lunedì 16 settembre 2024

Ifigenia XLV. Problemi che ci tormentano fino a quando finalmente comprendiamo che non ci riguardano.


 

 

Apollonio Rodio ci avverte:  “noi stirpe infelice degli uomini non possiamo entrare nella gioia con piede intero o{lw/ podiv (Argonautiche, IV, 1166) e l’amaro dolore-pikrh; ajnivh (1167) sempre si insinua in mezzo ai momenti del nostro piacere.

Questi versi mi avevano colpito quando li lessi siccome mi sembravano scritti proprio per me.

 

Ifigenia era bella, non era stupida e voleva vivere la nostra storia con gioia; io viceversa, passate le ore dell’euforia sessuale, se scrutavo al di là del piacere goduto in cerca della felicità e del bene di entrambi, ero predisposto e incline a vedere problemi, cioè veri e propri ostacoli che ci avrebbero costretti a fuorviarci verso situazioni difficili, forse anche dolorose. In certi momenti mi appariva vietato il senso diretto alla felicità permanente; temevo che la via da percorrere metodicamente per giungere a una gioia stabile e sicura fosse minata.

Di fatto le mine erano dentro di me e allora non avevo la forza mentale né  culturale né morale che ci voleva  per disinnescarle.

Gli ordigni più micidiali da me interiorizzati erano due cattive educazioni subite: quella clericale e quella borghese ostile al  proletariato considerato feccia del mondo.

Ifigenia era di condizione proletaria appunto e questa la rendeva poco gradita alla mia famiglia: “bella sì -disse la madre mia come la vide- bella davvero, però non ha un soldo”.

Io all’epoca dipendevo ancora non poco da lei, dalle zie e dalla nonna, soprattutto mentalmente ma non solo.

 

Per quanto riguarda l’altra educazione cattiva, quella clericale, la ragazza non era vergine, non era la Madonna, nemmeno la santificata Maria Goretti di Corinaldo era, e  quando  portai Ifigenia a Pesaro con me le donne di casa non l’accolsero con il rispetto che avrebbe dovuto avere la mia compagna. Dicevano a chi chiedeva chi fosse che era “un’ amica di Gianni”. Significava che  noi due non ci saremmo mai messi nella grazia di Dio e nemmeno nella loro. Questa storia della necessaria verginità della fidanzata è stato un problema, un ostacolo all’amore, alla libera scelta della compagna per molti ragazzi e ragazze della mia generazione.

A me dava l’angoscia. Mi capitava di sognare un’orribile Erinni che in preda al fanatismo dell’odio gridava: “Lurido sangue di donna dall’imene squarciato una volta caduto a terra ne insozza le zolle, le inaridisce, deturpa l’onore dell’uomo che l’ha sposata. Non c’è valore che possa redimere la donna traviata: né prezzo in denaro, né multa di roba può riscattare l’immonda, cancellare la macchia indelebile.

La tua “ amica” è solo carne bucata da un altro  con tuo disonore perenne, con tua sempiterna infamia e pena mortale. Per giunta non è possidente di poderi con vigne, olive, granai, muggiti di buoi, porcili e pozzi, né di mobili antichi, quadri, appartamenti  affittati: niente di niente ”.

Mi sentìi dire perfino che se avessi sposato una ragazza con la quale avessi già fatto l’amore io solo, sarei stato “il cornuto di me stesso”.

 

Mi svegliavo affranto, sudato. Lottavo con la forza della ragione alleata alla gioia dei sensi ma i demoni che pretendevano verginità e  denaro spuntavano quasi tutte le notti e talora anche di giorno a ribadire il loro catechismo infernale.

Se fossi stato meno immaturo avrei capito quello che compresi dopo altre esperienze amorose: che il matrimonio non è cosa per me, né con una proletaria né con un’ereditiera, né con una dissoluta né con una vergine.

Ho provato con ciascun tipo e non ho funzonato mai a lungo con nessuna.

Tante volte ci poniamo problemi che non sono i nostri, eppure ci tormentano fino a quando non abbiamo capito che non ci riguardano

 

Pesaro 16  settembre 2024 ore 10, 49

giovanni ghiselli

p. s.

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