L’approccio comparativo alle letterature antiche. Parte 2
Percorso della conferenza che tenuta il 26 gennaio 2019 per la Valent Academy centro studi internazionali di Milano con la partecipazione di studenti e professori del liceo Manzoni
L’approccio comparativo alle letterature antiche
Introduzione alla metodologia dell’insegnamento delle lingue e letterature greca e latina con taglio europeo e topologico
Parlare
male non solo è una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle
anime.
Lo
afferma Socrate nel Fedone: "euj
gar i[sqi a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon
eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti
ejmpoiei' tai'" yucai'""
(115 e), sappi bene… ottimo Critone che il non parlare bene non è
solo un errore, una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle
anime.
Non
saper parlare significa incapacità in ogni campo e soggezione a
chiunque sappia farlo.
Non
poter parlare con capacità persuasiva vuole dire, tra l’altro, non
essere in grado di contrapporsi ai truffatori astuti.
Pindaro
nella Nemea
VIII
ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso"
(v. 24), sicché l’invidia pote mordere il suo valore e prevalse
l’odioso discorso ingannevole1.
Non
c'è altro tempio della Persuasione che la parola, dice Euripide,
personaggio delle Rane
di Aristofane autocitandosi: "oujk
e[sti Peiqou'" iJero;n a[llo plh;n lovgo"".
Don
Milani insegnava che "bisogna sfiorare tutte le materie un po'
alla meglio per arricchire la parola. Essere dilettanti in tutto e
specialisti nell'arte della parola"2.
Per
essere specialisti in quest’arte bisogna saper parlare in mondo
preciso e conciso, e per raggiungere questo scopo ci vuole ricchezza,
vastità e proprietà di lingua. Non è possibile parlare né
scrivere bene, con proprietà e concisione, senza conoscere le lingue
e le letterature classiche.
“Quanto
una lingua è più ricca e più vasta, tanto ha bisogno di meno
parole per esprimersi, e viceversa quanto e più ristretta, tanto più
le conviene largheggiare in parole per comporre un’espressione
perfetta. Non si dà proprieta di parole e modi senza ricchezza e
vastità di lingua, e non si dà brevità di espressione senza
proprietà” (Zibaldone,
1822).
Alfieri
cercava di trovare per i suoi drammi “un fraseggiare di brevità e
di forza”, traducendo “i giambi di Seneca” (Vita,
4, 2).
Quintiliano:
“densus et brevis et semper instans sibi Thucidides (Institutio
oratoria,
X, 73).
“Shakespeare
paragonato con Sofocle, e come una miniera piena di un'immensità di
oro, piombo e ciottoli, mentre quello non è soltanto oro, ma oro
anche lavorato nel modo più nobile, tale da far quasi dimenticare il
suo valore come metallo"3.
I
versi di Sofocle si distinguono per la loro densità: ognuno di essi
potrebbe essere commentato con un libro.
“La
poesia fonda la sua potenza sulla compressione. Poeta in tedesco si
dice Dichter,
colui che rende le cose dicht
(spesse, dense, compatte). L’immagine poetica comprime in
un’istantanea un momento particolare caratteristico di un insieme
più vasto, catturandone la profondità, la complessità, il senso e
l’importanza”4.
Come
l’immagine onirica, la parola del poeta è costituita da una
condensazione. La conoscenza dei classici è utile in tutti i campi.
Il sicuro possesso della parola è utile in tutti i campi, da quello
liturgico a quello erotico: "Non
formosus erat, sed erat facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit
amore deas
", bello non era, ma era bravo a parlare, Ulisse, e pure fece
struggere d'amore le dee del mare, scrive Ovidio nell'Ars
amatoria (II,
123 - 124). Kierkegaard cita questi due versi nel Diario
del seduttore
(7 giugno).
Nei
versi precedenti Ovidio consiglia di imparare bene il latino e il
greco, per potenziare lo spirito e controbilanciare l'inevitabile
decadimento fisico della vecchiaia: "Iam
molire animum qui duret, et adstrue formae: /solus ad extremos
permanet ille rogos. /Nec levis ingenuas pectus coluisse per
artes/cura sit et linguas edidicisse duas"
(Ars
amatoria II,
vv. 119 - 122), oramai prepara il tuo spirito a durare, e aggiungilo
all'aspetto: solo quello rimane sino al rogo finale. E non sia
leggero l'impegno di coltivare la mente attraverso le arti liberali,
e di imparare bene le due lingue5.
Le
lingue studiate, tutte le lingue, ma in particolare il greco e il
latino che non si parlano, vanno coltivate con uno studio privo di
interruzioni.
II
pericolo della dealfabetizzazione, il vocabolo stesso lo dice, è
soprattutto incombente sul greco.
Orazio
nell’Ars
poetica prescrive:
“vos
exemplaria Graeca/nocturna versate manu, versate diurna”
(vv. 268 - 269), voi leggete e rileggete i modelli greci, di notte e
di giorno. Ma tale rischio riguarda ogni studio che venga interrotto
e trascurato.
Cito
a questo proposito alcune righe di una pregevolissima ricerca di
Tullio De Mauro. L’illustre linguista ricava da “due grandi
indagini internazionali, fatte nel 2001 e nel 2006, promosse da
Statistics Canada e dal Federal Bureau of Statistics degli Stati
Uniti” che “29% è l’accertata percentuale di italiane e di
italiani con piena padronanza alfabetica e numerica”. E continua:
“Il nostro paese non e l’unico a conoscere la dealfabetizzazione
di adulti anche scolarizzati a livelli alti. Essa in parte è
fisiologica: sappiamo che se non si esercitano le competenze
acquisite da giovani a scuola, in età adulta regrediamo mediamente
di cinque anni rispetto ai livelli massimi raggiunti. E’ la regola
detta del “meno cinque”. Ogni adulto può comodamente verificarla
su se stesso… dopo cinque anni di greco, quanto ce ne resta se non
facciamo i professori della materia e i classicisti?”.
De
Mauro nota che “in tutti i paesi sviluppati esistono strutture e
centri per l’educazione permanente degli adulti, che consentono a
percentuali consistenti di popolazione di rientrare in formazione.
L’esperienza dice che un ciclo anche breve è prezioso per
riattivare buona parte delle competenze smarrite. Ottenere che come
altri paesi europei anche l’Italia si doti di un sistema nazionale
di lifelong learning, di apprendimento per tutta la vita, e per ora
un miraggio”6.
Il
consiglio che posso riproporre è quello già dato da Ovidio che la
cura di queste due lingue, come di tutte le altre competenze
acquisite a scuola, non sia levis.
Non
si può essere vera mente bravi a usare la parola, utilizzabile
sempre e per molti fini, tutti sperabilmente buoni, se non si
conoscono le lingue e le civiltà classiche, ossia quelle dei primi
della classe.
Il
termine classicus
designava il cittadino che apparteneva alla classis più elevata dei
contribuenti fiscali; "solo per traslato uno scrittore del II
secolo d. C., Aulo Gellio, definisce "classicus scriptor, non
proletarius" uno scrittore "di prim' ordine", non
della massa (Noctes
Atticae
19. 8. 15; cfr. 6. 13. 1 e 16. 10. 2 - 15), o (forse meglio) "buono
da essere letto dai classici (i contribuenti più ricchi), e non dal
popolo"; classicus è ulteriormente definito come adsiduus
(altra designazione di censo, "contribuente solido e frequente")
e antiquior; l'anteriorità al presente e dunque requisito della
"classicità"7.
Gellio
consiglia di consultare sui termini quadrigam e harenas uno degli
scrittori “e cohorte illa dumtaxat antiquiore vel oratorum aliquis
vel poetarum, id est classicus, adsiduusque aliquis scriptor, non
proletarius” (Noctes
Atticae,
XIX, 8, 15), purché appartenente alla schiera più antica dunque.
In
XVI, 10, 13 Gellio scrive che i proletari a
munere officioque prolis edendae appellati sunt (dal
compito - dovere di generare la prole).
Noi
vorremmo che tutti potessero conoscere i classici attraverso una
scuola che fosse nello stesso tempo popolare e di alta qualità.
Il
greco e il latino del resto, tanto come lingue quanto come culture,
sono utili non solo a scuola, e il loro impiego non è confinato nei
licei e nella Accademie.
Si
può pensare a una conferenza, a una sceneggiatura cinematografica, o
alla redazione di un articolo di giornale, o a una recensione, a una
diagnosi, a una prognosi medica, al corteggiamento suscitato
dall’eterno richiamo dei sessi, a qualunque attività insomma che
richieda un impiego non banale, non volgare della parola: la civiltà
classica dota chi la conosce di una miniera di topoi, frasi,
metafore, immagini, idee preziose che valorizzano il tessuto verbale
e allargano la visione d’insieme fino a renderla panoramica.
Insomma
ampliano e accrescono la mente.
I
topoi o loci sono argomenti utilizzabili in molte occorrenze e
necessità. Nel seguito del percorso ho raccolto parecchi loci
ricorrenti in diversi autori della letteratura europea: sono
argomenti di carattere politico, etico, estetico.
Nel
De
inventione8
il giovane Cicerone aveva definito i loci communes: "argumenta
quae transferri in multas causas possunt"
(II, 48), argomenti che si possono utilizzare per molte cause. Sono
strumenti del parlare e dello scrivere.
Sul
vocabolo argumentum aggiungo una riflessione di Maurizio
Bettini:
"Argumentum è qualcosa che realizza il processo dell'arguere,
produce quella rivelazione che il verbo implica… Una buona via per
scendere più in profondita nel significato di queste parole è
costituita dagli usi dell'aggettivo argutus che ad arguo è
ugualmente correlato. In molti casi infatti l'aggettivo argutus
indica ciò che va a colpire i sensi con particolare forza9
(…) Parole come arguo, argumentum, argutus, non possono che
ricollegarsi a una forma *argus che significa "chiarita" o
"chiarezza". Si tratta infatti della stessa radice *arg
- che ritroviamo nel greco ajrgov"
"chiaro, brillante" e nell'ittita hargi
"chiaro, bianco". In latino, da questa stessa radice
derivano anche argentum (metallo brillante) argilla" ("terra
bianca")10.
Quindi argumentari latino e argomentare italiano, discutere portando
argomenti a sostegno.
Possiamo
anche ricordare il verbo inglese to
argue,
“discutere” e “provare”.
I
tovpoi
costituiscono i serbatoi non solo della retorica ma anche della
letteratura e dell'arte in genere.
I
tovpoi
sono
argumenta che, ricorrendo nella cultura europea, ne rivelano i nessi.
CONTINUA
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1
Cfr. anche Ovidio Metamorfosi,
XIII, 1 - 398. La conclusione del dibattito tra Ulisse e Aiace è
“quid
facundia posset - re patuit fortisque viri tulit arma disertus”
(382 - 383)
5
Il latino e il greco ovviamente. Senza con questo disprezzare le
altre.
6
Tullio De Mauro, La
scuola italiana in sette punti in Italia, Italie. Lezioni sulla
storia dell’Italia unita,
p. 125. Edizioni Polistampa, Regione Toscana, 2013
8
Trattato in due libri, dell'84 a. C.
crisferOon-na_1997 Katie Perry https://www.invinciblewellbeing.com/profile/feeleepvishwesh/profile
RispondiEliminapuclutome