sabato 28 giugno 2025

Ifigenia CXCII. Ifigenia dà lezioni di recitazione, invano. Il progetto di un grande romanzo.

Nel primo mese del nuovo anno Ifigenia sembrava avere ritrovato fiducia in me e nel nostro dramma, La scuola corrottatanto che due volte la settimana preparava alcuni studenti prescelti a recitarlo, e lo faceva con energia efficace. La osservavo pieno di ammirazione mentre insegnava il mestiere che lei stessa voleva imparare.

Quelle sere pensavo che sarei tornato ad amarla come una volta; eppure sentivo che quanto di brutto era accaduto tra noi, aveva sconciato senza rimedio la nostra intesa antica, fatata, per cui facevamo l'amore innumerevoli volte, dovunque: anche in mezzo ai cespugli, come gli uccelli. Ebbene, tale fusione o versamento dell'uno nell'altra, oramai si era guastato per sempre: era diventato una miscela inquinata, una porcheria, un fango pieno di mostri. "Se la conoscessi adesso, farei salti mortali per conquistarla", mi dicevo scrutandola, ma, sapendo che i miei sentimenti non erano contraccambiati, non glieli manifestavo. Soffrivo, siccome lei non mi gradiva, tuttavia mi consolavo con il pensiero che fino a quando avevamo uno scopo comune, c'era pur sempre qualche cosa di vivo tra noi.

Per qualche tempo non parlammo del nostro rapporto, ed evitammo gli scontri, le menzogne, gli scoppi dell'ira e dell’angoscia. In febbraio però le difficoltà e i contrasti vennero fuori di nuovo. I miei ex alunni degli anni precedenti, dopo avere ricevuto riprovazioni e minacce, non se la sentirono più di venire alle lezioni: così ci mancarono gli attori. Cercammo di sostituirli con alcuni allievi della sua scuola di recitazione, ma non era agevole: ogni volta bisognava insistere molto, e mancava sempre qualcuno. Ifigenia cominciò a diradare le sue lezioni, e, verso la fine di gennaio, ai pochi rimasti volonterosi di recitare, disse che nel 1981 la tragedia non si poteva rappresentare. Bisognava aspettare che cambiassero i gusti della massa: che corrompere ed essere corrotti passasse di moda[1]. Così cadde il nostro penultimo scopo comune; restava solo il suo esame da aspirante attrice  per il quale continuavamo a studiare entrambi. 

Dopo il nuovo fallimento pensai che fosse impossibile risollevare il nostro amore, sia con parole dette o scritte anche divinamente, sia con azioni egregie: Ifigenia aveva annientato la sua l'ammirazione per me, e nessuna impresa mia, parola ornata o lezione forbita, forse nemmeno un capolavoro, avrebbe potuto risuscitarmi nell'anima sua. Ora so che la brama del successo le trafiggeva le ossa. Restava al mio fianco solo per assuefazione e convenienza: in luglio doveva superare la prova per la quale sapevo darle suggerimenti e farle lezioni utili, anche di stile. In fondo pure noi professori dobbiamo saper recitare magistralmente per  attirare l’attenzione. Perciò colei avrebbe fatto sesso con me fino all'esame e forse, siccome le abitudini sono tenaci, anche dopo per qualche tempo, ossia fino a quando non avesse trovato altri più utili e convenienti. Il nostro rapporto, caduto in una buca di melma e sassi acuti, si era rotto e sporcato tanto, che niente aveva la forza di rimetterlo in piedi com'era una volta.

Però potevo farlo rivivere tutto in una grande opera che consegnasse alla memoria dell'umanità il ricordo delle nostre gesta, dall'incontro dell' ottobre del '78 allo schianto finale, oramai certamente vicino. Affinché quei fatti grandi e meravigliosi, con il passare del tempo non divenissero oscuri (2)Intorno alla storia conduttrice e centrale, ne avrei raccontate altre: avrei creato il mito della finnica bruna, biancovestita, Helena, che nell'estate del '71 prefigurò Ifigenia almeno nell’aspetto, seppure in maniera assai più elegante e fine; la favola di Päivi, la donna fulva con occhiali e l’aria intellettuale che nel '74 mi motivò per sempre a studiare mentre aspettava un figlio da me: l'unico che abbia mai concepito con il corpo, eppure senza lasciargli la possibilità di nascere, per cui non mi sarebbe stato più consentito di mettere al mondo al mondo una creatura di carne e di sangue. Sarebbe stata una bambina per giunta, la figlia che mi sarebbe mancata per tutta la vita fino alle lacrime.

Ma la grande opera d'arte, una figlia mia secondo lo spirito, ne avrebbe fatte le veci, dando alla luce tante situazioni e persone, reali più dei loro stessi modelli. Tutte ci sarebbero entrate le femmine umane che mi avevano fatto sentire la vita: consanguinee, compagne di scuola, alunne, colleghe, amiche e ciascuna sarebbe diventata più significativa e reale che nella sua esistenza contingente, mortale.

Una sera, mentre si mangiava una pizza, proposi ancora una volta il progetto del romanzo a Ifigenia. Ne fu interessata, volle parlarne, e mi consigliò di mettere in rilievo gli aspetti mitici, i segni divini presenti nella nostra storia. Ottenni l'effetto, ormai raro, di farmi ascoltare con interesse, di essere guardato in faccia dagli occhi vivi e commossi di lei. Poco più tardi però, nel grande letto, le cose andarono nel solito modo di quel periodo triste: dopo il secondo orgasmo, faticosissimo, la ragazza chiese l'ora, poi disse che era molto tardi, che aveva sonno, che la mattina doveva alzarsi presto, e volle essere accompagnata a casa presto. 

Rimasto solo, verso le undici, pensai con pena e rimpianto al tempo remoto in cui dopo il quinto orgasmo alle sette del pomeriggio, o dopo l'ottavo all'una di notte, l’amata amante venticinquenne diceva:" Vai a lavarti di corsa, gianni, ché seguitiamo a oltranza". “Sì e a repentaglio”, rincaravo. E se mi attardavo a contemplarla, aggiungeva: "Muoviti, tesoro, prima che venga tardi sul serio!" Quelli potevano essere mesi di felicità. Ma la base orgiastica non è un fondamento solido. 

Nei momenti migliori  avrei dovuto prendere e darle la gioia spirituale donata e richiesta: invece non avevo spalancato la mia anima chiusa all'oblazione della giovane donna radiosa e sacra che mi amava nei primi tempi senza riserve né censure, come può farlo una fanciulla che sogna, mentre la contraccambiavo con diffidenza, egoismo e calcoli vani secondo il rovesciato vangelo dei pregiudizi diffusi in quel tempo. Non le avevo dato il meglio di me: la volontà di educare i ragazzi; e non avevo accettato il meraviglioso di quell'offerta: l'apertura della sua anima. Però del bene che mi ero lasciato sfuggire, potevo recuperare almeno una parte, raccontando le nostre vicende in un grande libro, un’epica  amorosa, storica, educativa. Sì, ma quando avrei iniziato? Finché Ifigenia stava con me, di malavoglia eppure a lungo, tenendomi spesso impegnato a occuparmi di lei e del suo esame, non potevo dedicarmi sul serio all'altro compito grande, innamorarmene, dargli il nerbo delle mie forze. Ci voleva una catastrofe, un crollo tra noi, una ferita quasi mortale che scatenasse il mio istinto di sopravvivenza il quale a sua volta mi costringesse a fare, per non morire, la cosa cui tenevo più nella vita: scrivere un epos degno di essere letto, interessante, educativo, onde compensare il fallimento amoroso altrimenti insopportabile.


Bologna 28 giugno  2025 ore 10, 17 giovanni ghiselli


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[1] Cfr. Tacito: nemo enim illic vitia ridet, nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur (Germania, 19), e conclude il capitolo: plusque ibi boni mores valent quam alibi bonae leges. 
(2) Cfr. Erodoto, Storie, Proemio.

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