Aristofane |
La licenza di uccidere
in casa propria, praticamente chiunque si voglia ammazzare per qualsiasi motivo
magari dopo averlo invitato a cena o a letto, prelude alla restaurazione della
pena di morte e al ritorno della guerra civile che ha tanto insanguinato l'Italia,
da secoli, anzi da millenni, a partire da Romolo e Remo. Chiunque uccida, si
trova in stato di grave turbamento e comunque può dire di avere ucciso in tale
stato.
Il 6 aprile presenterò
la Lisistrata, una commedia pacifista di Aristofane, a Cento.
Ne anticipo qui
l'introduzione data da altre due commedie di Aristofane contro la guerra:
gli Acarnesi e la Pace
Questo deve valere come
monito ai fautori della licenza di uccidere
Aristofane
nacque ad Atene intorno al 445 a. C. e morì probabilmente nella sua città poco
dopo il 385.
Ricaviamo
dalle sue commedie le notizie sulla vita. Ne scrisse una quarantina conseguendo
cinque vittorie: a noi sono arrivati undici drammi: gli Acarnesi (425),
i Cavalieri (424) le Nuvole (423),
le Vespe (422), la Pace (421),
gli Uccelli (414), la Lisistrata (411) le Tesmoforiazùse (411),
le Rane (405), le Ecclesiazùse (392),
il Pluto (388).
Tre commedie contro la
guerra
Aristofane negli Acarnesi dichiara
guerra alla guerra.
Il
protagonista Diceopoli, il cittadino giusto, fieramente avverso al conflitto,
convince il coro che la guerra è un male e lo induce a dire: "io non
accoglierò mai in casa Povlemo" (v. 977), la personificazione degli orrori
bellici, visto come " un uomo
ubriaco (pavroino" aJnhvr,
v. 981) il quale "ha operato tutti i mali e
sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur invitato a bere nella coppa
dell'amicizia, "bruciava ancora di
più con il fuoco i pali delle viti/e rovesciava a forza il nostro vino fuori
dalle vigne"(986 - 987).
Il
campagnolo pacifista Diceopoli si fa portavoce dei contadini, esasperati poiché
la guerra del Peloponneso nella fase archidamica (431 - 421) aveva distrutto
ogni anno i raccolti.
Respinto
Polemos, arriva la Pace connessa
alla festa, all'amore e alla bellezza dell'arte: infatti è compagna della bella Cipride e
delle Cariti amabili (v. 989). Quindi giunge l'inviato di un marito
che porta doni e chiede una coppa di pace: "i[na mh; strateouit j ajlla; kinoivh mevnwn"
(kinevw nel
senso di “sbatto” - v. 1052), perché non vuole andare in guerra, ma rimanere in
casa a fare l'amore. Diceopoli, che ha sofferto l'incomprensione dei
concittadini, rilutta
ad aiutare il marito ma arriva anche una messaggera con la richiesta della
sposa:
" che il pene del
marito rimanga a casa" (o{pwς a}n oijkourh'/ to; pevoς tou' numfivou, 1060). Questa preghiera fa breccia nel cuore del
cittadino giusto, il pacifista Diceopoli alter ego di Aristofane:
"perché una donna non
merita di soffrire per la guerra"(Acarnesi, 1062).
Nella seconda commedia pacifista
(Pace del 421) la festa che segue alla pace odora di
frutta, conviti, di grembi di donne che corrono verso la campagna (kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn,
v. 536) e di tante altre cose buone.
Qui
si racconta che gli dèi[1] si
sono allontanati dagli uomini per non vederli sempre combattere e li hanno
abbandonati a Polemo il quale ha gettato la Pace in un antro profondo (v. 223).
Intanto però il pestello (aJletrivbano",
v. 269) degli Ateniesi, il cuoiaio (oJ
bursopwvlh" , v. 270) che sconvolgeva l'Ellade,
insomma Cleone, è morto. Così pure Brasida, il pestello dei Lacedemoni.
La
pace accresce le possibilità di vita secondo Trigeo, anche questo, come
Diceopoli, un contadino pacifista: essa consente di navigare, rimanere dove si
è, fare l'amore, dormire, andare a vedere le feste, banchettare, giocare al
cottabo, e gridare iù iù (vv. 341 - 345). Vogliono le guerre i fabbricanti di
lance e i mercanti di scudi per i loro guadagni (vv. 447 - 448). Alla fine
costoro riceveranno le pernacchie, mentre i contadini potranno tornare al
lavoro dei campi richiamando alla memoria l'antica vita che la Pace largiva: i
panieri di frutta secca, i fichi e i mirti, il dolce mosto, le viole accanto al
pozzo e le olive di cui si ha desiderio. La pace per i campagnoli significava
la zuppa d'orzo verde e la salvezza (ci'dra
kai; swthriva, v. 595), sicché le vigne e i teneri fichi, e
quante altre piante vi sono, rideranno liete accogliendola. Segue nell'agone
un'eziologia della guerra meno ridicola di quella presentata
negli Acarnesi[2]:
Pericle, spaventato dalle accuse intentate a Fidia, per non seguire la stessa
sorte, mise a fuoco la città e provocò tanto fumo che tutti i Greci
lacrimavano. La distrazione di massa si dice oggi. Alla pace ritrovata seguono
progetti e preparativi di feste a base di scorpacciate culinarie e sessuali: Teoria ha un culo da Festa quinquennale e va molto
bene; la focaccia è cotta, la torta col sesamo è impastata e tutto il resto è
pronto: "tou'
pevou" de; dei' " (v. 870), manca solo il bischero.
Quindi
Trigeo cita due esametri omerici[3]:
"è privo di legami sociali, di leggi, di focolare quello che/ama la guerra
civile agghiacciante (vv. 1097 - 1098).
Ogni
guerra in fondo è una guerra civile secondo i princìpi dell’umanesimo.
Nei
conflitti interni molti valori si capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito
della stavsi" di
Corcira, quando ci fu una tranvalutazione generale e le stesse parole cambiarono
il loro significato originario:"Kai;
th;n eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/
dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r
ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82,
4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai
fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni
di partito.
"Un'audacia " ajlovgisto""
prende il nome di coraggio, la prudenza si chiama pigrizia, la moderazione
viltà, il legame di setta viene prima di quello di sangue, e il giuramento non
viene prestato in nome delle leggi divine, bensì per violare le umane. Sinistro
carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per
superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la
prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82
- 84)"[4].
Nel Bellum Catilinae di Sallustio,
Catone, parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di
punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli
prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore
delle parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia
bona aliena largiri liberalitas, malarum
rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita
est " (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel
nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità,
l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.
Nella
II Parabasi della Pace il Coro di contadini proclama la sua gioia per la
libertà dagli impegni bellici e la possibilità che la pace offre di stare
vicino al fuoco a bere con i compagni, arrostire ceci, mettere ghiande al fuoco
e sbaciucchiare la serva tracia mentre la moglie si lava. Poi quando arriva
l'estate con la dolce canzone della cicala[5] Trigeo
gode nel vedere maturare vigne precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai" (v.
1168), che bella stagione! Tutto questo succede invece dell’essere arruolati
ancor prima dei cittadini e di dover obbedire a un capitano vigliacco. Alla
festa finale arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua attività ed è
grato a Trigeo, mentre il mercante di armi è addolorato. Il cimiero che lui
vende può servire al massimo per pulire la tavola e la corazza per cacarci
dentro. Le lance segate in due potranno fare da pali di viti. Infine c'è la
festa di nozze fra Trigeo e Opora (il raccolto): lui ce l'ha grande e grosso,
lei ha la fica dolce (tou' me;n mevga
kai; pacuv - th'" d’hJdu; to; su'kon - 1350 - 1351).
La
terza commedia pacifista è la Lisistrata
del 411.
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