giovedì 19 settembre 2024

Ifigenia LXXV. Una collega quasi simpatica. Est, est, est.


 

La sera del 23 marzo ero di nuovo a Viterbo, questa volta in gita scolastica.

Ifigenia a Bologna si aspettava una telefonata che non potei farle. Quando la vidi un paio di giorni più tardi mi disse che aveva passato diverse ore vicina al telefono aspettando che la  chiamassi. Veramente ne venni ostacolato ma sappiamo tutti che se uno ha tanta voglia di fare una cosa come telefonare, trova il modo di farla. Dopo la cena in effetti mi ero messo in fondo a una piccola fila di giovani rumorosi in attesa del mio turno di fare la chiamata promessa.

A un tratto mi si accostò una collega  simpatica, Teresa, una cinquantenne ben messa e vispa davvero. Aveva in mano un grosso cartoccio grigio e un poco unto.

Disse: “vieni Gianni Ghiselli,  vieni con me: ti faccio assaggiare un’offa buona da impazzire.

“Cioè? Che cosa mi offri? Una prelibatezza locale, un lusso adatto a un ventre  erudito? Ogni budello mio  è quasi analfabeta, abituato com’è a pane ordinario e rape cotte. Quando va bene un morso di cacio”, le dissi per stare al gioco.

“Una sorpresa” rispose a bassa voce protendendo l’offerta che mandava odore di porchetta molto pepata.

Ero incuriosito dalle mosse della donna che all’epoca consideravo troppo matura viro, ossia per il vir  che ero allora, non ancora trentacinquenne.

Salimmo dunque nella sua camera. Quando fui entrato, la signorina appoggiò l’involto sopra un tavolo, lo spalancò con mossa rapida, quasi felina e disse: “guarda che meraviglia! Mezzo chilo di porco cotto e drogato!”.

Mi venne in mente un capitolo dell’Ulisse di Joyce che stavo studiando: “Calipso, la colazione”

La vispa seguitò: “ Il cibo sciapo del ristorante non mi ha appagata. Sicché ho girato qui intorno cercando una rosticceria e ho trovato questa delizia.

Poi c’è una seconda prelibatezza: una bottiglia di vino vero, sostanziale, tre volte essenziale: Est, Est, Est di Montefiascone!” E lo tirò fuori dall’armadio posandolo sul tavolino accanto alla porchetta.

La cena era stata davvero modesta ma non mi ero meritato di più con il  movimento perciò non allungai le mani sulla carne di porco che pure mi piace. La collega invece prese il pezzo più grosso e pepato, quindi me lo allungò dicendo: tieni caro collega, ti offro il boccone più grande e più condito, un brano di carne sapida e palpitante:  sei giovane e snello: goditi la vita!”

Devo chiarire che questa donna era una brava insegnante e aveva una buona educazione. Era carina e umana. Quando parlava si teneva a metà tra l’ironica predilezione crepuscolare per le buone cose di pessimo gusto e il compiacimento felliniano della mostruosità stupefacente. Tutto con ironia.

Risposi che la sua ospitalità era regale, ma io non avevo fame. Ne avrei mangiato un pezzo il giorno dopo se me l’avesse serbato.

“Non sai  quello che perdi, ghiselli. La porchetta oltretutto è un ottimo afrodisiaco. Ovidio  nell’Ars amatoria consiglia :"bulbus et, ex horto quae venit herba salax/ovaque sumantur, sumantur Hymettia mella/quasque tulit folio pinus acuta nuces", tu me lo insegni ma io ti avverto che questo boccone è più efficace. Vero è però che tu con la splendida ragazza che hai tra le mani non hai bisogno di altri stimoli. Sicché non insisto. Il vino essenziale  però devi accettarlo.

“Sì volentieri, collega, compagna e cara amica Teresa”.

        

 

Mentre si beveva un poco di questo vino ontologico parlammo  di D’Annunzio, in particolare del romanzo Il piacere con il protagonista che aveva sostituito il senso morale con quello estetico.

 

A un tratto Teresa mi fece una domanda che mi spiazzò: “quanto bene conosci la giovane collega che frequenti?”

“Abbastanza bene”

“Allora ti sarai accorto che è un’avventuriera”

“Può darsi, comunque mi piace. Da quando la frequento mi trovo visco concupiscentiae expeditus, liberato dal vischio della concupiscenza per altre donne. Mi ha liberato da un tiranno furente e selvaggio: quello che mi costringeva a provarci con tutte: dalla giornalaia, alla bidella alla tabaccaia.

“Capisco: è davvero bella. Peccato che sia cretina: se fosse anche intelligente potrebbe conquistare la terra con quell’aspetto”.

 

Questa volta la “cara collega” mi aveva indispettito, prima dicendo che la mia compagna era scema, poi aggiungendo che se fosse stata meno imbecille avrebbe conquistato vette molto più alte della misera duna sabbiosa costituita dal pofessorucolo di ginnasio che ero io.

 

Tuttavi risposi con civiltà: “Per quanto la conosco sinora, Ifigenia non è una cretina, anzi è una ragazza non priva di genio. Quanto a successivi traguardi, ha tutto il tempo per raggiungerli data l’età”

“Ma quali traguardi? E’ un’oca sesquipedale! Tu sei già troppo per lei! Non è della tua levatura!”

“ A me va più che bene. Il vino era buono. Grazie davvero”.

 

Dire “grazie davvero” invece del semplice “grazie” è un segno di   irrisione o di perfetta idiozia. E’ sufficiente a marchiare l’imbroglione, il ruffiano o l’imbecille.

L’amica che era intelligente, oltre che maliziosa, replicò: “grazie davvero? Non per finta?”

“Scusa, il davvero è riferito al fatto che ora vado a dormire. Ciao Teresa. Se i fatti daranno ragione alle tue parole, te lo farò sapere. Buona notte”.

 

Mi aveva comunque turbato perché in quella ragazza c’era qualcosa che non mi convinceva, a parte i tripudi nel talamo pieni di piacere e di gioia.

Il senso estetico e quello edonistico erano più che soddisfatti ma quello etico era carente.

Data l’ora non le telefonai: non sapevo nemmeno con chi vivesse.

Sicché andai a fare due passi per le strade deserte di Viterbo, quindi tornai in camera mia a dormire da solo. E mi andava bene così.

Quando raccontai questo episodio a Ifigenia, la ragazza disse che quella nostra collega era una brava professoressa e una donna non del tutto fallita.

 

Pesaro 19 settembre 2024 ore 18, 49 giovanni ghiselli

 

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1621358

Oggi210

Ieri280

Questo mese6056

Il mese scorso10909

 

 

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia LXXVI e LXXVII

  Ifigenia LXXVI. Il sogno del prato di Sorte   La notte sognai. Sognai Ifigenia   in forma di falce di luna brillante ma tanto so...