Torniamo
a Svevo
Angiolina che posava per Balli doveva assumere
l’atteggiamento della donna che prega ma “quella beghina non sapeva pregare.
Piuttosto che rivolgerli piamente, ella lanciava con impertinenza gli occhi in
alto, civettava col Signore Iddio”
Il Volpini manda ad Angiolina una lettera di
congedo: sapeva che lo tradiva. Emilio lesse e disse che il Volpini aveva
ragione. Angiolina aveva comunque l’enorme fiducia che hanno gli incolti per i
letterati e chiedeva aiuto. Emilio fu commosso da quell’affetto. Volpini affastellava
troppi argomenti per averne uno solo di assolutamente buono. Emilio era
contento del fatto che Angiolina sentisse. il bisogno di lui. Ma lei per strada
si offriva sfacciatamente con l’occhio ad ogni passante e vedendola si doveva
pensare all’alcova per cui era fatta.
Una sera lei torna a casa ubriaca.
Angiolina propose una passeggiata come ai primi
tempi, e la proposta a lui non dispiacque: “Era una delle sue caratteristiche
essenziali quella di compiacersi della rievocazione sentimentale del passato
(p. 196).
Emilio, tornato a casa, trovò la sorella in
delirio. Era mezza nuda e sembrava un ragazzo malnutrito. Emilio prima provò
ira: anche questa donna gli procurava noia e dolori. Le labbra di lei erano
violacee, asciutte, informi, come una ferita vecchia che non sa più rimarginare
(198). L’uomo debole teme il delirio e la pazzia come malattie contagiose.
Excursus
“Chi lotta coi mostri deve guardarsi dal
diventare un mostro anche lui. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche
l’abisso vorrà guardare te”[32].
Si pensi a Deianira nelle Trachinie di Sofocle.
Nelle Trachinie di Sofocle Deianira è la moglie
infelice, sposa dell'infedele Eracle. Sin da ragazza, quando abitava con il
padre, ebbe una dolorosissima paura delle nozze (v. 7 - 8). Infatti ricorda:
"Mnhsth;r ga;r h\n
moi potamov", jAcelw'/on levgw" (v.
9), il mio pretendente era un fiume, dico l'Acheloo. Insomma era corteggiata da
un mostro.
"Deianira appartiene ancora, in
qualche modo, al regno dei mostri: è stata richiesta in sposa da uno di essi,
desiderata da un altro[33], che l'ha toccata, che si confida con lei e ne fa
una sua complice. E nella lotta contro Acheloo, Eracle ha fattezze ferine. Da
questo bestiario, che ha conservato in sé come orrore e come fremito, Deianira
non potrà uscire"[34]. La lotta da cui Eracle esce vincente è un fragore
di mani, di archi di corna taurine insieme confuse (Trachinie , vv. 517 - 518).
La Deianira delle Heroides[35] di Ovidio,
lontana da Eracle occupato a inseguire terribili fiere, è ossessionata dal
pensiero dei mostri con i quali il marito deve lottare: "inter serpentes
aprosque avidosque leones/iactor et haesuros terna per ora canes " (IX, 39
- 40), mi aggiro tra serpenti e cinghiali e leoni bramosi, e cani[36] pronti ad
attaccarsi con tre bocche. Senza contare gli amori con le straniere:"
peregrinos addis amores "(v. 49).
Fine excursus
Amalia vede delle bestie (zoopsia) e cerca di
afferrarle. Disse che era stata in pescheria ma non aveva trovato il pesce.
Un simbolo fallico: nel Satyricon a un certo
punto il pupo Gitone si scompisciava dalle risate e attirò l'attenzione di
Quartilla, la sacerdotessa dell'orgia postribolare, la quale chiese cuius esset
puer, diligentissima sciscitatione (24, 5) a chi appartenesse quel ragazzo con
una domanda molto seria. Quel superlativo diligentissima che qualifica una
domanda relativa alla proprietà di un amasio è appropriato a un mondo dove le
uniche cose serie sono il denaro e il sesso. Infatti subito dopo, saputo che
era il "fratello" di Encolpio, la donna domandò:"quare ergo -
inquit - me non basiavit? ", allora perché non mi ha baciato? Quindi passò
ai fatti: lo inchiodò a sé con un bacio, poi fece anche scendere la mano sotto
il vestiti e palpatogli il cosino ancora tanto inesperto (pertactrato vasculo[37]
tam rudi) fece: "haec belle cras in promulside libidinis nostrae
militabit; hodie enim post asellum diaria non sumo" (24, 7), questo
servirà bene domani durante l'antipasto del mio piacere; oggi infatti dopo il
pesce non prendo una razioncina.
Emilio provava dolore ricordando la
compassionevole nudità. Chiede aiuto a una vicina Elena Chierici. La donna
chiede una boccia d’acqua e un bicchiere a Emilio ma per lui “fu un affar serio
trovare quelle cose in una casa che aveva abitata con l’incuria di chi sta in
un albergo (p. 204).
Un’onda di riconoscenza per Elena gonfia
il petto di Emilio.
Va allo studio di Balli e “s’assise sulla sedia
più vicina alla porta” Scoppiò in singhiozzi disperati (p. 204)
Se fosse stata pazza, l’avrebbe tenuta presso di
sé non più come sorella ma come figlia. Il pianto gli fece bene.
Consolazione delle lacrime
cfr. Euripide Troiane
Coro
Come dolci sono le lacrime per quelli che stanno
male 608 - wJ"
hJdu; davkrua toi'" kakw'" pepragovsi
E i lamenti dei compianti e la poesia che contiene
dolori. 609
Nell’Elena di Euripide, Menelao dice che le
lacrime sono la sua gioia ( ejma; de; carmonav davkrua, 654)
Elena.
tw'/ pavqei mavqo"
Il Balli consiglià di correre a chiamare il
dottor Carini.
Emilio comincia a pensare alla morte della
sorella. Rimpianse ed ebbe rimorso di non avere dedicato la propria vita a
qualcuno che aveva bisogno di tutela e di sacrificio. Con Amalia spariva dalla
sua vita ogni speranza di dolcezza (p. 206). Emilio sente di amare la sorella
più di Angiolina. Elena si comportava con semplicità. Amalia aveva espressioni
di desolazione puerile, Amalia disse al fratello: “Sì, noi due. Noi due qui
tranquilli, uniti, noi due soli (p. 209)
Era una polmonite molto grave ma poteva anche
guarire
Emilio pensò che quel miracolo “sarebbe bastato
a dargli il sentimento della felicità per tutta la vita (p. 213)
Il dottore consigliò di farle bere del vino cui
doveva essere abituata.
Ma il Balli pensò che fosse alcolizzata. Emilio
si sentiva in colpa al punto di pensare che Amalia si era ammalata perché lui
era mancato al dovere di proteggerla, Elena si prodiga per aiutare e il Balli
dice: la bontà così semplice mi commuove più che non la genialità più alta” (p.
216).
L’affanno sempre uguale, vertiginoso, a
Emilio sembrò divenuto una qualità del proprio orecchio, un suono da cui non
avrebbe più saputo liberarsi, Aveva rimorso di non avere capito la sua missione
di tutelare una vita unicamente affidata a lui. Se l’avesse fatto non avrebbe
dedicato tempo ad Angiolina, un’occupazione oziosa.
Cfr. Seneca “desidiosa occupatio” De brevitate
vitae 12, 2.
Amalia disse: Stefano, se tu lo vuoi, voglio
anch’io. Io sono d’accordo, fa’ tu ma presto. Poi Oh , Stefano, io sto male”.
Emilio comprese che “ella si sognava a
nozze” (p. 218). Amalia disse anche parole di gelosia: “Vittoria con lui!”
Emilio pianse al pensiero che essa era
sempre vissuta misconosciuta e vilipesa. Ora il destino implacabile si
compiaceva di snaturarne la mite, dolce, virtuosa fisionomia con l’agonia dei
viziosi (p. 222)
Emilio decise di andare da Angiolina per
lasciarla: “andando da Angiolina egli portava subito un olocausto ad Amalia”
Emilio pensò che Angiolina lo avesse tradito
anche col Balli. Andando da lei pensò che il male non veniva commesso, ma
avveniva. “Come erano stati colpevoli lui e Amalia di prendere la vita tanto
sul serio!” (p. 225)
Cfr.Strabone: essere felici secondo questo
geografo dell'età di Augusto, è un atto di pietas :" è atato detto bene
anche questo: che gli uomini imitano benissimo gli dèi quando fanno del bene,
ma si potrebbe dire ancor meglio quando sono felici ( eâ mn g¦r e‡rhtai kaˆ toàto,
toÝj ¢nqrèpouj tÒte m£lista mime‹sqai toÝj qeoÝj Ótan eÙergetîsin· ¥meinon d' ¨n
lšgoi tij, Ótan eÙdaimonîsi )[38].
Giunse alla riva. Si sentiva il clamore del
mare: un urlo enorme composto dall’unione di varie voci più piccole” (226) Si
vedeva biancheggiare qualche onda che il caos aveva voluta infranta prima di
giungere a terra.
Cfr. viceversa l’ innumerevole sorriso/delle
onde marine (pontivwn te
kumavtwn - ajnhvriqmon gevlasma, Prometeo
incatenato (89 - 90).
Cfr. D’annunzio: “il riso innumerevole delle
onde marine” (Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi, Elettra, Per
la morte di un capolavoro)
Quel tramestio si confaceva al suo dolore.
L’abito letterario gli faceva paragonare quello spettacolo alla propria vita.
Nel movimento delle onde che tratto dall’inerzia e trasmesso per inerzia “egli
vedeva l’impassibilità del proprio destino. Non v’era colpa, per quanto ci
fosse tanto danno” (p. 226).
Cfr. l’ajmartiva nella Poetica di
Aristotele.
Alcuni marinaio erano indaffarati per salvare le
barche
“Emilio pensò che la sua sventura era formata
dall’inerzia del proprio destino “ (p. 226). Non aveva mai avuto occasione,
nessuno gliel’aveva data di determinare nemmeno il destino di un piccolo
bragozzo[39]. Cfr. il kairov".
Voleva comportarsi con Angiolina come se loro
due dovessero essere giudicati da un essere intelligente presente alla scena.
Avviene invece una scenata. Lui le dà della puttana tre volte e le rinfaccia
tutti gli amanti. Angiolina fuggì e lui le tirò dietro delle pietre. Tutto era
andato in modo molto diverso da come Emilio si era aspettato
Cfr, l’ajevlptw" nelle conclusioni
di Medea, Alcesti, Andromaca, Elena, Baccanti, e le altre espressioni classiche
sull’imprevisto e l’imprevedibile in Archiloco, Erodoto (Solone a Creso) etc
“Come rimaneva sorprendente la realtà!” (p.
231). Avrebbe voluto lasciarla in modo intelligente e signorile. Finiva con
Angiolina come con Amalia: a nessuna delle due egli aveva potuto dire “l’ultima
parola che avrebbe per lo meno addolcito il ricordo delle due donne” (p. 232).
Tornò al letto di Amalia. Cercava la commozione attraverso traslati
(metafore?). Il Balli restava lì poiché Amalia lo nominava spesso. Elena
piangeva mentre la faccia di Amalia si restringeva. La malata a morte domandò
da mangiare. Il Balli era sempre il pensiero dominante dell’ammalata. Aveva in
mente anche una rivale: Vittoria. I tre “infermieri” si misero a conversare.
Elena raccontò la sua storia molto triste di vedova e matrigna
Amalia grida contro Vittoria poi si rizza a
sedere illuminata dalla candela. La luce gialla riverberata dalla faccia lucida
di Amalia sembrava luminosità della moribonda. “Pareva la rappresentazione
plastica di un grido violento di dolore” (p. 236). Ma fu un lampo e Amalia
ricadde. Balli disse ossimoricamente: “Pareva una buona e dolce furia” cfr. Le
Eumenidi.
Emilio provò soddisfazione: Amalia moriva amata
dell’amore più nobile che il Balli potesse offrire” (p. 236). Elena era della
famiglia Deluigi per la quale lavorava Angiolina. Anche in quel caso aveva
mentito. Deluigi era commerciante di ferrareccia. Emilio la pensava di nuovo.
Aprendo l’armadio di Amalia per prendere una pezzuola richiesta da Elena vi
trovò dell’etere profumato. Dunque “Amalia aveva cercato l’oblio nell’ebrietà”
(p. 238) Richiuse accuratamente l’armadio per non rovinare la “riputazione”
della sorella dopo che non ne aveva saputo tutelare la vita (p. 239). Cfr.
Civiltà di vergogna I Greci e l’irrazionale del Dodds.
Fuori c’era un’alba fosca, esitante, triste e
tanto vento.
Amalia stava morendo. La nuca grigia di Elena
appariva tutta d’argento. La testa di Amalia stilizzata com’era “pareva un
profilo di persona energica, con gli zigomi sporgenti e il mento aguzzo” (p.
240). Emilio dorme un poco e quando si sveglia, la sorella lo chiama per dirgli:
“io muoio!”
Amalia delirava e “guardava la luce alla
finestra per acuire l’occhio semispento” (p. 242).
“perché gli occhi dell’uom cercan morendo/ il
sole” (Foscolo, Dei Sepolcri, 121 - 122).
Vedeva bimbi rosei ballare nel sole Quanta luce
disse affascinata (cfr. Aiace nell’Iliade XVII, 646 - 647 e Sul sublime; cfr.
anche la conclusione di Spettri di Ibsen).
Poi la morte di una persona mite. Era il lamento
della materia che già abbandonata, disorganizzandosi, emette i suoni appresi
nel lungo dolore cosciente” (p. 243).
“Le persone buone e miti non si oppongono a
lungo e, anche se non subito, diventano poi molto comunicative, non sanno
evitare una conversazione: rispondono prima a monosillabi, ma rispondono e
rispondono sempre più facilmente”[40]. Cfr. Ismene dell’Antigone.
Il pensiero della morte cui abbiamo assistito
occupa tutto l’intelletto. Era passata la morte, il grande misfatto che aveva
fatto dimenticare a Emilio i propri errori e i propri misfatti. Emilio si
sentiva del tutto solo. Ricordava le proprie colpe nei confronti di Amalia. “La
sua morte sola era stata importante per lui; quella almeno l’aveva liberato
dalla sua vergognosa passione” (p. 245)
Va a trovare Elena Viene accolto con affetto e
quella amicizia lo commuoveva. Finalmente un’emozione buona. Le ore tragiche
passate insieme li facevano sentire legati più che anni di intimità. Elena
apprezza l’ingenuità e la semplicità della propria serva Giovanna. Elena non
andava al cimitero: “Vi sono i vivi che hanno bisogno di noi” (p. 247)
Parlava con grande affetto di Giovanna. Emilio
pensò che metà dell’umanità esiste per vivere e l’altra per essere vissuta.
“Angiolina esiste forse solo acciocché io viva” (p. 247) Camminò tranquillo
nella notte fresca seguita alla giornata afosa. L’esempio di Elena gli aveva
insegnato che anche lui poteva trovare nella vita la sua ragion d’essere.
Epitteto dice che non dobbiamo far dipendere la
nostra felicità da altre persone. “Chi vuole essere libero non desìderi e non
rifugga nulla di ciò che dipende da altri, eij de; mhv, douleuvein ajnavgkh (14)
Ma Emilio non trovava la sua parte.
Cfr. Epitteto: ricorda che sei uJpokrith;" dravmato" ma non il regista. Tu devi recitare bene il ruolo
assegnato e scelto da un altro (17).
Il sentimento forte di Emilio era ancora
Angiolina. Il Sorniani gli fece sapere che Angiolina era fuggita con il
cassiere infedele di una banca. Emilio pensò: “M’è fuggita la vita” (p. 248)
Invece quella fuga vivacizzò i suoi dolori e i suoi risentimenti. Sognò
vendette e amore. Andò dalla madre di Angiolina cercando nuovi impulsi ai suoi
sentimenti affievoliti. Parla con la madre dicendo che aveva cercato di educare
la figliola, di segnarle la via retta. La vecchia Zarri singhiozzò.
Arrivò la sorella piccola che lo coprì di baci
tutt’altro che infantili. Lui ne provò nausea. Andò via e lo colse una grande
tristezza.
Rimase a lungo squlibrato e scontento. Si
sentiva come mutilato per avere perduto l’amore e il dolore. Con il tempo tornò
la tranquillità .
Anni dopo ricordava quel periodo come il più
importante della sua vita e il più luminoso. Nella sua mente di letterato
ozioso fece una sintesi tra Angiolina e Amalia. Pensava ad Angiolina con
ammirazione e desiderio. Ella divenne un simbolo che guardava l’orizzonte.
Sulla sua faccia rosea, gialla e bianca si riverberavano i bagliori rossi.
L’immagine concretava il sogno che aveva fatto accanto a lei, la figlia del
popolo che non aveva compreso. Quel simbolo ogni tanto si rianimava come donna
triste e pensosa. Pensava come se le avessero spiegato il segreto dell’universo
e della sua vita, piangeva come se nel vasto mondo non avesse più trovato un
Deo gratias qualunque.
Fine
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[32] Jaeger, Op. cit. p. 676.
[33] Cfr. la Medea di Seneca quando entra in scena Creonte che
manifesta timore per la donna barbara:"cui parcet illa, quemve securum
sinet?" (v. 182), chi risparmierà quella o chi lascerà in pace?
[34]Op. cit., pp. 663 - 664.
[35] Il quale nell'opera di Platone sostiene che facciamo il male
per ignoranza del bene, e, se solo conosciamo il bene. non possiamo fare il
male.
[36] Il piacere dell'ozio come sirena che distoglie dal fare cose
egregie è denunciato anche da Tacito nell'Agricola:"subit quippe etiam
ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur " (3),
infatti si insinua anche il piacere della stessa passività, e alla fine si ama
l'accidia dapprima odiosa.
[37] F. Nietzsche, fr. 9 (35) in Frammenti postumi 1887 - 1888.
[38] Cfr. La paura della donna, Catone il Vecchio in tito Livio e
Marziale: Inferior matrona suo sit, Prisce, marito/ non aliter fiunt femina
virque pares” (VIII, 12, 3 - 4)
[39]Il mestiere di vivere, 31 ottobre 1938.
[40]Il mestiere di vivere, 17 gennaio 1938.
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