lunedì 23 giugno 2025

Ifigenia CLXXXI . Il dialogo nel letto senza tripudi. La decadenza irreversibile. La zattera di salvataggio.

Il 25 novembre Ifigenia volle andare a San Giovanni in Persicelo a vedere un’Antigone di una regista nota per annientare i testi degli autori sostituendo alle loro parole ornate, cioè chiare e non dozzinali, una serie di urli, di smorfie e di gesti di suo gusto, per lo più arbitrari, caotici e non confacenti allo spirito dell’opera. Ifigenia sapeva che siffatta rappresentazione non poteva piacerle in quanto aveva sempre dichiarato che non sopportava i lavori teatrali alternativi, anzi “un zacco alternativi”, come diceva con dispregio imitando un comico cialtrone. Ma volle andarci lo stesso e voleva intrattenersi in sala anche dopo la fine dello spettacolo. “La ragione più vera anche se non dichiarata - pensai - è che tira a fare tardi per non venire a letto con me”. Era probabile che fosse stata colpita da un dardo amoroso scagliato da un altro. Pochi giorni più tardi quel Cupìdo fu svelato dagli eventi sui quali indagavo con mente resa vigile dal sospetto quasi mai infondato quando si insinua in una persona avvezza a dubitare sui fatti  non chiariti dalle parole, anzi oscurati e confusi da queste. 

L’uomo che la distraeva da me era il suo maestro di danza. Ifigenia ne aveva parlato con degli elogi e un tono non privo di pathos che mi aveva messo in sospetto già un mese prima. Alla fine di novembre dunque mi chiese se la portavo al Palazzo dei Congressi a vedere un balletto dove danzava quel Gennaro maestro suo, e allievo della musa Tersicore. Non potei rifiutarmi. Del resto ne ero curioso. Succede che quando le cose vanno male si arrivi a desiderare che peggiorino addirittura, purché si chiariscano. Durante lo spettacolo mi feci indicare tanto maestro. Era uno qualunque, dentro una fila. “Bene - pensai - quello è uno che serve solo ad allungare un corteo, come Prufrock di Eliot”. Sapevo del resto che se a lei quello piaceva più di me, la nostra relazione aveva i giorni contati, forse anche le ore.

Un pomeriggio mi trovavo nel collegio triste dei docenti. Avevo lasciato la bicicletta davanti al portone del liceo e, quando andai a riprenderla vi trovai un biglietto con su scritto: “Gianni, ti amo tanto. Tu sei il migliore. La tua Musa, Calliope”. Ne fui contento pur non senza qualche vago sospetto che la ragazza volesse depistarmi. Per studiarla, la portai a cena sul Monte delle formiche dove all’epoca c’era un ristorante simpatico. Eravamo in automobile data l’ora e la stagione, ma le dissi che quella era la strada delle nostre imprese poco meno che olimpiche.

Tornati a casa, desideravo fare l’amore. La ragazza invece non arrivava all’orgasmo. Era bagnata di sudore, ce la metteva tutta, si affaticava con i movimenti del il corpo e con la voce, ma non c’era verso. Le domandai: “Che cosa ti succede tesoro? Non ti piace più? Avevo evitato la domanda diretta e giusta che era: “Non ti piaccio più? O addirittura: “Mi schifi?” Una domanda retorica d’altra parte. Me l’aveva posta l’amico Ezio quando mi vide arrancare in una strada di Bologna sconciato da marmittone sudicio e ingrassato durante il servizio militare: “Ti schifano ora le donne, ti schifano, gianni, ti schifano?” “Non c’è male - risposi - abbastanza”. Eppure nel luglio successivo feci la più bella e preziosa delle mie conquiste trovando il modo di piacere a Elena Augusta. Dopo il congedo in un paio di mesi di ascesi pagana mi ero rimesso in ottima forma e ne ero assai fiero.

Ifigenia mi guardò senza rispondere per diversi secondi.

Quindi mi domandò: “Sei forte?”

Rabbrividii e pensai: “orribile segno della fine di questa storia”.

Risposi: “sì, sono forte. Ho già presofferto molto, quasi tutto. Ora dimmi”.

Riprese a tacere fissandomi con occhi pieni di compassione.

La incoraggiai: “Dai, raccontami tutto. Ho un cuore avvezzo alle pene io. In realtà mi tremava la voce.

“Non temere Gianni: di concreto non è successo nulla. C’è stato un impulso cattivo dell’Es al quale non ho dato alcuna risposta, né voglio dargliela”

“Chi lo ha scatenato? - domandai direttamente - il tuo maestro di danza?”

“Sì, come hai fatto a capirlo?”

“Da diversi dettagli. Adesso che cosa pensi di fare?”

“Gianni, io voglio rimanere con te, se tu mi vuoi. E spero che il nostro amore non cali in seguito a questa mia emozione vana”

“E’ già calato - pensai - anzi lo era da tempo”.

Ifigenia continuava a cercare una zattera di salvataggio per il nostro rapporto prossimo a naufragare. La decadenza è quasi sempre irreversibile. Lo è se non viene smentita tosto.

“Io con l’intelligenza capisco che quel ballerino non vale un’unghia di te, amore mio. Ne sono certa: è un narcisista, forse è pure omosessuale, però mi ha stimolato. In maniera malsana. Magari per il fatto che mi ricorda mio padre. Oppure perché da qualche tempo tu mi trascuri, mentre lui mi elogia, mi incoraggia. Ne sono rimasta turbata, è vero. Però il mio uomo sei ancora tu, se lo vuoi. Che cosa ne dici?”

“Che cosa posso dire: mi dispiace. E’ una ferita inferta al mio narcisismo. Devo curarla”. Quindi le domandai la cosa che mi premeva di più: “A letto con lui ci sei stata”?

Rispose in modo che il vulnus non diventasse un ulcus incurabile: “No, gianni, assolutamente no” disse negando con aria risoluta, poi aggiunse un indizio di sincerità, non verificabile peraltro: “Altrimenti ora non sarei qui con te. Non credi?”. Aveva versato un poco di balsamo nella mia ferita.

“i balsami beati

per me le Grazie apprestino,

dacché quel ballerino

punse me poverino” pensai per buttarla sul comico.

La mia zattera di salvataggio è sempre stata la letteratura. Fin dalla prima elementare. Poteva avere detto la verità ma non ne ero sicuro.

Comunque risposi: “Sì è vero, scusami”. Oggi credo che se amassi una donna e lei volesse restare con me, sarei meno sospettoso e non farei tante indagini.  Il fatto è che arrivato a quel punto avevo paura di perdere Ifigenia, ma non l’amavo più né le volevo bene. Però pensavo che non era ancora giunto il momento di finire il rapporto senza scapitarci. E lo pensava alche lei. Dopo avere rimuginato un po’ tornai a domandarle che cosa c’era stato tra lei e il suo maestro di danza.

“Niente - rispose - Dopo le lezioni con lui non ho preso mai nemmeno un caffè. Eppure quell’uomo mi ha fatto provare sentimenti forti e strani”.

“Strani come?”

“ Come quelli che, hai visto, mi hanno disturbata poco fa mentre si cercava di fare l’amore. Sentimenti ambigui composti di attrazione e repulsione contaminate a vicenda.  Probabilmente Gennaro mi interessa per il fatto che è in grado di insegnarmi qualcosa di cui ho bisogno. A me piace imparare e tu mi hai insegnato molto, ma non tutto quello che mi serve per progredire sulla mia strada che sta divergendo dalla tua. Ciò non significa che intendo lasciarti. Le nostre vie possono convergere ancora”.

Pensai all’ossimoro politico “convergenze parallele”. Un’uscita retorica di qualche anno prima. Pure l’amore è un fatto politico: dipende anche dai rapporti sociali nella polis e dalla situazione socio-economica dei due amanti.

Ifigenia tacque aspettando una mia risposta. Dato che tardavo a ribattere, mi domandò: “l’emozione per Lucia ti è passata del tutto?”

“Sì. Ho capito che non aveva alcun fondamento nella realtà”. Non dissi “né alcuna reale corrispondenza in lei” com’era di fatto.

“Va bene così, Gianni. Ora siamo pari. Io con la parte cosciente della mia persona reale non amo che te e con te voglio stare”

“Il fatto è che quella parte è solo la punta emersa di un iceberg, e quella sommersa, incosciente, è molto più grossa”, pensai, senza risponderle.

 Dopo una breve pausa riprese a parlare Ifigenia. “Ricorda che  quella tua infatuazione per la nuova collega mi ha fatto soffrire. Del resto tu sei un uomo talmente immerso nella scuola che intendi svolgere tutta la tua vita in quell’ambiente che a me invece sta stretto”.

“La scuola mi ha dato tutto il buono e il bene che c’è stato nella mia vita - replicai - te compresa”.

“Lo so, ma io mi sto allontanando da quell’ambiente. Tuttavia vorrei non separarmi da te”.

“nemmeno io da te”.

“Allora prendiamo tempo. Possiamo collaborare nel campo del teatro e del cinema. Hai scritto una pièce molto bella e io la reciterò. Possiamo continuare con questo metodo: procedere insieme su questa nostra strada”. 

“Non sono sicuro di avere talento” dissi. Omisi: “né che tu lo abbia” per non offenderla, ma lo pensai.

“So che ora soffro e provo sentimenti non soltanto buoni: sono geloso, ho paura di perderti e mi spaventa ricominciare tutto da capo con chissà chi. La mia vita è ancora impostata per stare con te. Devo pensare a quanto abbiamo detto. Si è fatto tardi: ti porto a casa”

“Va bene, pensaci, ma non perderti nel labirinto dei tuoi arzigogoli. Tieni conto del fatto che in questi giorni sto recuperando interesse per te”. 

“Il fatto reale - pensai - è che questa sera non ti è riuscito di avere un orgasmo con me, neanche uno. Sei tu che arzigogoli”.

Non lo dissi e Ifigenia continuò: "Se ti ho parlato del mio problema, doloroso per entrambi, significa che non intendo uscirne da sola. Ti sto chiedendo aiuto per farlo”.

“Sì, capisco e voglio aiutarti mentre aiuto me stesso, però  adesso devo trovare come farlo pensandoci sopra. Quindi ti porto a casa. Dai, facciamo le mosse assurde dell’una di notte: alziamoci dal letto e rivestiamoci per poi spogliarci di nuovo e tornare a letto. Io nello stesso letto per giunta. Meglio del resto. Questo qui profuma di te e solo di te”. Volli darle un contentino mentre la mandavo via. 

Sorrise e cominciò a rivestirsi. Le guardavo le cosce di formato olimpico, le mutande celesti dove il grembo stillava rugiada profumata, la pelle del ventre abbronzato che conservava la luce del sole di Grecia, il seno che aveva allattato la mia gioia di vivere. Le amanti mi piacciono tanto quando arrivano, e ancora di più quando se ne vanno per tornare dopo il necessario intervallo. Se si fermano troppo a lungo mi annoiano, mi danno fastidio, mi turbano e da questi disturbi nascono cattivi pensieri. Probabilmente non ho mai trovato l’altra metà che completi il dimidiato essere umano che sono. 

Durante il tragitto tacqui e pensai che in ogni modo avevamo ancora bisogno l’uno dell’altro: io per dare inizio al mio capolavoro vero o solo sperato, lei per farsi chiarire il significato dei testi drammatici che doveva recitare agli esami e ai saggi della scuola di recitazione. Giunti sotto casa sua, le domandai per quale motivo non era andata a letto con Gennaro.

“Perché con lui non ho niente da dire - rispose - sarebbe stato uno sfizio vizioso, un cammino retrogrado e lo smarrimento della via che vogliamo percorrere nel nostro procedere insieme verso l’arte e l’amore. E prima di tutto perché non amo lui. Io amo te.”

Tornando a casa mia, pensai che quel ballerino non le aveva mai proposto di andare a tripudiare nel letto con lui. Un pensiero maligno  o realistico ? Chi lo sa?

 

Bologna23 giugno  2025 ore 17, 49 

giovanni ghiselli


Statistiche del blog

Sempre1756147

Oggi757

Ieri1080

Questo mese18435

Il mese scorso14567

Nessun commento:

Posta un commento