lunedì 16 settembre 2024

Gli antiqui mores. Decadenza dei costumi a Roma secondo i tradizionalisti smentiti da Ovidio.


 

 “Come Sallustio, anche Tacito pensava spesso in termini di antica grandezza e di sopravvenuta decadenza”[1].

“Ma soprattutto: c’è una linea unitaria, come un filum, che nella storiografia romana conduce da Catone a Sallustio poi a Tacito. Questi tre storici insistono particolarmente sulla disciplina et vita dell’Italia (Catone), sulla cura degli antichi pro Italica gente (Sallustio), sulla necessità di conservare l’antiquus mos italico e di impedire-per una malintesa tendenza provinciale-il decadimento economico dell’Italia (Tacito)…il filum Catone-Sallustio-Tacito è per eccellenza significativo nella storia della storiografia romana”[2].

 

Direi che questo filum passa anche per Tito Livio che celebra gli antiqui mores e lamenta il decadere della disciplina e il dilagare dei vizi con l’avvento della ricchezza e del lusso: “ad illa mihi pro se quisque acriter intendat animum, quae vita, qui mores fuerint, per quos viros quibusque artibus domi militiaeque et partum et auctum imperium sit; labente deinde paulatim disciplina velut desidentes primo mores sequatur animo, deinde ut magis magisque lapsi sint, tum ire coeperint praecipites, donec ad haec tempora , quibus nec vitia nostra nec remedia pati possumus, perventum est” (Praefatio, 9), a quegli aspetti ciascuno rivolga attenzione con acutezza, quale tipo di vita, quali sono stati i costumi, gli uomini e le capacità attraverso i quali l’impero è stato creato e ingrandito; poi mi si segua con attenzione per vedere come,  decadendo poi un poco alla volta la disciplina, rilassandosi in un primo tempo i costumi, siano poi scivolati sempre più in basso, poi abbiano preso a cadere a precipizio, finché si è giunti a questi tempi, nei quali si è giunti al punto che non possiamo sopportare né i vizi né i rimedi. 

 

Agostino nel De civitate Dei (II, 21) cita Cicerone che cita Ennio: “moribus antiquis res stat Romana virisque (fr. 500n Vahlen).

 Allora la repubblica non era ancora qualem illam describit Sallustius, non iam pessima ac flagitiosissima (scandalosa). Quindi Agostino cita l’inizio del quinto libro della Repubblica di Cicerone il quale, come ho detto, cita Ennio e prosegue lamentando la scomparsa dei costumi antichi: “quid enim manet ex antiquis moribus, quibus ille dixit rem stare Romanam? Quos ita oblivione obsoletos (caduti in disuso i costumi antichi) videmus, ut non modo non colantur, sed iam ignorentur…Nostris enim vitiis, non casu aliquo, rem publicam verbo retinemus, re ipsa vero iam pridem amisimus”.

 

Nei Punica di Silio Italico la decandenza di Roma dalla città della Virtus alla città del Piacere viene prevista dalla Voluptas personificata che non riesce a distogliere Scipione dallo scegliere la sua rivale Virtus, ma si consola dicendo: “Venient, venient mea tempora quondam,/cum docilis nostris magno certamine Roma/serviet imperiis et honos mihi habebitur uni  ” (Punica, 15, 125-127).

 

Ovidio sarà il notaio compiaciuto di questo cambiamento

Per Ovidio Roma non è la regina delle città che detta legge al genere umano: è invece principalmente la città dell'amore. Tutto invita ad amare: strade, piazze, portici offrono mille bellezze giunte dai quattro punti cardinali per conquistare i loro vincitori…Persino l'antico Foro diventa luogo di appuntamenti e tende trappole ai giureconsulti:"et fora conveniunt-quis credere possit-amori"[3]. La gente romana discende da un adulterio.

Vediamo un passo di  Amores III 4 (37 sgg.). L’elegia vuole dimostrare che è meglio lasciare le puellae  senza sorveglianza: Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx ,/et notos mores non satis Urbis habet,/in qua Martigenae non sunt sine crimine nati,/Romulus Iliades Iliadesque Remus " 

E' davvero rozzo quello che una moglie adultera offende, e non conosce bene i costumi di Roma nella quale i figli di Marte non sono nati senza colpa, Romolo figlio di Ilia e il figlio di Ilia Remo.

 Insomma il marito che, tradito, si adonta, è un ignorante integrale.

 

Pesaro 16 settembre 2024 ore 11, 34 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 464.

[2] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 459 e p. 460.

[3] Ars amatoria, I, 79. Anche i fori si confanno all'amore, chi potrebbe crederlo?

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