A Nauplion l’inedia e il pensiero della nostra carestia non ci tolsero la voglia di fare una nuotata nel mare sfavillante di luce che diffusa copiosamente dalle mani generose del Sole attraversava l’acqua facendo brillare i sassi del fondo, le schiene iridate del pesci e i dorsi spinosi dei ricci. In queste creature marine a dire il vero vedevo del cibo. Purtroppo imprendibile.
Il corpo di Ifigenia che guizzava snella e armoniosa come una Nereide stimolò ancora di più la mia voglia di vivanda. “Inattenuata restava la fame crudele, e vigoreggiava implacato l’ardore della gola” [1].
Mi venne in mente il desiderio di cibo dell’empio Erisittone
Un bisogno naturale, se rimane insoddisfatto a lungo, diventa innaturale.
In parole povere avrei voluto mangiarla, magari dopo averla fiocinata in un modo o in un altro.
Quando uscimmo dall’acqua non potei trattenermi dal mordere una delle sue cosce carnose.
Molte sono le cose tremende ma la più tremenda è la fame.
Salimmo a Micene e vi restammo tre ore.
Ifigenia camminava esaltata in mezzo alle antiche rovine sitibonde e contaminate dal sangue scuro dei Pelopidi massacrati tra grida disumane si dolore e di odio.
La ragazza biancovestita recitava alcuni versi dell’Agamennone attribuiti da Eschilo alla bipede leonessa - divpou~ levaina[2]- Clitennestra, chiamata così da Cassandra.
Ifigenia recitava a memoria queste parole della moglie assassina che proclama la giustizia, la bellezza e il piacere del proprio delitto:
“lo colpisco due volte, e lui con due lamenti lascia cadere le membra proprio lì. Allora io sul caduto aggiungo un terzo colpo e un’offerta votiva a Zeus sotterraneo salvatore dei morti.
Così quello disteso a terra erutta lo spirito suo
e soffiando un fiotto impetuoso di sangue
mi colpisce con uno spruzzo nero di sanguinosa rugiada
e mi fa godere non meno di quanto gioisce
della pioggia inviata da Zeus il campo seminato
nel germogliare della spiga”[3].
Magari la mia compagna recitando queste parole pensava a quando mi avrebbe eliminato dalla sua vita. Si avvicinava quel tempo.
La osservavo affascinato pensando: “sarà squlibrata e opportunista nello stesso tempo, a volte sarà pesante e noiosa, talora tremenda; però è bella e ha il sentimento del bello. Quando sarò caduto sotto i suoi colpi ripetuti, diversamente da Agamennone, io mi rialzerò e inzierò a scrivere di lei quanto nemmeno Eschilo ha saputo fare per Clitennestra, né Sofocle per Antigone, né Euripide, né lo stesso Omero per Elena.
La finnica più bella e fine, Elena, nel mio capolavoro sarà l’anticipazione e pure l’antitesi di Ifigenia.
Dopo le tante letture e le diverse amanti contengo nell’anima mia tutti questi aspetti delle donne: la furia scellerata della figlia di Tindaro, l’ostinazione eroica di Antigone, figlia e sorella di Edipo, la sovrumana bellezza della figlia di Zeus: Elena la meravigliosa adultera per cui "non è nemesi patire a lungo tanti dolori poiché terribilmente assomiglia alle dee immortali”[4].
Bologna 22 giugno 2025 ore 17, 14
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Cfr. Ovidio, Metamorfosi, VIII, 844-845
[2] Eschilo, Agamennone, 1258
[3] Agamennone, 1384-1392
[4] Cfr. Iliade,
III, 156- 158.
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