Robert Musil |
Lezione su Musil tenuta nella biblioteca Ginzburg di Bologna il 25 marzo 2019
Robert Musil, I turbamenti del giovane Törless (1906), trad.
it. Einaudi, Torino,
1980
Robert Musil, L'uomo senza qualità , trad. it. Einaudi,
Torino, 1972
Der
Mann ohne Eigenschaften (primo volume pubblicato nel 1930, prima parte del secondo volume
edita nel 1933, e ultima parte, rimasta incompiuta, pubblicata
dopo la morte dell'autore -1880-1942).
Claudio
Magris, L'anello di Clarisse , Einaudi, Torino, 1984
pp. 212-240
Musil
è il poeta delle possibilità. Lo stile della decadenza è sentito
da Musil come un’espressione frammentaria adeguata a una vita che
non conosce unità. Le frasi si affrancano dalla pagina e le parole
dalle frasi, come il brulichio vitale si sottrae ad ogni progetto
unitario della ragione e della volontà. La totalità si è
frantumata. Il romanzo è una continua imitazione dell’incompiuto,
un’incessante emancipazione del particolare dalla totalità. L’io
perde il senso che aveva di un sovrano capace di governare, ed è
privo di un centro. L’uomo senza qualità è un insieme di qualità
senza uomo. Il cammino della storia è simile al fluttuare delle
nuvole in cielo, un movimento che dipende da tante circostanze non
tutte prevedibili. L’espressione è una circumnavigazione, un
periplo (perivplouς - perĭplus)
dal centro sfuggente.
Törless
guarda il cielo e lo vede come un immane cadavere trasparente, una
luce che danza come un baluginìo latteo. Il muro del parco sembra
animato da una vita segreta, un lussureggiare animato da foglie,
lumache e vermi. E’ un momento dionisiaco: la vita uscita da ogni
ordine apollineo, da ogni rappresentazione razionale. Un dionisiaco
però passivo: non è orgiastica vitalità o coribantica gioia, ma
assenza di ordine, vuoto, mancanza, è un puro nulla indefinito. E’
la dissoluzione dell’unità del soggetto. Ogni tanto un fascio di
luce strappa una porzione del mondo dal buio dell’informe come si
legge nella novella Tonka (1922)
Tonka,
è la storia di una giovane e umile commessa viennese che si lega con
un uomo di una classe sociale più elevata e ne resta incinta. Ma lui
è malato e lei non ne ha fiducia. Lui d'altra parte accetta di dare
il proprio cognome al figlio per sola ripicca contro la sua famiglia.
La donna, però, poco prima del parto, muore. Le tre novelle sono
accomunate da un sentimento di attesa, come se qualcosa di tragico
stesse per accadere, e i personaggi femminili sono simili,
impenetrabili e decadenti.
Fra
Ancona e Fiume c’è un faro che ogni notte spazza il mare come un
colpo di ventaglio: una sventagliata di luce poi nulla, poi di nuovo
qualcosa.
La
percezione del fuggevole impedisce la visione d’insieme e azzera
ogni gerarchia e disgrega il soggetto. Tutto esce dai limiti della
propria struttura dalle giunture allentate. Autonomia
selvaggia del particolare
Cfr.
del resto Amleto: il tempo è uscito dai cardini o l’acta retro
cuncta dell’Oedipus (v.
367)
"The
time is out of joint", il tempo si è disarticolato, dice il
principe di Danimarca dopo avere visto e sentito lo spettro del padre
che chiede vendetta del turpe e snaturato assassinio (Amleto,
I, 5).
Nietzsche
sottolinea questo aspetto di Amleto e lo avvicina in una prima
battuta all'uomo dionisiaco:"In questo senso l'uomo dionisiaco
assomiglia ad Amleto: entrambi hanno gettato una volta uno sguardo
vero nell'essenza eterna delle cose, hanno conosciuto,
e provano nausea di fronte all'agire; giacché la loro azione non può
mutare nulla nell'essenza eterna delle cose, ed essi sentono
come ridicolo o infame che si pretenda da loro che
rimettano in sesto il mondo che è fuori dai cardini. La conoscenza
uccide l'azione, per agire occorre essere avvolti nell'illusione"[1].
L'arte ci salva dalla negazione della volontà:"Ed
ecco, in questo estremo pericolo della volontà, si avvicina, come
maga che salva e risana, l'arte"[2].
L’arte trasforma l’atroce in sublime e l’assudo in comico
L’ironia
dice Hegel, non risolve le contraddizioni: le sposta o le nasconde e
talora ne aggiunge di nuove. In Musil le contraddizioni si accrescono
senza progresso, con una tensione ineffettuale. La follia non è
oggetto di anatema, nemmeno il crimine: l’assassino Moosbrugger è
il sogno collettivo dell’umanità. Quando diceva “bocca di rosa”
a una donna, la parola cedeva nelle cuciture e il volto di lei
diventava una rosa da recidere con un coltello. L’itinerario di
Musil è un nomadismo senza fine e senza ritorno: si getta e progetta
in avanti, nel vuoto. Non c’è un’Odissea siccome non
c’è mai un ritorno a se stesso.
L’Ulisse di
Joyce invece è l’epos circolare.
Ulrich
cerca la vita esatta ma questa esiste solo nella letteratura: solo il
personaggio di un libro è spoglio di tutto l’inessenziale. Allora
la nostra vita dovrebbe essere tutta letteratura libera dalla polvere
e dall’opacità del contingente. Gli uomini apparivano a Ulrich
come un brulichio grigio che non diffondeva gioia né spavento.
In
Musil c’è una satira che capovolge i luoghi comuni del mito
asburgico: il motivo sopranazionale, quello burocratico, quello
edonistico. Vengono poi indicate le minacciose forze
irrazionalistiche che covano sotto l’aurea rispettabilità, come i
fervori nicciani di Clarisse.
Il
grande romanzo di Musil vuole rappresentare gli aspetti della grande
crisi europea dove era più evidente: a Vienna nel 1913. La facciata
di ordine viene relativizzata dal caos. Finisce con un ripiegamento
su se stessi.
Comincia
nell’agosto del 1913. Ulrich, un uomo di 32 anni, ha un’energia
che non sa come esplicare. L’Austria aveva già perduto dei
territori in guerre spacciate come vinte. Ulrich pensava alle
possibilità, con il congiuntivo potenziale che probabilmente usa
anche Dio considerando la sua creazione del mondo che
poteva fare anche diverso : hic dixerit quispiam (p.
14)
Ulrich
aveva scritto in un tema che un patriota non deve considerare la sua
patria come la migliore e da allora erano trascorsi 16 o 17 anni,
come le nuvole trascorrono in cielo. Intanto lui era diventato un
matematico e aveva acquistato un piccolo delizioso palazzo. Aveva una
donna, una canzonettista di nome Leona che gli sembrava desiderabile
come la pelle di un leone dalla testa impagliata. Costei mangiava
moltissimo e occasionalmente esercitava pure la prostituzione.
Nelle Argonautiche di
Apollonio Rodio leggiamo che noi stirpe infelice di uomini mortali
non possiamp entrare nella gioia o{lw/
podiv, con tuuto il piede, siccome l’amaro dolore si insinua
sempre in mezzo agli attimi del nostro piacere (IV, 1165-1167).
Cfr.
il molosso nequiquam di Lucrezio sempre introdotto
ad annichilire la gioia: “/nequiquam,
quoniam medio de fonte leporum/surgit amari aliquid quod in ipsis
floribus angat ..."
(De rerum natura,
vv. 1131-1134).
“La
pesante parola, che costituisce un molosso (una sequenza, cioè, di
tre sillabe lunghe) ed è collocata nel risalto della sede iniziale
davanti a cesura semiternaria, non lascia scampo alle illusioni
degli amantes”[3].
Una
sera assalgono Ulrich per derubarlo e lui non capisce tanto interesse
per il denaro, però conosceva quello stato di vaga ostilità
atmosferica di cui l’aria è satura nell’era nostra e ogni tanto
si condensa, e quasi se ne prova sollievo. Prese delle botte per un
suo errore di carattere sportivo, come può capitare di
spiccare un salto troppo corto, poi si addormentò tranquillo. Al
risveglio meditò sull’avventura.
Pensava
alle contraddizioni dell’umanità che produce Bibbie e cannoni (p.
22). Il mondo avanza con un piede e indietreggia con l’altro. Una
donna si china su di lui e Ulrich sente intorno a sé qualcosa di
maternamente sensuale, una nube leggera di soccorrevole idealismo.
Questa
donna, Bonadea, divenne la sua amante. Sembra sempre che possiamo
fare progetti, invece siamo noi in balia delle cose (p. 27). Le 4
pareti dove viviamo non sono ferme: viaggiano e proiettano davanti a
sé le loro rotaie come lunghi fili adunchi senza che noi si sappia
dove vadano.
Intanto
in Kakania (Kaiser Königlich, imperial regio veniva chiamato
ogni documento) c’era velocità ma non troppa. Le strade cingevano
le province con il braccio cartaceo dell’amministrazione. Non c’era
niente di troppo: automobili ma non troppe. Ogni tanto partiva una
nave ma non troppo spesso. C’era una burocrazia oculata che
guardava il genio con sospetto. Il paese era vario, era
centrale, era medio. Si faceva del lusso ma non così
raffinato come in Francia, dello sport ma non accanito come in
Inghilterra.
Davanti
alla legge tutti i cittadini erano uguali, ma non tutti erano
cittadini
C’era
un Parlamento il quale faceva un uso così eccessivo della libertà
che lo si teneva sempre chiuso.
Nel dramma di Grillparzer Ein Bruderzwist in Habsburg (1848) l’imperatore Rodolfo II (1572-1612) dice : “ecco la maledizione della nostra nobile casa: tendere esitanti con mezze misure e con mezzi espedienti a una mezza azione”
La
terra era varia: notti sull’Adriatico con stridìo di grilli
inquieti, grano della Boemia, pietre del Carso e villaggi slovacchi
dove il fumo usciva dalle narici come da un naso camuso. C’era il
sentimento collettivo dell’ostilità verso il concittadino e c’era
anche la diffidenza verso se stessi e il proprio destino (p. 29). Si
viveva con una libertà negativa, ossia con la sensazione che la
propria esistenza non avesse ragioni sufficienti. Ulrich era stato
ufficiale, pensando prima all’eroismo, ma poi gli era passata la
voglia.
Prendeva
parte ai concorsi ippici e divideva l’umanità in tre classi:
ufficiali, donne, borghesi che erano uomini moralmente e fisicamente
inferiori le cui mogli e figlie erano selvaggina riservata
agli ufficiali (p. 31). Da ragazzo voleva essere l’eroe di
avventure strabilianti, ma poi aveva visto un giovanotto ubriaco fare
baccano in un grande spazio vuoto senza altri interlocutori che i
sassi. (Cfr. Il fu Mattia Pascal).
Passò
alla tecnica ma si stancò anche di quella. C’era il sospetto che
la tecnica, il ragionare logico e rigoroso danneggiasse l’anima.
L’uomo non nutriva più in cuore la fede, l’innocenza, l’amore,
la bontà, bensì sete di denaro, freddezza, violenza. Chi pensava
queste cose però da ragazzo era stato un pessimo matematico. Più
tardi costoro pensarono che la matematica, madre delle scienze
esatte, nonna della tecnica, fosse anche la matrice dello spirito che
ha poi prodotto i gas asfissianti e gli aeroplani da bombardamento
(p. 36).
Ulrich amava la matematica, se non altro perché ragiona in maniera diversa dall’uomo comune. Se gli uomini sapessero almeno lontanamente come si fa a pensare, vivrebbero in modo diverso.
CONTINUA
[1] La
nascita della tragedia,
cap. 7
[2] La
nascita della tragedia,
cap. 7.
[3]G.
B. Conte, op. e p. citate sopra.
Nessun commento:
Posta un commento