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Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo (Einaudi, Torino, 2019).
Presenterò l'intero volume l'11 aprile alla Sapienza di Roma (sala Odeion)
Il topos degli occhi
“L’emblema albertiano dell’occhio alato e
saettante (tav. 9) non può perciò essere letto attraverso le lenti di un
Umanesimo-Humanismus e così ridotto a immagine dell’acutezza dello
sguardo unita alla rapidità dell’ala” (Cacciari, La mente inquieta
Sggio sull’Umanesimo, p. 67)
La tavola 9 è divisa in due parti: 9a
Matteo de’ Pasti, Medaglia di Leon Battista Alberti,
bronzo,1446-50, verso con occhio alato. Firenze, Museo del
Bargello. 9b L’occhio alato di Leon
Battista Alberti, emblema albertiano e il motto “Quid tum”, disegno 1450
circa. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms Magl. II IV 38, c. 119v.
Leggiamo il commento di Cacciari. “E’
Alberti stesso a dirci che gli Egizi usavano il segno dell’occhio per indicare
il Dio e il geroglifico dell’avvoltoio per designare la paura. I due elementi
vengono combinati nella Hypnerotomachia Poliphili[1] (ricchissima di
riferimenti all’Alberti teorico dell’architettura) per significare “Deo naturae
sacrifica”. Ma il topos dell’Occhio simbolo del sole, a sua volta
manifestazione visibile del sommo Dio, fornisce forse la chiave per risolvere
l’enigma albertiano? Certo, quello della vista è il più spirituale dei sensi.
Certo, veloce come la luce vola l’occhio e raggiunge gli
oggetti più lontani (“come l’occhio e il razzo del sole e la mente sono i più
veloci moti che sieno”, dirà Leonardo). Ma se è anche nostro questo
occhio, quid tum? Quale pallida immagine dell’onnipotenza
solare dell’Occhio infinito di Dio! Che cosa possiamo vedere realmente?
Soltanto l’ombra dell’intelligibile, mai il vero in sé. E lo stesso
‘occhio della mente’ che rende possibili le operazioni dell’intellectus resterà
sempre connesso a quello dei sensi: “oculus in carcere tenebrarum”, lo
definirà Giordano Bruno, fornendo quasi un’interpretazione, a mio avviso,
dell’Alberti, in quanto occhio dell’intelletto in potenza, illuminato dal
sole di quello agente, unico per tutti e unico immortale”.
Mi viene in mente il mito platonico della
caverna e il sole che corrisponde nel visibile all’idea del Bene
nell’intelligibile.
Giuliano Augusto l'imperatore calunniato
dai Cristiani con l'infamante epiteto di "Apostata" riassume gli
elogi del Sole presenti in tanti testi precedenti in termini neoplatonici nella
orazione A Helios re dedicata a Salustio. Questo "sermone
natalizio" fu redatto alla fine del 362 d. C. per celebrare il 25
dicembre, dies natalis Solis invicti . Elio è visto come
il signore del mondo intelligente e viene definito dio mediatore e potentissimo
assai simile al Bene preesistente a tutte le cose. Giuliano cita la Repubblica di
Platone dove (508c) si dice che il Sole è figlio del Bene ("tou'
ajgaqou' e[kgonon") che il Bene generò simile a sè
("oJ;n tajgaqo;n ejgevnnhsen ajnavlogon eJautw'/") e ciò che è il Bene nel mondo intellegibile rispetto
all'intelletto e agli intellegibili è Helios nel mondo visibile rispetto alla
vista e alle cose visibili (5, 17-21). L’Uno (e{n) o il Bene (tajgaqovn), come lo chiama Platone, ha rivelato da sé Elios dio
potentissimo del tutto simile a sé. Quindi Elios viene identificato con Zeus e
con Apollo (A Helios re, 31)
In conclusione (44) Giuliano prega
Elio, to;n basileva tw̃n o{lwn,
di accordargli una vita virtuosa, una intelligenza più piena e una mente
divina. E alla fine della vita di congiungersi a lui.
Torniamo al testo di Cacciari (p. 67)
“L’emblema non contrasta con la venerabile
tradizione che vede nell’occhio un dio tra le membra. Ma la inquieta e interroga. Quid
tum? Che vedi dunque? A quale realtà può rivolgersi la tua luce?”
Sulla maggiore spritualità dell’occhi
rispetto agli altri organi corporei insiste T. Mann in La montagna
incantata.
L’autore spiega, a ragione, che
l'amore è suscitato e mantenuto soprattutto dall'attrazione del volto, e in
questo degli occhi, siccome significativi del carattere della persona: "C'
era stato uno spazio non più lungo di due palmi fra il suo viso e quello di
lei, quel viso dalla forma strana eppure nota da tanto tempo, una forma che gli
piaceva come null'altro al mondo, una forma esotica e piena di carattere... ciò
che lo aveva colpito ancora maggiormente erano stati gli occhi, quegli occhi
sottili, quegli occhi da Kirghiso dal taglio schiettamente affascinante, occhi
d'un grigio azzurro o d'un azzurro grigio come i monti lontani, che, a volte,
con un curioso sguardo di traverso non destinato certo a vedere, potevano
oscurarsi, fondersi in una tinta velata notturna"[2].
Cfr. Properzio: Si nescis,
oculi sunt in amore duces "[3].
Di nuovo Cacciari: “Lo sguardo
dipinge vera mente ciò che vede, ne comprende i rapporti, non
è visio Dei, ma pittura sì,
L’occhio umano del resto non arriva a
vedere tutto. E ci colleghiamo “al disincanto dell’Alberti. Tutto vedi, mio
occhio, tutto? “Tutto”?! Soltanto sulla tua stessa realtà ti è stato concesso
di volare. Sovra-umanarti non puoi; aspetta un poco e ascolterai ‘l’ultima’
parola di Montaigne (o è Momo che parla?): “e sul più alto trono del mondo non
siamo seduti che nel nostro culo” (Saggi, III, 13). E trovi forse pace
al colmo della tua potenza? Insonnia soltanto è il dono concessoti” (p. 68)
Sul potere che non è potenza (Baccanti,
v. 310) come il sapere non è sapienza (Baccanti, v. 395) si può pensare
a quanto dice Riccardo II di Shakespeare: “ Riccardo II[4] deposto da Bolingbroke che sarà
Enrico IV espone “le tristi storie delle morti dei re”
For God’sake let
us sit upon the ground per amor di Dio, sediamoci sulla terra
And tell sad
(–lat. satur) stories of the death of kings:
How some have been
deposed, some slain in war,
uccisi in guerra
Some haunted by
the ghosts they have deposed,
ossessionati dai fantasmi di quelli che avevano
deposto
Some poisoned by
their wives, some sleeping kill’d,
All murdered (lat.
mors). For within the hollow
la vuota corona
crown-corona-korwvnh- cornacchia e coronamento/
That
rounds-rotundus- the mortal temples (lat. tempora) of a king
Keeps death his court; and there the antic
sits, sedēre, e[zomai-
siede la beffarda,
grottesca
Scoffing his state and grinning at his pomp-pomphv
invio,
seguito- pompa seguito, processione, schernendo il suo
stato e ghignando alla sua pompa[5]
Allowing-late latin. ad e locare-. him a breath, a
little scene-scena-skhnhv-,
concedenogli un breve respiro, una
particina
To monarchize,
be fear’d-lat. periculum, and kill with looks,
fare il re,
incutere timore fulminare con lo sguardo-
Infusing him with
self and vain conceit
riempiendolo di sé e di vuote illusioni,
As if this flesh
which walls-vallum palizzata- about our life
Come se questa carne che cinge di mura lo
spirito
Were brass
impregnable; and humour’d-lat. umor- umorem umidità- thus,
Fosse bronzo indistruttibile e dopo averlo
lusingato così
Comes at the last,
and with a little (pin lat- pinna penna, ala, freccia)
Viene alla fine e con un piccolo spillo
bores(-lat.
forare)- through his castle wall, and farewell king!
Perfora le mura e addio re!
Cover your heads,
and mock not- L. muccare, soffiarsi il naso- flesh
and blood
Copritevi le teste e non canzonate un
impasto di carne e di sangue
With solemn
reverence, throw away gettate via respect lat. ,respicio
respectus -riguardo
Tradition, form, and ceremonious-lat
cerimonia- duty;
tradizione formalità e il dovere
dell’etichetta
For you have but
mistook me all this while,
poiché mi avere frainteso per tutto questo tempo.
I live with bread,
like you; feel want,
vivo di pane come voi, sento desideri
Taste-( Late latin taxitare forma
iterativa di taxare intensive di tangere)- grief-gravis-, need
friends. Subjected-subiectus- thus,
assaporo
il dolore ho bisogno di amici. Così asservito
How can you say to
me I am a king? (Riccardo II, III, 2, 155-177)
Nelle Troiane di
Euripide, Ecuba constata che il polu;~ o[gko~ , il grande vanto degli antenati era oujdevn, niente, era un gonfiore che si è dissolto.
“O grande vanto umiliato
Degli avi, come davvero eri un nulla!”
(vv. 108-109)
Cacciari p. 68): “Che voluptas ti
viene dal tuo essera alato? E, ancora più, ora che vedi ‘tutto’, sei giunto
finalmente a vedere te stesso? O hai incontrato quella pupilla di
un altro dove specchiarti, che Socrate invita Alcibiade a scoprire (Alcibiade
Maggiore, 132 d-133c)?
Sentiamo nel dialogo platonico
Socrate che parla con Alcibiade il quale gli dà ragione
SW. 'OfqalmÕj ¥ra ÑfqalmÕn
qeèmenoj, kaˆ ™mblšpwn
e„j toàto Óper bšltiston aÙtoà kaˆ ú Ðr´, oÛtwj ¨n aØtÕn
‡doi.
So- Dunque un occhio guardando un altro
occhio, e osservando la sua parte migliore con la quale lui stesso vede, in
questo modo può vedere se stesso
AL. Fa…netai.
Al-sembra
SW. E„ dš g' e„j ¥llo tîn toà
¢nqrèpou blšpoi ½ ti
tîn Ôntwn, pl¾n
e„j ™ke‹no ú toàto tugc£nei Ómoion, oÙk
Ôyetai ˜autÒn.
So- Ma se guarda altra parte del corpo
umano, o delle cose presenti, tranne ciò cui questo si
trova a essere simile, non vedrà se stesso.
AL. 'AlhqÁ lšgeij.
Al- Dici il vero
SW. 'OfqalmÕj ¥r' e„ mšllei „de‹n aØtÒn, e„j Ñfqal-
mÕn aÙtù bleptšon, kaˆ
toà Ômmatoj e„j ™ke‹non tÕn tÒpon
™n ú tugc£nei ¹ Ñfqalmoà ¢ret¾ ™ggignomšnh· œsti d
toàtÒ pou Ôyij;
So. Allora se un occhio vuole vedere se
stesso, deve fissare un occhio, e dell’occhio in quel luogo luogo dove si trova
la virtù dell’occhio, e non è questa la vista?
AL. OÛtwj.
Al- E’ così.
SW. ’Ar' oân, ð f…le 'Alkibi£dh, kaˆ yuc¾ e„ mšllei
gnèsesqai aØt»n, e„j
yuc¾n aÙtÍ bleptšon, kaˆ m£list'
e„j toàton aÙtÁj tÕn tÒpon ™n ú ™gg…gnetai ¹ yucÁj
¢ret»,
sof…a, kaˆ
e„j ¥llo ú toàto tugc£nei Ómoion Ôn;
So - Allora, Alcibiade, anche l’anima, se
vuole conoscere se stessa, dovrà fissare l’anima e soprattutto questo luogo
dell’anima nel quale sta la sua virtù, la sapienza, e fissare altro cui questa
cosa sia simile?
AL. ”Emoige doke‹, ð Sèkratej.
Al-Certo Socrate, così mi sembra
SW. ”Ecomen oân e„pe‹n Óti
™stˆ tÁj yucÁj qeiÒteron
À toàto, perˆ
Ö tÕ e„dšnai te kaˆ frone‹n ™stin;
So- possiamo dunque dire che c’è una parte
dell’anima più divina di questa che riguarda la conoscenza e il pensiero?
AL. OÙk œcomen.
Al-Non possiamo
SW. Tù
qeù ¥ra toàt' œoiken aÙtÁj, ka… tij e„j toàto
bl pwn kaˆ p©n tÕ qe‹on gnoÚj, qeÒn te kaˆ frÒnhsin,
oÛtw kaˆ ˜autÕn ¨n gno…h m£lista.
So- Dunque questa parte dell’anima è
simile al divino, e osservandola e conoscendo il divino, dio e pensiero, così
uno può conoscere anche se stesso nel modo migliore.
AL. Fa…netai.
Sembra
SW. ’Ar' oân, Óq' ésper k£toptr£ ™sti
safšstera toà
™n tù Ñfqalmù ™nÒptrou kaˆ kaqarètera kaˆ lamprÒtera,
oÛtw kaˆ Ð qeÕj toà ™n tÍ ¹metšrv yucÍ belt…stou kaqa-
rèterÒn te kaˆ lamprÒteron tugc£nei Ôn;
So- Ma come lo specchio è più chiaro dello
specchio del nostro occhio e più puro e luminoso, così anche il dio, sarà più
chiaro e luminoso della parte migliore della nostra anima?
AL. ”Eoikš ge, ð Sèkratej.
Al-Mi pare, Socrate
SW. E„j tÕn qeÕn ¥ra blšpontej
™ke…nJ kall…stJ
nÒptrJ crómeq' ¨n
kaˆ tîn ¢nqrwp…nwn e„j t¾n yucÁj
¢ret»n, kaˆ
oÛtwj ¨n m£lista Ðrùmen kaˆ gignèskoimen
¹m©j aÙtoÚj.
So-Quindi mirando in dio, ci avvaliamo di
quello specchio bellissimo, più bello anche delle cose umane relative alla
virtù dell’anima, e così potremmo vedere e conoscere anche noi stessi nella
maniera migliore
AL. Na….
Al- Sì
SW. TÕ de; gignwvskein auJto;n oJmologou'men swfrosuvnhn
ei\nai;
So- Ma non ci siamo trovati d’accordo che
conoscere se stesso sia saggezza?
L. P£nu ge.
Al-Assolutamente (Alcibiade I,
1332b-133c)
Torniamo a Cacciari: "chi è colui che mi
guarda dal dipinto in cui mi sono ritratto? Quis est? Quis es, tu? In
quale spaventosa notte si penetra quando si fissa negli occhi un uomo? In quale
mondo di fantasmagoriche ed enigmatiche rappresentazioni-si chiederà Hegel?
Malinconia del simbolo dello Specchio e della grande ritrattistica del
manierismo, che già qui si annuncia. Inquietudine dell’immagine, agitarsi
nella inventio dell’emblema albertiano di diverse e dissonanti
interrogazioni” (p. 69)
A proposito degli occhi e dei loro
misteriosi significati aggiungo qualche altra citazione
Sant' Agostino nel Secretum ricorda
a Francesco Petrarca[6] la pericolosità dello sguardo
femminile: se contemplare un bel corpo infiamma la lussuria, un leggero volger
d'occhi risveglia l'amore che si era assopito: "spectata corporis
species, luxuriam incendit; levis oculorum flexus, amorem
dormitantem excitat " ( III, 50).
Il tovpo" dell'amore ispirato solo o soprattutto dagli
occhi si trova anche in Pene d'amore perdute di Shakespeare[7]: Biron in preda a un amore "pazzo
come Aiace" cerca di resistergli per non finire ammazzato come una pecora,
ma nella donna che lo ha stregato, Rosalina, c'è qualche cosa di irresistibile:
"Oh, ma il suo occhio... per la luce del giorno, se non fosse per il suo
occhio io non l'amerei; sì, per i suoi due occhi!... Dagli occhi delle
donne io traggo questa dottrina: essi scintillano senza posa di un
vero fuoco prometeico (From women’s eyes this doctrine I derive: they
sparkle still the right Promethean fire), e rappresentano i libri, le arti,
le accademie che mostrano, contengono e alimentano il mondo intiero; senza di
loro nessuno può eccellere in cosa alcuna" (IV, 3).
“Espressione degli occhi. Perché si ha
cura fino ab antico di chiudere gli occhi ai morti? Perché con gli occhi aperti
farebbero un certo orrore. E questo orrore da che verrebbe? Non da altro che da
un contrasto tra l’apparenza della vita, e l’apparenza e la sostanza della
morte. Dunque la significazione degli occhi è tanta, ch’essi sono i
rappresentanti della vita, e basterebbro a dare una sembianza di vita agli
estinti” (Leopardi, Zibaldone, 2102).
Sicché l'amore viene attivato e
tenuto vivo soprattutto dagli occhi.
Proseguo con una una lettera di Guy
de Maupassant (1850-1893): "Vorrei, soprattutto, rivedere i vostri
occhi, i vostri due occhi. Perché il nostro primo pensiero è sempre per gli
occhi della donna che amiamo? Come ci ossessionano, come ci rendono felici, o
infelici, questi piccoli enigmi chiari, impenetrabili e profondi, queste
piccole macchie blu, nere o verdi, che senza cambiare forma né colore,
esprimono, volta a volta, l'amore, l'indifferenza e l'odio, la dolcezza che
placa ed il terrore che agghiaccia più di tante parole in eccesso e meglio dei
gesti più espressivi"[8].
Gli occhi delle donne che ci
attirano non sono solo delle cose
belle secondo Proust (1871-1922) insomma non sono soltanto
materia:"Se pensassimo che gli occhi di una ragazza come quella non sono
che una brillante rotella di mica, non saremmo così avidi di conoscere e di
unire a noi la sua vita. Ma sentiamo che quel che riluce in quel disco pieno di
riflessi non è dovuto unicamente alla sua composizione materiale; che sono,
ignote a noi, le nere ombre delle idee che quell'essere si fa a proposito delle
persone e dei luoghi che conosce…le ombre, anche, della casa in cui rientrerà,
i progetti ch'essa fa o altri han fatti per lei; e soprattutto che è lei, con i
suoi desideri, le sue simpatie, le sue repulsioni, la sua oscura e incessante
volontà"[9].
Anche Svevo (1861-1928) ha
capito che l'attrazione più forte esercitata dalla donna deriva dal fulgore dei
suoi occhi: "Quand'egli le parlò, essa levò rapidamente gli occhi e glieli
rivolse sulla faccia così luminosi, che il mio povero principale ne fu proprio
abbattuto… Non so se a questo mondo vi siano dei dotti che saprebbero dire
perché il bellissimo occhio di Ada adunasse meno luce di quello di Carmen e
fosse perciò un vero organo per guardare le cose e le persone e non per
sbalordirle"[10].
Ora sentiamo Thomas
Mann: “Rachele era bella e graziosa. Lo era in una maniera nello stesso
tempo mansueta e birichina, che veniva dall’anima, ma si vedeva - e anche
Giacobbe lo vedeva perché lei lo guardava - che spirito e volontà trasformati in
senno e coraggio muliebri, erano le segrete sorgenti che alimentavano quella
grazia; tanto espressiva era la sua persona, tanto aperta e pronta alla vita
nella fermezza dello sguardo… la cosa più bella e graziosa era il suo modo di
guardare, era lo sguardo dei suoi occhi neri, dal taglio lievemente obliquo,
uno sguardo che la miopia stranamente trasfigurava e addolciva, in cui, lo
diciamo senza esagerazione, la natura aveva raccolto tutte le attrattive che
essa può dare a uno sguardo umano: una notte profonda, liquida, mite,
dolcissima, una notte eloquente, piena di serietà e di ironia, uno sguardo che
Giacobbe non aveva o credeva di non avere ancora mai visto…Era giunto alla
meta, e la fanciulla con gli occhi pieni di dolce oscurità che pronunciava il
nome di suo padre lontano era la figlia del fratello[11] di sua madre[12]” [13]
Gli occhi sono comunque legati all'amore e
al sesso.
Gli occhi che Edipo si colpisce da solo
sono, secondo Freud, il simbolo dei genitali:"l'accecamento con cui
Edipo si punisce dopo aver scoperto il proprio crimine è, a quel che
testimoniano i sogni, un sostituto simbolico dell'evirazione"[14].
"Si deve tenere presente che, nella
mitologia classica, gli occhi presentano spesso un legame con l'amore e con la
sessualità, e in particolare con i genitali maschili: numerose sono le
rappresentazioni vascolari di falli con occhi. Forse il gesto
dell'autoaccecamento di Edipo racchiude anche un significato di simbolica
castrazione, di autopunizione per i delitti sessuali commessi. Infliggendo una
punizione ai suoi occhi, Edipo punisce la parte del suo corpo che si è
macchiata di colpa nei confronti della madre"[15].
[1] Hypnerotomachia
Poliphili (ipnerotomàkia polìfili), letteralmente
"Combattimento amoroso di Polifilo in sogno", è un romanzo
allegorico, stampato a Venezia da Aldo Manuzio il Vecchio nel dicembre 1499,
con 169 illustrazioni xilografiche. Il testo è stato attribuito a diversi
autori (tra cui, oltre allo stesso tipografo Aldo Manuzio, a Leon Battista
Alberti, a Giovanni Pico della Mirandola, e a Lorenzo de Medici). Un acrostico
contenuto nel testo però, formato dalle iniziali dei 38 capitoli, indicherebbe
l'autore dell'opera in un Francesco Colonna, secondo alcuni il frate domenicano
dei Santi Giovanni e Paolo, secondo altri il principe romano, dal 1484 signore
di Palestrina, forse "frater" dell'Accademia di Pomponio Leto. Il
racconto descrive un sogno erotico del suo protagonista, Polifilo. Si tratta di
un viaggio iniziatico che ha per tema centrale la ricerca della donna amata,
metafora di una trasformazione interiore alla ricerca dell'amore platonico. Il
viaggio iniziatico richiama alla mente quello di un altro grande romanzo
dell'antichità, le Metamorfosi di Apuleio. I continui richiami alle divinità
dell'antica Roma fanno del romanzo un'opera dichiaratamente pagana (si veda, ad
esempio, in Polifilo 15 la preghiera a Diespiter, che è l'appellativo con il
quale veniva chiamato Giove nelle preghiere pronunciate dai sacerdoti di Stato
nell'antica Roma), il che spiega come mai fu stampata anonima e perché
recentemente si sia cercato di attribuirla ad altri, ben più noti, umanisti
rinascimentali in odore di paganesimo. Il libro è arricchito da 169 splendide
xilografie, in gran parte ispirate all'idea di giardino rinascimentale.
[4] Riccardo II Plantageneto (Bordeaux, 6 gennaio
1367 – Pontefract, 14 febbraio 1400) è stato re d'Inghilterra dal 1377 al 1399.
La tragedia di Shakespeare è del 1595.
[5] Cfr.
il gatto del Cheshire, lo stregatto che Alice vede appollaiato in cima a un
albero scomparire a poco a poco cominciando dalla punta della coda, finché
rimane solo un grin, una sorta di ghigno in forma di riso (Alice nel paese delle
meraviglie, di Lewis Carrol, 1865). “All right”, said the Cat,
and this time it vanished quite slowly, beginning with the end of the tail, and
ending with the grin, which remained some time after the rest of it had gone.
“Well I’ve often seen a cat without a grin” thought Alice; “but a grin
without a cat! It’s the most curious thing I evere saw in all my life!” (capitolo VI Pig and pepper, porco e
pepe). Il nonsense e la morte
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