lunedì 16 settembre 2024

La peitharchìa greca, la disciplina romana, l'ordine di Leopardi, quello di Kundera. e il sadismo di Fromm. Un bel romanzo di Magda Szabó.


 

La disciplina quale madre di salvezza viene indicata al coro di fanciulle tebane da Eteocle, l'eroico difensore della città:"peiqarciva ga;r ejsti th'" eujpraxiva"-mhvthr" (Eschilo, Sette contro Tebe , 225) la disciplina infatti è madre del successo.

 

Nell’Antigone  di Sofocle, Creonte identificherà la salvezza con la disciplina:" Non c'è male più grande dell'anarchia./Essa manda in rovina le città, questa ribalta/le famiglie, questa nella battaglia spezza/  le schiere dell'esercito in fuga; invece le molte vite/di quelli che vincono, le salva la disciplina swv/zei ta; polla; swvmaq j hJ peiqarciva"/ Così bisogna difendere l'ordine (ou{tw~ ajmunte j   ejsti; toi'~ kosmoumevnoi~),  e in nessun modo lasciarsi superare da una donna./Infatti è meglio, se proprio bisogna, cadere per mano d'uomo/e non dovremmo mai lasciar dire che siamo inferiori alle donne".- (vv. 672- 679).

 

 L'idea che la disciplina salvi molte vite, soprattutto in guerra, si trova in Tito Livio il quale ne trova l’esempio più puro e duro in Tito Manlio Torquato, la disciplina in persona, potremmo dire. Questo console durante la guerra contro i Latini (340-338 a. C.) condannò a morte il figlio che aveva osato combattere disobbedendo a un suo ordine, di capo e di padre.

 Queste sono le parole dell’accusa:"tu, T. Manli, neque imperium consulare neque maiestatem patriam veritus, adversus edictum nostrum extra ordinem in hostem pugnasti, et, quantum in te fuit, disciplinam militarem, qua stetit ad hanc diem Romana res  solvisti " (Storie, 8, 7) tu, Tito Manlio, senza riguardo per il comando dei consoli e per l'autorità paterna, hai combattuto il nemico contro le nostre disposizioni, fuori dallo schieramento, e, per quanto è dipeso da te, hai dissolto la disciplina militare, sulla quale sino ad ora si è fondata la potenza romana.

G. De Sanctis commenta questa guerra notando che la forza vincente dei Romani era "la consuetudine di sfruttare nella lotta per l'esistenza tutte le forze fino al limite estremo senza alcuna compassione di sé"[1].

  Più avanti, durante la seconda guerra sannitica (326-304), il dittatore Lucio Papirio si trovò nella necessità di affrontare un fatto analogo: il maestro della cavalleria Fabio aveva attaccato e sconfitto i nemici contro un suo ordine, e, quando il caso fu portato a Roma, su richiesta del condannato appellatosi al popolo, Lucio Papirio disse: "polluta semel militari disciplina non miles centurionis, non centurio tribuni, non tribunus legati, non legatus consulis, non magister equitum dictatoris pareat imperio, nemo hominum, nemo deorum verecundiam habeat.."(8, 34), una volta corrotta la disciplina militare, il soldato non obbedirebbe all'autorità del centurione, il centurione a quella del tribuno, il tribuno al luogotenente, questo al console, il maestro di cavalleria agli ordini del dittatore, nessuno avrebbe più rispetto degli uomini, nessuno degli dei.

 Questa volta tuttavia fu trovata una scappatoia: il popolo e i tribuni della plebe chiesero la grazia supplicando, e il dittatore la concesse senza perciò assolvere il reo:"Non noxae eximitur Q. Fabius, qui contra edictum imperatoris pugnavit, sed noxae damnatus donatur populo Romano, donatur tribuniciae potestati precarium non iustum auxilium ferenti " (8, 35), non è sottratto alla colpa Quinto Fabio, che ha combattuto contro l'ordine del comandante, ma condannato per la colpa, deve il perdono alle preghiere del popolo romano, deve il perdono alla potestà tribunizia che gli porta un aiuto di preghiere, non di diritti.

La disciplina dura forma  caratteri forti: il re spartano Archidamo nelle Storie  di Tucidide sostiene  gli uomini, i quali non sono poi  tanto differenti tra loro, vengono distinti dalla severa disciplina che rende più forte chi è stato educato nelle massime difficoltà:"poluv te diafevrein ouj dei' nomivzein a[nqrwpon ajnqrwvpou, kravtiston de; ei\nai o{sti~ ejn toi'" ajnagkaiotavtoi" paideuvetai"(I, 84, 4). Concorda con questa affermazione del re spartano quanto scrive Nietzsche nell' Epistolario in data 14 aprile 1887:" Non c'è nulla infatti che irriti tanto le persone quanto il lasciare scorgere che noi seguiamo inesorabilmente una rigida disciplina di cui loro non si senton capaci"(p. 262).

 

La disciplina che rafforza dunque è positiva; negativa è quella che uccide o paralizza.

Troviamo un' interpretazione malevola dei fanatici dell'ordine nello Zibaldone  di Leopardi:" Sono moltissimi che amano, predicano, promuovono, ed esercitano esclusivamente la giustizia, l'onestà, l'ordine, l'osservanza delle leggi, la rettitudine, l'adempimento de' doveri verso chi che sia, l'equa dispensazione de' premi e delle pene, la fuga delle colpe; ma ciò non per virtù, né come virtù, non per finezza o grandezza o forza o compostezza d'animo, non per inclinazione, non per passione, ma per viltà e povertà di cuore, per infingardaggine, per inattività, per debolezza esteriore o interiore, perché non potendo (per debolezza) o non volendo (per pigrizia) o non osando (per codardia) né provvedersi né difendersi da se stessi, vogliono che la legge e la società vegli p. loro, e provvegga loro e li difenda senza loro fatica...." (3316). 

 

M. Kundera deride o biasima la mania dell'ordine che individua non tanto nei tiranni quanto nei loro sgherri:"I vecchi armati di lunghe pertiche si confondevano ai suoi occhi con i secondini del carcere, i giudici istruttori, i delatori che spiavano i vicini per scoprire se facevano discorsi politici quando andavano a fare la spesa. Che cosa spingeva quelle persone alla loro sinistra attività? La malvagità? Senz'altro, ma anche il desiderio di ordine. Giacché il desiderio di ordine vuol trasformare il mondo umano in un regno inorganico in cui tutto marcia, funziona, è assoggettato a una norma sovrindividuale. Il desiderio di ordine è al tempo stesso desiderio di morte, giacché la vita è una perpetua violazione dell'ordine. Oppure, con una formula opposta: il desiderio di ordine è il pretesto virtuoso con cui l'odio per gli uomini giustifica i propri misfatti"[2].

 

Questa mania dell'ordine e del controllo secondo Fromm è tipica del carattere sadico:"io propongo la tesi che il nucleo del sadismo, comune a tutte le sue manifestazioni, sia la passione di esercitare un controllo assoluto e illimitato su un essere vivente, sia esso animale o bambino, uomo o donna"[3]. Il tiranno in effetti è un sadico:"Per il sadico esiste una sola qualità degna di ammirazione: il potere. Egli ammira, ama coloro che detengono il potere, gli si sottomette, disprezzando e desiderando di controllare gli inermi, coloro che non possono restituire il colpo"[4].

 

C’è un bel romanzo ungherese, La ballata di Iza[5], di Magda Szabó  che racconta la storia di una donna, primaria di ospedale, la quale si costruisce una vita di successo professionale attraverso una disciplina ferrea che però le costa la distruzione della vita affettiva. Il  marito la rivede dopo anni dal divorzio e pensa: “Quando mi resi conto che eri semplicemente un’egoista, e che di te stessa offrivi agli altri solo il poco che non intralciava il tuo lavoro, scoppiai a piangere…Sapevo che dovevo andarmene via da te prima che mi contagiasse la terribile disciplina con la quale tuteli te stessa e la pace del tuo lavoro…Non ho mai conosciuto un essere più avaro di te, anche se sembri generosa, e non ho mai conosciuto nessuno più vile di te” (pp. 299-300).

 

Pesaro 16 settembre 2024 ore 11, 40 giovanni ghiselli


 

 



[1]Storia Dei Romani , vol II, p. 261.

[2]M. Kundera, Il valzer degli addii ,  p. 104.

[3]Anatomia della distruttività umana , p. 363.

[4]E. Fromm, Anatomia della distruttività umana , p. 366.

[5] Del 1963.

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