Nefertiti I. La relazione sfasata e stonata, priva di ritmo.
Dieci anni dopo l’approdo alla riva cui mi ero aggrappato in seguito al rovinoso naufragio dei miei atroci ventanni, dunque tornai nella cittadina universitaria dove avevo trovato le amicizie e gli amori che ho raccontato non solo per riviverli e rigioirne, ma anche per mostrare ai giovani di oggi come sia possibile vivere senza rinnegare né celare la propria identità, il proprio bisogno di affetti, la propria cultura, e quanto sia meglio impiegarle con forza e metterne in risalto gli aspetti migliori per valorizzarli .
So che adesso le qualità intellettuali e morali che mi hanno salvato sono difficilmente riconosciute e apprezzate: vengono, anzi, spesso ignorate, talora derise come stravaganze, tanto sono rare, o persino colpevolizzate.
Ora sono “normali”, cioè usuali, l’indifferenza, l’ignoranza, l’obesità, ruffianeria, baratteria e simili lordure. Chi è capace di serietà, disciplina, spirito di sacrificio passa per matto.
Del resto già nel 1976 cui siamo arrivati tante parole buone e molte immagini belle apparse e divulgate tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta erano sparite o erano mutate in peggio.
Infatti durante il mese di vacanza che mi accingo a raccontare incontrai una ragazza che non aveva lo spirito sul quale il mio potesse gettare un ponte dove creare le intese necessarie alla nascita delle fusioni spirituali vissute con le tre finlandesi per un mese ciascuna.
Con la donna incontrata alla festa della conoscenza del 1976 invero non mancò la mescolanza dei corpi. Questa però da sola non crea la gioia. Quella sera, dopo poche parole, facemmo l’amore in fretta e furia dentro la mia automobile. Iniziava una relazione sfasata. Non eravamo sintonizzati. Avevamo ritmi diversi
Non lo trovammo mai nei giorni seguenti.
L’ultima amante dell’ Università estiva di Debrecen era italiana e siciliana. Un poco esotica anche questa dunque. Una bruna di ventitrè anni, non volgare e piuttosto carina. La ricorderò come Nefertiti siccome dicevano che assomigliasse alla moglie del faraone eretico adoratore del sole Amenofi IV-Ekhnaton, quasi un correligionario per me.
Questa ragazza pienamente mediterranea, di aspetto piacente, però era mentalmente lontana dai miei gusti. Durante quell’estate lontana dunque imparai che una donna giovane, educata, gradevole non basta a evitarmi la sghignazzata del diavolo e la conseguente tristezza dopo la copula.
Ricordo un tardo pomeriggio di agosto quando oramai avevo capito bene che non stavo vivendo il quarto amore di Debrecen. Camminavo con Fulvio, l’amico che era tornato nella nostra accademia estiva dopo cinque anni di pausa. Cominciava a essere stanco della moglie. “importante è non stancarsi mai del sole”, gli dissi ricordando la caduta di Macbeth.
Eravamo sul ponte a nove arcate che a Hortobágy sormonta una palude di canne e zanzare.
Nefertiti era rimasta con un’amica dentro la csárda dove i violini zigani suonavano le danze ungheresi di Brahms accompagnati dai cembali.
Durante le settimane precedenti avevo litigato da amanti balordi quali eravamo: ci mancavano interessi r argomenti comuni di cui parlare senza noia e senza ira.
Voglio dire che l’unico modo per sentire qualcosa, compreso il desiderio sessuale, già dopo un paio di giorni giorni, era litigare con astio su questioni senza importanza, quisquilie che infatti nemmeno ricordo.
Qualche volte superavamo il limite dell’emozione cattiva eppure, e- pure, eccitante: quel pomeriggio la sensazione di entrambi era prossima allo schifo e non ci consentiva più di rimanere vicini.
Mentre camminavo con Fulvio sul ponte che attraversava la palude malsana sotto di noi, il cielo sopra di noi nel tardo pomeriggio era scuro, afoso, opprimente, e nella puszta davanti a noi si vedeva una folla di turisti avidi di fotografare i cavalli incalzati dalle fruste schioccanti dei butteri, i bovi dalle lunghe corna, i porci neri dalle candide zanne e i tipici pozzi del luogo muniti di antenne come tanti televisori. Da tutte le parti soffiava un vento caldo che sollevava una polvere, o sabbia, di granelli neri, aguzzi e piccanti che si ficcavano dentro i miei poveri occhi dove le lenti a contatto li sfregavano contro la cornea aggravando il mio strazio.
Pregai: “ [Erw" [Erw" , mhv moi pote su;n kakw`/ faneivh"-mhvd j a[rruqmo" e[lqoi"”[1]
Nota
[1] Euripide, Ippolito v. 525 e vv. 528-529, Eros Eros (…) non mostrarti mai a me con del male e non venire privo di ritmo.
XX Nefertiti Il dialogo con Fulvio.
Fulvio era uscito dalla csárda con me per darmi conforto. Dal 1966 era il mio amico migliore e il mio demone buono. Quel pomeriggio ne avevo bisogno. Provavo dolore dopo il litigio assurdo con la mia amante. Soffrivo poprio per l’insensatezza dello scontro, tanto che non ne ricordo causa né contenuto. Probabilmente un conflitto per il potere, potere su nulla del resto. “Non c’è cosa più amara del vuoto e della stupidità. Non ne posso più di quella cretina”, dissi.
L’amico rispose: “Gianni, devi rassegnarti all’imperfezione dell’amante. Sei troppo reattivo. Una donna come la cerchi tu non esiste su questa terra.
Dopo quattro anni di matrimonio con una non spregevole, laboriosa, fedele, io sono tornato a Debrecen senza peso preponderante di sposa. Questo è il decennale della nostra amicizia. Dovresti esultare pensando a come eri quando ti conobbi. Sei rifiorito in maniera miracolosa. Sei riuscito a dominare i mostri della notte che avevi dentro, a inserirli nel culto degli dèi. I nostri dèi che non sono falsi e bugiardi. Il mio Dioniso e il tuo Apollo. Non senza Afrodite, Eros e il loro assistente Priapo. Dèi grandi.
Tu, coerentemente, fai collezione di amanti. Nefertiti è attraente. Pensa alla fame sessuale e affettiva del ’66. Ricordo che ti lamentavi in continuazione e dovetti minacciarti di bastonate quando dicevi male della vita e di te stesso”.
“E facesti bene, amico carissimo: mi hai salvato”.
“Lo so. Ma ora non ricadere nel dolore insensato. Questa tua di adesso è una ragazza gradevole, del tutto gratuita: non ti chiede nessun impegno.
Che ti importa se capisce poco o niente? Difficilmente una donna, come un uomo del resto, può confrontarsi alla pari con una persona della nostra levatura mentale. Per giunta Nefertiti ha dieci anni meno di te”.
“Tu non le hai conosciute, perché nel ’71 partisti anzi tempo, poi non sei più venuto, ma io qui ho vissuto tre mesi di piena gioia con tre donne non meno intelligenti di me.”
“Rarissimae aves”, fece l’amico. Sempre che tu non abbia applicato a quelle tre un’idea partorita dalla tua stessa estasi.
Allora pensai: “Fulvio è ottimo ma non capisce le donne”.
Invece risposi: “veramente il parto riguardava la prima e la terza”.
Poi, pentito per la battuta sgradevole e lacrimando per la polvere entrata negli occhi, seguitai: “Hai ragione, Fulvio, smetto di lamentarmi: mi è andata bene così. Mi vergogno e mi pento di essere ingrato a quelle donne benedette che mi hanno aiutato, e a te che ci sei ancora.
Però dopo la sparizione della terza finlandese io vivo senza l’amore e impiegherò il resto della mia vita mortale nel cercarlo. Lo studio e lo sport sono mezzi: il fine, la borsa di studio, è la donna bella, fine, intelligente, colta che mi merito. Ne trovai tre e credo che ce ne saranno altre”.
“Nemmeno il dieci per cento
dunque, contando tutte quelle che hai conosciuto fino a questo momento. La
caccia alla donna ideale è aleatoria. Comunque te la auguro con tutto il cuore.
Ma per mia esperienza, invero ne ho meno di te che cerchi compulsivamente
l’amore, la tua donna ideale è davvero ideale. Forse la troverai nella Pianura
iperurania della Verità[2]
quando ci risalirai, il più tardi possibile. Ma qui, su questa piana terrestre
accontentati: Nefertiti è carina, ha un’educazione accademica, è ben vestita, è
pulita. Non è poco”
“Per me non è abbastanza. Quest’anno nell’Università estiva e internazionale ho
cercato l’amante italiana per parlare meglio e di più, ma sai quanto erano migliori
le finniche! Potevamo ragionare di
Eschilo o di Hegel, di Marx o di Freud , comprendendo e facendo capire tutto, seppure
in inglese . Questa non capisce niente:
è la piattezza, anche se ha mammelle unbertose: è un piatto di carta con del
cibo freddo.
Il mio nutrimento, Fulvio caro, è lo spirito. Come il tuo. Tu una volta dicesti che bisogna sempre tenere un piede nella passera. Bene: io cerco quella spirituale e non so che farmene di una sciocchina dispettosa. Noi due per nutrirci la mente leggiamo molto, riflettiamo su tutto, poi per mantenere la salute, anche quella mentale, andiamo a correre a piedi o in bicicletta. Tiro avanti così, ma non sono felice: non mi piace stare sempre solo e mi garba ancora di meno annoiarmi in compagnia. Scusa, ho gli occhi pienni di polvere. Non è che pianga, però davvero non sono felice. Tu, vecchio mio, sei uno dei pochissimi con cui riesco a parlare. Con quasi tutti gli altri devo subire delle chiacchiere e replicare con battute sarcastiche per rinceffare le parole vuote o bugiarde dei ceffi che mi danno fastidio ”.
“Consolati gianni-concluse l’amico-Io sono sposato da anni e non con una cretina, ho una figlia che amo, però quando voglio nutrirmi nello spirito devo isolarmi. Tu le situazioni angoscianti con le donne le cerchi siccome hai molto di femminile dentro di te e provochi le tue compagne perché facciano uscire le parti peggiori dell’anima loro dove tu possa riconoscere le tue per liberartene . E’ il gnw`qi seautovn, to; Delfiko;n gravmma, la scritta dell’ombelico del mondo che ti spinge a collisioni continue..
“Con le tre finniche non collidevo”
“No, però ti hanno lasciato tutte e tre. Eri troppo impegnativo e scomodo amante anche per loro. Ricordi? Kaisa ti disse che eri un ottimo amante giusto per una vacanza lontana da casa.
“Aveva ragione. Il fatto è che persone come noi non sono portate per il matrimonio né per la convivenza”, replicai
“Io almeno ci ho provato, ci sto provando ancora, pur con grande fatica. Ora sto facendo un intervallo”.
“Io ne ho sempre avuto paura. Anzi ho sentito il terrore di perdere l’autonomia, cioè la pienezza della mia vita fatta di studio, di sport e di amori, o presunti tali, ma ognuno a casa sua”
“ Lo so: tu sei fatto così, e la prova che sto ancora affrontando mi fa capire questa tua guardia alzata, questo tuo allarme.
Però non dimenticare il primo stasimo delle Baccanti
“Breve è la vita: per questo
uno che insegue grandi fantasie
non può conseguire quello che c’è”.
Colsi l’occasione per ripetere in greco le prime parole , cosa che piaceva tanto a me quanto all’amico: “bracu;" aijwvn, ed è proprio perché è tanto tremendamente breve la vita che voglio viverla in pieno. Per questo non ho saltato le estati passate chiudendomi in casa con una mogliettina e mangiando ciascuno una mezza mozzarella per non aggravare il bilancio: qui ho trovato tre volte le Grazie, qui il desiderio, qui mi è stato lecito, come alle baccanti, celebrare l’orgia sacra benedetta da sacerdoti santi, i nostri amici Danilo, non meno dionisiaco di te, Claudio e Alfredo. Durante la luce e le amabili notti ho passato mesi felici. Cipride aleggiava nell’etere seminando l’amore”
“Capisco-mi fece concludere opportunamente l’amico- Adesso però torniamo. Sarebbe scortese farle aspettare ancora”.
Gentile, gentiluomo di Parma.
giovanni ghiselli
Nota
[1] Cfr. Platone, Fedro, 248 b: “ jAlhqeiva" pedivon”
Nefertiti III
Il disdegnoso gusto di crogiolarsi nell’angoscia .
Di questa donna mediterranea mi è rimasta impressa nell’anima una sola frase memorabile. Quel tardo pomeriggio dell’agosto del 1976 rientrai nella csárda con il volto più annuvolato del cielo che già iniziava a versare gocce sulla polvere nera, su oche, turisti, butteri e cavalli volti in fuga dalla pioggia e dalle minacce del tempo che venivano intensificandosi con tanto di lampi e di tuoni, mentre le mucche dagli umidi musi brucanti, i buoi dalle corna ritorte, gli smisurati maiali e i porcellotti tondi, edaci come i bambini obesi traviati da genitori grassi e dementi, continuavano a frugare il terreno in cerca di cibo.
Appena ebbi ripreso il mio posto accanto a lei, Nefertiti mi disse: “Tu, meschino, ti crogioli nell’angoscia con gusto perverso”
Risposi che il prossimo dotato di mente e di stile non mi ha mai indotto al disdegnoso gusto che certuni mi ispirano. Pensavo alle tre finniche dei primi anni Settanta che erano sì speciali, di una specialità , del resto, non del tutto rara in quegli anni. Li ricordo come l’età dell’oro di questa mia vita mortale. Sembra incredibile ora, ma allora erano, per così dire, anche di moda, almeno tra le persone educate e attente, la cortesia, l’aiuto reciproco, persino la benevolenza. Passò rapida quell’età e anche voi siete andate via finniche mie.
La fine per me fu segnata dall’epilogo tragico, non senza catastrofe, della storia di Päivi. Anche tu come Helena, come Kaisa, passasti.
Eravamo nell’autunno del 1974, se lo ricordi, lettore.
Per me quella dei primi anni Settanta non è stata una moda: ancora oggi gradisco solo i rapporti che conservano quell’impronta nobile e antica.
Gli altri non li sopporto più, sicché non ricado nell’angoscia causata dalla frequentazione di persone egoiste, arroganti, spietate o le radunanze obbligatorie con divesi imbecilli.
Bologna 15 maggio 2024 giovanni ghiselli
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