giovedì 12 settembre 2024

Ultima versione della storia di Ifigenia dall’autunno del 1978 all’estate del 1981.

Autunno 1978. Ifigenia I. L’incontro con la Kore

 
Nel ginnasio liceo Marco Minghetti di Bologna era  suonata da poco la campanella dell’intervallo delle 11. Stavo uscendo in fretta dal piano terreno buio per bere un caffè nel bar di via Nazario Sauro situato di fronte alla scuola. Quando fui vicino al portone, sentii che qualcuno mi stava arrivando alle spalle. Mi girai e vidi una giovane e bella collega, una supplente assunta da pochi giorni. Disse che voleva parlarmi.
Divinam ego putabam, pensai che fosse mandata da Dio.
 
Era lei, la Kore  immaginata e invocata durante il solitario giro di agosto dell’Ellade tra Andros, Mykonos, Maratona, Brauron, Atene,  Corinto, Epidauro, Micene, Patrasso. Era questa la ragazza invocata fra le gioie e i triboli di quel viaggio pieno di sogni e di segni. Il dio non mi aveva mentito. Probabilmente era questa nuova collega la kore, la figlia che cercavo dopo avere perduto quella concepita quattro anni prima con Päivi che l’aveva abortita.
Questa ragazza mi  aveva sentito parlare durante un’assemblea studentesca e l’avevo per lo meno incuriosita. Il 1978 era stato un anno di abbondante raccolto amoroso ma tale  fanciulla era  la spiga più bella del mazzo, il fiore dai colori più vivi, il frutto probabilmente più saporito.
“Come ti chiami?” Le domandai, simulando noncuranza.
“Ifigenia” disse con un sorriso aperto fin dentro l’anima.
“Io gianni”.
“Lo so. Posso darti del tu?”.
Certo, come no, siamo colleghi e magari diventeremo amici! Che cosa posso fare per te?”
“I ragazzi  mi dicono che sei molto bravo. Vorrei che lo dicessero anche di me. Insegnami come si fa. Per ora mi trattano con simpatia, come se fossi una di loro, ma non credo che mi ritengano brava”.
“Ci vuole tempo. Tu avrai poco più di vent’anni”
“Venticinque a dicembre”
 “Quando ho iniziato al liceo, tre anni fa, ne avevo già compiuti trenta e non sapevo come fare. Ci ho messo un paio di mesi per farmi ascoltare dagli allievi e un paio di anni prima che mi considerassero bravo. Ho dovuto studiare molto, imparare bene le lingue e le letterature antiche studiando molti testi, qualcosa anche delle moderne, capire la filosofia e l’arte dei Greci con un lavoro instancabile. Mi tenevo su con la speranza di una borsa di studio”.
“Cioè?”
“L’attenzione  degli studenti. E ora la tua: my Fellow-ship I call you”, potresti essere tu una mia bella e meritata borsa di studio.
“Non so se merito tanta attenzione”
“Sto contraccambiando la tua, molto gradita”
“Ne sono felice”
La simpatia aperta che durante quell’intervallo, la giovane collega mi manifestava, la fiducia che mi dichiarava guardandomi apertamente negli occhi, e chiedendomi di insegnarle il nostro mestiere, la curiosità e la vitalità prorompente che tutta la sua luminosa persona irradiava, mi riempiva di gioia e non mi consentiva più alcuna dissimulazione. Contraccambiavo apertamente i suoi sorrisi mentre  ne osservavo le membra slanciate e armoniose, formose ma snelle, il viso illuminato dagli occhi grandi, scuri, ridenti, la piccola testa dai folti capelli neri e ondulati. Mi venne in mente Helena, la finnica amata, poi l’amabile Afrodite dal dolce sorriso. Donne che amano e fanno amare la vita.
Continua
 
Pesaro 12 settembre 2024 ore 11, 20 giovanni ghiselli
 
 
 
 
Ifigenia II e III.
L’invito a uscire dalla scuola durante l’intervallo.
Il dialogo nel bar. L’inconcludente, pauroso gesuita.
 
 
In quella giovane bruna, vivace, bramosa di afferrare la sua porzione di scuola e di vita e pure desiderosa di donarmi qualche cosa di sé, mi sembrò che rivivesse tutta la bellezza luminosa dell’arte e della terra greca che l’empia teocrazia del lucro non è riuscita a nullificare; osservando con attenzione l’aspetto incensurabile delle sue forme, sentendo l’odore della sua pelle vicina, ammirando il colore dei suoi capelli e quello dell’incarnato reso bronzino dal sole, a un tratto in quel mio trentaquattresimo autunno già cupo di ombre sentii rifiorire i maggi odorosi della prima adolescenza quando alle sette di sere ancora illuminate dal sole andavo nella chiesa vicina di Cristo re a seguire le funzioni dedicate alla Madonna, e cercavo di imparare un po’ di latino non senza osservare con ammirazione i capelli, le caviglie sottili e i polpacci sodi delle ragazze più carine che potevano dare un significato alla mia vita di solitario studioso, sportivo e carente di affetti.
Quella mattina il tempo si rinnovava grazie al giovane angelo che veniva a confermare la mia speranza di sempre: stava per annunciarmi il diritto alla felicità meritata grazie a tante fatiche impiegate con volontà e intelligenza. Immaginavo che presto Ifigenia mi avrebbe offerto il suo amore e provavo la sensazione che il mio triennio di studio continuo, intenso e speranzosissimo, stava per diventare un’esperienza reale e completa: mentale e carnale. Con il mio incessante lavoro, un’ascesi spirituale e corporea quasi fanatica, avevo attirato una creatura ambita da chissà quanti uomini di tutte le età, dai ginnasiali ai generali, senza essere ricco, senza essere ben vestito né particolarmente giovane e bello, senza avere alcun potere, anzi, andato in pensione il galantuomo Piero Cazzani, era subentrato un  preside nuovo, un brutto tipo che mi era ostile e mi ostacolava siccome ero del tutto diverso da lui.
 Intanto il corridoio del liceo si stava affollando e mi sembrò troppo gremito perché potessi parlare  a mio agio con quella fanciulla che stava aspettando di sentirsi dire qualcosa di significativo e piacevole da come simpaticamente mi guardava. Sicché le dissi: “andiamo fuori a bere un caffè. Nell’intervallo ne ho proprio bisogno. Vorrei parlare con te e sentirti parlare, Ifigenia”.
“Sì gianni, volentieri. Usciamo di qui”.
Et coepit me praecedere. Pensai che quella ragazza significasse il destino.
In effetti si stava aprendo un altro capitolo di questa mia vita mortale.
 
Uscimmo e ci avviamo verso un bar dove probabilmente non avremmo incontrato i colleghi: non il caffè più vicino. Volevo camminare trionfalmente nella luce del sole per osservare la ragazza illuminata dai suoi raggi e pure per compiacermi dell’ombra delle mie membra che dopo l’estate si trovano sempre nella loro forma migliore.
Entrai subito in medias res in modo diretto dicendo: “ allora, ragazza, quale collega vuoi che faccia di te?”.
“Non so da dove cominciare” fece lei sentendosi forse aggredita.
“Inizia dal nocciolo della questione. Vai subito al centro siccome ci restano solo otto minuti” le dissi con un sorriso serio, incoraggiante.
“Va bene. Io mi sento molto attirata da te. Credo che tu possa aiutarmi a diventare brava e spero di potere contraccambiarti in qualche modo pur con il poco che ho”. Calcava la voce sulle parole per significarmi che le diceva sul serio.
“Tu non hai poco da dare a me - la incoraggiai - sei giovane, bella e fine: hai stile”.
Mi lanciò un’occhiata piena di gratitudine e di luce. Poi disse: “Tu comunque meriti tutto questo e anche di più”
Aspettavamo i caffè e ci chiedevamo come procedere.
Ero tentato di accarezzarla, per lo meno, ma non feci nemmeno questo gesto preliminare, mi sembrò prematuro: la ragazza giovane, bella, desiderata da molti era lei e se voleva una carezza mia doveva darmene il permesso. Mentre aspettavo una sua mossa, pensavo che se avessi fatto l’amore con Ifigenia, richiesto da lei, non ci sarebbe stato inganno poiché le sue membra mi piacevano assai, il suo animo non doveva essere volgare dato che voleva imparare, imparare proprio da me per giunta, e a me piaceva insegnare. Era la prima volta che tale richiesta mi arrivava da una collega giovane e bella molto. I conti tornavano, tutti i conti.
Pensavo questo mentre si beveva il caffè e non si parlava.
A un tratto lei fece: “Tu che cosa vuoi fare con me?”
Nell’anima mia si aprì una finestra che fece entrare tutta la luce del cielo
“Quello che vuoi tu, quello che mi chiederai”.
Ebbi paura però di essermi lasciato andare troppo alla felicità che un’educazione pretesca mi aveva sempre indicato come colpa se associata all’amore o, peggio. al sesso, “la cosa più sporca del mondo” secondo i furfanti, scellerati bigotti chierici e curiali traditori di Cristo e pure laici perbenisti, omacci magari sposati e frequentatori abituali di prostituite.
Sicché restrinsi l’apertura delle parole precedenti e quella della finestra che spalancata mi aveva inondato di luce.
“Ascoltami, signorina o signora: io potrei essere quasi tuo padre o per lo meno un fratello maggiore cui ti stai affidando spero non incautamente. Possiamo frequentarci anche fuori dalla scuola, se vuoi, per quanto ce lo consente il lavoro, ma limitiamoci all’amicizia per ora”.
Mentre parlavo mi accorsi che il discorso aveva un suono falso, stonato.
Faceva male a entrambi. Infatti Ifigenia di fronte a tanta ipocrisia e viltà si ribellò e rispose polemicamente:
 “Puoi dirmi con chiarezza che cosa vuoi da me? Se mi hai portata fuori dalla scuola di certo vuoi qualcosa, qualche cosa che non hai il coraggio di dire. Quanto al tuo signorina io sono maritata”. “Meglio così” pensai.
L’essenziale l’aveva capito e l’aveva detto. Era intelligente e coraggiosa oltre che molto giovane e bella. Provai ammirazione e mi eccitai.
 
Tuttavia mantenni la mia vena gesuitica iniettata al dritto e a rovescio.
Da una parte la smania sessuale dall’altra la paura e il senso di colpa nel soddisfarla.”You fearful jesuit” dissi a me stesso ricordando l’Ulisse di Joyce, tu pauroso gesuita
Quindi risposi dicendo solo una mezza verità. “Te l’ho detto, signora: cerco la tua amicizia. In te posso trovare un a sorella giovane, vitale e genuina, spero: una collega con cui potrò parlare apertamente di tutto e praticare gli sport che amo e so fare bene: correre a piedi e in bicicletta, d’inverno. Poi nuotare d’estate”.
 
Bologna 12 ottobre settembre 2024 ore 11, 34 giovanni ghiselli
 
 
Ifigenia IV.  E’ difficile entrare tutti interi nella gioia.
 
Sapevo di essere stato vile e codardo, più imbarazzato che brillante come ero invece quando corteggiavo le finniche sposate o no che fossero. Ma a Debrecen ero in vacanza ed ero un borsista gratificato con premi d’amore più che di studio - “vittu[1] e alloggio” si diceva scherzando tra noi maschi italiani - ed ero sì in una Università, ma quale studente in compagnia di altri universitari gaudenti più che  studiosi. Si beveva e si amoreggiava ringraziando gli dèi con degli evoè scatenati piuttosto che con i timidi, sussurrati, casti  osanna.
A Bologna invece ero diventato un docente guardato con sospetto da diversi colleghi e dal preside nuovo arrivato.
Dovevo stare attento a non dare esche ai malevoli nei miei confronti. Malevolentissimo era il preside. Benevoli alcuni, ma, da quando, con il nuovo anno scolastico, il dirigente era cambiato, stavano attenti a non farlo vedere. Era mutato tutto in peggio dall’anno prima quando avevo un preside estimatore e amico, tanto che come arrivai, trasferito da Imola, mi diede due classi da portare alla maturità con il greco. Portai l’Edipo re in una classe e le Baccanti nell’altra, due testi diventati poi miei cavalli di battaglia e due libri tradotti e commentati da me. Mi dicono che vengono ancora usati. Nell’Università Federico II di Napoli, per esempio.
Sono esauriti ma a chi vuole questi testi manderò il file per posta elettronica. Gratis e con simpatia. Si trovano già nel blog e vengono consultati da migliaia di lettori.
Questo nuovo preside dunque cercava di spostarmi, confinarmi nel ginnasio, nonostante i liceali delle mie classi manifestassero in mio favore.  Da loro Ifigenia aveva saputo che ero molto bravo. Al nuovo preside  non  piacevo per ragioni politiche, di metodo didattico, e probabilmente anche personali. Gli mancava tutto quello che io avevo.
Lui però aveva il potere di danneggiare me e i miei studenti, mentre io non avevo potere e loro nemmeno. Eravamo sprotetti.
Insomma il mio rapporto con la dirigenza era cambiato molto in peggio e dovevo stare attento.
Le manifestazioni dei ragazzi in mio favore non erano richieste e tanto meno organizzate da me, però c’era tra i colleghi chi telefonava in provveditorato perché venissi trasferito in quanto turbatore del clima del Minghetti.
Tornando agli amori dell’università estiva, là il tempo per realizzarli era ancora più breve di quello dell’estate: nemmeno una volta si sarebbe riaccesa la faccia della   Kore regina degli Inferi durante il corteggiamento di ciascuna delle donne che volevo amare, che amai tosto contraccambiato.
A Bologna nell’autunno del 1978 avevo davanti diverse riaccensioni della luna. Per questi diversi motivi procedevo adagio.
Inoltre, un rapporto che poteva diventare serio con una ragazza non del tutto implausibile per una relazione lunga e perigliosa mi terrorizzava anche se Ifigenia mi piaceva davvero. Vivevo la mia contraddizione come si diceva allora. Insomma dal don Giovanni che ero stato a Debrecen, e anche nei mesi precedenti passati quell’anno a Pesaro e  Bologna, davanti alla giovane, splendidissima collega, ero ridiventato lo sparuto, immaturo gesuita di quando bazzicavo la parrocchia di San Terenzio, il patrono della mia cittadina.
Tuttavia capivo bene che Ifigenia esigeva una risposta al suo desiderio di un contatto carnale tra noi: a questo indirizzava la mira dei suoi strali aguzzi e potenti: era altamente dotata dei doni della bellezza, dell’età e del sesso, una dote che voleva condividere con me in una relazione non settimanale, e nemmeno mensile o mestruale che dire si voglia.
La forza di questo desiderio in una femmina tanto giovane e attraente, una che certamente piaceva a tutti i maschi eterosessuali dell’istituto - dai ginnasiali, ai bidelli, ai colleghi compreso il prete e il preside brutto assai - non poteva trovare una lunga resistenza in uno come me, e lei lo sapeva bene anche prima di parlarmi, data la mia fama, o infamia, di uomo cui piacciono molto le donne e  ci prova con diverse, se non proprio con tutte. Sapeva che non avrei resistito a lungo. Sicché, mentre guardavo l’orologio per farle fretta, mi domandò: “In conclusione, ti va di fare l’amore con me o non te la senti professore?” Si vede che il marito non le andava a genio.
Il tempo dell’intervallo era già scaduto e si doveva tornare in fretta, sicché sfruttai questa circostanza per prendere tempo e prepararmi il discorso, magari scrivendone un canovaccio su un foglio. Dunque le dissi: “ti risponderò compiutamente all’uscita dalle lezioni. Contaci. Ora dobbiamo proprio andare. Intanto sappi che difficilmente d’ora in avanti mi sarà possibile prescindere dalla tua persona, carissima Ifigenia”. Ambiguo ancora una volta.
Eppure la ragazza mi assecondò: “nemmeno io potrò fare a meno di te, caro, prezioso Gianni”. Forse non senza un pizzico di ironica riprovazione.
Provai a ribattere: “sì, sì, bella signora ma con tuo marito come la metti?”
“Ci penso io: mio marito si scanta!”. Non mi era chiarissimo cosa significasse ma capivo che la signora voleva cambiare ganzo. Non mancava la nota cinica. Sul momento non mi spiacque ma con il tempo avrebbe costituito un impedimento a un Eros figlio di Afrodite celeste.
 
 
Pesaro 12 settembre 2024  ore 12, 13  giovanni ghiselli
 
p. s.
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[1] In finlandese significa il sesso femminile

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