NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 28 marzo 2019

Robert Musil. Parte 2

Guido Gozzano
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Lezione su Musil tenuta nella biblioteca Ginzburg di Bologna il 25 marzo 2019

Robert Musil, I turbamenti del giovane Törless (1906), trad. it. Einaudi, Torino, 1980
Robert Musil, L'uomo senza qualità , trad. it. Einaudi, Torino, 1972
Der Mann ohne Eigenschaften ( primo volume pubblicato nel 1930, prima parte del secondo volume edita nel 1933, e ultima parte, rimasta incompiuta, pubblicata dopo la morte dell'autore-1880-1942).
Claudio Magris, L'anello di Clarisse , Einaudi, Torino, 1984 pp. 212-240

Certo Ulrich amava la matematica, se non altro perché ragiona in maniera diversa dall’uomo comune. Se gli uomini sapessero almeno lontanamente come si fa a pensare, vivrebbero in modo diverso.

Bonadea era capace di dire il Vero, il Buono, il Bello, con la frequenza con cui un altro avrebbe detto giovedì e si era sposata per ragionamento, non per un impulso di cuore.

Ulrich aveva letto in un giornale “geniale cavallo da corsa”, una straordinaria trovata suggerita dallo spirito collettivo (p. 40),

In effetti le capacità di un cavallo o di un atleta sono misurabili con precisione e per questo lo sport ha soppiantato gli antiquati concetti di genio e di grandezza umana, rimasti nella testa dei professori di ginnasio.

Geniali” cavalli da corsa come Ferenico sono celebrati da Pindato (Olimpica I, 17-23), mentre  Senofane (VI sec.) scrive “la nostra sapienza vale più della forza di uomini e cavalli” - rJwvmh" ga;r ajmeivnwn - ajndrw'n hjd j i{ppwn hJmetevrh sofivh” (fr. 2 D, 11 - 12).
Quindi Seneca:” Valet; et leones. Formonsus est: et pavones. Velox est: et equi. Corpus habet: et arbores (Ep. 76, 9).

La mattina dopo gli parve indicibilmente assurdo mettersi a fare ginnastica pensando che le avventure degne di una simile preparazione non si presentano mai, pensando che all’amore ci si prepara in maniera eccessiva e nella scienza si sentiva come un alpinista che scavalca una catena dopo l’altra senza mai vedere una meta (42).
Egli vedeva in sé tutte le qualità e le capacità ma non le sapeva usare. Allora decise di prendersi un anno di vacanza dalla vita.

Amici di gioventù
Sono Walter e Clarisse. Va a trovarli. Suonavano al pianoforte l’Inno alla gioia. Secondo Nietzsche i milioni cadevano rabbrividendo nella polvere, le barriere ostili erano infrante , il vangelo dell’armonia universale riconciliava e riuniva i disgiunti. Cfr. il dionisiaco. Il piano faceva rintronare la casa ed era uno di quei megafoni attraverso i quali l’anima grida nell’universo come un cervo in amore senza altra risposta se non quella di altre anime che bramiscono nel gran tutto. Ulrich definiva la musica un’impotenza della volontà. Clarisse era nicciana e diceva: potersi inibire una cosa dannosa è la prova della forza vitale. Ulrich gli aveva regalato le opere complete del filosofo (p. 44).
Walter era a 34 anni il tipo dell’artista fallito: era rimasto un dilettante dai molti talenti. Aveva però il talento di passare per un talento, Si opponeva a tutte le mediocrità ma favoriva la propria; non creava, dicendo che dopo Bach (1685-1750) tutto era sovraccarico e deteriore, affettato e decadente. Un puro ingegno non poteva creare in un’epoca così corrotta fino nelle radici spirituali. Suonava Wagner pur considerandolo prototipo di un’arte filistea, corrotta e degenerata. Eppure lo suonava mentre Clarisse lo detestava se non altro per la sua giacca di velluto e il suo berretto alla Raffaello (48).
Secondo lei il genio era una questione di volontà e da quando si era accorta che Walter non lo era, gli si negava.

L’Ottocento nella seconda metà era progredito in termini di scienza, tecnica e commercio, ma, al di fuori di questi, era muto e subdolo come una palude.
Nel giovane Novecento c’erano mode in contrasto: si amava il superuomo e si amava il sotto uomo, si adorava la salute e la fragilità delle fanciulle tisiche, si professava il culto dell’eroe e il culto socialista dell’umanità. Movimenti del resto limitati allo strato sottile e incostante degli intellettuali, non influenti sulla massa (51).
A Ulrich sembrava che ci fosse un ristagno della vita, come se qualche cosa fosse andata perduta: qualche cosa di imponderabile. Tutti i rapporti si erano spostati. Come se il sangue fosse mutato, o l’aria. I tempi erano cambiati come una giornata che comincia sfolgorante di azzurro e poi va velandosi piano piano. C’era qualcosa di marcio che distruggeva il genio. Su tutto quanto faceva, o subiva, si posava un’ombra di disgusto, un soffio di impotenza e di solitudine, un’antipatia universale. Come quando si sganciano i vagoni di un treno (53).

Walter era un sensitivo e credeva di vedere nelle cose quello che altri disattenti non vedono. Aveva una concitazione morale con la quale comunicava sempre qualche cosa: tutto in lui diventava commozione etica. Però non riusciva a creare e ne dava la colpa alla degenerazione dell’Europa. Era geloso di Ulrich e diceva che la forza dell’amico presunta da Clarisse era vuoto. Diceva: è intelligente, ma non sa cosa sia la potenza di un’anima intatta. Inoltre: per lui nulla è saldo e tutto è trasformabile, quando qualche cosa lo commuove, lui la respinge (cfr. Socrate secondo Nietzsche).
Gli antichi sentimenti fanciulleschi del più debole dei due accrescevano la sua gelosia. Ulrich diceva che tutto era disperso e incagliato in un mare di formule, correlazioni, operazioni.
Walter ripeteva che era necessaria la semplicità, la salute, lo stare vicini alla terra e anche un figlio: bleibt mir der Erde teuer, meine Brüder (Zarathustra). Notava che i discorsi di Ulrich erano disumani (cfr. la Chauchat).
Moosbrugger  (p.63)  era un uomo di 34 anni, un falegname grande e grosso. Aveva ammazzato una donna, una prostituta di infimo grado recidendole le mammelle e squartandola. Era stato ripetutamente in manicomio per delitti analoghi. Non riusciva a comunicare con le donne in altro modo. Qualche cosa di cui si ha un bisogno naturale come pane o acqua, se si può solo vederlo, dopo del tempo diventa un bisogno innaturale. Del resto la violenza era nell’aria: un marito qualunque poteva domandare a una moglie qualunque: “che cosa faresti se io fossi Moosbrugger?”.

Aristotele nella Poetica (1453b) scrive che il mostruoso-to; teratw'de"- deve restare fuori dalla tragedia, mentre è legittimo to; foberovn, il pauroso.
Orazio nell’ Ars poetica scrive: “ne pueros coram populo medea trucidet” (v. 185)

Moos beveva ed era solo, temeva che le donne si prendessero gioco di lui. Certi pensieri sono come corde che attorcigliano le braccia e le gambe in avvolgimenti infiniti (69). Ammazzava le donne come una parte repressa di se stesso. Ulrich pensò: “se l’umanità fosse capace di fare un sogno collettivo, sognerebbe Moosbrugger” (71)
C’è un senso di morte diffuso nella Vienna della finis Austriae: “Sopra i bicchieri dai quali spavaldamente bevevamo, la morte invisibile incrociava già le sue mani ossute” (Joseph roth, La cripta dei cappucini, cap. IV)
Il padre di Ulrich aveva alle spalle una vita operosa e scrive al figlio rimproverandolo poiché manca di piani per la sua vita futura.

Lo raccomanda al conte Stallburg preposto all’amministrazione privata della famiglia imperial regia. Il 15 giugno 1918 ci sarebbero stati i festeggiamenti per i 30 anni del regno di Guglielmo II (dal 1888) e per i settanta anni dall’ascesa al trono (1848) dell’augusto imperatore Francesco Giuseppe. I festeggiamenti austriaci dovevano superare quelli germanici ed essere estesi per tutto il 1918 che sarebbe stato l’anno dell’imperatore della pace. Ulrich deve anche recarsi dal capodivisione Tuzzi del Ministero degli esteri, la cui moglie era una sua lontana cugina.

Parte seconda Le stesse cose ritornano (p. 77)
L’imperatore e re di Cacania era un vecchio signore leggendario.
Ulrich va da Stallburg e gli chiede la grazia per Moosbrugger. A Stallburg questa richiesta parve un segno di combattività e di energia e raccomandò Ulrich al conte Leinsdorf, il personaggio principale della grande azione patriottica, detta azione parallela poiché doveva mettere in evidenza la maggiore portata di un giubileo settantennale nei confronti di un altro appena trentennale. Leinsdorf era la forza motrice. Cercava dei modelli in Fichte.
Discorsi alla nazione tedesca (Reden an die deutsche Nation) Opera (1808) di J.G. Fichte in cui sono raccolti i testi di una serie di discorsi pronunciati durante l’inverno 1807-08, nell’Accademia di Berlino. È il periodo della sconfitta della Prussia per opera dell’armata di Napoleone, e Fichte esorta la «nazione tedesca» alla rigenerazione degli spiriti e alla rinascita nazionale della Germania oppressa e divisa. I forti toni di condanna del liberalismo pedagogico («la moralità dell’allievo si ottiene mediante il timore») convergono con il centrale richiamo all’identità tedesca; «la lingua germanica», considerata unica «lingua vivente», è lo strumento per il recupero dell’identità originaria della «nazione» e per l’organizzazione etico-politica della sua rinnovata forma di unità. Sulla base della propria filosofia della storia, Fichte avverte come necessaria l’uscita dall’«epoca presente», segnata dalla rivolta contro l’autorità e la ragione, in vista della realizzazione di un «mondo nuovo».
Per liberarsi dal peccato originale dell’ignavia, gli uomini hanno bisogno di modelli. I punti dovevano essere: imperatore della pace, Austria pietra miliare dell’Europa, Vienna  capitale e cultura (p. 81)

I popoli europei stavano andando alla deriva presi nel vortice di una democrazia materialistica. Ci voleva un simbolo che fosse un monito a tornare indietro. E questo simbolo doveva essere l’ottantottenne imperatore della pace.
Leinsdorf pensava del popolo che fosse buono ma non lo conosceva. Quello che non entrava nel suo quadro era ascritto a colpa di certi elementi sovversivi. Aveva idèe feudali e religiose ma voleva gettare un ponte ai socialisti poiché soccorrere i poveri è un dovere cavalleresco e per un nobile di alta nobiltà non c’è differenza tra un industriale e un suo operaio (84). (Cfr. Platone, Repubblica).
La sua sentenza favorita era: “in fondo siamo tutti socialisti”. Voleva dire che nell’altro mondo non ci sono differenze sociali

Ulrich conosce sua cugina Ermelinda Tuzzi che chiama Diotima come la celebre professoressa dell’amore del Simposio, siccome la donna si atteggiava a beltà spirituale. Suo marito, il capodivisione Tuzzi del Ministero degli Esteri era uno dei pochi uomini che influivano sui destini dell’Europa. Diotima accolse Ulrich con il sorriso indulgente della donna di valore che sa di essere bella e deve perdonare agli uomini superficiali di pensare sempre prima di tutto a quello (87). Anche Ulrich era un bel tipo e i due si fecero l’un l’altro una discreta impressione.
La mano di lei stava in quella di Ulrich come un petalo carnoso , un organo umano abbastanza impudico che si caccia dappertutto come il muso di un cane, mentre ufficialmente è la sede della lealtà, della nobiltà, della raffinatezza (87). Cfr. la mano della Chauchat. La Tuzzi era una trentenne in piena e aperta fioritura, eppure nel suo aspetto c’era qualche cosa di verginale, di spiritualmente non ancora sbocciato.
Questa donna voleva invitare il mondo intero a convertirsi dalla baraonda materialistica ai fatti dello spirito. Credeva pure che l’Austria a differenza della Prussia custodisse ancora un tesoro di sentimenti. Ma Ulrich sentiva odore di sacrestia. E temeva Diotima: vedeva se stesso come un vermicello nocivo attentamente contemplato da una grossa gallina.
Temeva che quella gigantessa della morale lo provocasse a compiere piccole vigliaccherie. Notò invece una piccola cameriera dagli occhi palpitanti come farfalle nere. Aveva qualcosa di arabo-giudaico o di giudaico algerino e gli diede un senso straordinario di freschezza e vivacità.

23 Prima intrusione di un grand’uomo
E Paul Atrnheim un uomo molto ricco. Diotima non stimava granché i mercanti ma, come tutte le persone di mentalità borghese, in un recesso del cuore ammirava la ricchezza. Era una delle tre figlie di un professore di scuola media senza beni patrimoniali e Tuzzi le era sembrato un buon partito quando era solyanto vice console. Da ragazza possedeva solo il proprio orgoglio e siccome non possedeva nulla di cui essere orgogliosa era nient’altro che correttezza raggomitolata su se stessa con tentacoli protesi di sentimentalità.
Il conte Leinsdorf voleva tornare ai princìpi cristiani ma siccome i fatti positivi hanno una loro logica alla quale non si può opporre il sentimento, concludeva affari con gli speculatori stranieri piuttosto che al fianco della nobiltà austriaca. La Tuzzi faceva una distinzione tra civiltà e Cultura e chiamava civiltà tutto quello che il suo spirito non riusciva a dominare, prima di tutto suo marito (cfr. T. Mann, Considerazioni di un impolitico.)  Tuzzi da scapolo era stato un tranquillo frequentatore di case di tolleranza e aveva trasferito nel matrimonio il ritmo regolare di quell’abitudine.
L’ammogliato non ha risolto il suo problema sessuale. Credeva di godersela ma dopo un poco subentra il disgusto della donna.. Viene un soffoco come di prostituzione soltanto a vederla.Ci si accorge allora che con la donna si sta male in ogni modo”Il mestiere di vivere, 8 agosto 1944).
Prendeva sul serio solo il potere, il dovere e gli alti natali e per ultima, a una certa distanza l’intelligenza (p. 100). Cfr Karenin, il marito di Anna.

Diotima dava la colpa della propria infelicità al periodo storico materialista dove tra ateismo, socialismo e positivismo un idealista non può innalzarsi alla propria vera essenza. Il dottor Arnheim si faceva banditore di un’unione fra l’idea e il potere, l’anima e l’economia. Diceva a Diotima che era andato a Vienna per riposarsi nell’incanto barocco della vecchia civiltà austriaca, per godere di una pausa dai calcoli, dal materialismo, dal vuoto raziocinio dell’uomo civile odierno.
Diceva: “noi non udiamo più le voci interiori , oggi sappiamo troppo e la ragione tiranneggia la nostra vita (103).
Ulrich pensava spesso a Christian Moosbrugger e si chiedeva se era pro o contro. Lo ossessionava come una poesia oscura. “Romanticismo da Grand Guignol!” Si interruppe “ Ammirare l’orrido e l’illecito nella forma permessa di sogni e di neurosi gli sembrava assai calzante all’umanità dell’epoca borghese” (115).
Ricorda un amore passato che concluse con una lettera dove scriveva che l’amore non c’entra con il possesso e con il desiderio, con il sii mia, che appartengono alla sfera del risparmio, dell’appropriazione, della voracità.
Cfr. Socrate nel Fedro di Platone: l’amore dei lupi per gli agnelli.

Poi Ulrich rompe con Bonadea. Le aveva domandato come faceva a giustificare i suoi adulterii. Lei aveva chiesto: “allora secondo te faccio male a venire qui?” E lui: “ci sono più risposte a questa domanda che api in un alveare”.
Bonadea capì che l’amante si era stancato di lei. Si sentì vecchia, ebbe vergogna di trovarsi smarrita e seminuda in un sofà, esposta a tutte le offese. Sprofondò nel dolore infantile dell’abbandono e se ne andò 121.
Ulrich pensa: tutto ciò che io credo di raggiungere mi raggiunge. Da giovani la vita ci si stende davanti come un mattino senza fine, colmo di possibilità e di nulla, poi ecco nel meriggio giunge qualche cosa che pretende già di essere vita e ci troviamo diversi da come ci eravamo immaginati. Qualcosa ha agito nei nostri confronti come la carta moschicida su una mosca: qui ha imprigionato un peluzzo, là ha bloccato un movimento, a poco a poco ci ha avviluppati e sepolti sotto un involucro spesso. La forma originale rimasta al di sotto tira e frulla e c’è la ribellione contro l’ordine e ci sono tentativi di fuga 124. Ma questo vuol dire che nulla di ciò che intraprendiamo da giovani è dettato da un’esigenza intima (p.124)

Cfr. Gozzano, Totò Merumeni (Il punitore di se stesso):
Totò ha venticinque anni, tempra sdegnosa,
molta cultura e gusto in opere d’inchiostro,
scarso cervello, scarsa morale, spaventosa
chiaroveggenza: è il vero figlio del tempo nostro
(…)
Totò non può sentire. Un lento male indomo
inaridì le fonti prime del sentimento;
l’analisi e il sofisma fecero di quest’uomo
ciò che le fiaame fanno d’un edificio al vento
(…)
Perché la voce è poca, e l’arte prediletta
immensa, perché il Tempo - mentre ch’io parlo va,
Totò opra in disparte, sorride, e meglio aspetta
e vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà.”


CONTINUA

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