Scipione Compagno, La città di Troia in fiamme |
Le Troiane di Euripide (415 a. C.)
Parte 6
I
Stasimo (vv. 511-567)
Il coro delle
prigioniere troiane ricorda il cavallo di Troia, la dovlio~
a[th (530), la rovina ingannevole
che indusse i Troiani a portarlo dentro la città. Era uno xesto;~1
lovco~
(534), un inganno levigato costruito in pino montano.
Il cavallo venne
tirato con giri di lino ritorto (
klwstou` d j ajmfibovloi~ livnoio,
v. 537). Anche il giro di corda simboleggia l’inganno.
Poi c’è la
similitudine con il nero scafo di nave (nao;~ wJsei;-skavfo~
kelainovn, 538-539, come nero scafo di nave) che richiama la barca di
Caronte
cfr. Alcesti,
251 skavfo~
divkwpon, lo scafo a due remi
"Vedo una
navicella a due remi, la vedo nella
palude: il
traghettatore dei morti
con una mano
sulla pertica, Caronte,
già mi chiama:
perché indugi? Tiv
mevllei~;
affrettati. Tu mi
fai perdere tempo (su;
kateivrgei~). Così
adirato mi fa
fretta.(252-257).
Così nella Morte
a Venezia di T. Mann la gondola
evoca la barca di Caronte: “nero come nere al mondo sono soltanto
le bare, lo strano legno … evoca la morte stessa, il feretro, il
corteo tetro, il silenzio dell’ultimo viaggio” (p. 78).
Aschenbach non
vuole pagare e non paga il gondoliere con un rovesciamento del
paradigma culturale del pagamento dell’obolo a Caronte.
Aschenbach a un
certo punto teme che il gondoliere lo spedisca con un colpo di remo
alla dimora di Ade (p. 81).
Nella festa
notturna della fine della guerra, ricorda il Coro, la fiamma mandava
mevlainan ai[glan
549, un fosco bagliore, anche questo simbolico.
Infatti durante
le nozze di Psiche la luce della fiaccola (lumen
tedae) appassisce (marcescit)
in cenere di nera fuliggine (Asino
d’oro, IV, 33).
Il Coro descrive
l’eccidio dei Troiani cui si accompagna foiniva
boav (555-556), un grido
sanguinoso, con pianti di bambini terrorizzati, con la strage sugli
altari e sui talami.
C’è una di
quelle descrizioni piene di pathos che Polibio vuole escludere dalla
storiografia, confutando Filarco che ha descritto la strage di
Mantinea (223 a. C.) come deve e può fare solo un tragediografo.
L'immagine topica
dei capelli sciolti e quella dei seni scoperti per suscitare
compassione è fortemente biasimata da Polibio, lo storico
antitragico il quale è critico nei confronti dei colleghi
storiografi che danno spazio alle lacrime nelle loro opere per
suscitare la partecipazione sentimentale di chi le legge. Il suo
obiettivo polemico è soprattutto Filarco2
considerato uno storico "tragico" poiché ha cercato di
colpire la sfera emotiva dei lettori, adoperandosi per invitarli alla
compassione e renderli partecipi dei suoi sentimenti riguardo a
quanto viene raccontato. Egli dunque introduce abbracci di donne
(periploka;" gunaikw'n) e chiome scarmigliate (kovma"
dierrimmevna") e denudamenti
di seni (mastw'n
ejkbolav"), e, oltre questo,
lacrime e lamenti di uomini e donne (davkrua
kai; qrhvnou" ajndrw'n kai; gunaikw'n
) trascinati via alla rinfusa con figli e vecchi genitori"3.
Ci fu per esempio l'eccidio di Mantinea. Durante la guerra
cleomenica, la città fu conquistata dai Macedoni alleati degli
Achei, nel 223: secondo Filarco e Plutarco ( Vita
di Arato 45, 6-9) la città subì un massacro che Polibio tende a
nascondere o minimizzare. Lo storico di Megalopoli si limita a dire
(II 54) che Antigono Dosone, dopo essere stato nominato capo delle
forze alleate della lega ellenica costituitasi contro Sparta e gli
Etoli, riuscì a sottomettere prima Tegea poi Mantinea, che nel 229
erano state prese da Cleomene.
Filarco viene
biasimato per avere "faziosamente" descritto le sofferenze
di questa gente.
Una critica del
genere viene fatta da alcuni personaggi della nostra televisione a
chi racconta gli orrori della guerra in Iraq: per esempio “Giuliano
Ferrara che di fronte alle prove fotografiche della tortura fornite
dalle stesse autorità americane, sproloquia di “episodi
circoscritti” (almeno venticinque prigionieri morti per le sevizie
dei militari Usa!), del virus che “ci indebolisce nella guerra”:
non la tortura, beninteso, ma “la voracità morbosa di dire che è
colpa dell’Occidente, di pubblicare immagini delle torture degli
occidentali”. Cioè quel poco di spirito autocritico rimasto nelle
opinioni pubbliche democratiche”4.
Secondo Episodio
(568-792)
Arriva Andromaca
con Astianatte presso il battito (lett. “remeggio”) delle
mammelle (para; d
j eijresiva/ mastw`n, v. 570)-
che si muovono ritmicamente come i remi e vorrebbero portare via con
loro sul mare il bambino, lontano da Troia ndr.-
Sono su un carro,
con le armi di Ettore. Andromaca dà la colpa a Paride e ai suoi
letti odiosi (596).
Nell’Andromaca
la stessa dramatis persona
chiama quel connubio ouj
gavmon ajlla; tin j a[tan (103),
non nozze ma un accecamento.
Del resto le
nozze non sono mai ben viste da Euripide.
Contro le nozze
Euripide si esprime già nell'Alcesti5
dove pure la protagonista è un'ottima
sposa, anzi il corifèo la definisce "gunhv
t j ajrivsth tw'n ujf j hJlivw/ makrw'/ "
(v. 151), di gran lunga la più nobile tra le donne che vivono sotto
il sole. Tuttavia il Coro, formato da vecchi di Fere, amici del re,
concludendo il primo stasimo canta: “ou[pote
fhvsw gavmon eujfraivnein-plevon h] lupei'n, toi'" te
pavroiqen-tevkmairovmeno"6
kai; tavsde tuvca"-leuvsswn basilevw", o}sti"
ajrivsth"-ajplakw;n ajlovcou th'sd j, ajbivwton-to;n e[peita
crovnon bioteuvsei”, (vv.
238-242), non dirò mai che le nozze portino gioia più che dolore,
argomentandolo dai fatti passati e vedendo questa sorte del re, il
quale, persa l'ottima sposa, vivrà in futuro una vita non vita.
Più avanti
Admeto ribadisce: “zhlw'
d j ajgavmou" ajtevknou" te brotw'n :-miva ga;r yuchv, th'"
uJperalgei'n-mevtrion a[cqo".-paivdwn de; novsou" kai;
numfidivou"-eujna;" qanavtoi" kerai>zomevna"-ouj
tlhto;n oJra'n, ejxo;n ajtevknou"-ajgavmou" t j ei\nai dia;
pantov"” (Alcesti, vv.
882-888), invidio quelli senza nozze e senza figli tra i mortali:
infatti una sola è la vita e l’angoscia per questa è un peso
sopportabile. Le malattie dei figli invece e i letti nuziali
devastati dalle morti non sono tollerabili da vedere, quando è
possibile rimanere del tutto privi di figli e di nozze.
Ecuba lamenta
ancora la sciagura, e il Coro nota la dolcezza delle lacrime per
quelli che se la passano male (wJ~
hJdu;7
davkrua toi`~ kakw`~ pepragovsi,
v. 608). Euripide, attraverso la vecchia regina, ricorda la
consolazione che deriva dalla poesia che contiene dolori.
E’ la stessa
poetica che si trova nella Medea
(vv. 195-197).
Ecuba nota che
gli dèi sollevano in alto come torri (purgou``s
j a[nw, v. 612) gente che non
vale nulla, mentre a volte abbattono quelli che meritano reputazione.
L’apparenza
talora violenta anche verità dice Adimanto, fratello di Platone
citando Simonide : “to; dokei`n kai; ta;n ajlavqeian bia`tai”
(Repubblica,
365c).
Ma può succedere
pure il contrario.
Ecuba aggiunge
che la nobiltà è diventata schiavitù, con grandi cambiamenti
(metabolaiv). La sorte infatti è capricciosa e imprevedibile8.
La vecchia regina
rileva anche to;
th~ ajnavgkh~ deinovn (v. 616),
il terribile effetto della necessità.
Altrettanto fa il
coro dell’Alcesti
nel III stasimo 962 ssg.
CONTINUA
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1
Xestov~ è
qualche cosa di liscio e ingannevole. Cfr. xevw,
raschio.
Palinsesto (palimpsestus)
invece è formato con palin e il verbo
yavw che significa comunque “raschio”
2
nato a Naucrati ma vissuto ad Atene, nel III secol oa. C. , autore
di Storie in 28 libri
che andavano dal 272 al 219, anno della morte di Cleomene III, il re
di Sparta ben visto da questo autore e mal visto da Polibio il quale
dichiara di seguire le Memorie
di Arato, stratego della lega Achea, per la narrazione della guerra
cleomenica che oppose Sparta ed Etoli ad Achei e Macedoni.
Filarco, ci informa Mazzarino, "ha capito
il genio di Cleomene III e la necessità della rivolta sociale, in
mezzo al tramonto della gloriosa libertà greca. Michele Rostozev
(Die hellenistische Welt , trad. ted., I, 146) ha detto
benissimo:"la Grecia era dalla parte di Filarco, e non da
quella di Arato e degli Achei difesi da Polibio" (Il
Pensiero Storico Classico , II, 1, p. 126). Arato potenziò la
lega achea, operò e scrisse in favore degli abbienti, mentre
Filarco era favorevole a Cleomene III di Sparta. Questo re
riformatore fu sconfitto a Sellasia, nel 222, da Antigono Dosone di
Macedonia e dallo stratego acheo Filopemene, e per tale ragione gli
scrittori suoi partigiani possono essere accusati di menzogna dallo
storico partigiano dei vincitori nei quali si è incarnata la
verità.
3
Polibio, Storie,
II, 56, 7.
4
M. Travaglio, La scomparsa dei fatti, p. 124.
5
Del 438 a. C.
6
Trarre conclusioni congetturando dagli indizi offerti dal passato è
un elemento che accomuna Euripide a Tucidide il quale procede
appunto attraverso prove e indizi: cfr " ejk
de; tekmhrivwn" di I, 1 o
"tekmairovmeno""
di I, 21.
7
Cfr. suavis-sweet, süss-
8
Cfr. la conclusione di Medea, Andromaca, Alcesti, Elena, Baccanti
con la medesima considerazione
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