lunedì 16 settembre 2024

Ifigenia XLVI. “Faccia il nostro grande attore, grande attrice ancora te!” (cfr. Don Giovanni, I, 8).

Nei primi tempi della relazione amorosa con Ifigenia, l’angoscioso pregiudizio della necessaria verginità della mia donna inculcatomi in famiglia, a scuola e in parrocchia aveva trovato un efficace contrasto nell’immenso piacere che la radiosa ragazza mi dava e nel pensiero razionale, nella constatazione che una femmina siffatta non era venuta con me per ripiego dopo essere stata scartata dal suo seduttore iniquo e libertino, bensì mi aveva preferito al marito con decisione propria.

 

In questo amore  furono piuttosto i difetti di educazione e sensibilità della ragazza a mettermi addosso le prime inquietudini gravose.

 

Faccio un paio di esempi

Una mattina di mezzo inverno, quando piccoli uccelli quasi assiderati spargevano flebili versi latori di auspici non buoni, mentre rattrappiti dal gelo pure noi, usciti nel buio tenace della strada  stavamo entrando nel solito bar dell’intervallo tra le ore di scuola, Ifigenia disse: “ verrà a recitare al Duse  il grande attore di cui ti ho parlato: voglio andare nel suo camerino per fargli delle proposte”.

“Quali?” domandai incuriosito e allarmato.

“Quelle lascive che ho avuto in mente di fargli fin da bambina quando lo vedevo in televisione e lo ammiravo, poi lo sognavo”.

Mi rabbuiai e dissi “Sicché ho sbagliato a lasciare le  altre amanti per stare solo con te ” .

Capì e si corresse: “volevo dire che gliele farei se non fossi legata con te”.

“Puoi scioglierti da me quando vuoi” dissi con il tono del disgusto non dissimulato.

La frase volgare e violenta oramai era stata scagliata come un dardo velenoso e mi aveva ferito. Il vulnus volgeva all’ulcus, la ferita alla piaga. Mi piegai su me stesso, offeso, senza dire parola. Poi cercai di mandare giù il rospo.

 

Pochi giorni dopo andammo al Duse a vedere quell’ attore nei panni di Otello. Sentivo la gelosia anche dentro di me. Leggendo la storia fino alla catastrofe finale vedrete che ne avevo di che.

Durante l’ intervallo Ifigenia si allontanò con un suo allievo bello assai. Probabilmente ingelosirmi era nelle sue intenzioni: per farmi soffrire e sottomettermi. Rimasto solo pensavo questo e provavo disgusto di nuovo.

“Meglio perderla che trovarla una così”, mi dissi. “Se va a fare le porcherie nel camerino dell’ ’istrione, magari esibendosi prima con il ragazzo davanti a quel vecchio per ringalluzzirlo e fornicare tosto con entrambi, sarà solo un bene: “Faccia il nostro grande attore grande attrice pure te”. Ero stralunato come Masetto[1].

I  mostri delle mie angosce avevano ripreso a tormentarmi.

Del resto c’ era un terzo elemento che mi portava a non sopportare i difetti delle persone che frequentavo. L’amore della solitudine e il distacco dagli altri erano già attitudini radicate nel mio carattere e nel mio vissuto, al punto che soltanto una donna giovane, bella e vivace come Ifigenia, educata, fine e formosa come Helena, colta, carina e spiritosa come Kaisa, studiosa e significativa come Päivi avrebbe potuto indurmi a una relazione priva di pensieri cattivi e dolorosi. L’amore delle tre finlandesi mi aveva insegnato  che non avevo bisogno di verginità né di ricchezza ma di una compagna non stupida, non volgare, non ignorante, non perfida.

Ma anche con queste tre ore al giorno mi bastavano e avanzavano.

Poi andavo a cercare gli amici e gradivo le passeggiate in solitudine osservando e riflettendo. Parlare era il mio lavoro e farlo dalla mattina alla sera mi stremava. Sebbene le donne mi piacciano molto, quando ne vedevo una giovane e bella mi chiedevo: “sì è una meraviglia venuta in terra a miracol mostrare, ma te la prenderesti in casa?”

“Giammai” mi rispondevo senza esitare. Mi avevano terrorizzato le consanguinee perentorie e imperiose.

Del resto Ifigenia era giovane molto e avrei dovuto indirizzarla a una maggiore delicatezza. In fondo mi aveva cercato anche per questo. Io la educavo solo scolasticamente ma lei aveva bisogno di educazione e sapienza umana oltre che di sapere libresco. Ne avevo bisogno anche io.

Finito l’intervallo, la professoressa e l’allievo tornarono ai loro posti.

Iniziò subito l’ultimo atto e non feci domande. Però sentivo già che molte cose non funzionavano in quel tempo. Stava  già iniziando il declino e sapevo per esperienza che nell’amore questo è irreversibile sempre.

 

Pesaro 16 settembre  2024 ore 16, 15

giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Cfr. Don Giovanni, Da Ponte, Mozart, I, 21

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