Lo sbudellamento davanti al fuoco mi aveva riempito l'anima di
tali sentimenti cattivi. Ci incontrammo nella sala
della colazione. Per provocarla subito, le feci notare che la
cameriera era bella, bellissima, una meraviglia di donna: non avevo mai visto una delizia del genere.
Reagì soltanto con un "non mi piace", simulando indifferenza.
Salimmo al rifugio Le Cune, sperando che il sole rompesse le
nubi, ma non eravamo degni della sua presenza lieta, e rimase
nascosto fino a sera. Eravamo cattivi e meschini. Lo vedemmo
volare basso e stanco solo pochi minuti prima che si annidasse tra
i monti. Non osai chiedere niente al dio corrucciato. A metà
giornata ci sedemmo su una panchina di ferro posta non lontana
dal ciglio di una voragine aperta verso nord est. Si vedeva la Marmolada, la regina delle Dolomiti, mi spiegava la zia Giulia, ma se le chiedevo di portarmi a camminare su quella distesa bianca che mi affascinava rispondeva che era piena di crepacci associando questa parola minacciosa a un’altra assonante che doveva spaventarmi. “Sulla Marmolada sono crepati tanti, anche esperti di montagne e ghiacciai, bambino imprudente anche nei desideri!”
"Anche con certe amanti si crepa, magari dopo avere goduto" pensavo quella mattina. Non ero più un bambino e non mi facevo tante illusioni. Una volta vedevo il tutto nel niente, oramai il niente nel tutto. Il mio disincanto era totale.
Eravamo cupi e imbronciati. Parlavamo di nuovo della nostra situazione
infelice aggirandoci attorno ai soliti temi: perversioni, tradimenti,
emozioni cattive, e così via. Cercavo di provocarla a dire qualcosa di
nuovo, onde scriverlo tra gli appunti del capolavoro prossimo; ma
quella eludeva le domande, replicando con i luoghi comuni che
avevamo codificato insieme negli ultimi tempi a proposito del
nostro connubio corrotto.
Ad un tratto però, quasi senza volere, riuscii a colpirla in una
debolezza essenziale, una zona critica e dolorosa dell'anima, una
piaga che, appena sfiorata, la faceva dubitare perfino della sua
identità. Dissi soltanto: "Ifigenia, sei più bella, giovane e
affascinante adesso di quando ti ho conosciuta".
Tutto qui. Ma quella, cadutale la maschera di indifferenza con cui si era protetta fino allora, mi guardò con un'espressione di terrore e di odio, poi
disse: "Io non cerco nessuna consolazione del fatto che non sono
tanto giovane quanto le ventenni delle quali senti bisogno tu per
eccitare i tuoi nervi mal protesi e stremati".
Quindi si alzò e si avvicinò al ciglio del precipizio.
Avevo fatto come la Medea di Seneca, quando con lucida follia trova il punto debole del traditore Giasone. La madre dolorosa e furente ha visto come può colpire il marito fellone e dice fra sé: "sic natos amat?/Bene est, tenetur, vulneri patuit locus" (549-550), ama così i figli? Va bene, ce l'ho in pugno, si è aperto un varco per la ferita.
Dopo essermi congratulato di tale riuso del maestro di Nerone, provai compassione della sua debolezza e mi alzai per andare ad accarezzarla, a dirle che se soltanto mi avesse voluto, non avrei desiderato altro.
Ma non potei farlo. Prima che arrivassi a toccarla, Ifigenia scappò nel rifugio.
Rimasi fermo dov’ero per qualche minuto. Poi la seguii adagio. La raggiunsi. Piangeva. Le domandai perché.
"Ho creduto che tu volessi ammazzarmi buttandomi giù", rispose.
La guardai costernato. Non potevo spiegarle più niente. Dissi
soltanto: "Ma va". Per tutto il giorno non riacquistò la ragione. Il
precipizio l'aveva dentro di sé la ragazza.
Era in bilico sul proprio inconscio, un baratro terrificante; oppure era in balia del cavallo nero, contorto e massiccio, peloso fino alle orecchie, come quello
maligno della biga platonica (22).
Ifigenia aveva un'angoscia cieca e regressiva. L'avevo
Scatenata con un'osservazione tutt'altro che atroce, eppure
insopportabile per la sua debole coscienza di sé. A meno che facesse una delle sue scene per esercitarsi. Nessuna malizia poteva essere esclusa. Da parte sua e pure mia.
Comunque fino a sera non fu possibile dirle una sola parola senza insospettirla e farla piagnucolare, o addirittura infuriare.
Pesaro primo luglio 2025 ore 8, 49 giovanni ghiselli.
Il mese più luminoso, più bello è passato.
Note
20
Cfr. G. Leopardi, Il pensiero dominante, 59 e sgg.
21
Cfr. F. Nietzsche, Il caso Wagner, trad. it. Mondadori, Milano, 1975, capitolo 12
22
Cfr. Platone, Fedro, 253e.
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