Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo (Einaudi, Torino, 2019)
Presenterò l'intero volume l'11 aprile alla Sapienza di Roma (sala Odeion)
Philosophica Philologia
(pp. 29-51)
Homo
è chi seppellisce i morti (humus - f. -
terra, humo - are
seppellire), e li seppellisce per tenerli a cuore con religiosa
pietas1.
“Dunque in fondo, per
disseppellirli sempre”
Dante “inaugura un nuovo
cammino intorno ai possibili nessi tra filologia, filosofia,
teologia” (p. 28). La sua è “poesia filosofica, dunque, poesia
di un sapiente, e perciò superiore anche a quella di Petrarca”.
“Leonardo Bruni distingua
due generi di poesia: il primo è quello degli ek-statici, di
coloro i quali, anche indotti, rozzi pastori come lo era Esiodo,
dicono come il dio detta, gli entusiasti, i maniaci, nel senso dello
Ione platonico; il secondo è quello di chi è poeta “per
scientia e per studio”, per disciplina et arte et prudentia” e
tra questi colloca Dante. La Commedia non potrebbe perciò
essere definita divina, né il suo autore uno spirito profetico. Sono
i neoplatonici e Landino (1424-1498) nel suo Commento sopra la
Commedia (1481) a compiere il passo (…) Da un divino furore
nasce la potenza immaginativa della poesia ( Landino riprende e
sviluppa idee già presenti in Marsilio Ficino -si veda la lettera di
questi a Pellegrino Agli del dicembre 1457), furore, tuttavia, che
non impedisce affatto quella scienza, quello studio, quella
disciplina, insomma quella competenza tecnico-artistica che Bruni
esigeva dalla poesia “non sterile, né povera, né fantastica”.
“Infuriati” non erano soltanto gli Omero e gli O rfeo, Esiodo e
Pindaro; il Dio in-forma di sé direttamente anche i Virgilio e i
Dante” (p. 30)
Sul “furore” di Pindaro
aggiungo Leopardi: “Chi non sa quali altissime verità sia capace
di scoprire e manifestare il vero poeta lirico, vale a dire l’uomo
infiammato del più pazzo fuoco, l’uomo la cui anima è in totale
disordine, l’uomo posto in uno stato di vigor febbrile, e
straordinario (principalmente, anzi quasi indispensabilm. Corporale),
e quasi di ubbriachezza? Pindaro ne può essere un esempio: ed anche
alcuni lirici tedeschi ed inglesi abbandonati veram. Che di rado
avviene, all’impeto di una viva fantasia e sentimento”
(Zibaldone, 1856).
“I misteri divini non
potrebbero diversamente venire espressi; se il Dio detta, è
il sapiente dictare del poeta l’unico modo per in-dicarli.
Cfr.
i vv.897-902 del secondo stasimo dell’Edipo
re:"Non
andrò più all'intangibile/ ombelico della terra a pregare,/ né al
tempio di Abae,/ né a Olimpia, /se queste parole indicate a dito/
non andranno bene a tutti i mortali"jeij
mh; tavde ceirovdeikta-2-pa'sin
ajrmovsei brotoi'"
. Sono le parole del poeta che dà voce al dio-
“La
platonica maniva poihtikhv
viene così ripresa dal neoplatonismo fiorentino”. Il poeta rivela
gli abdita dei
e diviene in qualche modo profeta, entrando nella sfera della
Rivelazione.
“Il
divino furore
–progenitore di quello eroico del Bruno, non potrà esprimersi, per
propria natura, che attraverso immagini di straordinaria potenza”
(p. 31).
Cacciari
rimanda alle tavole 4 e 5. nella prima si vedono Dante e Beatrice in
volo verso il cielo del Sole (Paradiso
X, cielo IV quello del sole), una miniatura di Giovanni di Paolo
(composta tra il 1438 e il 1450) Londra British Library codice Yates
Thompson.
La
tavola 5 riproduce una illustrazione del Botticelli per il Paradiso.
Dante e Beatrice si rivolgono a San Pietro nell’Ottava sfera, cielo
delle stelle fisse (XXIV canto). Pietro, è uno dei fuochi
apostolici- la “luce etterna del gran viro” (v.34) che danzano
intorno a Beatrice accogliendo la “santa suora” (v. 27)
La parola capace di imporsi per evidenza simbolica è divinamente ispirata e presenta un’immagine capace di destare qau'ma, stupore.
“L’immagine non sopraggiunge a posteriori per rappresentare con mezzi ‘tecnici’ adeguati l’idea, non ha funzioni illustrative e tantomeno decorative, ma l’idea stessa è già visione che colpisce, meravigliosa-tremenda, e in essa il poeta lavora e compone”. (p. 31)
Meravigliosa –tremenda mi
rimanda allo squillo iniziale del I stasimo dell’Antigone di
Sofocle: polla; ta; deina; koujde;n
ajn-qrwvpou deinovteron pevlei (331-332)
"Alla
luce di questa drammaturgia, l'uomo non appare delineato come una
natura stabile, un essere che si potrebbe delineare e definire, ma
come un problema; assume la forma di un'interrogazione, di una serie
di domande. Creatura ambigua, enigmatica, sconcertante, al tempo
stesso agente e agito, colpevole e innocente, libero e schiavo,
destinato per la sua intelligenza a dominare l'universo e incapace di
dominare se stesso, l'essere umano, unendo in sé il meglio e il
peggio, può essere qualificato come un deinov~
, nei due sensi del termine: meraviglioso e mostruoso"3.
Vediamo la traduzione e il
commento di alcuni versi siccome il deinovn
tornerà più avanti in questa Mente inquieta.
332-333:"Molte
sono le cose inquietanti e nessuna/è più inquietante
dell'uomo".-ta;
deina;:
ho tradotto come suggerisce Heidegger in Introduzione
alla metafisica
4
nella traduzione della Mursia:"Noi concepiamo l'in-quietante
(das
Un-heimliche
) come quello che estromette dalla "tranquillità",
ovverosia dal nostro elemento, dall'abituale, dal familiare, dalla
sicurezza inconcussa".
Insomma l'uomo, deinov"
, è meraviglioso e terribile, esaltante e pure capace delle peggiori
atrocità.
334-339: questo prodigio anche
al di là del mare/canuto con l'austro tempestoso/procede, passando
sotto/i flutti gonfi che si spalancano intorno, e tra le divinità,/la
suprema, la Terra,/
che non si consuma, che non si
stanca, lui cerca di affaticare..-
340-341: "quando vengono
girati gli aratri, anno per anno
rivoltandola con la stirpe
equina
Prima
Antistrofe. vv. 342-352.
L'uomo
che sa pensare cattura gli uccelli dalla mente leggera, le fiere
delle foreste, i pesci delle profondità marine, e sottomette sia le
bestie dei campi sia quelle montane aggiogando cavalli e tori
infaticabili .
E la razza degli uccelli dalla
mente/alata, circondando con maglie/di reti intrecciate/cattura, e le
stirpi delle fiere selvatiche/e la progenie sprofondata nel
mare,/l'uomo che sa pensare, e si impossessa/con i suoi mezzi
possenti della bestia/che dimora nei campi, che vaga sui monti, e il
cavallo/dalla cervice crinita trascina sotto il giogo che cinge il
collo/e il montano, infaticabile toro".
Seconda strofe. vv. 353-364
L'uomo ha imparato a
organizzarsi e a difendersi da tutti i nemici, tanto interni quanto
esterni, ma non ha mai trovato un rimedio risolutivo contro la morte
.
E la parola, e pari al vento
il/pensiero, e a regolare gli istinti con le leggi/della città ha
imparato, e a fuggire/degli inabitabili geli gli strali a cielo
scoperto/e gli scrosci delle piogge terribili/con ogni risorsa; senza
risorse per niente va/verso il futuro; da Ade soltanto/
non potrà procurarsi lo
scampo;/eppure da malattie immedicabili ha escogitato/vie di
uscita".-
vv. 365-383
La tecnologia può essere
guidata verso il male e pure verso il bene; l'uomo è grande nella
città se trova l'armonia con l'universo e gli dèi, bandito dalla
città è quello estraneo al bello morale. Il coro prende distanza da
costui. Quindi entra Antigone accompagnata dalla guardia. Il coro ha
parole di compatimento e di stupore per l'audacia della ragazza.
vv. 365-367. Possedendo il
ritrovato della tecnologia,/ che è un qualche sapere, oltre
l'aspettativa/ora si volge al male, ora al bene".-
vv. 368- 375:" e le leggi
della terra unendo/e degli dei la giurata giustizia/è grande nella
città; bandito dalla città (a[poli") è
quello con il quale /coesiste la negazione del bello morale (to;
mh; kalovn), per la sfrontatezza (tovlma"
cavrin) ban./Non mi stia accanto sul focolare/né sia uno che
ha lo stesso pensiero/chi compie queste azioni".-
Ho tradotto to;
mh; kalovn (v. 370 “il non bello”) con “la negazione del
bello morale” per l’associazione la crasi tra bello e buono che
troviamo nella kalokajgaqiva così
commentata da Leopardi: Quello dei Greci era : “un popolo che,
eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al
bello” (Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri ).
Con
questo torniamo a Cacciari: “Questa consapevolezza della potenza
propria dell’immagine risulta chiarissima anche in Marsilio Ficino,
al quale, non a caso, Tasso darà la parola nel dialogo a lui
intitolato, Il
Ficino overo de l’arte6:
“…Molto
discettano i filosofi, declamano gli oratori, cantano i poeti per
esortare l’uomo a un sincero amore della virtù (…) ma non si può
dire quanto la vista della bellezza ispiri amore più facilmente
delle parole”7
(p. 31)
E’ un’idea platonicamente
ortodossa: nel Simposio di Platone Diotima la professoressa
dell’amore insegna che Amore è la tendenza a possedere il bene
per sempre (206 a) e vuole la procreazione nel bello secondo l'anima
e secondo il corpo:"tovko" ejn
kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" (206
b). Per il tovko" ci vuole la
bellezza che è Moira e Levatrice nella procreazione. Amore infatti
non è desiderio del Bello ma di generare e partorire nel bello (206
d). Ed è anche amore di immortalità poiché la procreazione è
immortalità.
Leonardo ha portato avanti
l’idea che “il pensiero possa essere meglio immaginato e
dipinto. Il bello colpisce; nel bello dice il Simposio,
si produce, si crea” (p. 32)
La Filologia dei Poliziano
(1454-1494) e dei Valla (1400- 1457) non ha niente a che vedere con
la pedanteria e le varie deformità “che Nietzsche attribuiva alla
filologia sua contemporanea, contrapponendola alla ‘bellezza’ dei
Greci” (p. 33)
Dentiamo
Nietzsche: “L’antichità è stata scoperta in tutte le cose
principali da artisti, uomini politici e filosofi, non :da filologi,
e ciò fino al giorno d’oggi”8.
“Proprio invece quella
filologia che egli dice di apprezzare, amica del lento,
restauratrice metodica del testo da amare, per poterlo poi
giustamente giudicare, è propria dei grandi maestri
dell’Umanesimo. Nella Oratio super Quintilianum il Poliziano
esalta in questo senso la vis loquendi dell’interprete
filologo: essa viene, come quella dell’orator di
Quintiliano, “ex intimis sapientiae fontibus” (De
institutione oratoria, XII, 2, 6); la filologia è fondamento
necessario dell’esercizio critico consapevole. Lorenzo Valla
ha un passaggio nelle Elegantiae che sembra uscito
direttamente dalla penna di Nietzsche (…) Eloquentia non
significa rendere attraente, seducente un discorso, ma farlo
concreto, sostanziale, ad rem.
La
sofiva
è lo scopo di quella cultura che Nietzsche chiama tragica: "la
sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta suprema,
in luogo della scienza, la sapienza". La sapienza si tuffa nel
fiume della vita. Il sapere al contrario è il fine dell'uomo
teoretico il quale "non osa più affidarsi al terribile fiume
dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva”10.
"La
cultura comincia proprio dal punto in cui sa trattare ciò che è
vivo come qualcosa di vivo (…) il mondo ellenico, una volta
risvegliato, diventa senz’altro aggressivo, e deve esprimersi in
una lotta continua contro la presunta cultura del momento attuale ".
Se resterete “lontani dall’antichità”, “diventerete i
servitori della moda” 11.
Noi
insegnanti dobbiamo prendere le distanze dal pedante estraneo al mito
e alla vita, quello che Nietzsche definisce "l'eterno affamato,
il "critico" senza piacere e senza forza, l'uomo
alessandrino12,
che è in fondo un bibliotecario e un emendatore, e si accieca
miseramente sulla polvere dei libri e degli errori di stampa"13.
“Colui
che di fronte a Sofocle e ad Aristofane non è mai riuscito a
ricevere un'impressione insolita, ad avere un pensiero decente, viene
posto al telaio dell'etimologia, o viene invitato a raccogliere
residui di dialetti remoti. ”14
“I
nostri licei allevano un'erudizione micrologica e arida che in ogni
caso rimane lontana dall'educazione”15
CONTINUA
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1
Si pensi all’Antigone,
all’Aiace
di Sofocle e alle Supplici
di Euripide (ndr).
2
ceivr-deivknumi.
3J.
P. Vernant, Tra
mito e politica
, p. 253.
4
Trad. it. Mursia,
Milano, 1968
5Heidegger,
Introduzione alla
metafisica, p.
165.
6
Dialogo di Torquato Tasso, scritto nel 1592, pubblicato postumo nel
1666. In esso viene discussa la definizione dell’arte, prendendosi
in esame la relazione tra arte e natura, e soffermandosi sull’arte
poetica. Sulla scorta dell’influsso del pensiero platonico si
sostiene che le arti devono essere rivolte a un fine e servire alla
costruzione d’una filosofia. Interlocutori sono Cristoforo Landino
(1424-1498) e Marsilio Ficino (1433-1499), ambedue esponenti
dell’indirizzo neoplatonico del Rinascimento fiorentino: il
dialogo, a differenza di quanto era consuetudine in Tasso, non è
ambientato nel mondo contemporaneo, ma nel Quattrocento.
7
M. Ficino, Lettera
a Lorenzo de’ Medici e Bernardo Bembo
8
Frammenti postumi
ottobre 1876 (4).
9
Op. cit (6)
10
La
nascita della tragedia
, cap. 18
11
F. Nietzsche, Sull'avvenire
delle nostre scuole
(1872),
Seconda conferenza p
12
Ad Alessandria
d’Egitto, la città fondata da Alessandro Magno nella primavera
del 331 a. C., i Tolomei istituiscono
un Museo dove “vengono a confluire strumenti di lavoro, collezioni
di animali, raccolte di libri” Inoltre “dentro il Museo vivono
in koinonia
gli scienziati e i letterati: lì studiano, lì impartiscono il loro
insegnamento, lì consumano i pasti in comune”.
(L. Canfora, La Biblioteca e il Museo in Lo
spazio letterario della Grecia antica,
vol. I, Tomo II, p. 15). Viene in mente la Castalia di Il
gioco delle perle di vetro
di H. Hesse.
Oltre al Museo i Tolomei fondarono una “ grande biblioteca
“mirante –secondo l’ambizioso progetto-a contenere tutti i
libri del mondo… Tutte
le fonti concordano nell’attribuire al II Tolomeo, il Filadelfo
(285-246 a. C.), figlio e successore dopo due anni di correggenza,
del Soter, l’iniziativa della grande biblioteca ed il merito di
averla incrementata in modo ammirevole e rapido. E nondimeno le
medesime fonti pongono accanto al Filadelfo, come principale
esecutore e ordinatore di questa impresa, Demetrio Falereo, che
invece dal Filadelfo fu eliminato non appena questo poté regnare da
solo (fr. 69 Wehrli)” L. Canfora, op. cit., p. 20. Demetrio del
Falero era l’allievo di Teofrasto che Cassandro impose nel 317 al
governo di Atene: nel 307 fu costretto, da Demetrio Poliorcete, a
fuggire: si rifugiò in Egitto dove rimase fino alla morte.
13Nietzsche,
La
nascita della tragedia
, cap. 18.
14
Sull’avvenire
delle nostre scuole,
Terza conferenza.
15
Sull’avvenire
delle nostre scuole,
Quarta conferenza
Uealthephandzu Ivy Pallotta Here
RispondiEliminaogscovasev