lunedì 9 settembre 2024

La biciclettata mattutina fino a Monghidoro.


 

Argomenti

 

Il ritorno a Bologna. Il laccio tagliato. Il

giro ciclistico a Monghidoro. La preghiera. Le riflessioni sulla

spiaggia. La telefonata

 

 

"Ma sì, torno a Bologna-pensai-, dove almeno per due giorni non

devo vedere nessuno. Sabato e Domenica posso rimanere steso nel

grande letto e accarezzare i ricordi delle libidini antiche e non ancora  tormentose né ignobili.

No,

meglio di no. Sarebbe una posa, nemmeno priva di pericoli; questa

notte dormo, se ci riesco, e domani mattina andrò a sfogare

l'angoscia con la bicicletta su una grande salita".

Appena arrivato, entrai in cucina, e, con un coltello ben affilato

tagliai il laccio di cuoio, simbolo della nostra unione, del patto di

fedeltà, del vincolo amoroso che Ifigenia mi aveva legato

intorno al collo, esattamente due anni prima, all'inizio dell'estate

del 1979, facendomi promettere che non l'avrei sciolto mai.

L'avevo giurato.

Da chiaro, pulito, leggero, era diventato scuro, sporco, pesante per

gli umori cattivi della mia pelle, per il contagio del mare e dell'aria

che diventavano sempre più sporchi. Lurido era, come il nostro

rapporto che poco prima aveva avuto il suo esito predestinato,

ossia naturale e presofferto fin da quando la ganza già

impegnata con me dava il suo indirizzo a chi la fermava per

strada.

Perciò il dolore mio, pur immenso, non era insopportabile, né

immedicabile, e nemmeno per un momento pensai di

ammazzarmi. Era avvenuto soltanto il necessario e il naturale. Come sempre


 

 

 

Potevo essere più buono e generoso, ma non più acuto e

chiaroveggente. Non avevo voluto né avrei potuto cambiare

Ifigenia: era predestinata dal suo carattere a finire così. C'è una

logica ferrea nelle cose, c'è una giustizia che si impara a conoscere

con gli anni rivelatori. C'è un'armonia invisibile più forte della

disarmonia apparente12.

  Sono fiero e felice di avere imparato a

vederla; scrivo anche per aiutare chi mi legge a interpretare bene i

geroglifici, la sacra scrittura del Fato che poi è la Mente

dell'universo.

Nel mio caso, infinitesimale ma tipico, quando i fatti mi si

volgono contro e spunta l'angoscia, capisco che c'è una causa, che

questa è un  difetto, un errore mio; allora ci penso, trovo lo

sbaglio, lo correggo, lo espìo: ossia lo capisco e me ne libero; solo

quando ho compiuto questi atti, intellettuali e morali, mi sento

bene, e i fatti mi diventano amici. O piuttosto sono io che

simpatizzo con la ragione e la realtà delle cose e procedo dalla

parte voluta da Dio cui obbedisco sentendomi libero.

Ad temporum  ordinem redeo13.

 

Dopo avere tagliato il laccio, accesi il televisore. Per Alfredo non

c'erano più speranze.

"Muore- pensai-come il nostro rapporto precipitato nel vuoto", poi andai a letto.

Erano circa le tre. Non potevo dormire. Ogni tanto mi alzavo,

accendevo il televisore, vedevo che non c'era nulla di nuovo, lo

spegnevo e tornavo a letto. Il bambino moriva proprio.

Alle sei rinunciai e mi vestii da ciclista. Pensai che da ragazzo

sognavo di afferrare la gloria con la bicicletta. Prima di uscire,

diedi un'ultima occhiata alla televisione: Alfredo non dava più

segni di vita, ma lo spettacolo offerto dalla morte sua continuava per chi voleva vederlo fino in fondo.

Scesi nel garage a prendere la bicicletta da corsa: Desdemona o

no, non dovevo smettere di fare lo sport. Cominciai a pedalare in

direzione del Monte delle Formiche. Questo però mi ricordava

troppo il tempo  passato con lei. Non volevo sdilinquirmi con i

rimpianti. Sicché cambiai strada: dalla valle di Zena passai sulla

Futa e procedetti fino a Monghidoro. Mi fermai davanti alla chiesa del paese

 

Note

12

Cfr. Eraclito:"

aJrmonivh ajfanh;" fanerh'" kreivsswn

", l'armonia invisibile è

più forte della visibile.

 

13

Torno alla sequenza cronologica.


 

 

 

e pregai per la mia disgraziata creatura: che tutto le andasse come

desiderava e fosse felice. Per me auspicai che il dolore non mi

togliesse il senno e la volontà di vivere con forza, ma li facesse

crescere attraverso la comprensione. Poi tornai a Bologna. C'era

un'afa opprimente. Verso le due del pomeriggio partii per Pesaro.

Volevo trarre refrigerio e conforto dalla vista del mare che rimane

sempre una grande risorsa per quanti sono cresciuti  respirandone

gli aliti salsi .

Arrivai alle quattro e mezzo. Andai sulla spiaggia con il diario.

Annotai le impressioni delle ultime terribili ore. Mi sarebbero

servite per il  romanzo.

Verso le sei e mezzo tornai a casa. Trascrissi alcune frasi di Proust

in un foglio che volevo  imparare per i miei prossimi studenti. Non dovevo

smettere di studiare per fare buone lezioni. Riassumevo Dalla

parte di Swann che avevo sottolineato nel giugno di due anni

prima, quando ero a Pesaro. In quel tempo Ifigenia mi mancava fino alla

sofferenza. Non sapevo nemmeno dove fosse finita. Mi vennero in mente le

analogie che, nei momenti più cupi, avevo trovato tra la mia

compagna e Odette de Crecy, l'astuta e volgare cocotte divenuta

prima l'amante poi la croce, infine la moglie del raffinato signore

ebreo. A me era andata bene così. Come il Tiresia di Eliot, avevo

presofferto14

 

tutto. E quanto avevo patito dal 1979 in avanti,

vivendo il rapporto senza illusioni vane, era già scontato dal

dolore dello schianto finale che perciò non poteva annientarmi.

Alle otto telefonò Ifigenia. Disse che al Grand Hotel quel

giorno aveva sentito parlare alcune persone ben preparate sul

teatro e sul cinema, cosa che le aveva fatto apprezzare più che mai

la mia serietà nello studiare. Il pennivendolo Tortorella ci  aveva

provato anche lui, ma invano: era brutto, cretino e ignorante, disse.

"Difendi la tua cultura-mi incoraggiò-, conservala, anzi accrescila

sempre:  è un capitale!"

"Su questo non c'è dubbio- risposi-, ma tu che farai?"

I miei dubbi infatti riguardavano le intenzioni di lei: dal momento

che mi aveva cercato, qualche cosa voleva. Non disse che cosa.

Probabilmente che io continuassi a studiare per il suo prossimo esame di

recitazione.

14

Cfr. Eliot, La Terra desolata, v. 243.


 

 

 

"Rimango a Riccione-rispose-. Voglio conoscere altra gente.

Voglio trovare lavoro nel teatro. Qui possono esserci buone

occasioni per me. E' meglio se non ci vediamo per qualche tempo, molto

meglio anche per te".

"Va bene, come vuoi", feci, e la salutai. Pensavo che non l'avrei

vista per chissà quanto tempo.

 

Pesaro 9 settembre 2024 ore 8, 54 giovanni ghiselli

p. s.

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