Turgenev manda una lettera al critico letterario Slučevskij che gli aveva scritto della reazione negativa degli studenti russi di Heidelberg al romanzo:
Bazarov è un personaggio tragico tutt’altro che cattivo e negativo.
Tutto il mio romanzo è diretto contro la nobiltà come classe guida. I tre nobili: padre, figlio e zio: debolezza, indolenza e limitatezza. Il mio senso estetico mi ha fatto scegliere i personaggi buoni della nobiltà per dimostrare ancora meglio la mia idea. Prendere funzionari, generali, grassatori, sarebbe stato grossolano. Se la panna è cattiva, come sarà il latte? Ho scelto i nobili migliori per dimostrare la loro inconsistenza.
L’Ondicova è una rappresentante delle nostre signore epicurèe, delle nostre dame nobili oziose, sognatrici, curiose e fredde.
Voleva lisciare contropelo quel lupo di Bazarov, purché non mordesse, poi pensava di scompigliare i ricci a un ragazzo ma voleva rimanere sdraiata e tutta bella lavata sul velluto.
La morte di Bazarov non è casuale, ma l’ultimo tocco alla sua figura tragica. Se il lettore non lo ama con tutta la sua rozzezza, crudeltà d’animo, secchezza implacabile e asprezza, non ho raggiunto il mio scopo. Io non volevo versare sciroppo.
Avevo sognato una figura cupa, selvatica, grande, per metà venuta su dal suolo stesso, forte, spietata, onesta, e tuttavia votata alla rovina, perché è ancora nell’anticamera del futuro, avevo sognato uno strano pendant di Pugačëv e simili. Corrispondente al rivoluzionario che guidň l’insurrezione contadina contro Caterina II nel 1774. La sua storia è raccontata da Puškin.
I giovani non hanno capito. Solo Dostoevskij e il critico Botkin lo hanno compreso.
Ancora Turgenev a proposito di Padri e figli:
Il punto di partenza non è stata un’idea, ma una persona viva. La base di Bazarov è la figura di un giovane medico provinciale che lo colpì e morì nel 1860. In quell’uomo si incarnava il nichilismo, una corrente dell’epoca. Cominciai a comporre la fabula a Parigi.
Nel 1862 la fabula uscì sul “Messaggero russo”. A Pietroburgo ci furono degli incendi e il primo conoscente che incontrò sulla Nevskij gli disse: Avete visto cosa fanno i vostri nichilisti! Bruciano Pietroburgo!
Il romanzo dispiaceva ai miei amici e piaceva ai nemici
Io sono un accanito occidentalista ma nel Nido dei nobili ho riprodotto nella figura di Panšin tutti gli aspetti comici e volgari dell’occidentalismo; l’ha fatto battere dallo slavofilo Lavreckij. Io ritengo lo slavofilismo una dottrina falsa e sterile. Io non sono dalla parte dei padri: tant’è vero che ho messo in caricatura Pavel, l’ho reso ridicolo peccando anche contro la verità artistica. Bazarov non ha avuto il tempo di maturare. Ho trattato Bazarov come un essere vivo, mostrandone i lati anche cattivi. Io non sapevo se amavo o non amavo Bazarov. Una signora spiritosa gli disse: “né padri, né figli. Siete proprio voi il nichilista”. Alcuni mi accusano di arretratezza, di oscurantismo, di offesa alla giovane generazione, altri di piaggeria nei confronti della giovane generazione. Ho inventato la parola nichilista
Oscar Wilde in La decadenza della menzogna (del 1889) sostiene che non è l’arte a imitare la vita, ma il contario:"La vita imita l'arte assai più di quanto l'arte imiti la vita... Un grande artista inventa un tipo, e la vita tenta di copiarlo, di riprodurlo in forma popolare... I greci, con il loro rapido istinto artistico, capirono questo, e mettevano nella stanza della sposa la statua di Ermes o di Apollo, affinché ella potesse generare figli altrettanto ben formati delle opere d'arte che contemplava nell'estasi o nel dolore. Sapevano che la vita non solo guadagna dall'arte la spiritualità, la profondità del pensiero e del sentimento, il turbamento o la pace dell'anima, ma che essa può formarsi sulle stesse linee e colori dell'arte, e può riprodurre la dignità di Fidia come la grazia di Prassitele... Schopenhauer ha analizzato il pessimismo che caratterizza il pensiero moderno, ma Amleto lo ha inventato. Il mondo è diventato triste perché una volta una marionetta fu malinconica.
Il nichilista, quello strano martire che non ha fede, che va al patibolo senza entusiasmo, e muore per quello in cui non crede, è un prodotto puramente letterario. Esso fu inventato da Turgenev e completato da Dostoevskij"[1]
L’istruzione non è soltanto luce ma anche libertà. Niente libera l’uomo come il sapere e la libertà è necessaria soprattutto nel campo dell’arte e della poesia. Non per niente si parla di arti liberali. L’uomo legato non può prendere quello che lo circonda. Gli slavofili non sanno togliersi i propri occhiali colorati. Assenza di libertà si trova in Guerra e pace del conte Tolstoj che pure ha grande forza creativa e poetica ed è forse la cosa più alta apparsa nella letteratura europea dopo il 1840. Gli eletti sono diversi dalla massa che è condannata a sparire ma non prima di avere arricchito la forza dell’eletto. Ai giovani letterati: non dovete giustificarvi mai, dovete avere cura della nostra lingua, della nostra bella lingua, questo patrimonio trasmessoci dai nostri predecessori in testa ai quali brilla Puškin (1799 - 1837 cfr. Leopardi). 1869 Baden - Baden.
Turgenev, Terra vergine, del 1876, trad Garzanti, Milano, 2001.
Terra vergine è l’ultimo romanzo di T. Racconta dei giovani populisti russi, della loro andata al popolo. Voleva mostrare “fisionomie in veloce mutamento di uomini russi dello strato colto”
Epigrafe
“La terra vergine non va dissodata con un aratro leggero, ma in profondità con un vomere affilato”.
E’ ambientato nel 1868.
Giovani a San Pietroburgo “senza un’occupazione” (p. 6)
Il più in rilevo è Alioscia Nezdanov che va a fare l’istruttore da Sipjagin, ciambellano di corte. Nezdanov era figlio bastardo di un nobile e aveva la fisionomia del nobile: piccole orecchie, mani e piedi, pelle morbida, capelli vellutati, Ma era permaloso, capriccioso, accurato fino alla pignoleria e trasandato fino all’obbrobrio Era pieno di contraddizioni Anche qui c’è una donna bella e calcolatrice: Valentina Sipjagina, la moglie del ciambellano.
Poi c’è Marianna una ragazza buona, la nipote di Sipjagin, figlia di una sorella dell’alto burocrate. Nezdanov deve dare lezioni di russo e di storia a Kolja, il figlio dei Sipjagin. In quella villa tutto era molto cerimonioso e pomposo. Marianna soffre per tutti i poveri e gli oppressi della Russia. Nezdanov attribuiva la propria incapacità alla cattiva educazione ricevuta e alla sua disgustosa natura da esteta (p. 95). -
Cfr. Tonio Kröger di T. Mann.
Cfr. anche Gozzano: “Ed io non voglio più essere io!/Non più l’esteta gelido, il sofista/ma vivere nel tuo borgo natio/ma vivere alla piccola conquista/mercanteggiando placido, in oblio/come tuo padre, come il farmacista… Ed io non voglio più essere io” (La signorina Felicita, 320 - 326)
Sipjagin è un calcolatore commediante: “conosceva il latino, e l’espressione virgiliana “Quos ego” non gli era estranea. Coscientemente non si paragonava al dio Nettuno, ma intanto gli era venuta in mente per immedesimazione” (p. 99)
Eneide I, 135 quos ego…sed praestat componere fluctus. E’ un inizio di minaccia ai venti
I populisti considerano spilorci i borghesi
Nezdanov dice a se stesso: “Se sei meditabondo melanconico, che razza di rivoluzionario puoi essere? (p. 117) Oh Amleto, Amleto, principe danese, come uscire dalla tua ombra? Come cessare di emularti in tutto, persino nell’intima voluttà dell’autoflagellazione?”
(cfr. Nietzsche, Freud e Pirandello).
“L’incarnato naturale della risoluzione è reso malsano dalla pallida tinta del pensiero” (Amleto III, 1) cfr. anche il finto sciocco
Un altro populista è Markelov, il fratello di Marianna, “tale e quale un Giovanni Battista che si è rimpinzato di locuste… e solo di locuste, senza neppure il miele” (p. 121).
Poi i due vecchini santi mentecatti: Fomuška e Fimuška la quale dice a Nezdanov che le fa pena. Perché chi ha un certo carattere ha pure un certo destino.
Cfr. Eraclito e Nietzsche
E aggiunge: “non a caso sei rosso di capelli, Mi fai pena…ecco tutto” (p. 135).
Cfr. rubicundus e rubicunda nello Pseudolus.
Il burocrate ministeriale aveva deciso che, finite le vacanze, avrebbe rimandato l’istitutore del figlio a Pietroburgo” davvero troppo rosso”. In senso politico.
Nasce l’amore tra Nezdanov e Marianna.
Solomin è invece l’uomo concreto che dirige una fabbrica in modo democratico e dice che l’industria e il commercio non sono roba da nobili: ci vuole disciplina. I nobili sono solo dei funzionari.
Sipjagin aveva le qualità distintive dei grossi papaveri russi.
Era un funzionario e un commediante del potere. I mercanti sono dei predatori e il popolo dorme.
Marianna e Nezdanov si amano e la cognata Valentina la rimprovera per la vicinanza con un giovane di “educazione, posizione sociale troppo in basso. Marianna suggerisce il “semplificarsi” (p. 200) che “per la gente del popolo significa vivere d’amore e d’accordo”.
Marianna dice ad Alëša Nezdanov che sarà sua quando le dirà che la ama di quell’amore che dà il diritto alla vita dell’altro (p. 206)
Mosca sta a valle dell’intera Russia e tutto ci va a ruzzolare dentro.
Alioscia scrive a un amico e gli dice che non ha mai amato e non amerà mai nessuna donna più di Marianna “ma come posso unire per sempre il suo destino al mio? Un essere vivo a un cadavere? Se non proprio a un cadavere, a un essere morto a metà?” (p. 222).
Non crede più nemmeno nel popolo: “non ci si può immaginare nulla di più stupido”
Dal padre ha ereditato il nervosismo, la sensibilità, la fragilità, la schifiltosità. Gli ha lasciato organi di senso inadatti all’ambiente che avrebbe frequentato. Non si può dare vita a un uccellino per poi sbatterlo nell’acqua. O mettere un Pegaso alla macina.
Scrive dei versi: il popolo dorme indolente, tutto è immobile, sonnecchiano i giudici, dormono gli imputati, dormono persecutori e perseguitati, “dorme la Santa Russia un sonno inumano” (p. 227).
Cfr. Il Gattopardo e l’oblio dei Siciliani: Il sonno, caro Chevalier, il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio.
Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorzonera o di cannella (…) le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali (…) i miti sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma in realtà non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perché è morto” (p. 121 - 122).
Paesaggi fuor di misura: l’inferno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina. Il clima ci infligge sei mesi di febbre a 40 gradi: da maggio a ottobre, un’estate lunga e tetra quanto l’inverno russo, da noi nevica fuoco come sulle città maledette dalla Bibbia. Il nostro carattere è stato formato da questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come fantasmi muti, questi governi sbarcati in armi da chissà dove con i loro esattori di denari spesi altrove.
Alioscia cade sempre più nella depressione per mancanza di volontà e di fiducia in se stesso. I contadini sono sudditi consenzienti del potere. Alla fine dice a Marianna che non crede più nella causa supremo. Poi si uccide. Non sono stato capace di semplificarmi scrive, e non mi è restato altro da fare che annientarmi. Un’amica lo definisce un romantico del realismo.
Solomin è il personaggio positivo, non come il tipico russo che aspetta la soluzione da fuori. Solomin può essere grigio ma semplice.
(Fine Terra Vergine)
CONTINUA
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[1] In O. Wilde, Opere , trad. it. Mondadori, Milano, 1982, pp. 222 - 224
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