Pelagio Palagi Le Troiane in atto di incendiare le navi |
Le Troiane di Euripide. Parte 2. Riveduto e corretto. trovate gli altri capitoli nel mio blog
Il Coro
della Medea nella
prima strofe del secondo stasimo
biasima l'eccesso anche nel campo erotico:"Gli Amori che arrivano
all'eccesso (a[gan) non procurano/buona reputazione né virtù agli uomini: ma se
Cipride/giungesse/con moderazione (a{li" ), nessun'altra dea sarebbe
così gradevole./Non scagliare mai, o signora, contro di me dal tuo arco
d'oro/il tuo dardo inevitabile dopo averlo intinto di desiderio (vv. 627 -
635).
Nietzsche mette
in rilievo il valore della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità
etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di
sé. E così, accanto alla necessità
estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te
stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e
l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea,
dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[8].
A questa idea della misura è collegabile la teoria della classe media. La troviamo nelle Supplici [9] di Euripide. Qui Teseo[10] non è il vile seduttore di Arianna,
ma l'eroe patrio garante dei valori della povli", il fondatore della democrazia e la prefigurazione di Pericle. I fautori
della tirannide invece sono personaggi negativi.
Teseo si oppone all'araldo tebano il quale sostiene il vantaggio di una
città governata da un solo uomo ( che poi è Creonte) ponendo, tra l'altro, una
domanda retorica:" Come potrebbe il popolo, che non ragiona rettamente,
reggere uno Stato?" (vv. 417 - 418).
Il capo degli Ateniesi "non controbatte l'araldo per quel che riguarda
la critica ai demagoghi[11], ma propugna la teoria della classe media.
Tre sono le classi dei cittadini: i
ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più, quelli che non hanno
mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano
prendere dall'invidia e, ingannati dalle lingue dei capi malvagi, lanciano
strali contro i possidenti[12].
In conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ jn mevsw/ sw/zei povlei" - kovsmon fulavssous
j o{ntin j a]n tavxh/ povli"", ( Supplici,
vv. 244 - 245), delle tre
parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa
dispone.
Anche Plutarco nella Vita di
Teseo mette in rilievo la cura del figlio di Egeo per l’ordine: egli
unificò la popolazione e fondò la democrazia dell’Attica ma non permise che
questa, risultante da una massa indistinta riversatasi là, rimanesse
disorganizzata e confusa (ouj mh;n a[takton oujde; memeigmevnhn periei'den, 25, 2).
La teoria della bontà della
via di mezzo e della classe media si ripropone negli anni successivi. Nell'Elettra[13] di
Euripide Oreste considera la ricchezza un giudice cattivo, ma,
aggiunge, la povertà ha una malattia:"didavskei d ' a[ndra th'/
creiva/ kakovn "(v.
375), nel bisogno insegna all'uomo a fare il male.
Concludo con l’Oreste (del 408). (p.
191) “Egli[14] vede
negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in
grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste -
"un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la
patria"[15]
- ricorda da vicino Suppl. 244: "delle tre parti quella che sta
in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide
costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro
proprietà"[16].
-
Sentiamo ora un pensiero (141)
tratto dai Ricordi di Guicciardini " la corruttela italiana codificata
e innalzata a regola di vita[17]:
“spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso
che, non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che
fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in
India".
Rimane il pianto e il canto delle
sciagure.
Ecuba dice:
Poesia è anche questa per gli infelici 120
Far risuonare le sciagure prive di danze.
Euripide tende alle situazioni patetiche,
grondanti lacrime.
Anche Seneca accentua il pathos.
Nelle Troiane del Cordovano Ecuba rivendica l’incendio di
Troia a se stessa che ha partorito Paride dopo avere sognato di dovere generare
una fiaccola: non è stato Ulisse né il fallax Sinon a
incendiare Troia: “meus ignis iste est” (v. 39). E’ il “darsi animo”
notato da Eliot (Shakespeare e lo stoicismo di Seneca).
I versi 190-203 della Medea contengono
la poetica di Euripide: la poesia non deve rallegrare i conviti e le feste, già
di per sé piacevoli, ma alleviare gli affanni dei mortali. La poesia è una
specie di cura omeopatica: racconta casi dolorosi, pieni di lacrime, per
consolare le lacrime e gli affanni.
Questi versi possono essere polemici rispetto a a quanto afferma Telemaco
nel primo canto dell'Odissea: il cantore deve dilettare ("tevrpein", v. 347) gli
uomini che già godono (v. 369) del banchetto, ed essi apprezzano maggiormente
il canto che suoni più nuovo a chi ascolta (vv. 351-352).
Nell’Elena, Menelao afferma addirittura che le lacrime sono la sua
gioia (v. 125).
Ecuba nomina l’odiosa sposa (stugna;n a[locon, Troiane 132) di Menelao, onta
per Castore e ignominia per l’Eurota.
Elena dunque non è Afrodite ma Nemesi.
K. Kerényi fa questa distinzione: "O
Nemesi o Afrodite: queste sono le due possibilità della bellezza femminile, di
cui ci parl ano le trasformazioni del mito di Nemesi e di Helena. O rimanere la
figlia di Nemesi e, dal fondo del senso della colpevolezza, elevarsi a
punizione dell'umanità (ed Omero respinge questa soluzione) oppure (e la Helena
dell'Iliade è l'eterno simbolo di quest'altra) servire l'esigente
ed indifferente Signora e portare lo splendore, immune di colpa, di Afrodite,
quale destino proprio e destino tragico per gli uomini mortali"[18].
"In un colloquio con Priamo essa si
definisce kuvnwpi", "svergognata"[19]. Eppure! Gli anziani del
travagliatissimo popolo dei Troiani stanno immobili, come le cicale, seduti
presso le porte della città: essi, i saggi, i bravi oratori, immuni dal fascino
femminile. Ma quando essa appare, accompagnata dalle sue due fanciulle - e le
lagrime dei suoi occhi non si potevano distinguere, perché essa era involta in
un luminoso velo bianco-gli anziani esclamano tra di loro: "Ouj
nevmesi" - non è una nemesi, che per una tale donna
Troiani e Greci soffrano da tanto tempo e soffrano ancora. Essa è, infatti,
come una delle dee immortali"[20]. Parole semplici e naturali, in quella determinata situazione - e tuttavia
per mezzo di esse avviene qualche cosa di indicibilmente grande: il riscatto
della bellezza dal peccato"[21].
Ebbene questo riscatto non è riconosciuto
dall'Ecuba delle Troiane che nel III episodio dirà a Menelao:
"ti lodo se uccidi la tua sposa, Menelao. Ma evita di vederla che non ti
prenda con il desiderio (mh; s jj e{lh/ povqw/, 891). Ella infatti possiede tanta seduzione che attira gli sguardi
degli uomini, distrugge le città, brucia le case ("ejxairei'
povlei",-pivmprhsin oi[kou"", vv.
892-893).
Euripide qui probabilmente ricorda
" JElevnan ejpei; prepovntw"
eJlevna", e{landro", eJlevptoli"", Elena
poiché chiaramente distrugge navi, uomini, città dell'Agamennone (vv.
689-691 del II stasimo) di Eschilo.
CONTINUA
[8] La nascita della tragedia,
p. 37.
[9] Del 422 a. C.
[10] Alcuni personaggi del mito,
come Teseo appunto, o Eracle, possiedono una pluralità di significati. Più
avanti vedremo lo stesso di Orfeo.
[11]V. Di Benedetto, Euripide:
teatro e società , p. 180.
[12] Questa parte della teoria che
vede nei poveri dei potenziali delinquenti si trova anche nella Costituzione degli Ateniesi dello Pseudo Senofonte. L’anonimo
autore chiamato “il vecchio oligarca”, da August Boeck identificato con Crizia,
cervello e capo politico dei “Trenta tiranni”, sostiene che nel popolo c’è il
massimo di ignoranza, di disordine e malvagità: la povertà infatti spinge piuttosto
alle turpitudini, come la mancanza di educazione e l’ignoranza che in alcuni
nasce dall’indigenza (1, 5).
[13] Probabilmente degli anni
intorno al 415.
[14] Euripide.
[15]Aujtourgo;",
oiJvper kai; movnoi sw/zousi gh'n.
[16]Di Benedetto, op. cit., p. 208.
[18] K. Kerényi, La nascita di Helena di Miti e
Misteri , pp. 54 e 5
[19] Iliade, III, 180. Noi l'abbiamo trovato nell'Odissea (IV, 145) e
l'abbiamo tradotto "faccia di cagna".
[20] 156-158.
[21] K. Kerényi, Miti e misteri , p. 54.
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