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giovedì 14 marzo 2019

L’approccio comparativo alle letterature antiche. Parte 2

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L’approccio comparativo alle letterature antiche. Parte 2

Percorso della conferenza che tenuta il 26 gennaio 2019 per la Valent Academy centro studi internazionali di Milano con la partecipazione di studenti e professori del liceo Manzoni

L’approccio comparativo alle letterature antiche

Introduzione alla metodologia dell’insegnamento delle lingue e letterature greca e latina con taglio europeo e topologico

Parlare male non solo è una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.
Lo afferma Socrate nel Fedone: "euj gar i[sqi a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e), sappi bene… ottimo Critone che il non parlare bene non è solo un errore, una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.
Non saper parlare significa incapacità in ogni campo e soggezione a chiunque sappia farlo.
Non poter parlare con capacità persuasiva vuole dire, tra l’altro, non essere in grado di contrapporsi ai truffatori astuti.
Pindaro nella Nemea VIII ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso" (v. 24), sicché l’invidia pote mordere il suo valore e prevalse l’odioso discorso ingannevole1.
Non c'è altro tempio della Persuasione che la parola, dice Euripide, personaggio delle Rane di Aristofane autocitandosi: "oujk e[sti Peiqou'" iJero;n a[llo plh;n lovgo"".
Don Milani insegnava che "bisogna sfiorare tutte le materie un po' alla meglio per arricchire la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti nell'arte della parola"2.

Per essere specialisti in quest’arte bisogna saper parlare in mondo preciso e conciso, e per raggiungere questo scopo ci vuole ricchezza, vastità e proprietà di lingua. Non è possibile parlare né scrivere bene, con proprietà e concisione, senza conoscere le lingue e le letterature classiche.
Quanto una lingua è più ricca e più vasta, tanto ha bisogno di meno parole per esprimersi, e viceversa quanto e più ristretta, tanto più le conviene largheggiare in parole per comporre un’espressione perfetta. Non si dà proprieta di parole e modi senza ricchezza e vastità di lingua, e non si dà brevità di espressione senza proprietà” (Zibaldone, 1822).
Alfieri cercava di trovare per i suoi drammi “un fraseggiare di brevità e di forza”, traducendo “i giambi di Seneca” (Vita, 4, 2).
Quintiliano: “densus et brevis et semper instans sibi Thucidides (Institutio oratoria, X, 73).
Shakespeare paragonato con Sofocle, e come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli, mentre quello non è soltanto oro, ma oro anche lavorato nel modo più nobile, tale da far quasi dimenticare il suo valore come metallo"3.
I versi di Sofocle si distinguono per la loro densità: ognuno di essi potrebbe essere commentato con un libro.
La poesia fonda la sua potenza sulla compressione. Poeta in tedesco si dice Dichter, colui che rende le cose dicht (spesse, dense, compatte). L’immagine poetica comprime in un’istantanea un momento particolare caratteristico di un insieme più vasto, catturandone la profondità, la complessità, il senso e l’importanza”4.
Come l’immagine onirica, la parola del poeta è costituita da una condensazione. La conoscenza dei classici è utile in tutti i campi. Il sicuro possesso della parola è utile in tutti i campi, da quello liturgico a quello erotico: "Non formosus erat, sed erat facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas ", bello non era, ma era bravo a parlare, Ulisse, e pure fece struggere d'amore le dee del mare, scrive Ovidio nell'Ars amatoria (II, 123 - 124). Kierkegaard cita questi due versi nel Diario del seduttore (7 giugno).
Nei versi precedenti Ovidio consiglia di imparare bene il latino e il greco, per potenziare lo spirito e controbilanciare l'inevitabile decadimento fisico della vecchiaia: "Iam molire animum qui duret, et adstrue formae: /solus ad extremos permanet ille rogos. /Nec levis ingenuas pectus coluisse per artes/cura sit et linguas edidicisse duas" (Ars amatoria II, vv. 119 - 122), oramai prepara il tuo spirito a durare, e aggiungilo all'aspetto: solo quello rimane sino al rogo finale. E non sia leggero l'impegno di coltivare la mente attraverso le arti liberali, e di imparare bene le due lingue5.

Le lingue studiate, tutte le lingue, ma in particolare il greco e il latino che non si parlano, vanno coltivate con uno studio privo di interruzioni.
II pericolo della dealfabetizzazione, il vocabolo stesso lo dice, è soprattutto incombente sul greco.
Orazio nell’Ars poetica prescrive: “vos exemplaria Graeca/nocturna versate manu, versate diurna” (vv. 268 - 269), voi leggete e rileggete i modelli greci, di notte e di giorno. Ma tale rischio riguarda ogni studio che venga interrotto e trascurato.
Cito a questo proposito alcune righe di una pregevolissima ricerca di Tullio De Mauro. L’illustre linguista ricava da “due grandi indagini internazionali, fatte nel 2001 e nel 2006, promosse da Statistics Canada e dal Federal Bureau of Statistics degli Stati Uniti” che “29% è l’accertata percentuale di italiane e di italiani con piena padronanza alfabetica e numerica”. E continua: “Il nostro paese non e l’unico a conoscere la dealfabetizzazione di adulti anche scolarizzati a livelli alti. Essa in parte è fisiologica: sappiamo che se non si esercitano le competenze acquisite da giovani a scuola, in età adulta regrediamo mediamente di cinque anni rispetto ai livelli massimi raggiunti. E’ la regola detta del “meno cinque”. Ogni adulto può comodamente verificarla su se stesso… dopo cinque anni di greco, quanto ce ne resta se non facciamo i professori della materia e i classicisti?”.
De Mauro nota che “in tutti i paesi sviluppati esistono strutture e centri per l’educazione permanente degli adulti, che consentono a percentuali consistenti di popolazione di rientrare in formazione. L’esperienza dice che un ciclo anche breve è prezioso per riattivare buona parte delle competenze smarrite. Ottenere che come altri paesi europei anche l’Italia si doti di un sistema nazionale di lifelong learning, di apprendimento per tutta la vita, e per ora un miraggio”6.
Il consiglio che posso riproporre è quello già dato da Ovidio che la cura di queste due lingue, come di tutte le altre competenze acquisite a scuola, non sia levis.
Non si può essere vera mente bravi a usare la parola, utilizzabile sempre e per molti fini, tutti sperabilmente buoni, se non si conoscono le lingue e le civiltà classiche, ossia quelle dei primi della classe.
Il termine classicus designava il cittadino che apparteneva alla classis più elevata dei contribuenti fiscali; "solo per traslato uno scrittore del II secolo d. C., Aulo Gellio, definisce "classicus scriptor, non proletarius" uno scrittore "di prim' ordine", non della massa (Noctes Atticae 19. 8. 15; cfr. 6. 13. 1 e 16. 10. 2 - 15), o (forse meglio) "buono da essere letto dai classici (i contribuenti più ricchi), e non dal popolo"; classicus è ulteriormente definito come adsiduus (altra designazione di censo, "contribuente solido e frequente") e antiquior; l'anteriorità al presente e dunque requisito della "classicità"7.
Gellio consiglia di consultare sui termini quadrigam e harenas uno degli scrittori “e cohorte illa dumtaxat antiquiore vel oratorum aliquis vel poetarum, id est classicus, adsiduusque aliquis scriptor, non proletarius” (Noctes Atticae, XIX, 8, 15), purché appartenente alla schiera più antica dunque.
In XVI, 10, 13 Gellio scrive che i proletari a munere officioque prolis edendae appellati sunt (dal compito - dovere di generare la prole).

Noi vorremmo che tutti potessero conoscere i classici attraverso una scuola che fosse nello stesso tempo popolare e di alta qualità.
Il greco e il latino del resto, tanto come lingue quanto come culture, sono utili non solo a scuola, e il loro impiego non è confinato nei licei e nella Accademie.
Si può pensare a una conferenza, a una sceneggiatura cinematografica, o alla redazione di un articolo di giornale, o a una recensione, a una diagnosi, a una prognosi medica, al corteggiamento suscitato dall’eterno richiamo dei sessi, a qualunque attività insomma che richieda un impiego non banale, non volgare della parola: la civiltà classica dota chi la conosce di una miniera di topoi, frasi, metafore, immagini, idee preziose che valorizzano il tessuto verbale e allargano la visione d’insieme fino a renderla panoramica.
Insomma ampliano e accrescono la mente.

I topoi o loci sono argomenti utilizzabili in molte occorrenze e necessità. Nel seguito del percorso ho raccolto parecchi loci ricorrenti in diversi autori della letteratura europea: sono argomenti di carattere politico, etico, estetico.
Nel De inventione8 il giovane Cicerone aveva definito i loci communes: "argumenta quae transferri in multas causas possunt" (II, 48), argomenti che si possono utilizzare per molte cause. Sono strumenti del parlare e dello scrivere.
Sul vocabolo argumentum aggiungo una riflessione di Maurizio
Bettini: "Argumentum è qualcosa che realizza il processo dell'arguere, produce quella rivelazione che il verbo implica… Una buona via per scendere più in profondita nel significato di queste parole è costituita dagli usi dell'aggettivo argutus che ad arguo è ugualmente correlato. In molti casi infatti l'aggettivo argutus indica ciò che va a colpire i sensi con particolare forza9 (…) Parole come arguo, argumentum, argutus, non possono che ricollegarsi a una forma *argus che significa "chiarita" o "chiarezza". Si tratta infatti della stessa radice *arg - che ritroviamo nel greco ajrgov" "chiaro, brillante" e nell'ittita hargi "chiaro, bianco". In latino, da questa stessa radice derivano anche argentum (metallo brillante) argilla" ("terra bianca")10. Quindi argumentari latino e argomentare italiano, discutere portando argomenti a sostegno.
Possiamo anche ricordare il verbo inglese to argue, “discutere” e “provare”.
I tovpoi costituiscono i serbatoi non solo della retorica ma anche della letteratura e dell'arte in genere.
I tovpoi sono argumenta che, ricorrendo nella cultura europea, ne rivelano i nessi.


CONTINUA

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1 Cfr. anche Ovidio Metamorfosi, XIII, 1 - 398. La conclusione del dibattito tra Ulisse e Aiace è “quid facundia posset - re patuit fortisque viri tulit arma disertus” (382 - 383)
2 Lettera a una professoressa, p. 95.
3 Umano, troppo umano II, 162
4 Hilman, La forza del carattere, p. 70.
5 Il latino e il greco ovviamente. Senza con questo disprezzare le altre.
6 Tullio De Mauro, La scuola italiana in sette punti in Italia, Italie. Lezioni sulla storia dell’Italia unita, p. 125. Edizioni Polistampa, Regione Toscana, 2013
7 S. Settis, Futuro del "classico", p. 66.
8 Trattato in due libri, dell'84 a. C.
9 Cfr. Thesaurus linguae latinae, II, 557, 48 sgg. Lo tradurrei con “espressivo”
10 M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 297 e p. 299.

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