi lo compatiamo. Dunque don Abbondio è umoristico. Manzoni del resto lo commisera e compatisce solo dopo averne fatto strazio. Quella pietà in fondo è spietata e l’indulgenza non è così bonaria come sembra.
Per la pietas spietata cfr. Enea di Virgilio (ndr)
Don Abbondio nel quale si è incarnato il sentimento del contrario è figura più viva del cardinale.
Ciascuno di noi elabora una costruzione ideale e illusoria di se stesso. Il comico ne ride, il satirico se ne sdegna, l’umorista smonta questa costruzione ideale, e non per riderne, magari per compatirla.
I rapporti sociali della convenienza sacrificano la moralità.
L’umorista capisce che i rapporti umani sono dettati dal calcolo della convenienza. Più si è deboli più si sente il bisogno di ingannare. La simulazione è uno strumento di lotta.
L’umorista si diverte a smascherare le simulazioni. Il mentire a se stessi è un effetto del mentire sociale
L’umorista smaschera tutte le vanità individuali e sociali come fa Thackeray in Vanity fair[12]

Pascal scrisse: non c’è uomo che differisca da un altro più che da se stesso nella successione del tempo. In ognuno di noi c’è una lotta di anime diverse. A volte la bestia istintiva acquattata in ciascuno sferra un calcio all’anima morale del galantuomo. Talora prevale la parte emotiva su quella razionale e ci sconvolge
Cfr. la Medea di Euripide: "Kai; manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'""( Medea, vv. 1078 - 1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei mali più grandi per i mortali", dirà la furente nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli. 

La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo di fissare in forme stabili, in concetti, in princìpi, dentro argini fittizi che talora crollano miseramente
La fissazione in forme immutabili può rappresentare una sventura. Anche le fattezze del corpo. A volte ci vediamo vivere mentre facciamo dei gesti
In certi momenti l’anima si spoglia da tutte le finzioni abituali e vediamo noi stessi nella vita. Allora tutto può apparirci privo di senso e quella realtà diversa ci appare orrida. Capiamo che le forme fissate sono solo un inganno per vivere e che sotto c’è altro cui non possiamo affacciarci se non a costo di morire o impazzire. Abbiamo ricevuto un aspetto che ciascuno si racconcia come può: è la maschera esteriore. L’uomo è sempre mascherato, senza volerlo, senza saperlo. Il cane è naturale, l’uomo non può fare a meno di atteggiarsi, anche davanti a se stesso.
Epitteto: siamo qui a recitare la parte di un dramma del quale non siamo i registi
L’aiuta in questo una certa macchinetta che i signori filosofi chiamano logica. Questa inaridisce il cuore rendendolo un pezzo di sughero.
La logica tende a fissare quello che è mobile, mirabile e fluido a dare un valore assoluto a ciò che è relativo.
La vita è logos ma non è logica (ndr).

Il poeta epico o drammatico compone[13] un carattere, mentre l’umorista scompone il carattere nei suoi elementi e si diverte a rappresentare il personaggio nelle sue incongruenza. L’umorista non rappresenta eroi.
Egli vede il mondo, se non nudo in camicia, in camicia il re[14].
Davanti a un cadavere tutto composto in pompa l’umorista è capace di sentirne il rumore del ventre e di esclamare digestio post mortem! [15].
I soldatacci austriaci della poesia del Giusti sono veduti infine dal poeta come tanti poveri uomini in camicia. Le uniformi compongono nell’animo del poeta una rappresentazione della patria schiava; la riflessione scompone questa rappresentazione, spoglia quei soldati e vede in essi una torma di poveretti addogliati e derisi. Il vestiario compone e nasconde: due cose che l’umorismo non può soffrire. La vita nuda e la natura sono senza ordine almeno apparente. L’oro in natura è frammisto alla terra. Gli scrittori in genere non ne tengono conto e presentano l’oro in zecchini nuovi, mentre l’umorista sa che la materialità della vita è varia e complessa, è imprevedibile, e sa che nelle anime ci sono degli abissi. L’umorista vede i particolari anche volgari e triviali, i contrasti, le contraddizioni e l’opera umoristica contiene lo scomposto, lo slegato, il capriccioso, in opposizione al composto e all’ordinato dell’opera d’arte in genere. Il “se” riferito al naso di Cleopatra[16] - tutta la faccia della terra sarebbe cambiata - si può inserire come un cuneo in tutte le vicende e può produrre disgregazioni, scomposizioni e così via.

L’artista ordinario bada solo al corpo, l’umorista bada al corpo e all’ombra e talora più all’ombra che al corpo e nota tutti gli scherzi di quell’ombra, come essa ora si allunghi ora si intozzi, quasi a fare le smorfie al corpo che intanto non se ne cura.





[1] Caratteristica dell’umorismo cfr. parte II cap. quarto.
[2] Pirandello, L’umorismo, p. 45.
[3] Parte I, cap. II.
[4] Luigi Pirandello, L’umorismo, p. 174
[5] Giuseppe Giusti (1809 - 1850) S. Ambrogio, v. 60
[6] S. Ambrogio, vv. 65 - 71.
[7] S. Ambrogio, vv. 81 - 84.
[8] S. Ambrogio, vv. 89 - 90.
[9] Luigi Pirandello, L’umorismo (1908), p. 175. Dedicato alla buon’anima di Mattia Pascal, bibliotecario
[10] T. Mann, Il giovane Giuseppe, p. 117 (1934)
[11] Zibaldone, 1376.
[12] La fiera della vanità è un romanzo dell'autore inglese William Makepeace Thackeray, apparso prima in 20 puntate mensili tra il 1847 e il 1848
[13] Omero e pure Euripide compongono e pure scompongono i caratteri. Si può pensare ad Achille e a Medea o anche a Ifigenia (in Aulide). Pirandello qui si sbaglia.
[14] Cfr. Andersen 1805 - 75 I vestiti nuovi dell’imperatore
[15] Cfr. Joyce: Ulisse, Ade il funerale
[16] Se fosse stato più lungo, o come nei Pensieri - 162 - di Pascal più corto.

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