Franz Marc, Camaleonte |
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Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo (Einaudi, Torino, 2019)
Stralci dal capitolo IV
Torniamo a La mente inquieta: “Un camaleonte l’animale
uomo, sia quando inventa maschere per travestirsi e ingannare, che quando
‘ri-vela’ in forme sempre nuove, dietro facciate come quella di Palazzo
Rucellai, i propri interessi, i propri affari e le proprie cure.
Plasmare, fingere, bisogna sempre, se si vuole affrontare il
mestiere che Leon Battista, come poi Machiavelli e lo stesso Guicciardini,
sanno per personale esperienza essere il più faticoso di tutti: il vivere e per
affrontarlo non basterà industria, consiglio, arte, saranno necessari mani,
piedi e nervi”[1].
(p. 61)
Per quanto riguarda “un camaleonte l’animale uomo”, possiamo pensare ad
Alcibiade, a Catilina e allo Sperelli di D’Annunzio che li imita.
Plutarco scrive di Alcibiade che per accalappiare le
persone era capace di imporsi trasformazioni più rapide e radicali del
camaleonte ("ojxutevra"...tropa;" tou' camailevonto""), il quale infatti non è creatura altrettanto
versatile in quanto non in grado di assumere il colore bianco, mentre per
quest'uomo, che passava con uguale disinvoltura attraverso il bene e il male,
non c'era niente di inimitabile né di non provato: "jAlkibiavdh/
de; dia; crhstw'n ijovnti kai; ponhrw'n oJmoivw" oujde;n h'jn ajmivmhton
oujd j ajnepithvdeuton": a Sparta viveva da sportivo (gumnastikov"), si comportava da persona semplice e sobria (eujtelhv"), perfino austera (skuqrwpov"); in Ionia invece appariva raffinato (clidanov"), gaudente (ejpiterphv"), indolente (rJav/qumo"); in Tracia si ubriacava (mequstikov") e andava a cavallo ( iJppastikov"); e quando frequentava il satrapo Tissaferne superava
nel fasto e nel lusso la magnificenza persiana ("uJperevballen o[gkw/ kai; poluteleiva th;n Persikh;n
megaloprevpeian"[2]). Insomma assumeva di volta in volta le forme e gli
atteggiamenti più consoni a quelli cui voleva piacere, o per dirla con Cornelio
Nepote era "temporibus callidissime serviens"[3] abilissimo nell'adattarsi alle circostanze.
Anche Montaigne mette in rilievo questo
aspetto di Alcibiade:"Ho spesso notato con grande ammirazione la
straordinaria facoltà di Alcibiade di adattarsi tanto facilmente a usanze così
diverse, senza danno per la sua salute: oltrepassando ora la sontuosità e la
pompa persiana, ora l'austerità e la frugalità spartana; così moderato a Sparta
come dedito al piacere nella Ionia"[4].
Cicerone
attribuisce a Catilina nell'orazione Pro
Caelio[5]
aspetti del carattere simile a questo e ad altri di Alcibiade.
Questa indole multiforme sapeva adeguarsi
alle circostanze: "Illa vero iudices, in illo homine admirabilia
fuerunt, comprehendere multos amicitia, tueri obsequio, cum omnibus communicare
quod habebat, servire temporibus suorum omnium pecunia, gratia, labore
corporis, scelere etiam, si opus esset, et audacia, versare suam naturam et regere ad tempus atque
huc et illuc torquere et flectere, cum tristibus severe, cum remissis
iucunde, cum senibus graviter, cum iuventute comiter, cum facinerosis
audaciter, cum libidinosis luxuriose, vivere" (Pro Caelio,
6,13), quei famosi aspetti invero, giudici, fecero stupire in quell'uomo:
afferrare molti con l'amicizia e conservarli con la compiacenza, mettere in
comune con tutti ciò che aveva, venire incontro alle circostanze critiche di
tutti i suoi amici con il denaro, la sua influenza, la fatica corporale, e se ce
n'era bisogno anche con il delitto e l'ardimento, modificare la sua indole e indirizzarla secondo le circostanze,
volgerla e piegarla di qua e di là, vivere con gli austeri severamente, con i
gioviali allegramente, con i vecchi seriamente, con i giovani benevolmente, con
i criminali temerariamente, con i libidinosi dissolutamente.
Il protagonista de Il Piacere[6] può trovare un antenato in Alcibiade, soprattutto in
quello della decadenza: "Il senso estetico aveva sostituito il senso
morale. Ma codesto senso estetico appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre
attivo, gli manteneva nello spirito un certo equilibrio... Gli uomini
d'intelletto, educati al culto della Bellezza, conservano sempre, anche nelle
peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezione della Bellezza è,
dirò così, l'asse del loro essere interiore, intorno al quale tutte le
passioni gravitano"[7]. L'esteta dannunziano pensa di sé: "Io sono
camaleontico, chimerico, incoerente, inconsistente. Qualunque mio sforzo verso
l'unità riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in
una parola: NUNC. Sia fatta la volontà della legge"[8].
Alcibiade quindi anticipa Catilina,
Sperelli, e anche l'esteta-seduttore
di Kierkegaard, il seduttore sensuale ed estensivo, don Giovanni,
"l'incarnazione della carne ovvero la spiritualizzazione della carne da
parte dello spirito proprio della carne"[9] che
vive di preda e ama "il casuale, l'accidentale", poiché "il
sensuale è il momentaneo. Il sensuale cerca la soddisfazione istantanea, e
quanto più è raffinato, tanto più sa trasformare l'istante del godimento in una
piccola eternità"[10].
Masaccio Distribuzione dei beni ai fedeli e morte di Anania |
Torno a Cacciari: “Tutte le ‘ragioni del corpo’ dovranno allearsi a quelle
della diligenza, della sollecitudine, della cura per navigare il fiume della
Vita, sfidarne tempeste e naufragi (Fatum et fortuna)[11]”
(…)
La pazienza che occorre nel navigare il fiume Bios è altrettanto impiger dell’impazienza
di quelli che si affannano a sopravvivere trascinati dalla corrente. Virtus sarà
costruire bonae artes come naviculae, cui
aggrapparsi, per giungere alla sponda ultima, ‘contenti’ soltanto di avere
così bene vissuto” (p. 62).
Molto frequenti sono le metafore nautiche
nei classici greci e latini. Ne ricordo una relativa alla città di Tebe
desolata dal mivasma che si rivela essere Edipo, il suo re: "la città
infatti, come anche tu stesso vedi,troppo/già ondeggia (saleuvei) e di sollevare il capo /dai gorghi del fluttuare
insanguinato non è più capace" (Edipo re, vv.22-24).
I limiti della nostra libertà “non sono
semplicemente quelli dell’universale Fato, bensì quelli che derivano dal nostro
intimo essere contraddizione: creatori e perturbatori, artefici e
contraffattori, lupi gli uni agli altri e insieme ‘animali politici’, pronti
perfino a “soffrire le fatiche della patria” (Alberti[12])”.
Al nostro “essere contraddizione” si può aggiungere essere
segni di contraddizione come Cristo[13].
“Complexio oppositorum, da cui si origina il
meglio e il pessimo del thauma che è l’uomo (…) Thauma,
insomma, che occorre guardare e dipingere secondo la “dolce prospettiva”[14].
“Come messer Filippo ha insegnato. Ma
all’interno di tale spazio palpita in tutta la sua concretezza il dramma di
quella summa di opposti che è l’uomo -e tale dramma occorre
anche saper rendere secondo i suoi colori, le sue ombre, in tutta la gravità
delle sue masse, dei suoi pesi. Questo vedrai,
fermissima immagine, alla cappella Brancacci[15],
o scolpito per sempre da Donatello sul volto dei suoi profeti” (p. 62)
Cacciari rimanda alle tavole 7-8 poste nell’ultima parte del suo libro
La tavola 7 riproduce un affresco di Masaccio: Distribuzione dei
beni ai fedeli e morte di Anania (1425-1428).
Il commento nota che l’atto di carità vi appare come un grande dovere,
scevro da ogni sentimentalismo, compiuto da figure che sono “spazio
concentrato” (Argan), grande architettura capace di sopportare immensi carichi,
espressione di un’antica virtus, che qui rivive, nella città
reale fatta dai suoi cittadini, quelli che Masaccio aveva
ritratto volto per volto , “in infinito numero” (Vasari), sopra la porta che
andava in convento (anche questo dipinto è andato distrutto) in occasione della
loro partecipazione alla festa per la cosacrazione del Carmine”.
Donatello Profeta Abacuc (detto lo Zuccone) |
La tavola 8 mostra il Profeta Abacuc (detto lo Zuccone) di
Donatello, marmo, 1423-35, particolare. Firenze, Museo dell’Opera del Duomo
Riferisco parte del vommento: “Sono contemporanei alla cappella Brancacci i
profeti Geremia e Abacuc di Donatello. Movimento e animazione, la
manifestazione, cioè, in sembianze fisiche dell’agitazione interna della
figura, travolge ogni tardo-gotica suavitas, si oppone alla misura
ghibertiana, “fino alla terribilità” (Chastel) (…) Donatello resterà fedele a
questa immagine dell’uomo: ciò che dona vita è la stessa energia che inquieta e
non dà pace, che agita sempre corpo e pensiero, come il pathos che
sconvolge le menadi ai piedi della croce sul pulpito di San
Lorenzo. E’ questa energia a dover essere classicamente espressa;
questo significa conoscere, sapere, in tutti i sensi, le opere dei
classici (…) resta forse insuperata la violenza espressiva dello ‘Zuccone’, di
questa figura cui Donato, mentre la lavorava, si rivolgeva dicendo: “favella,
favella, che ti venga il cacasangue!” (Vasari)
Torniamo alla pagina 62 di La mente inquieta. “Vedrai
nell’opera di quei sommi che sono davvero tutt’uno con l’opera che realizzano,
pur sapendola peritura, e che mai fuggono da tale dolorosa coscienza. Pittori e
filosofi tutti, come lo sarà ancora il protagonista del Candelaio bruniano”.
[1] Refrain, quasi,
dei Libri della famiglia. “Siendo ogni vita (…) grieve e laboriosa”, anzi, non
trovandosi “niuna cosa (…) più faticosa del vivere”, occorrerà affrontarla
“colle mani e co’ piedi, con tutti e’ nervi, con ogni industria e consiglio”
[2]Plutarco, Vita
di Alcibiade, 23, 4- 5.
[3]Liber
de excellentibus ducibus exterarum gentium, Alcibiades ,
1, 4.
[4] Montaigne,
Saggi, p. 221.
[5] Del 56 a. C.
[6] Del 1889.
[7]D'Annunzio, Il
Piacere , pp. 42-43.
[8]D'Annunzio, Il
Piacere , p. 278.
[9] S.
Kierkegaard, Enten-Eller (del 1843), Tomo Primo, p. 158.
[10]S. Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo
Quarto trad. it. Adelphi, Milano, 1981, p. 40.
[11] Per le Intercenales disponiamo
ora dell’eccellente edizione di F. Bacchelli e L. D’Ascia (a cura di), “Delusione”
e “Invenzione” nelle intercenali di Leon Battista Alberti, Bologna 2003,
che ne hanno steso anche un’ampia e importante introduzione,
[12] Cfr. L A,
Alberti I libri della famiglia, in Opere volgari cit.
p. 183
[13] "Ecce positus
est hic in ruinam multorum in Israel et in signum cui contradicetur (...) ut
revelentur ex multis cordibus cogitationes". Nuovo Testamento (Luca,
2, 34)
[14] “Paulo stava nello
scrittoio per trovar i termini della prospettiva, e che quando ella (moglie) lo
chiamava a dormire, egli le diceva: “Oh che dolce cosa è questa prospettiva!”.
Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti
architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri
(1568)
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