giovedì 19 giugno 2025

Ifigenia CLXVI Due disgraziati a Moena nella sua veste più bella.

Il 26 giugno arrivammo a Moena.
 
La valle di Fassa in giugno è un giardino colmo di erbe e di fiori, un prato variopinto, con un grande contorno di foreste vive sormontate da rocce illuminate per tante ore. Arrivammo intorno alle quattro nel paese magico, poetico e mitico della mia infanzia solitaria. Salimmo fino alla Malga Panna. Ci diedero una camera matrimoniale con un letto enorme. Proposi subito di fare una passeggiata nel prato che si stende fino alla chiesa sottostante. Ancora non sapevo che Ifigenia non aveva portato le scarpe per camminare nell’erba alta del mese più luminoso dell’anno.  
Disse che voleva dormire siccome non reggeva il ritmo spietato e massacrante che volevo imporle, da tiranno tremendo quale sono.
Una specie di Falaride agrigentino o di Nabide spartano.
“Molte sono le cose tremende, pensai, ma niente è più tremendo di te”. Dissonante in tutto da me. Mi stavo tirando dietro una barella con un’inferma mentale, cattiva per giunta.
Mi chiesi quale nesso ci fosse tra le sue parole di accusa e i fatti: non si muoveva con le sue gambe da molte ore. L’automobile l’avevo guidata sempre io mentre lei dormiva.
Sentivo la necessità di muovermi in maniera anche impegnativa. Avevamo a disposizione diverse ore di luce e volevo goderle tutte: a Moena in giugno non ci ero stato mai e non avevo mai visto dove tramonta il sole quando sale alla massima altezza e va a dormire nel suo giaciglio spostato più a settentrione.
Tale visione nuova mi interessava assai più delle lagne di quella persona fiacca che mi ero tirato dietro e mi disturbava parecchio. Le augurai un buon riposo e uscii da solo, disgustato da tale disinteresse alla bellezza del luogo, della stagione, dell’ora.
Guardavo l’occhio del giorno d’oro spostarsi adagio verso il passo di Costalunga: stava trovando la forza che avrebbe perduto già a metà luglio, di superare tutta la schiena villosa del Sas da Ciamp.
Nel mese più bello, il dio che ci dona la luce e il calore ama volare oltre i suoi ostelli notturni situati nei boschi meridionali dove sparisce d’inverno stanco del volo nell’aria gelata, nella primavera ancora piuttosto fredda si annida  tra i dossi occidentali; nei giorni più belli dell’anno invece arriva a posarsi nel giaciglio che si trova più a nord, sopra lo specchio turchino del lago di Carezza dove può vedere riflesso il proprio volto purpureo come fa a Pesaro quando tramonta nel mare oltre il grattacielo di Rimini e i suoi devoti vanno a pregarlo tutte le sere sull’ultimo molo del porto dove lo benedicono grati chiedendogli la grazia di poterlo vedere per tanti altri giugni quando la terra diventa un paradiso grazie alla sua generosa presenza. Non ho mai potuto osservare l’eroica luce del sole nel mese di giugno senza rivolgergli pensieri e parole di gratitudine e amore.
Per vedere fino all’ultimo minuto il santo viso di Elio che calava verso il Rosengarten dovetti attraversare il prato di Sorte e salire su un’altura. L’erba mi arrivava alla vita.
Vidi un ragazzo che correva in tuta e scarpette senza zavorra
“Te beato - pensai - felice te, o fortunate asulescens per la tua libertà, e disgraziato me che mi sono addossato un peso molesto e avverso! Il mese di giugno è una festa nel nostro emisfero; qui a Moena è un tripudio della natura nel suo pieno rigoglio, ma la perfida si mette a letto in una stanza buia, cimiteriale, a metà del pomeriggio, al culmine di questa orgia santa. Vuole darmi fastidio e purtroppo ci riesce. Devo fuggire via da costei se non voglio ricadere nella paura di vivere che mi venne inculcata da bambino e mi ha interdetto ogni gioia per anni.
“Felice te!”, ripetei vedendo quel fortunato giovane correre senza tirarsi dietro una barella con un’inferma. Aspettai che si fosse allontanato e mi diedi alla corsa anche io. Non potevo condividere i costumi malati di quella malata di mente. Sarebbe stata una comunione di mortifera.
Moena mi rendeva inflessibile: da bambino avevo dovuto opporre tutta la mia resistenza a chi mi voleva o mi vedeva debole, malato e deficiente. L’essere bravo il più bravo a scuola e in bicicletta contraddiceva tale vulgata che sarebbe state ripresa da diversi compagni di scuola malevoli, poi da tanti colleghi invidiosi.
“Tali nemici li ho fronteggiati e retti a lungo - pensai - ma le amanti ostili non devo sopportarle”.
 
Bologna 19 giugno  2025 ore 10, 33 giovanni ghiselli

p. s.
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