Anselm Feuerbach, Il simposio di Platone |
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Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo (Einaudi, Torino, 2019).
Presenterò l'intero volume l'11 aprile alla Sapienza di Roma (sala Odeion)
Philosophica Philologia (pp. 29-51)
Nel Simposio platonico
Socrate afferma di ripetere quanto udì da Diotima di Mantinea una
donna sapiente nelle cose d'amore e in molte altre (tau'tav
ge sofh; h\n kai a[lla pollav , 201 d). La sacerdotessa dunque
gli insegnò che Eros è qualche cosa di intermedio (ti
metaxuv, 202 a). E' gran demone, figura intermedia tra i
mortali e gli dèi (Daivmwn mevga"…metaxuv
ejsti qeou' te kai; qnhtou' , 202d), figlio di Poros
(Espediente) e della mendicante Penia (Povertà), e partecipa della
natura di entrambi, delle miseria della madre e delle capacità anche
seduttive del padre; inoltre è un filosofo poiché si trova a metà
strada fra sapienza e ignoranza:"sofiva"
te au\ kai; ajmaqiva" ejn mesw/ ejstivn" (203 d).
Aggiungo con un’associazione
forse non del tutto arbitraria queste parole dell’ Alcibiade II
di Platone
SW
. J Ora'/"
ou\n, o{te g j e[fhn kinduneuvein to; ge tw'n a[llwn
ejpisthmw'n
kth'ma , eja;n ti" a[neu th'" beltivstou ejpisthvmh"
kekthmevno" h\/, ojligavki" me;n wjfelei'n, blavptein de;
ta; pleivw to;n e[conta aujtov, a\r j oujci; tw'/ o[nti ejfainovmhn
levgwn ;
vedi
dunque, dice Socrate ad Alcibiade, quando dicevo che il possesso
delle altre scienze se
uno non
possiede la
scienza di quanto è ottimo (l'idea del Bene),
di rado giova, mentre per lo più danneggia chi ce l'ha, non ti
sembra che io parlavo
dicendo quanto è sostanzialmente corretto?
Alcibiade dà ragione a
Socrate il quale aggiunge
oj
de; th;n kaloumevnhn polumaqivan te kai; plolutecnivan kekthmevno",
orfano;" de; w]n tauvth" th'" ejpisthvmh",
ajgovmeno" de; uJpo; mia'" ejkavsth" tw'n a[llwn, a\r
j oujci; tw'/ o[nti dikaivw" pollw'/ ceimw'ni crhvsetai, a{te
oi\mai a[neu kubernhvtou diatelw'n ejn pelavgei, crovnon ouj makro;n
bivou qew'n;
w{ste suvmbaivnein moi dokei' kai; ejntau'qa to; tou' poihtou', o}
levgei kathgorw'n pouv tino", wJ" a[ra polla; me;n
hjpivstato e[rga, kakw'" dev mfhsivn, hjpivstato pavnta
(Alcibiade
II 147b)
e
chi possiede la cosiddetta conoscenza enciclopedica e politecnica ,
ma sia privo di questa scienza (del Bene), e venga spinto da
ciascuna delle altre, non farà uso sostanzialmente di una grande
tempesta senza un nocchiero, continuando a correre sul mare, non a
lungo del resto? Sicché mi sembra che anche qui capiti a
proposito quello che dice il poeta criticando uno che
effettivamente sapeva molte cose ma le sapeva tutte male
Cfr.
Eraclito:
polumaqivh
novon ouj didavskei: JHsivodon ga;r a[n ejdivdavxe kai; Puqagovrhn
aujti;" te Xenofavneav te kai; JEkatai'on
(fr. 82 Diano)
Si
possono commentare entrambi questi testi con la sintesi di
Euripide"to;
sofo;n d j ouj sofiva"
(Baccanti,
v. 395), il sapere non è sapienza. La sofiva
è lo scopo di quella cultura che Nietzsche chiama tragica: "la
sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta suprema,
in luogo della scienza, la sapienza". La sapienza si tuffa nel
fiume della vita. Il sapere al contrario è il fine dell'uomo
teoretico il quale "non osa più affidarsi al terribile fiume
dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva”1
. Aggiungo che hJ
sofiva è
femminile e produttiva, creativa, to;
sofovn
è neutro e sterile.
Ora torno a Cacciari: “Il
significato che Ficino e Poliziano attribuiscono a Filologia non è
diverso. Filologia resterebbe cieca senza orientarsi attraverso la
fatica dell’esegesi a Filosofia, senza spingersi, guidata da
Ermete, verso i ‘misteri di Platone’. E un Ermete, anche se
tentato da Saturno, è lo stesso Ficino, l’insuperabile
‘traduttore’. Ma Filosofia, d’altra parte, non sarebbe che
vuoto esercizio scolastico se non lo alimentassero continuamente le
scienze particolari e le arti tutte, cioè l’autentica antrhropine
sophia. Filosofia si ingravida dei pragmata che Ermete le
trasmette da Filologi e, a sua volta, di essi si illumina, fa
comprendere il significato più essenziale e riposto”.
La
sofiva
di Socrate è, a detta di Platone, ajnqrwpivnh
sofiva, sapienza relativa all’uomo. Tw'/
o{nti ga;r kinduneuvw tauvthn ei\nai sofov~ (Apologia,
20d) in questa infatti io sono probabilmente saggio davvero.
La Primavera di Botticelli è
un’opera chiave dell’epoca il cui esame iconologico può aiutarci
a capire come il testo di Marziano Capella sia pertinente al
significato filosofico che l’Umanesimo diede alla Filologia:
questa coopera con Ermete e
con Filosofia la quale sale alla luce poi torna quaggiù e salva i
fenomeni . Senza filologia, senza le nozze tra filologia e
Mercurio, questo suo compito mai potrebbe essere svolto. (p.
40)
Il filologo restaura il testo
con le sue competenze di grammatico, poi lo interpreta secondo i
princìpi filosofici.Non basta una disciplina sola: è necessaria una
paideia , una cultura.
Io la chiamo una visione
d’insieme della cultura letteraria europea.
Garin in Medioevo e
Rinascimento ha scritto che ‘la verità della Rinascenza è
proprio nei Valla, negli Alberti, nei Poliziano, e poi nei Masaccio,
nei Brunelleschi, nei Leonardo (..) perché la più consapevole
meditazione umana fu proprio in quella storia’
C’è filosofia non nella
riscoperta in quanto tale del platonismo ma nella comprensione dei
suoi rapporti con l’aristotelismo (riassunti forse dalle loro
figure di La scuola di Atene di Raffaello) da un lato e con la
tradizione teologico-filosofica della cristianità e delle altre
religioni monoteistiche. E c’è filosofia nel problema della
traduzione (cfr. Cicerone e Leopardi). C’è filosofia nel chiedersi
da parte di Valla, Alberti e Pico quis es homo? Uomo
che è il qau'ma da comprendere (42).
Io dico l’uomo come
problema, o, con l’Antigone di Sofocle, l’uomo come
deinovn.
“Non diceva già Dante nel
De vulgari eloquentia che ciascuno è come avesse un
intelletto proprio e singolare? Non ripeteranno questa stessa idea,
in chiave drammatico-scettica, Machiavelli e lo stesso Guicciardini?”
(42)
Machiavelli Lettera al
Soderini, 13 -21 settembre 1506)
“ Io
credo che, come la Natura ha facto ad l'huomo diverso volto,
così
li habbi
facto
diverso ingegno et diversa fantasia”
Fare
filosofia significa ricercare - interrogare i fondamenti della
facultas loquendi.
Dante,
Petrarca e Boccaccio avevano dato voce alla lingua e reso vivente la
sua forma e senza di loro non ci sarebbe stata questa filosofia
dell’Umanesimo
“Sono
questi gli autori che introducono L’Umanesimo come grande epoca di
crisi, passaggio decisivo fra l’autunno del Medioevo e il mutamento
radicale di stato, la
katastrofé
che inaugura il Cinquecento, soprattutto in Italia. Ben prima che
Machiavelli e Guicciardini riflettessero sulle grandi “mutazioni di
regni, imperi e stati”, sugli “alti accidenti e fatti furiosi”
che travolgono “l’italico sito” (Decennale
secondo2,
1-5), questa catastrofe era stata presentita dagli interpreti più
acuti e disincantati, specchio di un Umanesimo che potremmo davvero
definire tragico,
Alberti e Valla” (p. 43)
Lorenzo
Valla (1405-1457) “è la grande figura dell’Umanesimo
in lotta,
critico fino all’eresia, di ogni forma di sedentaria erudizione, la
cui latinitas
significa esatta definizione del testo affrontato, chiara memoria del
passato che è radice, precisione nell’uso della lingua che in noi
vive (…) l’uomo pensa - comunica per mezzo del segno doppio,
sensibile e sprituale del linguaggio”.
Penso
al significante e al significato dello strutturalismo che deriva
dalla linguistica degli stoici: Il
logos è una voce significante proveniente dal pensiero
Zenone
divise la dialettica in due parti: la prima si occupa dei
significanti shmaivnonta,
i suoni della parola, la seconda dei significati shmainovmena,
il contenuto3.
“Lo stesso riconoscimento
del ‘valore’ della storia, in un senso affatto concreto, che
ritroveremo in Machiavelli, ha in Valla il suo auctor: dalla
storia, egli dice, viene la più grande conoscenza della natura
umana, e sono le sue esperienza che poi si trasformano in norme,
precetti e ogni altro genere di sapienza (Historiarum Ferdinandi
regis Aragoniae libri tres)” 1445-1446
Senza la conoscenza della
storia non c’è maturità di pensiero e di persona
Cicerone nell'Orator (del
52 a. C. ) scrive: "Nescire autem quid ante quam natus
sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas
hominis, nisi ea memoria rerum veterum cum superiorum aetate
contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa sia
accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un
ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si
allaccia
Sentiamo
anche T. S. Elio:t“Maturità della mente: a questa occorre la
storia e la consapevolezza della storia”4.
La
conoscenza della tradizione richiede il senso storico: “the
historical sense involves a perception not only of the pastness of
the past, but of its presence"5,
il senso storico implica la percezione non solo della passatezza del
passato, ma anche della sua presenza.
“Il motto machiavellico:
farci guidare dalla storia, se mai una guida ci è data per
orientarci nell’universale vicissitudine, si connette
inscindibilmente al senso che la filologia assume con Valla” (p.
43)
La parola deve parlare del
presente e pure del passato “ogni parola è come la vera del pozzo
del passato. Una filologia filosofica deve osare calarvisi, ben
sapendo che revocare gradum superasque evadere ad aursa/ hoc opus
, hic labor est” (Eneide, VI, vv. 128-129)” (p. 44)
E non che sia facilis
descensus Averno (v. 124)
“La pietas per il passato è
vuoto sentimento se non si orienta a un nuovo inizio”
La scuola dei Valla combatte
tanto la filologia che non si collega criticamente a Ermete (non
interpreta) (“che non si cura, potremmo aggiungere con Nietzsche,
di svolgersi lento pede dal noto a qualcosa di ancora
in-audito, dal conosciuto verso acque mai percorse”) quanto
quella filosofia che superbamente astrae il suo ego cogito
dall’ego loquor e quest’ultimo dal plurale
loquimur et locuti sumus”.
L’Umanesimo insiste sul
Comune, sull’Universale che si invera nel continuo divenire della
prassi linguistica.
Alberti e Valla sono avversi in philosophos, cioè a quella boria che pretende autofondantesi l’esercizio della ragione
“Prima della philo-sophia
c’è la ragione della lingua, indissociabile da quella del
corpo (…) Prima della philo-sophia inoltre, vi è la sophia
dei saperi concreti, delle technai o artes” (p. 45).
Insomma il sapere di Prometeo,
limitato, insufficiente, ma necessario.
Nel
Prometeo incatenato
di Eschilo il Titano afferma di avere escogitato le tevcnai
(v. 477), che fanno partire la civilizzazione, anzi:"pa'sai
tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw"
(v. 507), tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo.
Prometeo del resto sa bene che
la forza della Necessità è superiore “ tevcnh
d j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/ ” (v. 514):, la
conoscenza pratica è molto più debole della necessità.
"Questo
sapere è sempre una conoscenza pratica: è il sapere che ha creato
la civiltà, le tevcnai.
Egli ha insegnato loro i diversi mestieri, inoltre l'astronomia, i
numeri e le lettere; ma non per allargare la conoscenza del mondo nel
senso degli antichi ionici: al contrario, questo sapere è orientato,
alla maniera attica, verso le tevcnai,
verso uno scopo pratico e un'utilità…il fuoco è il simbolo delle
tevcnai,
dell'attività pratica"7.
Le
tevcnai
dunque sono necessarie ma non sufficienti.
“Soltanto
perché la cultura del periodo si agitava e pensava anche nel solco
della filosofia che andiamo delineando, essa poteva costituire
l’humus
del Cupolone di messer Filippo, del pulpito di San Lorenzo, di
palazzo Rucellai, dei dipinti platonici di Botticelli. L’esercizio
dell’arte, il ruolo dell’artista, di colui che sa
fare ( e può saper-
fare soltanto se ‘orientato’ da Filologia-Ermete- filosofia),
hanno potuto assumere un’importanza centrale, perché centrale
filosoficamente
era apparsa l’interrogazione intorno ai problemi dell’espressione
del pensiero, della vis
imaginativa, della
inventio, del rapporto
tra pensiero e pittura” (p. 45).
Nel
De vero falsoque bono
(1441) Valla “avanzava la propria proposta filosofica, tutta
rivolta contro quello stoicismo che pure costituiva una corrente
importante del pensiero umanistico. Qui egli aderisce decisamente
alla spiritualità dei padri semper
reformanda, e in
particolare ad Agostino” (46).
Valla
giungeva anche a sostenere il valore di Tommaso in quanto erede
degli ‘antichi teologi’, ma non per la sua metafisica. Poi però
si distacca da questi maestri “quasi provocatoriamente con la
riscoperta dell’epicureismo nei suoi tratti più realistici, direi
più romani”.
Come
Alberti e Machiavelli alla fine di questa età, Valla dipinge
l’esserci
umano nelle istanze concrete che lo muovono ad agire, nei fini reali
che agendo persegue, e tutti i fini si riducono a un principio: la
ricerca del proprio piacere,
ontologicamente inteso; la volontà incondizionata di perseverare nel
proprio essere si esprime come volontà
di piacere,
in quella idea di voluptas
8
che ‘sedurrà’ anche il giovane Ficino”. (p. 47)
“Qualsiasi
ascetismo ne misconosca il potere è mera ipocrisia. Piacere deve
essere anche l’amore per il logos, piacere deve dare Donna
Filologia. E Filosofia significherà cercare la vera
voluptas, la sua
misura più piena, non disprezzando affatto le altre, e meno che meno
quelle del corpo. Compito di una paideia
filosofica consisterà nell’insegnare come il nostro naturale
conatus alla eudaimonia
, alla vita felice possa venire soddisfatto” (p. 47).
Mi viene in mente Seneca che
cita spesso Epicuro e tende a negare quella ricerca del piacere
bestiale rinfacciata agli Epicurei dai detrattori come Cicerone.
Istuc quoque ab Epicuro
dictum est: si ad naturam vives, numquam eris pauper, si ad opiniones
numquam eris dives. Exiguum natura desiderat, opinio immensum
(16, 7-8)
Epicuro voleva raggiungere
l’ajtaraxiva, mancanza di turbamento
nell’animo e l’ajponiva, mancanza
di dolore nel corpo, voleva hjdonai;
katasthmatikaiv, piaceri stabili, piuttosto che in movimento
kata; kivnhsin.
La scelta dei piaceri va
riferita ejpi; th;n tou' swvmatoς
uJgiveian kai; th;n th'ς yuch'ς
ajtaraxivan (A Meneceo, 128). Pavnta
pravttomen, o{pwς mhvte ajlgw'men
mhvte tarbw'men. Allora ogni tempesta della vita si placa:
luvetai pa'ς oJ
th̃ς yuch'ς
ceimwvn Noi soffriamo per il bisogno del piacere che è il
bene primo e a noi connaturato prw'ton
ajgaqo;n toũto kai; suvmfuton
(129), ma noi ne tralasciamo molti se ad essi segue un incomodo
maggiore (pleĩon
to; duscerevς) e addirittura a volte scegliamo dei dolori
quando ce ne consegua un piacere maggiore (ejpeida;n
meivzwn hJmi'n hJdonh; parakolouqhh/'
Ogni piacere
ci è congeniale ma non è sempre da eleggere, i dolori sono
un male ma non sono tutti da evitare. Conviene giudicare in base al
calcolo (th/' summetrevsei),
una valutazione comparativa, degli utili e dei danni. A volte un male
per noi può essere un bene e un bene un male. Grande bene è
l’aujtavrkeia, l’indipendenza dai
desideri. Quello che è fusikovn,
richiesto dalla natura, è facilmente procacciabile eujpovriston,
mentre to; kenovn, il vuoto è
duspovriston.
CONTINUA
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2
I Decennali
di Niccolò
Machiavelli
sono due cronache in terzine dantesche sulle vicende fiorentine
(dal 1494
al 1504
e dal 1504
al 1509.
La seconda è incompiuta)
3
Cfr. Il Saussure (Corso
di linguistica generale,
uscito postumo nel 1916) e lo strutturalismo di moda nel ’68
quando feci l’ultimo esame, quello di glottologia. Ci facevano
studiare tutto a memoria senza che nessuno all’Università avesse
mai indicato questo collegamento con gli Stoici quando ripetevano
che la doppia articolazione costituisce una proprietà fondamentale
del linguaggio verbale umano.
5
T
- S. Eliot, Tradition
and the Individual Talent.
In
Il
bosco sacro. Saggi sulla poesia e la critica (1920)
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