Guido Gozzano |
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Lezione su Musil tenuta nella biblioteca Ginzburg di Bologna il 25 marzo 2019
Robert Musil, I turbamenti del giovane Törless (1906), trad. it. Einaudi, Torino, 1980
Robert Musil, L'uomo senza qualità , trad. it. Einaudi, Torino, 1972
Der Mann ohne Eigenschaften ( primo volume pubblicato nel 1930, prima parte del secondo volume edita nel 1933, e ultima parte, rimasta incompiuta, pubblicata dopo la morte dell'autore-1880-1942).
Claudio Magris, L'anello di Clarisse , Einaudi, Torino, 1984 pp. 212-240
Certo Ulrich amava la matematica, se non altro perché ragiona in maniera diversa dall’uomo comune. Se gli uomini sapessero almeno lontanamente come si fa a pensare, vivrebbero in modo diverso.
Bonadea era capace di dire il Vero, il Buono, il Bello, con la frequenza con cui un altro avrebbe detto giovedì e si era sposata per ragionamento, non per un impulso di cuore.
Ulrich aveva letto in un giornale “geniale cavallo da corsa”, una straordinaria trovata suggerita dallo spirito collettivo (p. 40),
In effetti le capacità di un cavallo o di un atleta sono misurabili con precisione e per questo lo sport ha soppiantato gli antiquati concetti di genio e di grandezza umana, rimasti nella testa dei professori di ginnasio.
“Geniali”
cavalli da corsa come Ferenico sono celebrati da Pindato (Olimpica
I,
17-23), mentre Senofane (VI sec.) scrive “la nostra
sapienza vale più della forza di uomini e cavalli” - rJwvmh"
ga;r ajmeivnwn - ajndrw'n hjd j i{ppwn hJmetevrh sofivh”
(fr. 2 D, 11 - 12).
Quindi
Seneca:” Valet;
et leones. Formonsus est: et pavones. Velox est: et equi. Corpus
habet: et arbores (Ep.
76, 9).
La
mattina dopo gli parve indicibilmente assurdo mettersi a fare
ginnastica pensando che le avventure degne di una simile preparazione
non si presentano mai, pensando che all’amore ci si prepara in
maniera eccessiva e nella scienza si sentiva come un alpinista che
scavalca una catena dopo l’altra senza mai vedere una meta (42).
Egli
vedeva in sé tutte le qualità e le capacità ma non le sapeva
usare. Allora decise di prendersi un anno di vacanza dalla vita.
Amici
di gioventù
Sono
Walter e Clarisse. Va a trovarli. Suonavano al pianoforte l’Inno
alla gioia.
Secondo Nietzsche i milioni cadevano rabbrividendo nella polvere, le
barriere ostili erano infrante , il vangelo dell’armonia universale
riconciliava e riuniva i disgiunti. Cfr. il dionisiaco. Il piano
faceva rintronare la casa ed era uno di quei megafoni attraverso i
quali l’anima grida nell’universo come un cervo in amore senza
altra risposta se non quella di altre anime che bramiscono nel gran
tutto. Ulrich definiva la musica un’impotenza della volontà.
Clarisse era nicciana e diceva: potersi inibire una cosa dannosa è
la prova della forza vitale. Ulrich gli aveva regalato le opere
complete del filosofo (p. 44).
Walter
era a 34 anni il tipo dell’artista fallito: era rimasto un
dilettante dai molti talenti. Aveva però il talento di passare per
un talento, Si opponeva a tutte le mediocrità ma favoriva la
propria; non creava, dicendo che dopo Bach (1685-1750) tutto era
sovraccarico e deteriore, affettato e decadente. Un puro ingegno non
poteva creare in un’epoca così corrotta fino nelle radici
spirituali. Suonava Wagner pur considerandolo prototipo di un’arte
filistea, corrotta e degenerata. Eppure lo suonava mentre Clarisse lo
detestava se non altro per la sua giacca di velluto e il suo berretto
alla Raffaello (48).
Secondo
lei il genio era una questione di volontà e da quando si era accorta
che Walter non lo era, gli si negava.
L’Ottocento
nella seconda metà era progredito in termini di scienza, tecnica e
commercio, ma, al di fuori di questi, era muto e subdolo come una
palude.
Nel
giovane Novecento c’erano mode in contrasto: si amava il superuomo
e si amava il sotto uomo, si adorava la salute e la fragilità delle
fanciulle tisiche, si professava il culto dell’eroe e il culto
socialista dell’umanità. Movimenti del resto limitati allo strato
sottile e incostante degli intellettuali, non influenti sulla massa
(51).
A
Ulrich sembrava che ci fosse un ristagno della vita, come se qualche
cosa fosse andata perduta: qualche cosa di imponderabile. Tutti i
rapporti si erano spostati. Come se il sangue fosse mutato, o l’aria.
I tempi erano cambiati come una giornata che comincia sfolgorante di
azzurro e poi va velandosi piano piano. C’era qualcosa di marcio
che distruggeva il genio. Su tutto quanto faceva, o subiva, si posava
un’ombra di disgusto, un soffio di impotenza e di solitudine,
un’antipatia universale. Come quando si sganciano i vagoni di un
treno (53).
Walter
era un sensitivo e credeva di vedere nelle cose quello che altri
disattenti non vedono. Aveva una concitazione morale con la quale
comunicava sempre qualche cosa: tutto in lui diventava commozione
etica. Però non riusciva a creare e ne dava la colpa alla
degenerazione dell’Europa. Era geloso di Ulrich e diceva che la
forza dell’amico presunta da Clarisse era vuoto. Diceva: è
intelligente, ma non sa cosa sia la potenza di un’anima intatta.
Inoltre: per lui nulla è saldo e tutto è trasformabile, quando
qualche cosa lo commuove, lui la respinge (cfr. Socrate secondo
Nietzsche).
Gli
antichi sentimenti fanciulleschi del più debole dei due accrescevano
la sua gelosia. Ulrich diceva che tutto era disperso e incagliato in
un mare di formule, correlazioni, operazioni.
Walter
ripeteva che era necessaria la semplicità, la salute, lo stare
vicini alla terra e anche un figlio: bleibt
mir der Erde teuer, meine Brüder (Zarathustra).
Notava che i discorsi di Ulrich erano disumani (cfr. la Chauchat).
Moosbrugger (p.63) era
un uomo di 34 anni, un falegname grande e grosso. Aveva ammazzato una
donna, una prostituta di infimo grado recidendole le mammelle e
squartandola. Era stato ripetutamente in manicomio per delitti
analoghi. Non riusciva a comunicare con le donne in altro modo.
Qualche cosa di cui si ha un bisogno naturale come pane o acqua, se
si può solo vederlo, dopo del tempo diventa un bisogno innaturale.
Del resto la violenza era nell’aria: un marito qualunque poteva
domandare a una moglie qualunque: “che cosa faresti se io fossi
Moosbrugger?”.
Aristotele
nella Poetica (1453b)
scrive che il mostruoso-to;
teratw'de"- deve
restare fuori dalla tragedia, mentre è legittimo to;
foberovn,
il pauroso.
Orazio
nell’ Ars
poetica scrive:
“ne pueros coram
populo medea trucidet”
(v. 185)
Moos
beveva
ed era solo, temeva che le donne si prendessero gioco di lui. Certi
pensieri sono come corde che attorcigliano le braccia e le gambe in
avvolgimenti infiniti (69). Ammazzava le donne come una parte
repressa di se stesso. Ulrich pensò: “se l’umanità fosse capace
di fare un sogno collettivo, sognerebbe Moosbrugger” (71)
C’è
un senso di morte diffuso nella Vienna della finis
Austriae: “Sopra
i bicchieri dai quali spavaldamente bevevamo, la morte invisibile
incrociava già le sue mani ossute” (Joseph roth, La
cripta dei cappucini,
cap. IV)
Il
padre di Ulrich aveva alle spalle una vita operosa e scrive
al figlio rimproverandolo poiché manca di piani per la sua vita
futura.
Lo
raccomanda al conte Stallburg preposto all’amministrazione privata
della famiglia imperial regia. Il 15 giugno 1918 ci sarebbero stati i
festeggiamenti per i 30 anni del regno di Guglielmo II (dal 1888) e
per i settanta anni dall’ascesa al trono (1848) dell’augusto
imperatore Francesco Giuseppe. I festeggiamenti austriaci dovevano
superare quelli germanici ed essere estesi per tutto il 1918 che
sarebbe stato l’anno dell’imperatore della pace. Ulrich deve
anche recarsi dal capodivisione Tuzzi del Ministero degli esteri, la
cui moglie era una sua lontana cugina.
Parte
seconda Le stesse cose ritornano (p. 77)
L’imperatore
e re di Cacania era un vecchio signore leggendario.
Ulrich
va da Stallburg e gli chiede la grazia per Moosbrugger. A Stallburg
questa richiesta parve un segno di combattività e di energia e
raccomandò Ulrich al conte Leinsdorf, il personaggio principale
della grande azione patriottica, detta azione parallela poiché
doveva mettere in evidenza la maggiore portata di un giubileo
settantennale nei confronti di un altro appena trentennale. Leinsdorf
era la forza motrice. Cercava dei modelli in Fichte.
Discorsi
alla nazione tedesca (Reden
an die deutsche Nation)
Opera (1808) di J.G. Fichte in cui sono raccolti i testi di una
serie di discorsi pronunciati durante l’inverno 1807-08,
nell’Accademia di Berlino. È il periodo della sconfitta della
Prussia per opera dell’armata di Napoleone, e Fichte esorta la
«nazione tedesca» alla rigenerazione degli spiriti e alla rinascita
nazionale della Germania oppressa e divisa. I forti toni di condanna
del liberalismo pedagogico («la moralità dell’allievo si ottiene
mediante il timore») convergono con il centrale richiamo
all’identità tedesca; «la lingua germanica», considerata unica
«lingua vivente», è lo strumento per il recupero dell’identità
originaria della «nazione» e per l’organizzazione etico-politica
della sua rinnovata forma di unità. Sulla base della propria
filosofia della storia, Fichte avverte come necessaria l’uscita
dall’«epoca presente», segnata dalla rivolta contro l’autorità
e la ragione, in vista della realizzazione di un «mondo nuovo».
Per
liberarsi dal peccato originale dell’ignavia, gli uomini hanno
bisogno di modelli. I punti dovevano essere: imperatore della pace,
Austria pietra miliare dell’Europa, Vienna capitale e
cultura (p. 81)
I
popoli europei stavano andando alla deriva presi nel vortice di una
democrazia materialistica. Ci voleva un simbolo che fosse un monito a
tornare indietro. E questo simbolo doveva essere l’ottantottenne
imperatore della pace.
Leinsdorf pensava
del popolo che fosse buono ma non lo conosceva. Quello che non
entrava nel suo quadro era ascritto a colpa di certi elementi
sovversivi. Aveva idèe feudali e religiose ma voleva gettare un
ponte ai socialisti poiché soccorrere i poveri è un dovere
cavalleresco e per un nobile di alta nobiltà non c’è differenza
tra un industriale e un suo operaio (84). (Cfr. Platone, Repubblica).
La
sua sentenza favorita era: “in fondo siamo tutti socialisti”.
Voleva dire che nell’altro mondo non ci sono differenze sociali
Ulrich
conosce sua cugina Ermelinda Tuzzi che chiama Diotima come la celebre
professoressa dell’amore del Simposio,
siccome la donna si atteggiava a beltà spirituale. Suo marito, il
capodivisione Tuzzi del Ministero degli Esteri era uno dei pochi
uomini che influivano sui destini dell’Europa. Diotima accolse
Ulrich con il sorriso indulgente della donna di valore che sa di
essere bella e deve perdonare agli uomini superficiali di pensare
sempre prima di tutto a quello (87). Anche Ulrich era un bel
tipo e i due si fecero l’un l’altro una discreta impressione.
La
mano di lei stava in quella di Ulrich come un petalo carnoso , un
organo umano abbastanza impudico che si caccia dappertutto come il
muso di un cane, mentre ufficialmente è la sede della lealtà, della
nobiltà, della raffinatezza (87). Cfr. la mano della Chauchat. La
Tuzzi era una trentenne in piena e aperta fioritura, eppure nel suo
aspetto c’era qualche cosa di verginale, di spiritualmente non
ancora sbocciato.
Questa
donna voleva invitare il mondo intero a convertirsi dalla baraonda
materialistica ai fatti dello spirito. Credeva pure che l’Austria a
differenza della Prussia custodisse ancora un tesoro di sentimenti.
Ma Ulrich sentiva odore di sacrestia. E temeva Diotima: vedeva
se stesso come un vermicello nocivo attentamente contemplato da una
grossa gallina.
Temeva
che quella gigantessa della morale lo provocasse a compiere piccole
vigliaccherie. Notò invece una piccola cameriera dagli occhi
palpitanti come farfalle nere. Aveva qualcosa di arabo-giudaico o di
giudaico algerino e gli diede un senso straordinario di freschezza e
vivacità.
23
Prima intrusione di un grand’uomo
E
Paul Atrnheim un uomo molto ricco. Diotima non stimava granché i
mercanti ma, come tutte le persone di mentalità borghese, in un
recesso del cuore ammirava la ricchezza. Era una delle tre figlie di
un professore di scuola media senza beni patrimoniali e Tuzzi le era
sembrato un buon partito quando era solyanto vice console. Da ragazza
possedeva solo il proprio orgoglio e siccome non possedeva nulla di
cui essere orgogliosa era nient’altro che correttezza raggomitolata
su se stessa con tentacoli protesi di sentimentalità.
Il
conte Leinsdorf voleva tornare ai princìpi cristiani ma siccome i
fatti positivi hanno una loro logica alla quale non si può opporre
il sentimento, concludeva affari con gli speculatori stranieri
piuttosto che al fianco della nobiltà austriaca. La Tuzzi faceva una
distinzione tra civiltà e Cultura e chiamava civiltà tutto quello
che il suo spirito non riusciva a dominare, prima di tutto suo marito
(cfr. T. Mann, Considerazioni
di un impolitico.) Tuzzi
da scapolo era stato un tranquillo frequentatore di case di
tolleranza e aveva trasferito nel matrimonio il ritmo regolare di
quell’abitudine.
“L’ammogliato
non ha risolto il suo problema sessuale. Credeva di godersela ma dopo
un poco subentra il disgusto della donna.. Viene un soffoco come di
prostituzione soltanto a vederla.Ci si accorge allora che con la
donna si sta male in ogni modo”Il
mestiere di vivere,
8 agosto 1944).
Prendeva
sul serio solo il potere, il dovere e gli alti natali e per ultima, a
una certa distanza l’intelligenza (p. 100). Cfr Karenin, il marito
di Anna.
Diotima
dava la colpa della propria infelicità al periodo storico
materialista dove tra ateismo, socialismo e positivismo un idealista
non può innalzarsi alla propria vera essenza. Il dottor Arnheim si
faceva banditore di un’unione fra l’idea e il potere, l’anima e
l’economia. Diceva a Diotima che era andato a Vienna per riposarsi
nell’incanto barocco della vecchia civiltà austriaca, per godere
di una pausa dai calcoli, dal materialismo, dal vuoto raziocinio
dell’uomo civile odierno.
Diceva:
“noi non udiamo più le voci interiori , oggi sappiamo troppo e la
ragione tiranneggia la nostra vita (103).
Ulrich
pensava spesso a Christian Moosbrugger e si chiedeva se era pro o
contro. Lo ossessionava come una poesia oscura. “Romanticismo da
Grand Guignol!” Si interruppe “ Ammirare l’orrido e l’illecito
nella forma permessa di sogni e di neurosi gli sembrava assai
calzante all’umanità dell’epoca borghese” (115).
Ricorda
un amore passato che concluse con una lettera dove scriveva che
l’amore non c’entra con il possesso e con il desiderio, con il
sii mia, che appartengono alla sfera del risparmio,
dell’appropriazione, della voracità.
Cfr.
Socrate nel Fedro di
Platone: l’amore dei lupi per gli agnelli.
Poi
Ulrich rompe con Bonadea. Le aveva domandato come faceva a
giustificare i suoi adulterii. Lei aveva chiesto: “allora secondo
te faccio male a venire qui?” E lui: “ci sono più risposte
a questa domanda che api in un alveare”.
Bonadea
capì che l’amante si era stancato di lei. Si sentì vecchia, ebbe
vergogna di trovarsi smarrita e seminuda in un sofà, esposta a tutte
le offese. Sprofondò nel dolore infantile dell’abbandono e se ne
andò 121.
Ulrich
pensa: tutto ciò che io credo di raggiungere mi raggiunge. Da
giovani la vita ci si stende davanti come un mattino senza fine,
colmo di possibilità e di nulla, poi ecco nel meriggio giunge
qualche cosa che pretende già di essere vita e ci troviamo diversi
da come ci eravamo immaginati. Qualcosa ha agito nei nostri confronti
come la carta moschicida su una mosca: qui ha imprigionato un
peluzzo, là ha bloccato un movimento, a poco a poco ci ha
avviluppati e sepolti sotto un involucro spesso. La forma originale
rimasta al di sotto tira e frulla e c’è la ribellione contro
l’ordine e ci sono tentativi di fuga 124. Ma questo vuol dire che
nulla di ciò che intraprendiamo da giovani è dettato da un’esigenza
intima (p.124)
Cfr.
Gozzano, Totò
Merumeni (Il
punitore di se stesso):
“Totò
ha venticinque anni, tempra sdegnosa,
molta
cultura e gusto in opere d’inchiostro,
scarso
cervello, scarsa morale, spaventosa
chiaroveggenza:
è il vero figlio del tempo nostro
(…)
Totò
non può sentire. Un lento male indomo
inaridì
le fonti prime del sentimento;
l’analisi
e il sofisma fecero di quest’uomo
ciò
che le fiaame fanno d’un edificio al vento
(…)
Perché
la voce è poca, e l’arte prediletta
immensa,
perché il Tempo - mentre ch’io parlo –
va,
Totò
opra in disparte, sorride, e meglio aspetta
e
vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà.”
CONTINUA
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