Argomenti
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La notte di Riccione. La televisione nel bar Italia. La tragedia di |
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Vermicino. Gli orribili segni. |
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Lo spettacolo dell'agonia. |
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Desdemona si precipita nella sala buia. L'uscita dal cancello di |
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ferro del Grande Hotel. La seduta sulla panchina di ferro. Il |
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racconto. Nomina sunt omina : Ifigenia –Desdemona riceve la sospirata |
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offerta. Il tentativo estremo di dissuaderla, ma |
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"lo stimolo non passa". |
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Arrivai a Riccione verso le undici e quaranta: ero dunque in |
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anticipo di venti minuti. Per non farmi trovare tra i piedi prima |
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dell'ora convenuta, entrai nel locale situato di fronte al cancello |
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d'ingresso del vecchio albergo. Bar Italia si chiama. Ordinai un |
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caffé. Davanti al televisore c'erano tante persone, sedute e in piedi; |
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tutte in silenzio. Mi avvicinai, per vedere e sentire: si trattava |
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ancora del bambino caduto nel pozzo. Non l'avevano tirato fuori; |
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anzi era scivolato ancora più giù, e la situazione era diventata, |
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critica assai, quasi disperata, sebbene la creatura fosse viva: |
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piangeva1
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e parlava. Chiedeva aiuto alla mamma. Si chiamava |
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Alfredo. La madre, era affranta ma cercava di |
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farsi coraggio e darne al figlio : |
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"Stanno arrivando; non addormentarti, altrimenti non possono |
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tirarti su!". |
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Il giornalista diceva che il bambino si trovava incastrato a trentasei |
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metri sotto terra. Mi chiedevo come potesse accadere che intere |
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squadre di uomini attrezzati e specializzati in opere di salvataggio, |
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non riuscissero a estrarre da un cunicolo, pur stretto e profondo, |
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una creatura razionale che vi era caduta senza perdere coscienza. |
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C'era una folla intorno al pozzo e alla televisione; c'era il |
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Presidente della Repubblica, il vecchio, ottimista Pertini che |
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cercava di incoraggiare i pompieri; c'erano i genitori di Alfredo, |
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impotenti;
c'erano alcuni volontari che si offrivano di scendere |
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1Cfr. S. Beckett, Finale di partita: “ piange./Dunque è vivo”. |
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nella burella dov’era imprigionato Alfredino; e c'erano tanti curiosi che probabilmente creavano |
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impiccio e causavano ritardi. |
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Fatto sta che a mezzanotte meno un quarto non l'avevano tratto in |
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salvo, che il piccolo stava perdendo le forze, e che poteva morire. |
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Pregai Dio perché lo facesse vivere. Ma non c'erano segni |
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favorevoli alla sopravvivenza. Seguivo tale collisione tragica: lo |
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scontro fra il destino e la volontà umana per la vita di un bimbo. |
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Qualche ora prima sembrava che avrebbero vinto gli uomini, ma |
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alla fine della giornata si capiva che la sopravvivenza di Alfredo |
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non era nei disegni misteriosi del Fato. Forse l'armonia del mondo |
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richiedeva quella morte. |
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Rimasi là fino a mezzanotte meno cinque, in attesa di affrontare |
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una lotta dolorosa e disperata, un'altra morte che mi riguardava più |
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da vicino, poiché significava la fine di un'era della mia vita. |
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Necessaria anche questa. |
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A mezzanotte meno tre minuti entrai nel giardino del Grand Hotel. |
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Sedetti su una sedia di ferro bucherellata e verniciata di bianco, |
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situata sulla terrazza dell'albergo, tre gradini sopra la ghiaia. |
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Andavano e venivano alcune persone tra cui diversi conoscenti di |
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Ifigenia. Mi guardavo attorno, aspettando la mezzanotte: |
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mancava pochissimo. Quando batté l'ora, la mia inquietudine |
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diventò dolorosa. Doveva essere già nei paraggi. Mi aspettavo |
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che uno dei suoi compagni di corso venisse a portarmi notizie, o |
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un messaggio; ma quelli giravano al largo e sembravano voler |
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evitare il mio sguardo interrogativo. |
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"Orribile segno", pensai. Segno orrendo ma chiaro, annuncio di un |
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destino deciso, inesorabile, irreversibile. Mi sentivo, e mi sentivo considerato, |
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in una situazione pietosa: tragica e ridicola nello stesso tempo. |
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A mezzanotte e dieci mi alzai e andai alla ricezione del piccolo |
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albergo dove la sera prima Ifigenia aveva preso una camera. |
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Era situato di fianco al bar Italia. |
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Il portiere disse che la signorina aveva già lasciato la stanza. |
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Uscii e rientrai nel bar. Bevvi un altro caffè. Era mezzanotte e un |
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quarto. Alfredo continuava a scivolare nel pozzo: sgusciava |
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inesorabilmente da tutte le mani tese in un gesto di aiuto o di |
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preghiera. Dio non voleva, o non poteva farlo vivere qui sulla |
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terra. |
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"La sua morte terrena serve all'ordine dell'Universo"[1] pensai, ricordando le mie cadute e prevedendo la prossima, molto vicina. |
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In seguito a tale pensiero mi venne in mente che anche il precipitare |
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del nostro rapporto, poteva essere |
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utile a qualche cosa di buono. |
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"Dove sta rovinando la mia compagna, in quale caos, affinché il |
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cosmo si salvi?-mi domandavo-. Perché a mezzanotte e diciotto |
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minuti non si è fatta ancora vedere?" |
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Notai che in mezzo alla folla accalcata davanti allo spettacolo di |
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quell'agonia, c'era la moglie del regista di Ifigenia, mentre lui |
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stesso non si vedeva. |
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"Che sia steso nudo e sudato in un letto sfatto accanto alla mia |
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donna o ex donna dentro una camera di quel mastodontico hotel, mentre la |
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donna sua è qui con me a osservare la morte di questo bambino?", mi |
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chiesi. |
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Oramai ero quasi sicuro che stava accadendo qualche cosa di |
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grave, di irrimediabile: anche la mia compagna doveva essere |
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caduta in qualche precipizio, forse un buco nero dal quale sarebbe uscita mai più |
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"Dio non permetterlo, - pregavo -. Trattieni quella creatura dal |
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baratro". |
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Ancora non era impossibile che si salvasse. Già altre volte avevo |
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avuto una sensazione, un presentimento del genere; poi avevo |
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constatato che si trattava di un falso allarme fatto suonare dalla |
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mia apprensività eccessiva, dal dolore smisurato che provo quando |
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una persona che mi preme ritarda, anche non gravemente. |
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In fondo la mezz'ora dopo la mezzanotte ancora non era suonata. |
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"Vedremo - pensai -, torniamo sulla terrazza del Grand Hotel. |
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Terrazza del Grande Hotel, terrazza dell'Aranybika. Anche là, nel |
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grande hotel di Debrecen c'erano sedie bianche, bucherellate. “Anche io ho commesso fornicazione con delle adultere”, ricordai, |
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“Nemesi dunque, nemesi e anche |
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catarsi, magari". |
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Appena saliti i gradini, la vidi di spalle: stava correndo verso una |
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porta-finestra che si apre in una grande sala da dove usciva una |
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luce fioca, appena visibile sul pavimento al quale aderiva come vi |
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fosse stata verniciata sopra. |
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"Adhaesit pavimento anima mea "4, pensai. |
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La seguii senza chiamarla poiché non era vicina e andava di fretta. |
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Era evidente che aveva qualcosa da fare. Entrai nella sala |
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semibuia, gremita di persone che osservavano delle diapositive |
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commentate da un tale, non uno famoso. |
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Nella mezza oscurità e nel fumo di quello stanzone pieno di gente |
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sudata, riuscii a scorgere la maglia arancione di Ifigenia che, |
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con la schiena piegata, bisbigliava qualcosa nell'orecchio di una |
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ragazza seduta. Le andai accanto e la guardai aspettando che mi |
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notasse e dicesse qualcosa. Si voltò, mi rivolse uno sguardo poco |
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cordiale, quasi indispettito, poi si rigirò e riprese a parlare |
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nell'orecchio dell'altra. |
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"Aspettiamo", pensai. |
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Quando ebbe finito, raddrizzò la schiena, mi si accostò con volto |
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cupo e bisbigliò:"Usciamo di qui". |
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L'aria notturna era umida e calda. Ifigenia aveva |
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un'espressione torva nel volto scuro semicoperto dalle chiome nere come sono soltanto le bare. Ripensai a quando mi correva incontro nei |
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tetri corridoi del Minghetti, le mattine dell'autunno nevoso del '78, |
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con il volto raggiante di gioia, illuminando tutto l'ambiente. |
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E mi si strinse il cuore. |
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Comunque dissi:"Ciao", le feci un sorriso e le presi una mano. |
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Volevo significarle che non le avrei rinfacciato il ritardo; che, se |
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aveva avuto da fare fino a mezzanotte e mezzo, capivo e non ce |
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l'avevo con lei. La paura di perderla mi aveva reso conciliante. |
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Aspettavo, una volta fuori dalla sala oscura e affollata, che mi |
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baciasse con effusione di affetto, come faceva sempre quando ci |
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incontravamo anche dopo una separazione brevissima. |
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Invece lei, senza cambiare l'espressione dura che aveva là dentro, |
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come fummo sotto il cielo stellato, disse:"Gianni, ti devo parlare", |
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e fece sgusciare la mano sua dalla mia. |
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Poi soggiunse:"Ma non qui: usciamo da quest'albergo". |
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Allora non potei più sperare che non fosse successo qualcosa di |
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grave. Ma non feci ipotesi, poiché volevo sentirla raccontare. |
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Scendemmo dalla terrazza, camminammo sulla ghiaia del giardino |
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semibuio e uscimmo dal cancello ferrigno senza dire parola. |
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Si teneva alquanto discosta, immagino per non farsi Nota |
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L'anima mia è rimasta attaccata alla terra. Cfr Dante, Purgatorio, XIX, v. 73. |
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toccare. Subito fuori, sulla destra, appoggiata al muro di cinta, c'è |
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una panchina di ferro: ci sedemmo lì. Mi guardava in faccia: |
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dovevo essere pallido, nonostante l'abbronzatura estiva. |
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Cominciò a parlare adagio, con calma apparente. |
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"Gianni, oggi pomeriggio ho conosciuto l'attore famoso. Mi ha |
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invitata a cena, in un night e in camera sua". |
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A questo punto fece una pausa. Doveva assaporarsi la scena. Non |
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avrebbe avuto tante altre occasioni di lasciare, per un uomo |
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celebre, un altro uomo che l'aveva amata con tutte le forze di |
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un'anima appassionata e coltivata ad un tempo. |
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Mi difendevo come sono solito fare: con il ricordo delle letture più |
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pertinenti allo strazio presente, e con la memoria delle mie donne |
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migliori, più vive. Mi venne in mente una delle ultime frasi del |
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misogino e suicida Pavese che mi aveva fornito una citazione |
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ottima e funzionale per piacere a Elena una notte remota, |
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di dieci anni prima . Oltretutto anche lui fu lasciato una sera, in un |
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albergo, da un'aspirante attrice, e per un attore, famoso in quel |
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tempo, all'inizio degli anni Cinquanta. Un tale che adesso nessuno |
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ricorda più. |
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"La cosa più segretamente temuta, accade sempre "6 pensai . |
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"Sì, ma io non mi ammazzo. Cercherò una donna vera. Tu sei un |
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essere indefinibile. Io non sono misogino, anzi. Delle femmine |
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umane ho molta stima e rispetto. Non c'è altro più atroce e più |
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cane di te7. Tu sai commettere azioni oltremodo dolorose, e io per |
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averti perso, non perderò la vita", pensai. |
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Poi, a bassa voce, dissi:"Raccontami com'è andata, se vuoi". |
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Volevo trarre il massimo di conoscenza da quel dolore. |
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"Non ho fatto l'amore; non l'ho nemmeno baciato, ma vengo da |
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camera sua. Se vuoi, ti racconto come ci sono arrivata". |
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"Sì, però muoviamoci: qui siamo troppo vicini all'albergo: passa |
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gente che ti conosce, che dovresti salutare interrompendoti". |
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La storia attesa e presofferta da quasi due anni mi interessava |
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parecchio. Sapevo che ne avrei tratto non solo un grande, eterno |
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dolore,
ma anche un'occasione rara per conoscere meglio me |
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6 |
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Cfr. C. Pavese, Il mestiere di vivere, 18 agosto, 1950. |
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Cfr. Omero, Odissea, XI, v. 427. |
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stesso, e del materiale prezioso per questo romanzo. Andammo |
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nella via principale. Era deserta. Ci sedemmo sul gradino di |
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un'aiuola, quasi per terra. Poi Ifigenia cominciò a raccontare |
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"Nel pomeriggio lui è venuto a parlare in una sala del Grande |
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Hotel. Era piena di gente. Mi guardava, molto. Anche io lo |
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guardavo. Da un certo momento in avanti, ci fissavamo a vicenda, |
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in maniera eloquente. Non c'erano barriere di pudore tra noi. |
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Quando ha finito la conferenza, si è avvicinato. Mi ha detto: |
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" E questa bella ragazza chi è?" |
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"Sono ifigenia dell'Antoniano di Bologna", ho risposto. |
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"Bene, brava. Vuoi venire a cena con me e con i miei |
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amici? Parleremo dell'Otello che sto preparando per la prossima |
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stagione teatrale". |
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"Sì" ho fatto io. Volevo conoscerlo, sentirlo parlare, volevo |
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imparare cose nuove da lui". |
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Così siamo andati in un locale elegante. C'erano diverse persone. |
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Lui faceva discorsi interessanti sul teatro, sul cinema, sulla |
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televisione. Tutte cose molto importanti per me. |
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A un certo momento anzi ha detto:"Nomina sunt omina , i nomi |
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sono presagi, vero? Voglio chiamarti Desdemona e assegnarti la parte dell'omonima |
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creatura tragica!" |
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"Cialtrone - ho pensato -, vecchio bellimbusto cadente! Sta |
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lavorando all’Otello da mesi, figuriamoci se la parte della |
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protagonista deve ancora assegnarla! Ma se lo dico a questa |
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infatuata, non mi racconta più niente". |
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"Io ne sono stata fiera e felice, ma non ho osato metterci bocca. A |
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quella tavola |
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c'erano persone intelligenti e preparate, che |
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parlavano di teatro con competenza". |
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"Sì, come Tortorella del Resto del Carlino" ho pensato con ironia: l’avevo intravisto molto indaffarato a darsi importanza con le ragazze anche lui. |
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“Finita la cena, mi ha invitata in un night a bere qualcosa". |
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"Ma non eri astemia una volta? Non insegnavi la sobrietà, anzi |
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l'astinenza anche a me?", ho pensato. |
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"Siamo saliti su un taxi. Durante il percorso lui voleva baciarmi, |
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ma io gli ho detto che ho un rapporto meraviglioso con un uomo |
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adulto, e molto in gamba. Insomma, gli ho parlato di te". |
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"Certo-ho pensato-.Come fece con me quando mi parlò del marito: |
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gli ha detto di noi per fargli capire che potrebbe reggere un |
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rapporto con lui senza impazzire né dargli fastidi. Vedrai che poi |
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gli avrà chiesto: |
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‘ma tu cosa vuoi da me?’ |
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E' la battuta chiave del suo copione di seduttrice di uomini che |
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potrebbero esserle fratelli maggiori o nonni come costui". |
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"Mi ha detto che se voglio davvero fare l'attrice-continuò-, non |
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devo avere un ruolo fisso nemmeno nella vita. Mi ha parlato del |
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nostro mestiere a lungo, con intelligenza, senza narcisismo. Lui |
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non è narcisista. Lo è meno di te". |
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"In ogni caso a paideia e giustizia non credo stia meglio di me "8,
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ho pensato. “Costui interpreta una sapienza odiosa, da bullo” |
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"Mi ha convinta. Non credere che mi sia piaciuto soprattutto per |
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l'aspetto o la fama; in un'ora mi ha insegnato tantissimo. Mi ha |
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colpita in pieno". |
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"Sta vivendo la commedia di Horváth", ho pensato. ‘Tu lo sai che |
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mi hai colpita come un fulmine, che mi hai spaccata in due’ - . |
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Vorrebbe vivere brillantemente la parte recitata mediocremente"9.
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"Tu gianni puoi essere più intelligente, colto e onesto, ma sei |
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narcisista. Per questo negli ultimi tempi io non ti amavo più: tu sei |
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malato di narcisismo. Abbiamo parlato anche di quel povero |
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bambino caduto nel pozzo, hai sentito?" |
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"Sì, sta morendo", ho risposto. |
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"Poi?", ho domandato. |
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"Poi io gli ho chiesto:"ma insomma, tu da me cosa vuoi?" |
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"Visto?", ho pensato. |
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"Lui allora ha detto:" perbacco, ragazza, come parli diretta!", e |
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mi ha invitata ad accompagnarlo al suo albergo, il Savioli, poi a |
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salire in camera sua. Volevo sentirlo parlare ancora". |
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"Fatelo ruggire ancora, fatelo ruggire ancora!” 10 ho pensato. |
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"Volevo
imparare tante altre cose". |
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8 |
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Cfr. Platone, Gorgia, 470 e:" |
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ouj ga;r oi\da paideiva" o{pw" e[cei kai; |
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dikaiosuvnh" |
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", infatti non so come sta a educazione e a giustizia. |
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9 |
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Cfr. Horváth, Storie del bosco viennese, I, 4. |
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10 |
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Let him roar again, let him roar again” (Shakespeare, A Midsummer-Night’s dream, II, 1). |
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"Ma sì-ho pensato -, dopo tutto questo gradasso non sarà peggiore |
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del ganzo di Pasife11. Inoltre il Savioli è un bell'albergo costoso: io |
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non me lo posso permettere". |
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"Ci siamo stesi nel letto, molto vicini tra noi. L'ho abbracciato, ma |
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non mi sono lasciata baciare". |
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"Come avrà fatto?", ho pensato. |
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"Poi era mezzanotte e sono venuta da te. Tu che cosa ne dici? Ti |
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consideri offeso?" |
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"Sì, mi considero offeso". |
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"Hai ragione. Io però non ti ho tradito né ti tradisco. Ti lascio. E |
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ora cos'altro mi dici?" |
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"Cosa vuoi che ti dica? Se mi lasci davvero e del tutto, noi due |
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non ci vediamo più perché dopo questo io non ti cerco; se invece |
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mi cercherai tu, non mi farò negare, non posso siccome vivo solo. |
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Comunque non considerarmi più legato a te da vincoli di fedeltà o da |
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alcun obbligo. Ora io sono sciolto: le mie forze non sono più al tuo |
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servizio: da oggi non impiegherò il meglio di me per occuparmi di |
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te; tu dovrai percorrere la tua strada da sola, o con altri". |
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"Lo so, e mi dispiace, ma tu non considerarti offeso |
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personalmente: io continuo a stimarti; anzi spero |
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che un giorno potremo rimetterci insieme, ma adesso per me è |
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giunto il momento di fare altre esperienze. Non credi? Anche tu le |
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hai fatte a suo tempo!". |
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"Sì certo, e spero di farne ancora. Ma quando sono vago di |
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esperimenti amorosi, io non prendo impegni monogamici e non ne |
|
chiedo; tu invece mi avevi giurato amore esclusivo, eterno, e avevi |
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insistito, mi pare, perché lo giurassi a te". |
|
Questo pensiero agitai dentro di me. Invece, per salvare la mia |
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dignità, dissi: |
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"Sì, ma cerca di evitare le pratiche che ti danneggiano, se puoi". |
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Dopo questa frase però, pensai che copulare con quel vecchio |
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istrione
non poteva essere accrescitivo, anzi sarebbe stato rovinoso |
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11 |
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Cfr. Luciano, Lucio o l'asino, 51:" |
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ajdew'" loipo;n uJphrevtoun ejnnouvmeno" wJ" |
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oujde;n ei[hn kakivwn tou' th'" Pasifavh" moicou'”, |
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da quel momento la servii |
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senza timore, pensando che non ero per niente peggiore del ganzo di Pasife. E' il |
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protagonista trasformato in asino, il quale si paragona, come amante di una donna |
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che lo concupisce, al toro con cui si accoppiò la madre di Fedra. |
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per Ifigenia, siccome lei per lui era un vizio, o uno sfizio, dopo |
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il quale l'avrebbe ignorata, mentre la disgraziata nuova Desdemona si aspettava |
|
chissà quali cambiamenti in meglio nella vita, chissà quanti balzi |
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in avanti nella via della fama e del successo. |
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Allora volli provare a darle una mano perché non cadesse del tutto |
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in quella illusione, in quell'errore dell'intelligenza oltre che della |
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morale. |
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Dissi:"Pensaci bene prima di buttare via due anni e mezzo di vita |
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in comune; un tempo, non tutto di amore e concordia, però passato |
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comunque in maniera viva, vissuto non invano, nel vuoto, ma |
|
scambiandoci idee e sentimenti, oltre che piacere sessuale. Non |
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gettare nell'immondizia ogni cosa per un’ora con uno che non potrà prendersi cura di te. |
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Lasciami, se con me non stai |
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più bene, ma non andare a letto con lui! Questo lo dico per te. Ti |
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porto a Pesaro, a Bologna, o dove preferisci". |
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Più di così non potevo. |
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"No", rispose con tono deciso. "con te non vengo da nessuna parte. Questa notte |
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rimango sola per pensare alla nostra situazione sempre più critica, |
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oramai compromessa, oppure, se non mi passa lo stimolo-usò |
|
proprio questo termine-, francamente e senza offesa, io torno da |
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lui". |
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"L'offesa è tua-pensai-, l'offesa è tutta per te". |
|
Oramai era inutile aggiungere altro: non c'era più niente da fare. |
|
Ifigenia continuava a parlare per rendere definitivo quanto |
|
stava facendo. |
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"Gianni, molto francamente: il maestro di danza mi era piaciuto, |
|
e io l'ho stuzzicato in maniera anche abbastanza esplicita. Ma con |
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lui non ho mai trasgredito il limite oltre il quale non posso |
|
considerarmi onestamente la donna tua; questa volta invece l'ho |
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superato". |
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"Ho capito". |
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Non c'era altro da dire. Opporsi a quella libidine sarebbe stato |
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come volere contrastare il moto dei venti, dei mari o degli astri. |
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"Bene-conclusi-. Credo che non si possa aggiungere altro. Vado |
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via. Ciao, buona notte". |
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"Posso telefonarti domani sera alle otto?", domandò. |
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"Sì, telefona pure. Solo che adesso non so dirti se sarò a Pesaro o a |
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Bologna. Prova da una parte e dall'altra. Ciao, buona fortuna". |
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224 |
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"Anche a te", fece con un sorriso. |
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Intanto ci eravamo alzati dal gradino di pietra. |
|
Desdemona si allontanò in direzione del Grande Hotel , senza |
|
fretta. Sotto la maglia arancione aveva dei blue jeans. Camminava |
|
come una gatta in calore. |
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Tornai alla bianca Volkswagen parcheggiata sul lungomare. In |
|
giro non c'era |
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nessuno. Era |
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l'una e un quarto. Entrai |
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nell'automobile e vi rimasi qualche minuto fermo, senza metterla |
|
in moto: non sapevo da che parte andare. Mi sentivo vilipeso e |
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violentato. Soffrivo il dolore misero di una creatura impotente. |
|
L'auto aveva il muso rivolto a Pesaro dove mi aspettavano la |
|
mamma, la sorella, le zie, ma non mi sentivo di andare là; anche |
|
Bologna però, la casa afosa, con lo studio pieno zeppo di libri, il |
|
letto sfatto, la cucina sconvolta quanto l’anima mia, mi attiravano poco; d'altra parte |
|
che potevo fare? Rimanere lì tutta la notte? Andare a Moena, o a |
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Debrecen? Sentivo il fremito cupo del mare.
Pesaro 8 settembre 2024 ore 18, 57. giovanni ghiselli p. s. Statistiche del blog Sempre1617930 Oggi169 Ieri205 Questo mese2628 Il mese scorso10909
|
[1] “Nihil indignetur sibi accidere sciatque illa ipsa quibus laedi videtur ad conservationem universi pertinere (…) placeat homini quidquid deo placuit” (Seneca, Ep. 74, 20(
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