A Ierone Etneo vincitore con il carro.
Ierone vinse la corsa delle quadrighe a Delfi nel 470 –ventinovesima Pitiade.
Vediamo un poco di storia della Sicilia grecizzata.
Nel 470 Ierone era all’ apice del potere tirannico su Siracusa ereditato dal fratello Gelone signore di Gela dal 491 al 485
Nel 485 Gelone si impossessò anche di Siracusa riconducendo in città i proprietari terrieri cacciati dal popolo. Al comando di Gela passò il fratello Ierone.
Questi figli di Dinomene dominavano la costa orientale esclusa Catania. Gelone sposò una figlia di Terone di Agrigento con il quale sconfisse i Cartaginesi a Imera nel 480.
Questa vittoria è fatta coincidere cronologicamente con quella di Salamina e di entrambe alcuni dicono che se i Greci non le avessero vinte, la storia europea sarebbe cambiata.
Quella culturale di certo perché i Greci hanno colonizzato Roma culturalmente e Roma attraverso la propria lingua ha trasmesso la cultura greca all’Europa.
Gelone morì nel 478 e a Siracusa gli succedette Ierone che morirà nel 466.
Questa ode ricorda le imprese riportate dai due fratelli figli di Dinomene. La famiglia dei Dinomenidi proveniva da Telo, un’isola vicina a Rodi.
Gelone aveva sconfitto i Cartaginesi nella battaglia di Imera del 480 quando era tiranno di Siracusa alleato con altri sicelioti tra cui Terone tiranno di Agrigento. A questa battaglia parteciparono anche Ierone e gli altri fratelli Polizelo e Trasibulo.
Con questa vittoria- di Imera- Siracusa divenne una potenza navale. Con il bottino Gelone fece grandi donativi a Delfi e Olimpia.
Nel 476-475 Ierone I fondò Etna dopo avere trasferito a Leontini gli abitanti di Nasso e di Catania che erano di stirpe ionica.
La nuova colonia fu popolata da greci dorici e prese il nome dal Vulcano sovrastante. Il figlio di ierone, Dinomene, ne fu nominato reggente.
L’impresa militare più rilevante di Ierone fu la vittoria navale di Cuma riportata sugli Etruschi nel 474 . Quindi insediò un presidio Siracusano nell’isola di Pitecussa-oggi Ischia- che però venne abbandonata per i fenomeni eruttivi.
Pindaro Pitica I- Testo Prima parte Dalla Strofe I all’Epodo II
L’ode che ora vedremo consta di cinque triadi con strofe e antistrofe di sei versi, l’epodo di dieci.
Ora traduciamo e commentiamo la prima strofe e la prima antistrofe che sono rivolte alla cetra, lo strumento eptacorde di Apollo e degli aedi.
Strofe I
Cetra d’oro- Crusiva formigx- possesso comune di Apollo
e delle Muse dai riccioli di viola
cfr- Alceo sacra Saffo dolce ridente dalle trecce di viola- ijoplovk j (e) fr. 63 D.
che ai passi di danza attendi, principio di festa,
i cantori obbediscono ai segni musicali
quando vibrando fai nascere gli accordi iniziali-ajmbola;~ proimnivwn-
dei preludi che guidano i cori.
L’invocazione alla cetra celebra la musica, l’elemento unificante, dionisiaco, che suscita amore, ordine e pace.
E spengi il fulmine acuminato
di fuoco che scorre continuamente.
Dorme sullo scettro di Zeus l’aquila, eu[dei dj ajna; ska/vptw/ Di`o~ aijetov~-
abbassata da una parte e dall’altra l’ala veloce.
“L’uccel di Giove” (Dante Purgatorio, XXXII, 112); “il santo uccello” (Dante Paradiso, XVII, 72); lo Iovis ales di Virgilio ( Eneide, I. 394), insomma l’aquila, non tiene sempre le ali aperte significando volontà di appropriazione imperiale voluta da dio. Quando sente la musica che spinge gli umani all’unità tra loro e con la natura, piega le ali e si ammansisce.
Dante nel VI canto del Paradiso racconta il volo dell’aquila “il sacrosanto segno” v. 32 di tutti i successi imperiali conseguiti con una serie di guerre. Celebra perfino la distruzione di Gerusalemme operata da Tito nel 70 d. C.
Tutt’altra è questa aquila
Torniamo dunque all’aquila di Pindaro
Antistrofe I
Sovrana tra gli alati- ajrco;~ oijwnw`n, però tu (alla cetra) - sul suo capo
rostrato hai versato una nuvola di nero aspetto,
dolce serrame delle palpebre, e quindi assopita (l’aquila)
solleva il morbido dorso
posseduta dai tuoi suoni teai`~ rJipai`~ katascovmeno~-. Anche Ares
possente infatti lasciando lungi
l’aspra punta delle lance, molcisce il cuore ijaivnei kardivan kwvmati
in un sonno profondo; i tuoi strali –della cetra che lancia (rivptei i suoni)
affascinano anche le menti dei numi
con la sapienza del figlio di Latona
e delle Muse dalle ampie sinuosità.
La cetra e la sua musica sono ispiratrici e foriere di pace, al punto che Ares, il cambiavalute dei corpi,
il dio disonorato tra gli dei, viene addormentato e placato dalla musica come il grande uccello rapace, dai voli fulminei
Nel primo stasimo dell'Agamennone di Eschilo il coro di vecchi Argivi definisce Ares il dio della guerra "oJ crusamoibo;" d j [Arh" swmavtwn"(v.437), il cambiavalute dei corpi.
A causa sua
"invece di uomini
urne e cenere giungono
alla casa di ciascuno"(434-436). ajnti; de; fwtw`n-teuvch kai; spodo;~ eij~ eJkav-stou dovmou~ ajfiknei`tai (434-436).
Sofocle nella Parodo dell’Edipo re invoca gli dèi dell’ordine cosmico, dell’arte, del benessere e degli agoni ginnici- Zeus, Apollo, Minerva, Artemide-, mentre depreca, cioè prega che si allontani con una corsa retrograda, precipitosa, Ares il dio della guerra-to;n malerovn, il violento (190), to;n ajpovtimon ejn qeoi`~ qeovn, il dio disonorato tra gli dèi (215).
.
Epodo 1
Ma quanti Zeus non ama si spaventano udendo
Il canto delle Pieridi boa;n Pierivdwn- quanti temono la poesia e la musica sono gli eterni enmici della cultura: Giganti, Titani, ibridi e mostri vari.
sulla terra e il mare invincibile
e anche quello che giace nel Tartaro, nemico degli dei,
Tifone dalle cento teste, che un tempo
l’antro della Cilicia famoso nutriva
e ora le coste cinte dal mare
oltre Cuma,
e la Sicilia schiacciano il suo
petto villoso, e anche la colonna del cielo- kiwvn d’ ouraniva-
comprime,
l’Etna nevosa,
nutrice perenne
di ghiaccio pungente-civono~ ojxeia~-
La voce delle Pieridi dunque, le Muse nate nella Pieria, regione alle falde dell’Olimpo, spaventano i nemici di Zeus. L’arte disturba chi non la capisce né la sente: presenta un mondo del tutto diverso dal loro.
Gli artisti invece continuano a dire: “Pergite, Pierides”, avanti Pieridi! (Virgilio, Ecloga VI, 13)
Tifone, abitatore degli antri Cilici, suscitò la pietà di Prometeo quando lo vide soggiogato a forza dopo essere stato sconfitto da Zeus. E ora è gravato dalle radici dell’Etna (Eschilo, Prometeo incatenato, 351- 365)
Pindaro menziona la Cilicia, la Campania e la Sicilia cercando di conciliare versione diverse del mito. Ho ricordato Eschilo perché amo la tragedia.
La colonna del cielo accosta l’Etna al mito di Atlante ricordato dal Prometeo di Eschilo subito prima di quello di Tifone citato sopra. Prometeo è tormentato da questo ricordo del fratello Atlante. Sono i Titani che hanno cercato di sconvolgere l’ordine imposto da Zeus e sono stati sconfitti.
L’assonanza kiwvn- civono~ genitivo di civwn- colonna- neve, gelo- mi fa pensare, arbitrariamente, a quanto possono essere scivolose tante colonne che sembrano sostenitrici di uno stato mentre fanno spesso precipitare chi vi è salito sopra.
Pindaro Pitica I
Strofe II
Viene descritta un’eruzione dell’Etna. Tale e[kfrasi~ si ritrova in diversi altri testi a partire dal Prometeo incatenato di Eschilo.
Traduciamo intanto le parole di questa seconda strofe :
“Dai suoi recessi (dell’Etna) eruttano fonti misteriche aJgnovtatai pagaiv-
di fuoco inaccostabile; fiumi –potamoiv-
nel giorno riversano una corrente di fumo
fulva, ma nelle notti la fiamma purpurea
rotolando porta dei massi
alla distesa profonda del mare con fragore.
Quella fiera kei`no e{rpetovn (Tifone) solleva
spaventosi zampilli di Efesto,
mostruosità mirabile- qevra~ qaumavsion- a vedersi,
meraviglia anche a udirsi dai presenti, qau`ma de kai; akou`sai- cfr. il nesso mito-meraviglia
ajgnov~, qui al superlativo, significa “santo”: letteralmente sarebbe santissime. Ho tradotto misteriche per fare una sincrasi tra santo e misterioso.
potamoiv : cfr. potamoi; purov~ del Prometeo incatenato di Eschilo citato sotto.
e{rpetovn ha la stessa radice indoeuropea *serp- del latino serpo e indica un animale che striscia, con allusione alla forma serpentina di Tifone che Esiodo descrive come un mostro dalle cui spalle spuntavano cento teste di serpente, terribile drago (Teogonia 825).
Dicevo del Prometeo incatenato di Eschilo che descrive un’eruzione dell’Etna. L’Incatenato racconta che dal vulcano escono fiumi di fuoco potamoi; purov~- i quali con mandibole feroci divorano i campi fecondi della Sicilia- vv. 367- 368.
E’ l’ira di Tifone /369) che fa traboccare tempeste ignèe con strali ardenti
Non si conosce la data del Prometeo incatenato e non si dà per certa nemmeno la paternità eschilea di questa tragedia ma sono convinto sia opera di Eschilo e non escludo che i due poeti si siano consultati.
Ricordo che il drammaturgo, dopo i Persiani del 472, si recò a Siracusa ospite di Ierone e compose le Etnee per celebrare la fondazione di Etna. In quegli anni la corte di Ierone era frequentata anche da Pindaro, Simonide e Bacchilide, Epicarmo.
Quindi il tragediografo tornò ad Atene dove rappresentò l’Orestea (458)
Dopo di che tornò in Sicilia, a Gela dove morì nel 456 a 69 anni.
In quel tempo i Dinomenidi avevano perso il potere a Siracusa.
Antistrofe II
come (la terribile fiera Tifone ) si trovi incatenata tra le cime dell’Etna nera di foglie
e il suolo, e il giaciglio lacerando strazia
tutto il dorso disteso.
Sia dato, Zeus, sia dato di piacerti, tin j ei[h ajndavnein
tu che governi questa montagna ,
fronte – mevtwpon- di una terra ferace-eujkavrpoio gaiva~-
del cui nome il fondatore illustre onorò
la città vicina: nella corsa di Pito
l’araldo la nominò dando l’annuncio
per Ierone dalla bella vittoria.
Viene glorificata la vittoria pitica a Delfi e la fondazione della città di Etna che prende il nome del grande vulcano, fronte- mevtwpon- della Sicilia come la fronte si erge sul viso.
Epodo II
nella corsa-ejn drovmw/- dei carri. Agli uomini che intraprendono
un viaggio per nave la prima gioia è che giunga un vento
che conduca la nave: è verosimile infatti
che anche nell’esito potrebbero ottenere un migliore ritorno.
Forse perché il vento propizio, che batte sulla poppa di una nave o sulla schiena di un ciclista, è un segno del favore divino, e questo, quando c’è, non cambia quando muta la direzione del moto.
Il discorso in tali eventi comporta la credenza
che nell’avvenire la città-Etna- sarà celebre per le corone e i cavalli
e rinomata per le feste allietate dai canti- ojnomasta;n su;n eujfwvnoi~ qalivai~- Talìa è anche una delle Muse, quella della commedia..
Non posso astenermi dal rilevare la festività greca da contrapporre alle tetre superstizioni di altre culture.
Ricordo Tucidide II, 38, 1, un paragrafo del lovgoς ejpitavfioς attribuito a Pericle.
Essere cittadino impegnato non significa non avere svaghi. Ad Atene vige una festività agonistica: abbiamo procurato pleivstaς ajnapauvlaς th/` gnwvmh/ moltissimi sollievi allo spirito, ajgw`si mevn ge qusivaiς diethvsioς con agoni e feste sacre che durano tutto l’anno (Grandi Dionisie in primavera, Dionisie rurali e Lenee d’inverno) e anche con eleganti arredi privati il cui piacere quotidiano di queste cose scaccia il dolore.
Insomma non circenses empi- mera omicidia (Seneca) e volgari, bensì teatro quale festa e quale rito che pone l’uomo e dio, e la polis e la politica come problemi.
Atene riceve ogni cosa da tutta la terra per la sua potenza. La fruizione dei beni quindi non è solo quella di prodotti locali (Tucidide, II, 38, 2)
Offriamo la nostra città come bene comune- th;n ga;r povlin koinh;n parevcomen- per chi vuole imparare o assistere ai nostri spettacoli.
Non pratichiamo xenhlasiva (xenhlatevw, xevnoς- ejlauvnw) il bando degli stranieri, quindi non escludiamo alcuno dall’imparare o dal vedere (kai; oujk ajpeivrgomevn tina h} maqhvmatoς h} qeavmatoς (Tucidide, II, 39, 1), anche se il nemico se ne può avvantaggiare.
Post
Gran parte delle cronache quotidiane sono relative a omicidi.
A chi approva i mera homicidia, omicidi veri e propri, inflitti da abominosi ordigni , droni, aerei, automobili, ricordo un passo di Tucidide (II, 38, 1 ss.) un paragrafo del lovgoς ejpitavfioς attribuito a Pericle.
Ad Atene, dice lo statista, vige una festività agonistica: abbiamo procurato pleivstaς ajnapauvlaς th/` gnwvmh/ moltissimi sollievi allo spirito, ajgw`si mevn ge qusivaiς diethvsioς con agoni e feste sacre che durano tutto l’anno (Grandi Dionisie in primavera, Dionisie rurali e Lenee d’inverno) e anche con eleganti arredi privati il cui piacere quotidiano scaccia il dolore.
Insomma gli intrattenimenti ateniesi non sono volgari e sadici come saranno i circenses romani dove si assisterà a mera homicidia secondo la denuncia di Seneca, (Ep. 7, 3) bensì spettacoli eletti per il popolo di una città colta, un rito anche religioso che presenta l’uomo e dio, e la polis e la politica, il potere, l’amore e la guerra come altrettanti problemi.
Si ascoltano parole e si vedono immagini che fanno pensare.
Offriamo la nostra città come bene comune- th;n ga;r povlin koinh;n parevcomen- per chi vuole imparare o assistere ai nostri spettacoli.
Non pratichiamo xenhlasiva (xenhlatevw, xevnoς- ejlauvnw) il bando degli stranieri, quindi non escludiamo alcuno dall’imparare o dal vedere (kai; oujk ajpeivrgomevn tina h} maqhvmatoς h} qeavmatoς (Tucidide, II, 39, 1), anche se il nemico se ne può avvantaggiare.
Santo Mazzarino rileva che lo Scita Anacarsi sceglie la cultura greca contrassegnata dalla "festività orgiastica"[1], mentre il popolo scita"può essere caratterizzato, comunque, dal simbolismo", come si vede "nel racconto erodoteo sui doni scitici a Dario".
" Attribuite ad un popolo come lo scita, che tiene un pò dell'orientale (come noi oggi sappiamo, e come anche Erodoto sapeva: IV 11[2]), e un pò dell'Europa giovane quelle maniere simboliche hanno un rilievo tutto particolare. Cosa si può contrapporre ad esse da parte della cultura greca? Tutto un mondo diverso: Erodoto lo sa benissimo. Ma egli sottolinea un punto: la festività orgiastica di tipo ellenico. Egli racconta che lo scita Anacarsi fu ucciso perché, tornato dalla greca Cizico nella sua patria, celebrò la festa in onore della Madre degli dèi, alla maniera greca "tendendo un timpano e appendendo statuette al suo corpo"[3].
Cizico si trova nella Propontide
Concludiamo dunque l’Epodo II della Pitica I di Pindaro
Febo licio, sovrano di Delo,
che ami la fonte Castalia del Parnaso, kravnan Kastalivan filevwn-
voglia tu porre nella mente queste parole
e prenditi cura della terra dai validi uomini.
Sono menzionati i luoghi che il culto attribuisce a Febo: la Licia, Delo, Delfi e la fonte Castalia sovrastate dal Parnaso.
Mi pregio e mi vanto di avere scalato in bicicletta questa montagna, superiore ai 2000 metri, dal porto di Itea alle piste sciistiche, come del resto l’Etna, superiore ai 3000, dalla stazione ferroviaria di Catania al rifugio Sapienza. Ricordo anche le scalate ciclistiche dell’Olimpo, del Taigeto, dei passi dolomitici Pordoi, Costalunga, san Pellegrino, dello Stelvio, dei passi appenninici di Bocca Trabaria e Bocca Serriola per andare a Sanseplcro poi scendere a Fano, del passo della Contessa per andare a Roma, sempre in bicicletta. Li enumero perché fanno parte dei miei vanti maggiori.
Belle anche le due pedalate in pianura da Pesaro s Gallipoli.
Delle amanti invece non mi vanto bensì mi compiaccio.
Le mie imprese ciclistiche e quelle amorose mi confortano non meno dei miei studi e dei miei scritti nell’avvicinarsi degli 80 anni. Che Dio mi benedica, dato che gli ho reso onore.
Quest’anno non sono andato in Sicilia perché nessuno mi aspettava in quella magnifica terra. In compenso sono stato accolto benissimo a Benevento dove tornerò, e ora studio per tenere conferenze nella biblioteca Ginzburg a Bologna e a Pesaro nell’Hotel Alexander e al festival dei Filosofi lungo l’Oglio di Brescia.
In luglio probabilmente tornerò in Grecia. Oggi sento la mancanza del Parnaso in particolare e di Delfi con la fonte Kastalìa.
Pesaro 19 settembre 2024 ore 11, 27 giovanni ghiselli
p. s.
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