“Se lei sapesse come sono stanco
Delle donne rifatte sui romanzi!”
(La signorina
Felicita ovvero La Felicità, vv. 257-258)
Io invece non mi sono mai stancato delle donne che mi hanno rifatto suggerendomi romanzi.
Ricordo un episodio con il quale riprendo il post precedente sul tema di maturità relativo al rispetto,
Una sera, un sabato sera dell’ agosto 1974, dissi a Päivi l’amante amata che il giorno dopo sarei andato a Szeged con altri studenti del corso estivo per la Carmen di Bizet cantata nella piazza di quella città trasandata. “Assomiglia a una piazza davanti alla stazione”[3].
Le chiesi se volesse venirci.
Rispose che si sentiva stanca, poi non era granché interessata a sentire di nuovo cantare la storia della zingara e dei suoi amori negati alla vita e volti piuttosto alla morte. La cosa mi spiacque non poco, siccome non avevamo ancora molti giorni di quell’estate precipitosa da vivere insieme, e temevo che, finita la borsa di studio a Debrecen, non avremmo avuto altre occasioni, anzi probabilmente si sarebbe chiusa ogni porta tra noi.
Mi spiacque anche il suo disinteresse per il melodramma, uno dei miei preferiti oltretutto. Una storia mediterranea, abbronzata.
Quindi, per provocarla, quasi per ripicca, le chiesi che cosa avrebbe fatto se, durante la gita, l’avessi tradita.
“Mi dispiacerebbe molto”, rispose.
“Sì - la incalzai - ma tu come reagiresti?”
“Non lo so, forse ti lascerei. In ogni caso non ti tradirei. Perché io ti rispetto”.
Disse I respect you con un filo di voce, senza aspettarsi parole di contraccambio, poiché sentiva il rispetto come un’esigenza sua. O almeno così credetti in quel momento e per qualche settimana successiva, fino a quando me lo lasciò credere.
Quella sera aggiunse: “so che il tradimento adesso è di gran moda, it is a deed in fashion, ma io non seguo le mode”.
“Fai bene - le dissi - La moda infatti è sorella della morte[5] e le mode di questa età scolorita sono plumbee, fanno affondare. Anche io ti rispetto, non dubitarne, e perdona la mia ipotesi stupida assai, e volgare. Non venendo a Szeged mi dai un dispiacere, ma con la tua risposta mi hai donato una lezione di stile e dignità, mi hai reso migliore. Io non posso tradirti. Io ti amo”.
Allora Päivi mi accarezzò il viso dicendo: “sei aquilino come il tuo naso, sai volare, non sei un camuso tellurico”. "Già - le risposi - come il cavallo nobile del cocchio alato di Platone: ejpivgrupoς, non simoprovswpoς[6]”.
Questa donna, l’ultimo grande amore della mia vita, in settembre mi avrebbe lasciato.
A questo proposito cito i due versi seguenti (259-260) della poesia di Gozzano citata sopra:
“Vennero donne con proteso il cuore
Ognuna dileguò senza vestigio”.
In seguito ne ho conosciute diverse altre, ma nessuna ha lasciato in me i segni tracciati da lei, anzi i solchi . Da questi è spuntata e cresciuta rigogliosamente una vita migliore di quella precedente l’estate del 1974. Una vita ricca di studio, di libri letti e scritti, di conferenze, di amicizie, di altri amori anche se non così intensi.
Io invece non mi sono mai stancato delle donne che mi hanno rifatto suggerendomi romanzi.
Ricordo un episodio con il quale riprendo il post precedente sul tema di maturità relativo al rispetto,
Una sera, un sabato sera dell’ agosto 1974, dissi a Päivi l’amante amata che il giorno dopo sarei andato a Szeged con altri studenti del corso estivo per la Carmen di Bizet cantata nella piazza di quella città trasandata. “Assomiglia a una piazza davanti alla stazione”[3].
Le chiesi se volesse venirci.
Rispose che si sentiva stanca, poi non era granché interessata a sentire di nuovo cantare la storia della zingara e dei suoi amori negati alla vita e volti piuttosto alla morte. La cosa mi spiacque non poco, siccome non avevamo ancora molti giorni di quell’estate precipitosa da vivere insieme, e temevo che, finita la borsa di studio a Debrecen, non avremmo avuto altre occasioni, anzi probabilmente si sarebbe chiusa ogni porta tra noi.
Mi spiacque anche il suo disinteresse per il melodramma, uno dei miei preferiti oltretutto. Una storia mediterranea, abbronzata.
Quindi, per provocarla, quasi per ripicca, le chiesi che cosa avrebbe fatto se, durante la gita, l’avessi tradita.
“Mi dispiacerebbe molto”, rispose.
“Sì - la incalzai - ma tu come reagiresti?”
“Non lo so, forse ti lascerei. In ogni caso non ti tradirei. Perché io ti rispetto”.
Disse I respect you con un filo di voce, senza aspettarsi parole di contraccambio, poiché sentiva il rispetto come un’esigenza sua. O almeno così credetti in quel momento e per qualche settimana successiva, fino a quando me lo lasciò credere.
Quella sera aggiunse: “so che il tradimento adesso è di gran moda, it is a deed in fashion, ma io non seguo le mode”.
“Fai bene - le dissi - La moda infatti è sorella della morte[5] e le mode di questa età scolorita sono plumbee, fanno affondare. Anche io ti rispetto, non dubitarne, e perdona la mia ipotesi stupida assai, e volgare. Non venendo a Szeged mi dai un dispiacere, ma con la tua risposta mi hai donato una lezione di stile e dignità, mi hai reso migliore. Io non posso tradirti. Io ti amo”.
Allora Päivi mi accarezzò il viso dicendo: “sei aquilino come il tuo naso, sai volare, non sei un camuso tellurico”. "Già - le risposi - come il cavallo nobile del cocchio alato di Platone: ejpivgrupoς, non simoprovswpoς[6]”.
Questa donna, l’ultimo grande amore della mia vita, in settembre mi avrebbe lasciato.
A questo proposito cito i due versi seguenti (259-260) della poesia di Gozzano citata sopra:
“Vennero donne con proteso il cuore
Ognuna dileguò senza vestigio”.
In seguito ne ho conosciute diverse altre, ma nessuna ha lasciato in me i segni tracciati da lei, anzi i solchi . Da questi è spuntata e cresciuta rigogliosamente una vita migliore di quella precedente l’estate del 1974. Una vita ricca di studio, di libri letti e scritti, di conferenze, di amicizie, di altri amori anche se non così intensi.
Bologna 19 giugno 2025 ore 20, 51 giovanni ghiselli.
p. s.
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