Vediamo il
commento dei versi che verranno recitati (Elena, vv.894 - 943)
dall’attrice Bibi Bruschi a Siracusa il 24 maggio nel salone Paolo VI della
chiesa San Salvatore dove presenterò l’Elena e le Troiane di
Euripide.
Breve
introduzione
Elena non è
mai andata a Troia e si trova in Egitto prigioniera del re Teoclìmeno. Al posto
suo Era, contrariata per non avere vinto la gara di bellezza, mise nel letto di
Paride un ei[dwlon e[mpnoun oujranou` xunqei`s j a[po (v. 34), un fantasma che respira
plasmandolo dall’aria.
Elena dunque non è mai stata a Troia e la guerra raccontata da Omero fu combattuta per un fantasma.
"Sì sì, lei non era qui". Dice di Elena la Cassandra
di Christa Wolf. E
aggiunge:"Il re d'Egitto l'aveva tolta a Paride, quello stupido ragazzo.
Lo sapevano tutti nel palazzo, perché io no? E ora? Come ne usciamo, senza
perdere la faccia. Padre, dissi, con un fervore col quale non gli parlai mai
più. Una guerra condotta per un fantasma, può solo essere perduta"[1].
Si può pensare alle guerre del golfo scatenate per togliere al Saddam
Hussein delle armi che non aveva, armi fantasma inventate.
La
riabilitazione di Elena parte da Stesicoro (VII - VI secolo)
La Palinodia di Stesicoro viene citata da Socrate nel Fedro di Platone prima
della propria: “Oujk e[st j e[tumo~ lovgo~ ou|to~ - oujd j e[ba~ ejn
nhusi;n eujsevlmoi~, - oujd j i[keo Pevrgama Troiva~” ( fr. 11 Diehl citato da Platone Fedro,
243a, b), non è veritiero questo discorso e tu non andasti a Troia sulle navi
dai bei banchi, né sei giunta alla rocca di Troia
Un frammento dell’Elena di
Stesicoro dice che Tindaro sacrificando agli dèi,
dimenticò la sola Cipride, che dà doni delicati ai mortali, e la dea colwsamevna, adirata, rese le figlie di Tindaro digavmou"
te kai; trigavmou" due volte e tre volte mogli, kai;
lipesavnora" e donne che abbandonano i mariti (fr. 17D.),
Questo anticipa la poluavnwr di
Eschilo (Ag. 62).
A Sparta però questo
infamare Elena era offensivo quindi fu necessaria la Palinodia.
Stesicoro fu citarodo, un
cantore che si accompagnava con il suono della cetra e veniva pagato bene.
Ora veniamo
dunque ai versi che verranno recitati dall’Elena di Euripide.
La sposa non
infedele di Menelao dunque si prostra quale supplice ijkevti" (894) alle ginocchia della vergine
profetica Teonoe, la sorella del re d’Egitto Teoclimeno il quale vorrebbe
sposare la spartana riluttante:“Siedo in luogo non felice e prego per me e per
Menelao che ho appena ritrovato e sono sul punto critico di vederlo morto - ejp j
ajkmh'" katqanovnt j ijdei'n (897). Dunque ti prego di non dire sw'/
kasignhtw'/ a tuo
fratello di questo sposo giunto tra le mie braccia amorose e, per favorire il
tuo consanguineo, non smentire la tua pietà di prima th;n
eujsevbeian mh; prodw'/" th;n shvn pote (901) acquistando ringraziamenti malvagi e ingiusti.
Misei` ga;r oJ qeo;~ th;n bivan” (v. 904), dio
odia infatti la violenza e ordina di non acquistare con le rapine. La ricchezza
ingiusta deve essere lasciata perdere.: koino;~ ga;r
ejstin oujrano;~ pa`sin brotoi`~ - kai; gai` j (vv. 906 - 907), infatti sono beni comuni a tutti il cielo e la terra nella
quale coloro i quali si riempiono le case non devono possedere roba altrui né
portarla vià con la violenza”.
Sant’Ambrogio[2] nel De Nabuthae già ricordato da papa Francesco
scrive: “Non de tuo largiris pauperi sed de suo reddis” (53), non
concedi del tuo al povero, ma gli rendi del suo.
La storia di Nabot si trova nella Bibbia (I re, I, 21) Il re Achab voleva
comprare una vigna di Nabot ed egli rispose: “Il signore mi guardi dal cederti l’eredità dei miei padri. Allora
Gezabele, la mnoglie di Achab, istigò il marito e fece accusare Nabot da due
iniqui i quali lo calunniarono davanti al popolo dicendo che aveva maledetto
Dio e il re. Così Nabot venne lapidato.
Cotidie
Nabuthae sternitur, cotidie occiditur…Nescit natura divites, quae omnes
pauperes generat. Neque enim cum vestimentis nascimur, cum auro argentoque
generamur. Natura omnes similes creat, omnes similes gremio claudit sepulchri (Ambrogio, De Nabuthae,1
- .2) Dunque: “Nabuthae historia tempore vetus est, usu
cottidiana”.
“Per fortuna, ma anche per mia disgrazia continua Elena, Ermes mi affidò a
tuo padre il compianto Proteo perché mi custodisse (910) per il mio sposo che
ora è qui e vuole riprendermi. Come potrebbe recuperarmi se morisse? E Proteo
come potrebbe mai restituire i vivi ai morti? Considera ora la volontà del dio
e di tuo padre: il dio e il morto vorrebbero o no restituire i beni del
prossimo? (915 - 916) . Io credo di sì. Dunque non è necessario che tu conceda
più a un fratello folle che a un padre onesto (916 - 917). Se tu, che sei una
profetessa e credi di conoscere la volontà degli dèi, distruggerai la giustizia
del padre tuo e darai soddisfazione a un fratello ingiusto, allora sarà cosa
turpe che tu conosca tutte le cose divine, quelle presenti e quelle future, e
non quelle giuste ta; de; divkaia mhv” (v. 923).
Inserisco un’osservazione della tesi di una ragazza
che si è specializzata con me nella SSIS di Bologna: “Elena fa leva più
volte sull’amore per la giustizia proclamato da Teonoe: dal v. 920 al verso 923
ben tre volte si utilizza l’aggettivo divkaio~ in diversi casi”[3].
Io ho subito
tante ingiustizie: tutti mi odiano - jElevnhn ga;r oujdei;"
o{sti" ouj stugei' brotw'n - 926 - , sono famigerata in tutta la Grecia come quella che
ha tradito il suo sposo e ha abitato le case piene d’oro dei Frigi wJ" prodou's j
ejmo;n - povsin Frugw'n w/[khsa polucruvsou" dovmou" (Elena, 927 - 928).
Cfr. quanto rinfaccia
Ecuba a Elena nelle Troiane (vv. 991 - 997)
E tu
vedendolo nelle vesti straniere
Raggiante
d’oro impazzisti nell’anima.
In Argo
infatti ti aggiravi con poca roba,
e
allontanandoti da Sparta sperasti di sommergere
nelle spese
la città dei Frigi che ridondava
d’oro: non
ti bastava il palazzo di Menelao
per
trasmodare nelle tue lussuose dissolutezze.
Elena
continua: se potrò tornare in Grecia e mettere di nuovo piede a Sparta, gli
Elleni ascoltando e vedendo come i loro cari sono morti per gli inganni degli
dèi - tevcnai" qew'n ,
mentre io non ero traditrice dei miei - ejgw; de; prodovti" oujk a[r j hj
fivlwn (Elena,
931), mi porteranno di nuovo alla fama di castità, e potrò dare in moglie - ( eJdnwvsomaiv te
- eJdnovw do in moglie, e{dnon, dono nuziale) mia figlia che
nessuno altrimenti sposerà, e lasciata la presente amara condizione di
esule, ejklipou's j ajlhteivan pikravn (cfr. ajlavomai, vado errando) potrò godere delle
ricchezze che sono nel palazzo (935).
Aspirazioni borghesi.
Anticipazione della commedia nuova
Del resto
anche l’Edipo di Sofocle dopo essersi acciecato si preoccupa della futura
difficile sistemazione matrimoniale delle due figliole Antigone e Ismene, dati
i genitori
"E anche voi piango: infatti non ho la forza di guardarvi/pensando al
resto dell'amara vita/quale bisogna che voi due viviate a opera degli
uomini./Infatti a quali riunioni di cittadini andrete?/ A quali feste donde non
tornerete a casa / con il volto segnato dal pianto, invece di assistere allo
spettacolo?/Ma quando poi sarete giunte al momento migliore per le nozze/chi
sarà costui, chi vorrà azzardare, o figlie/di prendere tali infamie che, come
per i miei genitori,/ saranno ugualmente rovine per voi due?" (Edipo re,
vv 1486 - 1495) -
Elena
dunque supplica Teonoe di aiutarla e di mostrarsi degna del padre suo, del
defunto Proteo che l’aveva custodita e rispettata - “Questa infatti per i figli
è la rinomanza più bella - paisi; ga;r klevo" tovde - kavlliston (Elena, 941 - 942), che
uno nato da un padre per bene giunga allo stesso grado dei genitori nei costumi
(vv. 942 - 943).
giovanni
ghiselli
Nessun commento:
Posta un commento