Nel 1972 ero rimasto a Debrecen fino al 21 agosto per vedere il carnevale dei fiori e passare altre due notti con Kaisa nel collegio dove, partiti diversi altri, ero riuscito a procurarmi una camera tutta per me, cioè per noi due.
“Qual rugiada o qual pianto,
quai lagrime eran quelle”? Erano lacrime di gioia, di purissima gioia.
Quelle notti furono tra le più belle della mia vita mortale e pure della tua Kaisa. Ricordi anche tu? Penso di sì. Dopo ce ne furono altre, non centinaia, no purtroppo, ma diverse decine sì, e conobbi meravigliosamente anche loro, però notti tanto allegre non le ho più vissute. Non facevamo calcoli. Presto, prestissimo anzi, sarebbe finito tutto il vissuto insieme e potevamo carpere noctes senza preoccupazioni.
Dicesti:” tornerò da mio marito. Tu sei stato un ottimo amante in vacanza; come sposo casalingo non ti ci vedo però.
“Io nemmeno”, risposi, sei stata la più intelligente, colta e carina tra le mie donne”.
Nel 1979 invece già il 17 sera volevo partire al più presto: il 18 mattina, pur senza anticipare il ritorno a Bologna. Questo infatti poteva significare sottomissione al volere prepotente e insidioso della donna oramai più odiata e disprezzata che amata. Calcolava e mi costringeva a calcolare. Sono sempre stato ostile ai numeri e refrattario a studiarli, a considerarli.
Prima dell’ultima cena volli correre i 5000 metri per l’ultima volta. Volevo migliorare il tempo precedente. Gianni agonista neppure l'ultima sera poteva sfuggire alle prove. Il mio agonismo, sebbene talora abbia avuto una componente mistica, non è mai stato folle. L’ho quasi sempre messo in rapporto con un qualche fine ragionevole: sopra tutti il rafforzamento dello spirito e quello del corpo. Mai l’ho praticato per la loro mortificazione. La mia ascesi è quella pagana
“Se batto il record, mi dissi, la relazione con Ifigenia seguita, altrimenti finisce”. Generalmente tale prova funziona siccome una donna, se mi piace davvero, accresce le mie energie mentre la penso e agisco per lei. Così vedo se quella femmina umana può infondermi forza. Nel caso, ella merita un contraccambio di impegno e pure di sacrifici. Per una che tutto sommato accresce la mia potenza, vale la pena affrontare prove anche tremende. Non è Nemesi soffrire per tali vittorie, davvero olimpiche. Dunque passai in collegio a prendere le scarpe per correre, poi andai allo stadio situato mezzo chilometro a ovest dei collegi. Il sole purpureo era vicino a tramontare: stava in bilico sopra lo spigolo sinistro della casa bianca posta dietro la pista, prossimo già a cadere nella terra scura dove si sarebbe riposato. Aspettavo di dargli la buona notte come faccio ogni sera. L’aria era calma. Feci egregiamente la corsa. “Questa è la spinta o il risucchio di Ifigenia”, pensai. Avrei potuto fare anche meglio: scendere sotto i 18 minuti e 30 secondi se poco prima della linea di arrivo non fossi stato costretto due volte ad allungare il percorso per schivare una ragazzina e la palla rossa con la quale giocava.
“Gettando una palla purpurea-ricordai- Eros chiomadoro mi sfida ancora a giocare con una fanciulla dal sandalo screziato”[1].
Non mi fermai a giocare ovviamente, però pensai che qualcuno o qualcuna potesse incepparmi il cammino.
Era comunque un segno del destino. I segni non sono mai vani, né completamente oscuri: a saperli osservare con intelligenza ci danno avvertimenti preziosi. Ce li manda Dio, chiunque egli sia. In ogni caso quello che spetta al destino, anche se è preannunciato, non è possibile evitarlo: “quae fato manent, quamvis significata, non vitantur”[2].
Note
1O1 Anacreonte: “sfaivrh/ dhu\tev me porfurevh/
bavllwn crusokovmh" [Erw"
nhvni poikilosambavlw/
sumpaivzein prokalei`tai”(Anacreonte fr. 5 D. vv. 1-4)
102Tacito Historiae, I, 18.
Bologna 7 maggio 2024 ore 12, 10 giovanni ghiselli
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