Strofe III
Dagli dei infatti tutte le risorse macanai; pa`sai provengono alle virtù mortali/
e da loro sono nati i saggi -sofoiv- e i forti di mano cersi; biataiv
e gli eloquenti- perivglwssoi- . Quell’uomo-Ierone-, io
desidero lodare e spero
di non scagliare fuori dal campo
il giavellotto dalle guance di bronzo -calkopavraon-
come fa chi lo vibra con la mano,
ma di superare gli avversari con lunghi lanci.
Così il lungo tempo gli indirizzi prosperità
e dovizia di beni e, gli procuri oblio delle pene
Dagli dei dunque derivano i talenti, le capacità eccelse e virtuose dei mortali. Tanto quelle mentali quanto quelle fisiche.
Pindaro augura a se stesso di trovare per l’encomio di Ierone le parole appropriate che siano come giavellotti più veloci e precisi di quelli dei suoi rivali. L’epiteto calkopavraon dalle guance di bronzo si trova nell’Iliade (XX, 397) riguardo all’elmo, mentre qui si riferisce alla punta allargata dal rivestimento di bronzo.
Il tempo deve avere la doppia funzione di mantenere la rotta verso il successo e di annientare il ricordo delle pene. Dai successi si impara come si deve fare.
E anche gli insuccessi invero non si devono dimenticare perché insegnano come non si deve fare. Perciò è bene mettersi alla prova spesso.
Antistrofe III
Che certo a lui-Ierone- il tempo possa ricordare a quali battaglie non cedette- Imera 480-Cuma 474-
in guerra con animo audace tlavmoni yuca`/
quando per mano dei numi trovavano- euJrivskonto- l’onore
quale nessuno miete tra i Greci,
nobile coronamento di ricchezza.
Il verbo al plurale include nelle vittorie i fratelli di Ierone: Gelone a Imera sui Cartaginesi (480), poi Polizelo e Trasibulo a Cuma (474) su gli Etruschi
E ora seguendo l’esempio di Filottete
si è portato a combattere
e un tracotante –Trasideo figlio di Terone che morì nel 472-
con la necessità lo lusingò come amico.
Per la vicenda di Filottete suggerisco la lettura della tragedia di Sofocle Filottete.
In questa ode Pitica I l’antico eroe viene preso come paradigma mitico di Ierone siccome entrambi andarono in guerra pur ostacolati dal male.
Plinio il Vecchio ci informa che in quegli anni a Siracusa c’era una statua di Filottete claudicante molto realistica: “cuius ulceris dolorem sentire etiam spectantes videntur” Naturalis Historia XXXIV, 59. Era opera di Pitagora di Reggio-V secolo- La guerra in questione in questa Ode di Pindaro è probabilmente una vittoria di Ierone sulle truppe acragantine guidate da Trasideo figlio di Terone poco prima del 470. Trasideo fuggì e gli Agrigentini inviarono ambasciatori per chiedere la pace
Pindaro continua a raccontare di Filottete figlio di Peante,
Narrano che eroi simili a dèi vennero
Per trasferire da Lemno
Epodo III
Il figlio di Peante-Filottete- arciere toxovtan consunto dalla piaga;
colui che distrusse la città di Priamo,
e pose fine ai travagli dei Danai,
muovendo con un corpo debole- ajsqenei` crwti; baivnwn-, ma era destino alla; moirivdion h\n.
Nel Filottete di Sofocle sono il subdolo Odisseo e lo schietto Neottolemo gli eroi greci che andarono a Lemno per portare a Troia il commilitone piagato senza le cui armi- arco e frecce ereditate da Eracle- la città di Piamo non sarebbe stata conquistata secondo l’oracolo.
Filottete dunque diede il contributo necessario alla vittoria sui Troiani come Ierone sconfisse gli Etruschi a Cuma, sebbene entrambi non fossero in salute. Tutti e due erano claudicanti: Ierone era afflitto da calcolosi vescicale, Filottete aveva una piaga fetida prodotta dal morso di un serpente. Ne verrà guarito a Troia da Podalirio e ucciderà Paride.
Così sia per Ierone il dio che raddrizza- qeo;~ ojrqwthvr- cfr. rex.
nel tempo che viene. Dandogli l’occasione di quanto brama.
Musa, anche presso Dinomene, esaudiscimi
nel cantare il premio della quadriga;
non è gioia straniera la vittoria di un padre.
Avanti dunque per il re di Etna
Troviamo un inno gradito fivlion u{mnon.
Il padre è Ierone che nominò il figlio Dinomene reggente di Etna.
Strofe IV
“Per lui fondò quella città Ierone con la libertà
costruita dagli dèi secondo le leggi della norma di Illo.
Per il figlio Dinomene dunque Etna, la città, fu costruita da Ierone.
Illo è figlio di Eracle e Deianira, tre personaggi della tragedia Trachinie di Sofocle.
Vogliono i discendenti di Panfilo-figlio di Egimio-
e certamente degli Eraclidi
che abitano sotto le balze del Taigeto
rimanere sempre dentro le leggi di Egimio-guidò gli Eraclidi dalla Doride al Peloponneso-,
siccome Dori. Occuparono Amicle nella prosperità,
mossi dal Pindo,
vicini di antica fama dei Tindaridi dai bianchi puledri,
e di questi fiorì la gloria della lancia.
Egimio è il capo che guidò gli Eraclidi e gli altri Dori nel Peloponneso dalla sede originaria nella regione Doride tra Locride e Focide non lontana dalle pendici meridionali del monte Pindo.
Panfilo era figlio di Egimio.
Tucidide nomina la Doride come th;n Lakedaimonivwn mhtrovpolin (I, 107, 2) la madre patria dei Lacedemoni. Di là dunque partirono gli Eraclidi per tornare nel Peloponneso i Dori guidati da Egimio che adottò Illo associando nella regalità i discendenti di Eracle con i propri.
I Tindaridi erano i figli di Leda e di Tindaro diventati poi i Dioscùri.
Zeus era il padre di Polluce, Tindaro di Castore. Polluce immortale cedette a Castore mortale metà della propria immortalità.
Amìcle è un altro luogo cardine della geografia mitico storica dei Dori.
E’ un piccolo centro vicino a Sparta ed è legato al passato predorico della Laconia. Fu uno delle ultime località del Peloponneso acheo a cadere in mano ai Dori.
L’Iliade nel catalogo delle navi mette jAmuvkla~ (II, 584) tra i luoghi del dominio dello spartano Menelao.
Quanto al Taigeto è la catena montuosa che va dall’odierna Kalamata a Sparta.
Mi sono soffermato piuttosto a lungo su questa geografia ricordando con amore i miei tanti giri ciclistici della Grecia.
Quanto al Taigeto l’ho scalato da Kalamata alla cima (km 33, 12) in bicicletta in 2 ore, 14 minuti e 27 secondi, alla media di 14, 7 Km all’ora, all’età di 62 anni e 8 mesi. Quando passai sulla cima, da solo, avendo staccato i compagni, un pastore mi gridò: “italiano, italiano, mia faccia, mia razza”.
Non avevo targhe né una bandierina italiana. Fui contento di essere stato individuato come italiano tipico e di essere stato assimilato ai greci che amo. Mi venne in mente una ragazzona norvegese che quando le chiesi di non dire che ero italiano perché mi davano fastidio i turisti italici che cercavano di approfittare della povertà delle ragazze magiare, mi disse: “it is hardy credible, you are so typical !”. Anche questo mi piacque.
Antistrofe IV.
Zeus che tutto compi, fai che il discorso vero degli uomini- e[tumon lovgon ajnqrwvpwn-
aggiudichi sempre tale sorte-di gloria-
ai cittadini e ai re presso l’acqua d’Amĕna
L’Amena è il fiume che attraversa Etna-Catania, oggi si chiama Amenano e ha un corso sotterraneo. Sfocia presso il porto. I cittadini di Etna erano Dori
Il discorso vero relativo a Elena secondo la Palinodia di Stesicoro (VII-VI secolo) non è quello tradizionale relativo alla fuga con Paride, che leggiamo nelle parole di Omero e di Saffo per esempio.
–oujk e[st j e[tumo~ lovgo~ ou\to~ fr. 192, 1 Page –, scrive Stesicoro
Secondo questo poeta, poi anche a detta di Euripide nella tragedia Elena, la splendidissima figlia di Zeus non andò a Troia e rimase fedele al marito Menelao. Paride portò con sé uno spettro con le sembianze di Elena, mandato dagli dèi per provocare la guerra.
Ricordo questa versione del mito di Elena per attribuirlo alle Elene mie, quella di Praga e quella di Yväskylä, donne di rara kalokajgaqiva.
Con il tuo favore-Zeus- l’uomo condottiero –Ierone poi Dinomene
dando poi istruzioni al figlio, rispettando il popolo,
lo volga a un’armoniosa concordia- suvmfwnon ej~ hjsucivan-.
L’ordine cosmico presieduto e garantito da Zeus deve essere rispecchiato dall’armonia concorde della musica e della polis. E da quello di ciascuno di noi. Se il nostro disordine cozza con l’ordine cosmico scoppia la tragedia
Ti prego, consenti, Cronide, che il Fenicio
si trattenga sempre nella sua dimora tranquilla
e il grido di guerra- ajlalatov~- dei Tirreni cessi
dopo avere visto la tracotanza che piange le navi davanti a Cuma.
Pindaro auspica che i Cartaginesi battuti a Imera nel 480 e i Tirreni (Etruschi) confitti a Cuma nel 474 dai Dinomenidi non osino riprendere la guerra.
Il 2 giugno 2024 ho visto in televisione la sfilata delle forze armate svoltasi a Roma tra il Colosseo e piazza Venezia.
Bene organizzata e preparata, non sgradevole.
Tuttavia non priva di accenti che glorificano la guerra con toni pericolosi,
per lo meno inquietanti. Un rimedio alla inquietudine mia e forse di tanti altri sarebbe che l’inno nazionale suonato diverse volte e cantato per la festa della Repubblica da Baglioni, sostituisse il bellicoso, funereo, male ominoso “siam pronti alla morte” con “siam pronti alla vita”. Proporrei anche“riuniamoci a scuola” piuttosto che “stringiamoci a coorte”
Epodo IV
(Il Fenicio vinto ha visto)
Quali sofferenze patirono domati dal comandante dei Siracusani- Ierone-
Un disastro che dalle rapide navi gettò nel mare la gioventù -fenicia-
tirando fuori la Grecia - JEllavd j da un grave servaggio.
La Grecia- JEllavd j può intendesi come Magna Grecia e anche come la madre patria culturale di tutta l’Europa, nel senso che Cartaginesi ed Etruschi se avessero sconfitto e sottomesso i Siracusani avrebbero seguitato a espandere il loro potere e la loro
cultura. Per quanto riguarda questa, furono piuttosto i Greci e conquistare culturalmente l’Europa attraverso il tramite della lingua latina.
Cfr. Orazio:"Graecia capta ferum victorem cepit et artes/intulit agresti Latio”. Epistole , II, 1, vv.156-159)
Avrò da Salamina la gratitudine degli Ateniesi
come compenso, e a Sparta racconterò la battaglia davanti al Cicerone-quella di Platea del 479-
dove si esaurirono i Medi dagli archi ricurvi,
ma presso la sponda dell’Imera ricco di acqua
canterò, dopo averlo composto, un inno per Dinomenidi
tributo che ricevono per il loro valore
subìto dagli uomini battuti.
La battaglia davanti al Citerone è quella di Platea dove i Greci, soprattutto gli Spartani guidati da Pausania batterono nel 479 l’esercito terrestre dei Persiani comandati da Mardonio. Il Citerone è anche la montagna dove si svolge la catastrofe di Penteo fatto a pezzi dalla propria madre e dalle zie, menadi infuriate che capeggiavano le Baccanti di Euripide.
Strofe V
Se parli in maniera opportuna, kairovn avverbiale
stringendo in breve i termini di molti argomenti, minore è il biasimo meivwn mw`mo~
che ti tocca dagli uomini poiché la sazietà penosa- kovro~ aijanhv~-
ottunde le rapide speranze- ajmbluvnei taceiva~ ejlpivda~-, e udire il racconto delle nobili imprese altrui
pesa nel segreto del cuore dei cittadini.
Pindaro dunque sconsiglia il dilungarsi negli autoelogi e pure negli elogi in genere.
Anche il poeta che celebra il committente deve essere denso e intenso.
“La poesia fonda la sua potenza sulla compressione. Poeta in tedesco si dice Dichter, colui che rende le parole dicht (spesse, dense, compatte). L’immagine poetica comprime in un’istantanea un momento particolare caratteristico di un insieme più vasto, catturandone la profondità, la complessità, il senso e l’importanza”. Hillman, La forza del carattere, p. 70. Dante è capace di condensare una vita e un carattere in pochi versi
Ma in ogni modo non abbandonare le azioni belle,
poiché l’invidia è meglio del compianto: krevsswn ga;r oijktirmou` fqovno~
guida l’esercito con timone giusto:
forgia la lingua sull’incudine della verità- cavlkeue glw`ssan ajyeudei` pro;~ a[mmoni-. Suggerimento al condottiero e a se stesso-
Il poeta come fabbro.
Cfr. Carducci- Rime Nuove, Congedo (vv. 19-21)
Il poeta è un grande artiere,
che al mestiere
fece i muscoli d’acciaio
Cfr. anche Orazio nell’Ars poetica.
Il poeta augusteo riferisce un suggerimento di Quintilio Varo, critico letterario del circolo di Mecenate: correggere due o tre volte le imperfezioni, e se questo non basta: “delere iubebat-et male tornatos incūdi reddere versus” (Ars, 440-441) ordinava di annientare i versi forgiati male e ribatterli sull’incudine.
Antistrofe V
Anche se sfugge un’inezia flau`ron
è riportata come cosa grande
detta da te. Sei rettore tamiva~ Ierone dispensiere, provveditore
di molti: molti sono i testimoni fedeli per l’uno e per l’altro verso.
Prospera persistendo nel tuo temperamento, ejn ojrga` l’impulso innato
se davvero ami udire sempre dolce fama
non stancarti nelle spese munifiche mh; kavmne livan dapavnai~.
Libera come il nocchiero
la vela gonfiata dal vento.
Non lasciarti ingannare, amico, da lucri kevrdesin eujtrapevloi~-
instabili: solo la gloria della reputazione- au[chma dovxa~- che sopravvive ai mortali ojpiqovmbroton
Epodo V
rivela la vita degli uomini già morti
attraverso narratori e poeti.
Non muore la benevola virtù di Creso.
Invece un’odiosa nomea-ejcqra; favti~- ha in suo potere dovunque Falaride,
mente spietata nhleva novon- che faceva arrostire delle persone in un toro di bronzo kauth`ra tauvrw/ calkevw/.
Né sotto i tetti lo accolgono le cetre
in tenero connubio con i canti dei giovani.
La prima cosa è gioire dei premi vinti;
la seconda fortuna è una buona fama- eu\ ajkouvein: l’uomo che abbia incontrato
l’uno e l’altro successo e li abbia afferrati
ha ricevuto la corona somma.
Solone nella sua Elegia alle Muse chiede alle pieridi di concedergli benessere (o[lbon) e una buona reputazione- dovxan ajgaqhvn-ù
Creso e Falaride.
Creso è stato re di Lidia nel VI secolo finché venne sconfitto da Ciro il Vecchio intorno alla metà del secolo. Erodoto nel primo libro delle Storie racconta il suo incontro con Solone. Lo rappresenta come un re ricchissimo e tanto pacchiano da esibire i propri tesori e domandare al legislatore ateniese se lo reputasse l’uomo più felice del modo.
Solone eluse la risposta diretta: gli disse che nella vita umana che dura mediamente 70 anni ogni giorno è diverso dall’altro e non si può dire se un uomo sia stato felice prima della sua morte. Il mortale si trovi in balia del caso (pa'n ejsti a[nqrwpo" sumforhv, I, 32, 4)
Plutarco racconta che Solone dopo avere visto l’enorme ricchezza esibita dal re gli disse: "Ai Greci, o re dei Lidi, il dio ha dato di essere misurati (metrivw" e[cein) in tutto, e, per questa misuratezza (uJpov…metriovthto" ) ci tocca una saggezza non arrogante ma popolare, non regale né splendida "(Plutarco, Vita , 27).
Lì per lì Creso non comprese, ma poi, una volta finito sul rogo, gridò tre volte "O Solone!", poiché aveva capito che la sua felicità era stata solo parola e opinione, fama e parvenza.
Del resto Creso ebbe buoni rapporti con i Greci della costa anatolica e con il santuario delfico. Per questo Pindaro lo ricorda positivamente nel celebrare questa vittoria pitica.
Falaride fu tiranno di Agrigento dal 571 al 554.
E’ rimasto famigerato per la sua crudeltà ricordata da diversi autori.
In questa ode di Pindaro il tiranno acragantino è il correlativo umano, anzi disumano, di Tifone, entrambi portatori di u{bri~ e disordine, ostli alla musica, mentre Ierone e il suo paradigma divino Zeus sono fondatori di ordine e latori di armonia.
Non faccio l’elenco delle testimonianze su Falaride. Mi limito a Dante che nel XXVI e XXVII canto dell’Inferno (cerchio VIII e ottava bolgia, quella dei consiglieri fraudolenti) vede delle fiamme parlanti e le ascolta. Prima quella di Ulisse e Diomede, poi la fiamma che avvolge di Guido da Montefeltro.
Questa, prima di articolare le parole, faceva uscire dalla sua cima “un confuso suon”. Sicché viene menzionato il bue di Falaride di cui Dante aveva letto in Ovidio e in Paolo Orosio.
Ripassiamo dunque Dante:
“Come il bue cicilian che mugghiò prima
col pianto di colui, e ciò fu dritto,
che l’avea temperato con sua lima,
mugghiava con la voce dell’afflitto,
sì che, con tutto che fosse di rame,
pur el parea dal dolor trafitto;
così, per non aver via né forame
dal principio nel foco, in suo linguaggio
si convertian le parole grame” (vv- 7-15)
Artefice del toro fu Perillo cui Falaride fece inaugurare il supplizio:
“Et Phalaris tauro violenti membra Perilli
torruit; infelix imbuit auctor opus” (Ovidio, Ars amatoria, I, 650-651)
e Falaride arse nel toro le membra del violento Perillo; l’infelice artefice bagnò la sua opera. Con i suoi liquidi organici immagino.
Anche Ovidio considera giusta la condanna di Perillo.
Fine della Pitica I.
Pesaro 19 settembre 2024 ore 18, 18 giovanni ghiselli
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